Il ddl diffamazione torna nell’aula del Senato dove tiene banco l’emendamento del relatore Filippo Berselli, il cosiddetto ‘salva direttori’, perche’, in caso di condanna, punisce costoro solo con la multa e non, in alternativa, con il carcere, come invece avviene per il giornalista condannato. Il Governo, con il sottosegretario Antonino Gullo, ha espresso “per motivi tecnici” parere contrario al testo che il Pd, con Vincenzo Vita, ha bocciato come “incostituzionale”.
Si introduce un “vistoso strappo” alla norma generale che disciplina il concorso nel reato, previsto dal codice penale, ha sottolineato Luigi Li Gotti, responsabile giustizia Idv. Poiche’, ha spiegato, si introducono pene diverse per soggetti diversi per la medesima condotta, in caso di diffamazione aggravata dall’attribuzione di un fatto determinato, mentre questo non accade per la diffamazione a mezzo stampa tout court, disciplinata dall’artiocolo 595. C’e’ un “profondo contrasto” Berselli deve risolvere queste due anomalie contenute in un unico articolo e dare una risposta “se non giuridica, dia una risposta politica”, ha chiosato Li Gotti.
Non c’e’ contrasto con la Costituzione, ha detto Berselli spiegando che fra direttore e cronista ci sono “ruoli diversi” cui corrisponde una sanzione diversa.
“Se non approviamo questa legge resta la normativa in vigore che per questa fattispecie prevede obbligatoriamente la reclusione con una pena che va da uno a sei anni e la multa”. Il ddl all’esame del Senato “prevede una pena alternativa. Sono il primo a dire che non si doveva introdurre la norma” sul carcere fino ad un anno per il giornalista “ma e’ normativa piu’ favorevole” di quella attuale.
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