Il 5 per cento dei bambini che nascono in Italia è affetto da sindrome feto alcolica (Fasd-una patologia legata al consumo di alcol della madre in gravidanza). Una cifra preoccupante visto che si tratta di circa 25-30 mila bambini ogni anno. Non sempre la patologia si manifesta in forma grave, cioè in una vera e propria disabilità cognitiva. Spesso i sintomi trascurati sono quelli di un comportamento antisociale, un deficit cognitivo e comportamentale anche lieve, che si manifesta con la difficoltà nell’apprendimento verbale, nella memoria e nelle abilità logico-matematiche. A dare l’allarme su un fenomeno diffuso, ma ancora troppo sottovalutato nel nostro paese, è la Società italiana sulla sindrome feto-alcolica (Sifasd) che organizza, oggi a Roma, il primo congresso nazionale sul tema.
“Si tratta di un problema molto grave perché riguarda circa 30 mila nuovi nati ogni anno – sottolinea il presidente del Sifasd, Mauro Ceccanti – . Può colpire in forma differenziata, cioè producendo gravi disabilità a livello cognitivo, ma si può presentare anche come incapacità di apprendimento, di parola, o deficit di attenzione. Negli Usa si sta studiando, ad esempio, il legame tra questa sindrome e il bullismo”. Ceccanti spiega, inoltre, che se nel caso di madri alcoliste il rischio che il bambino nasca con la Fasd, è del 35 per cento , la patologia non si esclude anche per donne che bevono piccole quantità di alcol. “L’unico modo per prevenirla è non bere assolutamente in gravidanza – afferma – ma nel nostro paese manca una cultura in tal senso. Non solo le donne ne sottovalutano la gravità ma anche le istituzioni. Rispetto a paesi come gli Stati Uniti, ma anche Inghilterra o Francia, siamo molto indietro”. La Sifasd chiede da tempo che venga diffusa in maniera capillare l’informazione sul problema, a cominciare da un avviso per le gestanti da mettere sulle etichette delle bevande alcoliche. Secondo i ricercatori, infatti, la prima causa della malattia è la quantità di alcol consumata dalla madre durante la gravidanza e, nonostante a tutt’oggi non esista una soglia di consumo che possa essere considerata sicura, la letteratura definisce a rischio il consumo di 12-13 g di alcol puro al giorno. Anche la modalità di consumo può influire: quantità eccessive di alcol assunte ripetutamente nel corso della gravidanza si correlano alla gravità dei sintomi presentati dal bambino. Infine incidono ulteriori fattori come lo stato nutrizionale della donna, l’età e l’uso contemporaneo di altre sostanze.
Oltre ai rischi per i bambini , che nascono con la Fasd, il congresso ha messo anche in luce il problema dei bambini ddato l’alto tasso di alcolismo nei paesi di origine. “Nei bambini che adottiamo questo tipo di deficit cognitivo è presente nella maggior parte dei casi: si presenta come difficoltà a compiere attività complesse, scarso controllo degli impulsi, scarso rendimento scolastico e così via – continua Ceccanti – . Il problema è che spesso gli orfanotrofi segnalano il problema ma le famiglie non sanno come comportarsi, non sono preparate e non sanno a chi chiedere aiuto”. Nel corso del congresso una donna di Ravenna, che ha adottato un bambino con questi problemi, ha raccontato le difficoltà incontrate nel gestire la situazione. “Bisogna diffondere la conoscenza. Nel nostro paese c’è una tendenza a nascondere il problema – aggiunge il presidente di Sifasd – C’è una sottovalutazione grave soprattutto da parte delle istituzioni”. Per prevenire il problema e stimolare la ricerca, nel corso del congresso il Sifasd ha firmato una convenzione con il Nih-Niaaa, un settore dell’Istituto sanitario americano che si occupa degli abusi legati all’alcol. “Collaboreranno con noi sulla ricerca e sull’individuazione delle problematiche – aggiunge Ceccanti – . E faremo dei corsi di formazione agli studenti e gli operatori per migliorare l’intervento sui problemi dell’alcol nella regione Lazio”. (ec)
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