“Israele ha il diritto di difendersi”(Barack Hussein Obama, Presidente degli Stati Uniti d’America). “La pace ci sarà non appena gli Arabi inizieranno ad amare i propri figli più di quanto odiano Israele”(Golda Meir). Shalom, Israele. Se gli F16 di Israele si alzano in volo contro le postazioni missilistiche di Hamas tra i palazzi di Gaza, è perché Israele si difende dalla pioggia di mille missili (per ora convenzionali! Ma l’Iran in pochi mesi potrebbe disporre di ordigni nucleari portatili, secondo alcuni analisti) scatenata negli ultimi mesi dai terroristi integralisti islamici contro i cittadini dello Stato ebraico. Se solo uno di quei missili piovesse su Roma, provocando l’inferno nucleare con una testata tattica di pochi chilotoni, come reagiremmo? Con le belle parole, con i cortei studenteschi? Israele non ha attaccato Gaza, una delle più incredibili realtà cittadine concetrazionarie e povere del pianeta Terra, sotto l’egida delle Nazioni Unite, messa in scena naturalmente in funzione anti-israeliana. Quando i deserti oggi possono essere trasformati in praterie lussureggianti con acqua e cibo per tutti! Quando uno stato costituzionale di diritto come Israele è in grado di garantire pace, libertà, prosperità, democrazia e rappresentanza a tutti in uno spicchio di terra. Eppure gli Israeliani sono costretti dal 1948 a combattere una guerra di sopravvivenza mentre i politici europei (e italiani) cercano una verginità che non gli appartiene dopo secoli di persecuzioni, stermini e deportazioni di Ebrei. Quale tregua, quale pace, quale futuro? Hamas perde ma nel “campo di concentramento” di Gaza si esulta per la vittoria dopo il massacro di bambini innocenti usati da Hamas come scudi umani! Il mondo sembra impazzito e tutto volge alla rovescia. Ma è nell’ora delle tenebre che la luce deve risplendere. Siamo vicini a Israele ed al popolo Palestinese. Per un futuro di Pace vera donata da Dio agli uomini ed alle donne di buona volontà, a coloro che erediteranno la Terra. Ai miti. A chi ama la vita e non la morte. È questa la sola buona ragione per partecipare e sperare al processo di pace in Medio Oriente. A Roma mille persone hanno ribadito ancora una volta la Verità per Israele e per la Palestina, due Popoli e due Stati destinati a vivere insieme e in Pace. Sempre che i trafficanti di armi lo consentano. Perché l’unica strada che abbiamo per raggiungere la pace vera, è quella di raccontare i fatti come stanno. In Italia e nel mondo. Bandito il terzomondismo pacifista filo-integralista e filo-terrorista palestinese, dobbiamo ripetere fino alla nausea, tutti insieme, cosa significa vivere sotto la minaccia dei mille missili di Hamas e compagni “martiri” che si fanno esplodere nel nome di Allah. Dobbiamo testimoniare che la reazione d’Israele è la naturale conseguenza, per uno Stato di diritto, ai dodicimila missili che in sei anni sono piovuti su Israele. Bisogna trovare la forza di spiegare all’opinione pubblica che difendere Israele (e quindi la Palestina) non può essere solo la priorità degli Ebrei, ma anche dei Cristiani, dei Mussulmani, dei Buddisti e di tutti coloro che credono che alcuni valori come la Pace, la Libertà e la Democrazia non siano negoziabili e che una resa dell’Occidente in Medio Oriente (come sta accadendo in Afghanistan) sarebbe il preludio alla catastrofe mondiale. Cioè il primo passo affinché quello che sta accadendo in Israele avvenga anche qui a casa nostra entro la fine del XXI Secolo. Per questo non possiamo tacere le nostre ragioni e non possiamo lasciare soli gli Israeliani e i Palestinesi che amano la vita e non la morte. La pace e le tregue si fanno con il nemico, certamente. E tanto più il nemico è odioso e criminale quanto più la pace e gli accordi sono importanti se siglati nella verità e nella giustizia. Attenzione, però, a non dimenticare i “nemici-ma-non-proprio”, a non voltare le spalle a chi da tempo ci guarda dritto negli occhi, a non ritirare sempre la mano davanti a chi ce la porge. È questo il messaggio lanciato dalla maratona oratoria “Per la verità e per Israele” svoltasi a Roma, Giovedì 22 Novembre 2012, davanti a Montecitorio. Per dire basta con l’antisemitismo mascherato da critiche al governo israeliano: la situazione insopportabile in cui vivono gli israeliani da molte settimane prima che cominciasse l’azione militare contro Hamas su Gaza, è nota. Chi non ha voluto vedere le centinaia di razzi lanciati da Hamas, vuole vivere nella malafede. Se la tregua in corso sarà duratura, molto dipenderà dall’afflusso di armi verso Gaza. Non lo sarà se non si fermerà l’afflusso di armi dall’Iran. Particolarmente sostenuto e applaudito è stato l’intervento del presidente della Comunità ebraica romana, Riccardo Pacifici, che ha protestato non solo per l’improvvisa mancanza di voli di linea per Israele, ma anche per alcune cronache giornalistiche ritenute faziosamente avverse allo Stato ebraico sotto l’attacco di Hamas. Tra le numerose bandiere con la Stella di Davide, diversi cartelli:“Non c’è equivalenza morale tra Israele e i terroristi di Hamas”, “39.000 morti in Siria, dov’eravate? Noi pacifisti, voi pacifinti”. Daniele Regard, Presidente dell’Unione Giovani Ebrei d’Italia (Ugei), sottolineando la propria presenza e quella del suo movimento fortemente rappresentativo a Roma, ha dichiarato:“Abbiamo deciso di essere i promotori insieme con altre organizzazioni di questa manifestazione perché riteniamo che scendere in piazza sia l’unico modo per sensibilizzare l’opinione pubblica su quanto sta accadendo tra Israeliani e Palestinesi. In questo conflitto vivono due ragioni: quella di Israele di vivere sicura come i suoi cittadini; e quella dei civili palestinesi, vittime di Hamas, l’organizzazione terroristica che ha festeggiato – solo per fare un esempio d’attualità – per l’attentato a Tel Aviv. La Pace si fa con chi realmente vuole Pace. Continueremo la nostra battaglia per una corretta informazione e per i diritti del popolo d’Israele. Ogni cittadino cosciente e sensibile è sempre e necessariamente turbato nel più profondo, specialmente in Europa, continente che della guerra ha un ricordo ancora fresco e drammatico”. La manifestazione indetta da “Summit”, l’Associazione presieduta dalla parlamentare Fiamma Nirenstein, e da altre organizzazioni di amicizia ebraico-cristiana, ha avuto un risultato eccezionale. Le testimonianze di rispetto e d’amore per Israele, contro le menzogne diffuse in questi giorni di guerra, hanno fatto scoprire al mondo, di nuovo e con enorme soddisfazione, come l’esistenza di Israele e la sua salvaguardia sia cara al popolo italiano e ai suoi rappresentanti, come ormai ciascuno è in grado di identificare le menzogne dettate dall’antisemitismo travestito da critica al governo d’Israele. “L’Italia ha costruito in questi anni – ha detto la Nirenstain – un percorso che l’ha portata fuori dall’odio di maniera per Israele visto come nemico del Terzo Mondo e longa manus dell’imperialismo. Tutti hanno capito che Israele è, al contrario, il bastione dei diritti umani e della democrazia, e questo ci ha unito, italiani con israeliani, di fronte al nostro Parlamento”. In Italia e nel mondo, tuttavia, c’è da rimanere basiti quanto si leggono su Facebook e Twitter commenti favorevoli ad Hamas, ai terroristi integralisti islamici delle corporazioni della guerra, della droga e del terrore, ai nemici di Israele, degli Ebrei e della Democrazia, anche da parte di esponenti della mia Chiesa cattolica apostolica romana. Con argomentazioni tali da meritare l’immediata scomunica papale! Che San Domenico aiuti questi nostri fratelli e sorelle a capire la verità. Ed allora è bello poter pensare che la politica dell’odio viscerale a Israele può essere messa a tacere dai popoli liberi, dai medesimi mussulmani di buona volontà. È successo a Firenze con una Maratona dalla sinagoga alla moschea: fianco a fianco, falcata dopo falcata, con la voglia di condividere una grande giornata di festa, speranza e impegno. È fortissimo il messaggio lanciato dagli otto atleti – quattro israeliani e quattro palestinesi – protagonisti della Corsa per la Pace svoltasi in riva all’Arno nell’ambito delle iniziative della 25esima Maratona di Firenze e in previsione di un prossimo gemellaggio dell’evento podistico toscano con la Jerusalem Marathon. Accolti dai vertici della Comunità ebraica, dal Presidente Guidobaldo Passigli e dal Rabbino capo Joseph Levi, gli sportivi – con al fianco anche l’Imam Izzedin Elzir – si sono diretti, a passo di corsa, verso il vicino luogo di culto islamico di piazza dei Ciompi. L’iniziativa, promossa dalla onlus Enzo B in collaborazione, tra gli altri, con Opera del Tempio Ebraico di Firenze e Maccabi Italia, si è conclusa con una conferenza stampa a Palazzo Vecchio. “Maratoneti ebrei e musulmani, il rabbino e l’imam. Lo sport fa sempre il miracolo!”, posta sul proprio profilo Facebook il Presidente del Maccabi Italia e consigliere dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Vittorio Pavoncello. Uniti e coesi. Contro il fondamentalismo, il disprezzo della vita umana, l’odio seminato dai terroristi di Hamas. È un nesso indissolubile di vicinanza quello che unisce, nel Tempio Maggiore di Roma, la più antica Comunità della Diaspora e lo Stato di Israele. Una veglia di incontro e di preghiera che ha visto il coinvolgimento di migliaia di persone. Dalla Capitale ma anche da altre città d’Italia. Con il presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, Renzo Gattegna, numerosi leader ebraici e tantissime persone venute a manifestare in queste ore difficili il proprio sostegno e la propria amicizia a Israele. Forte, dal Rabbino capo Riccardo Di Segni, l’invito alla condivisione di un impegno di fratellanza da parte di tutta la Diaspora. “Il popolo di Israele – ricorda Riccardo Di Segni – non può arrendersi. Dobbiamo resistere, andare avanti, continuare a seminare frutti. Ci sarà sempre qualcuno che vorrà cacciarci e ostacolarci. L’importante è tenere duro e restare fermi nelle nostre certezze. Non dobbiamo permettere alla cultura della morte di prevalere. Nessuno potrà toglierci Israele”. Analogo richiamo arriva dal Presidente della Comunità ebraica, Riccardo Pacifici. “È fondamentale andare avanti a testa alta e non farci schiacciare dall’angoscia. È una battaglia – afferma Pacifici – da vincere anche sul fronte di un’informazione che ci è spesso ostile e che tende a mistificare la realtà”. Lo testimoniano i tanti volantini fatti distribuire a tutti i presenti, in cui sono evidenziate le forzature e le gravi omissioni di alcuni media italiani: cari giornalisti, si legge su un manifesto posto all’ingresso della sinagoga, “Israele non attacca, semmai risponde”. Serenità, speranza e futuro: sono queste le parole che rimbalzano più frequentemente dai quattro angoli del Tempio. “Oggi – esorta Pacifici – chiediamo protezione e pace per tutto il mondo. È questo l’unica cosa che vogliamo”. Concorda l’ambasciatore d’Israele in Italia, Naor Gilon, che assieme al rappresentante diplomatico di Gerusalemme presso la Santa Sede, Zion Evrony, si è reso in questi giorni protagonista di un’intensa campagna contro la disinformazione. “Israele – spiega l’ambasciatore – è stato costretto ad agire per porre fine a una situazione divenuta insostenibile. L’atteggiamento di chi non vuole vedere è una vergognosa ipocrisia che deve essere denunciata con forza. Oggi siamo qui, così numerosi, così coinvolti e così vicini, anche per questo. In un rapporto di mutua responsabilità che rende ebrei della Diaspora e Israele un’unica famiglia”. L’impegno per la Pace in Medio Oriente tra Cristiani, Ebrei e Mussulmani deve ora consolidarsi sul territorio italiano ed europeo. “Noi tutti, uniti e determinati – dichiara il Presidente Gattegna – abbiamo il compito di rendere chiaro a ognuno che Israele è il fulgido esempio di uno Stato che, pur costretto a combattere per affermare il proprio diritto a esistere, non ha mai rinunciato né al rispetto dei diritti umani né alla civiltà e al progresso civile e sociale né alla libertà ed alla democrazia né a percorrere tutte le strade possibili per arrivare a una pace stabile e sicura”. Ma il mondo, si sa, è pieno di utili idioti ed il pacifismo anti-israeliano ed anti-ebraico è solo una malattia mentale molto comune in Europa. Visto e considerato che i politici europei hanno perso l’ennesima sfida diplomatica per la Pace vera (segno che il Premio Nobel era logicamente immotivato!) in Medio Oriente, mentre la guerra al terrore contro i Talebani e i Signori della guerra e della droga, sul fronte afgano è militarmente e politicamente persa sul profilo tattico e strategico. Attendiamo i rapporti ufficiali della Nato e dei nostri generali al Parlamento della Repubblica, a Roma, come si conviene per Legge. Dopo quelli ovviamente proferiti dai loro colleghi sul campo, al Congresso degli Stati Uniti d’America. Non siamo più l’Impero Romano da un pezzo! Ma gli Italiani hanno il diritto di sapere come vengono spesi i loro soldi pubblici in Afghanistan dopo 10 anni di strategie, tattiche, bombe, droni e militari per combattere una strana “guerra al terrore”, contro il terrorismo integralista islamico di Al-Qaida e compagni “martiri”. Dal 2005 Gaza è stata sgombrata da qualsiasi presenza israeliana, nonostante ciò la popolazione del Sud d’Israele è bersagliata dai razzi dell’integralismo di Hamas. Ultimamente la pioggia di missili, che ha raggiunto in pochi giorni il numero mostruoso di mille (il popolo di Gaza che soffre la fame e la disoccupazione per colpa dei suoi politicanti!) ha costretto gli Israeliani a vivere nei bunker, privati della propria esistenza normale, del lavoro, della scuola, dell’aria aperta per anziani e bambini. Israele, rispondendo a questi attacchi, ha legittimamente fatto del suo meglio per evitare di colpire la popolazione civile, ma purtroppo spesso i cittadini di Gaza sono strumenti, consapevoli o inconsapevoli, della politica di Hamas che fa esplicitamente uso di scudi umani. Invece, lo Stato d’Israele protegge i suoi civili costruendo rifugi, casa per casa, ed abbattendo decine di missili, ogni giorno, che altrimenti causerebbero stragi di civili. La Pace non può che scaturire dalla verità: Hamas, che ha come programma la distruzione totale d’Israele e il suicidio rituale, aggredisce la popolazione civile innocente e Israele è costretto a difendersi. Chiunque rifiuta la disinformazione che impedisce la Pace, la Giustizia e la Verità, non può che riconoscere i fatti. Pena la complicità con le forze del male. Chiunque ama la Vita, per amore della Pace, non può che ristabilire la verità sul conflitto in corso e cancellare le parole malate con cui si criminalizza Israele e si delegittima il sacrosanto diritto di qualsiasi stato democratico, Italia compresa, a difendere la sua popolazione civile gratuitamente attaccata. Se il 44 per cento degli italiani dichiara di non provare simpatia per gli Ebrei, le forze politiche, sociali, economiche, religiose e culturali dovrebbero interrogarsi urgentemente sul da farsi prima di pretendere la “sacra” legittimazione elettorale. Questo è il dato più allarmante che emerge dal Documento conclusivo approvato all’unanimità dal Comitato di Indagine Conoscitiva sull’Antisemitismo presieduto dalla vicepresidente della Commissione Esteri della Camera, On.le Fiamma Nirenstein). Formato da 26 Deputati di più estrazioni politiche, il Comitato ha concluso due anni di intenso lavoro con un testo, articolato in più punti e dedicato alle varie sfumature di questo fenomeno, che giunge a scoperte inquietanti sul livello di tolleranza ed apertura della società italiana e che è stato presentato al pubblico ed alla stampa Lunedì 17 Ottobre 2012 nella Sala della Lupa della Camera dei Deputati, alla presenza di numerosi rappresentanti delle istituzioni politiche e religiose nazionali. Incentrato su un’attività di monitoraggio e di approfondimento tematico dell’antisemitismo, sia a livello internazionale sia nazionale, il Programma dell’indagine conoscitiva è stato pensato in una logica e prospettiva di indirizzo politico. Molte e differenziate le angolature da cui è stato affrontato il tema dell’antisemitismo in Italia. “In particolare, si legge nel capitolo introduttivo dedicato ai programmi ed agli obiettivi, l’indagine è stata impostata in modo da evidenziare i nuovi caratteri che tale fenomeno ha assunto rispetto a quelli tradizionali, con particolare riferimento all’odio etnico e religioso, alimentato dal fondamentalismo, ed allo strumentale intreccio con l’antisionismo e con le derive negazioniste. Si è valutato che la recrudescenza dell’antisemitismo a livello mondiale, ed in particolare in Europa, unitamente al complesso rapporto con le vicende del Medio Oriente, induce a non sottovalutare gli episodi di intolleranza, che hanno avuto luogo anche in Italia, e ad adottare una impostazione del problema che coniughi i profili di interesse internazionale con quelli di interesse nazionale”. Il documento è certamente allarmante e innovativo rispetto alla letteratura esistente in
materia. “I dati che abbiamo esaminato – spiega la Nirenstein – mettono in luce la crescita verticale della piaga dell’antisemitismo. Un fenomeno che nel 2009 ha raggiunto un picco senza precedenti dalla seconda guerra mondiale. Il Documento descrive numerosi aspetti della questione esaminandoli da tutti i punti vista: si parte dal dato secondo il quale il 44 per cento degli italiani dichiara di non provare simpatia per gli ebrei, per arrivare al nuovo dilagante fenomeno dell’antisemitismo online che è probabilmente responsabile del fatto che il 22% dei giovani italiani ha un atteggiamento variamente ostile verso questa realtà”. La medicina non può che essere quella della coesione e della determinazione per rendere chiaro a ognuno che Israele è il fulgido esempio di uno Stato che, pur costretto a combattere per affermare il proprio diritto a esistere, non ha mai rinunciato né al rispetto dei diritti umani né alla civiltà ed al progresso civile e sociale né alla libertà ed alla democrazia né a percorrere tutte le strade possibili per arrivare a una Pace stabile e sicura. Hamas, infatti, non cambia. Come dimostra l’esultanza per l’attentato sull’autobus fatto esplodere a Tel Aviv che, dopo sei anni di tregua, ha provocato 28 feriti, di cui 4 gravi. Il Segretario di stato americano Hillary Clinton, a conclusione del suo brillante mandato nell’Amministrazione Obama, con l’impeccabile classe che l’ha sempre contraddistinta, insieme al ministro degli esteri egiziano Mohammed Kamal Amr, ha presentato a Il Cairo il cessate il fuoco di questa guerra. Ha avuto l’ok dal primo ministro israeliano Netanyahu al telefono. C’è di che essere molto entusiasti in Occidente. Speriamo che sia la volta buona, Ma logicamente non è facile crederlo. Molte volte i cronisti hanno dovuto vedere le carcasse degli autobus fatti esplodere in Israele dai terroristi islamici suicidi. A volte, con la gente seduta dentro carbonizzata e fatta a pezzi. Immobili e morti, uccisi dalla follia nazi-islamista che infuria sulla Terra. In Italia queste scene le abbiamo dimenticate. A volte la distruzione degli organi interni delle povere vittime sugli autobus e per strada, avviene a causa dello spostamento d’aria causato dall’esplosione. Finirà il mondo il 21 Dicembre 2012? Ma per molti è già finito per sempre. Una volta a Gerusalemme un ragazzo fu trovato seduto così, con la testa reclinata indietro e lo zaino in grembo. L’eplosione di un autobus è quella della casa di tutti i suoi viaggiatori. Che cosa faremmo in Italia, in mancanza di accordi e compromessi con il nemico, per rispondere a queste vili aggressioni? In Israele è ordinaria amministrazione dal 1948. Dei bimbi uccisi restano libri, giocattoli, la spesa, borse e cappotti. Senza più scuola e giochi. Così a Gaza per colpa di chi li ha usati come scudi umani. Hillary Clinton, dulcis in fundo, ha evidentemente mostrato all’Egitto un volto abbastanza deciso a Mursi, chiuso nell’angolo di un’enorme penuria economica. Mursi è stato pressato, nonostante le controspinte interne della sua parte, a dire ai Palestinesi di fare una cortesia e di smetterla di sparare. In cambio i Fratelli Musulmani egiziani cosa faranno? Che cosa hanno promesso ai Fratelli Musulmani palestinesi? Non certo la prospettiva di pacificazione con Israele. L’evento denso di significati ignorati dai politicanti italiani ed europei, è la reazione di Hamas alla notizia dell’attentato che ha gettato nel panico Tel Aviv nella memoria dell’infinita ondata di terrore della seconda Intifada: fra spari di gioia, il portavoce di Hamas ha benedetto l’attacco terrorista e la Jihad Islamica ha dichiarato che “è una vittoria per il sangue degli Shahid”, e lo hanno ripetuto tutti gli altoparlanti delle moschee! Reazioni consuete che, però, non rientrano nell’ambito delle analisi strategiche nei momenti in cui si elabora sul raggiungimento della pace in Medio Oriente. Tutti sanno che Hamas non può essere pacificato, non è nei suoi programmi, nel suo Dna, nella sua carta, a meno che non venga messo con le spalle al muro, privato delle armi e del sostegno politico. Dev’essere invitato alla tregua con mezzi più strategici di quelli usati finora. Il Presidente Obama ha spedito la Clinton in Medio Oriente per l’impotenza europea, per cercare di riparare i guai e i danni che in Medio Oriente, dopo le “primavere” rivoluzionarie arabe, stanno venendo al pettine. Ma il rischio è che a caccia di illusioni, si cucini una situazione che prepari altre guerre più spaventose. Secondo gli analisti Hamas è un’organizzazione che dimostra di continuo la sua natura: attacca i civili, rivendica il terrore e lo loda, trascina nel fango e sminuzza le membra di quelli che definisce “collaborazionisti”: un’orribile scena che spopola su Internet. Eppure questa organizzazione, ignorata e lasciata crescere all’ombra della Siria e dell’opportunismo europeo, ha goduto dell’approvvigionamento enorme di armi di Teheran, la cui potenza e quantità si è vista all’opera in questi giorni. L’Iran è una vacca sacra? Obama l’ha lasciata fare. Per non parlare dell’Europa. Gli Stati Uniti e l’Europa che intenzioni hanno realmente: vincere la guerra la terrore o scendere a patti col nemico? Anche se dai tempi delle navi come la Karin i rifornimenti erano palesi, adesso che, col ritorno alla casa sunnita, Hamas ha stretto un rapporto intrinseco con l’Egitto di Mursi, quello dei Fratelli Musulmani cui Hamas appartiene, Mursi viene lodato dagli Usa e dall’Europa perché ha mediato una fragile tregua. Ma quale pace? Un segnale positivo l’ha dato fermando le armi provenienti dalla Libia, ma l’azione sembra più politica. L’America, a tregua firmata, deve domandargli di non conclamare il suo appoggio e la sua alleanza con Hamas, così come deve dire all’Europa ed alla Turchia di Erdogan di fermarsi quando il loro istinto antisemita suggerisce loro parole degne dei “black block”, accusando Israele di “pulizia etnica”! Non è una questione di educazione, ma di smantellamento delle arterie principali di una prossima imminente esplosione. Occorre fermare il rifornimento di armi iraniano. Anche se Israele accetta ora la tregua, di fronte a una nuova Intifada dei palestinesi della West Bank che non vogliono sedere in seconda fila o all’insistere del rifornimento di armi, non accetterà che i suoi cittadini siano bersagliati. Per disegnare le strategie, bisogna considerare che Israele è l’unico Paese del mondo che abbia mai vinto il terrorismo e che l’Islam è l’unica religione che abbia mai giurato di distruggere una nazione sovrana. L’orribile attentato per il quale Hamas ed altre organizzazioni palestinesi si rallegrano pubblicamente, dovrebbero convincere della necessità di battere il terrorismo (senza compromessi) che colpisce i civili e spera di distruggere lo Stato d’Israele. Non si può consentire al terrorismo di Hamas di determinare l’agenda del mondo intero. L’Europa è forse complice di quei missili su Israele? Impegnarsi in quello che sembrerebbe l’imperativo più elementare: far cessare la pressione contro Israele, la sua cultura, la sua civilissima democrazia, la sua gente che compie come unico peccato quello di abitare nel sud d’Israele o di prendere l’autobus a Tel Aviv, è davvero avvertito come l’impegno più sacro e urgente dell’Occidente dove la guerra, responsabilità dell’attacco di Hamas, è descritta come se Israele mirasse ai civili, mentre gli incidenti che purtroppo li coinvolgono sono il risultato della voluta mescolanza di missili, terroristi e civili a Gaza, senza considerare che diventano scudi umani anche i bambini innocenti? Le tragiche foto del piccolo Mohammed Sadallah, morto in braccio al padre, in tv e sui giornali sono apparse come la prova di ciò che non era vero. Il bambino era stato ucciso da una esplosione auto-generata da Hamas. L’orario del decesso è quello in cui Israele ha sospeso ogni attacco per la visita del Primo Ministro egiziano Kandil. Lo sostiene persino il “Palestinian Center for Human Rights”. In Italia, “Rai news 24” descrive Gaza come terra di vittime chiuse in un assedio, omettendo che Gaza è libera, che Hamas vuole distruggere Israele e che è chiusa per la dichiarata scelta dei politici terroristi che la dominano. Ma poi, non esiste forse anche un confine con l’Egitto? Come mai non si pensa mai a quello? In Occidente non ci abbiamo ancora capito nulla. A volte appaiono in Tv telegiornali e reportage quasi fossero film in 3D allucinanti a tre dimensioni, come la storia di Mohammed Al Dura o quella di Jenin. A volte, è solo una bambina con la dermatite la cui penosa immagine viene diffusa e descritta da “fonti palestinesi” come una creatura colpita dal “fosforo bianco” che gli israeliani avrebbero sparso dal cielo! Questa è la guerra psicologica contro Israele finanziata dai terroristi nel mondo. È il solito spettacolo. Con tutto il rispetto per i feriti e i morti veri della guerra, di entrambe le parti, per il neonato perduto dal cameraman della BBC a Gaza, di nuovo è in corso l’altra guerra parallela, non meno importante: quella delle bugie mediatiche con cui l’Hollywood palestinese delegittima Israele nel mondo e vittimizza della sua popolazione civile. Già la guerra in corso sui media internazionali è stata manipolata; la sua origine, nei titoli, è la gratuita decisione israeliana di eliminare Ahmad Jabari, capo militare di Hamas. Da qui sarebbe seguito il lancio di missili e l’escalation. Ma come sa chi ha seguito gli eventi, l’eliminazione mirata è avvenuta solo dopo che il sud d’Iraele era diventato un tirassegno in cui la popolazione civile israeliana veniva bersagliata da Gaza. Contro ogni evidenza ora i Palestinesi coadiuvati dalle solite Ong finanziate da noi cittadini europei ignari (come dimostra un nuovissimo rapporto sui finanziamenti pubblici alle Ong anti-Israele di Giovanni Quer, edito dalla Federazione delle Associazioni Italia Israele) sostengono la tesi che è Israele ad attaccare i civili, e non Hamas. Le foto manipolate sono il mezzo migliore: un Tablet Magazine di Adam Chandler, poi ripreso ovunque, ha mostrato un padre disperato con un bambino morto in braccio, e sarebbe accaduto sotto il fuoco israeliano. La foto è vera, purtroppo, solo che si riferisce a un episodio accaduto in Siria. Un altro “documento” degli attacchi di Israele è apparso alla BBC: un signore con giacca beige e t-shirt, fotografato alle ore 2:11 di alcuni giorni fa, è morto. Peccato che ci sia un’altra foto, delle ore 2:44, in cui lo stesso personaggio è ripreso mentre cammina. I morti che risorgono hanno avuto certamente la loro sequenza più famosa filmata da un drone a Jenin nel 2002: la città-madre di tanti attentati terroristi fu cinta d’assedio. Alla fine ci furono 52 morti Palestinesi e una quarantina di israeliani. Una battaglia in piena regola. Ma la propaganda palestinese sostenne che i morti erano stati un migliaio, una strage, disse Terje Larsen inviato dell’ONU “come a Sebrenica”. La cronista che era sul posto non ci credette: non era necessario credere solo alle “fonti palestinesi”. Basta cercarsene altre. Dopo la “strage”, un funerale trasportava a braccia un morto su una lettiga, coperto da un drappo verde. Ma la lettiga oscillava troppo, così il morto fu costretto a saltare giù seminando il panico! E le fantasiose narrazioni continuano. Come quella di “una bambina palestinese che lava il sangue del fratello” (2010, blog di Noam Abed) ed invece è la pulizia di un mattatoio di Ramallah. Come quella di un padre che, secondo un inviato all’ONU, Khullood Badawi, porta la sua bambina uccisa al cimitero, ma siamo in Iraq. Come quella di un bambina, Asil Ara’ra di 4 anni deceduta per le ferite d’arma da fuoco, ma è una terribile foto presa in Yemen. Israele non c’entra. Come quella di una creatura che disegna con un pennarello attaccato al moncherino in un ospedale, ma accade in un nosocomio a Oakland: le presunte atrocità compiute contro i bambini hanno attecchito dal 2002, in piena Intifada, quando Charles Enderlain della tv francese, senza essere stato sul luogo e usando fotoreportage, fece di Mohammed Al Dura l’epitome della crudeltà israeliana. Un bambino che muore sulle ginocchia del padre preso di mira dai perfidi soldati della stella di Davide! Studi tedeschi, francesi ed americani dimostrano che Mohammed potrebbe essere ancora vivo, e che comunque non c’è prova che sia stato ucciso dagli israeliani. Ma tant’è, tutto fa brodo nell’Occidente che ha dato i natali a Hitler. Come si finanziano queste narrazioni anti-ebraiche? Con i soldi europei, ovviamente. Chi ha dato una gran mano alla propaganda palestinese in nome della politica? Durante la guerra del Libano (2006) era in voga l’ambulanza con un buco nel tetto: ma non era un foro di proiettile bensì una finzione praticata ad arte. Come quella delle foto di famiglia spostate da una parte all’altra di varie rovine fumanti, insieme ai giocattoli (sempre gli stessi) fotografati di qua e di là. E il fumo nero di esplosioni a Beirut? Tutte finte. Per cui venne licenziato un fotografo della Reuters. L’Occidente ha forse imparato qualcosa da tutta questa propaganda? Chi vive al centro di Gerusalemme credeva che fosse la sirena che annuncia l’ingresso di Shabbat, quando la gente si sorride ed augura: Shabbat Shalom al popolo di Israele, che sia un sabato di pace. Invece era la sirena che annuncia l’arrivo di un missile. Come nella Londra della seconda guerra mondiale! Chissà in che punto colpirà cosa, chi? Ma colpirà. Allora si corre, mancano meno di quindici secondi prima dell’impatto al suolo, per trovare un tetto di cemento. Gli Israeliani (non soltanto gli Ebrei) hanno capito dopo un po’ che quella sirena era troppo lunga, troppo ululante, e che chi è troppo lontano da un rifugio, è bene che si è accucci sotto le scale come consiglia la radio che riempie i cittadini di consigli. Ma ve le immaginate queste scene in Italia, nelle nostre città nel 2012 dopo Cristo? “Bevete appena potete, respirate profondamente, non muovetevi per dieci minuti, aiutate i vecchi, e per favore anche se è Shabbat non andate al Tempio, a meno che non sia blindato. Pregate da soli a casa”. Con la variante cattolica, i consigli sarebbero gli stessi! L’ultima volta che Gerusalemme fu colpita, nel 1990, i palestinesi sui tetti, nonostante i loro fratelli vivano ancora oggi nella Città Santa, invitavano Saddam Hussein a colpire più duramente. Adesso si odono spari e botti di gioia da Gerusalemme Est, perchè gli Ebrei vengono colpiti! Due popoli e due stati? È la fondazione dello Stato ebraico nel 1948 la causa di un odio tetragono, religioso, viscerale ed anche di un’irresponsabile incomprensione da parte occidentale delle ragioni di Israele che combatte assalitori pieni d’odio da ogni parte. Difficile spiegarsi perchè il mondo non capisca e non corra in aiuto. I missili anti-missile sono un dono di Dio e degli Usa e della tecnologia informatica israeliana. Mentre l’Egitto e la Turchia lanciano anatemi in coro. Mentre sul sottofondo un controcanto codino e in mala fede invita tutti, parimenti, alla calma. Anche dai conventi! Non si dica che la situazione è complessa. Essa è invece chiarissima e semplicissima. E solo la mala fede (la non fede in Dio) può impedire di elencare cronologicamente la successione degli eventi: centinaia di missili da Gaza, due milioni di persone sotto il fuoco nemico, una reazione di difesa che qualunque Paese occidentale avrebbe doverosamente attivato. Adesso una parte sola ha in mano le chiavi della Pace? Ha vinto per davvero Hamas? Quando cessano i lanci dei missili “grad” e dei “fajr”, Israele non continua neppure per un minuto a bombardare i covi dei terroristi, i depositi di vettori, armi e diavolerie, e le gallerie, molti posti in zone abitate. La popolazione palestinese, mescolata ai terroristi, cosa ha da temere da Israele? Hamas smetterà per davvero di lanciare missili a valanga? Israele non ha in programma, come Hamas, di distruggere il nemico: la partita dovrebbe essere chiusa politicamente. Nè tantomeno di provocare l’Egitto, mentre Hamas ne ha tutto l’interesse. Fu lo Stato ebraico a sgomberare Gaza perchè ha a cuore la vita e la salute di ciascuno dei suoi cittadini, non vuole vedere soldati feriti o morti, nè bambini colpiti fra i suoi o fra quelli di Gaza. Hamas, invece, vuole distruggere Israele e indottrina i suoi bambini perché divengano “shahid”, i “martiri della guerra santa”, non tenendone in conto la vita e il benessere, mescolando i combattenti con i civili così da creare incidenti per cui Israele venga biasimata. Ci vuole la scienza infusa per capire queste semplici verità? Shabbat Shalom, Israele. Il mondo estremista islamico gode (anche in Europa) che lo speaker ebraico della radio, nell’interrompere continuamente i programmi, annunci “tzeva adom”: “allarme rosso, correte ai rifugi”, elencando con finta flemma i nomi di Gerusalemme e di Tel Aviv, fra gli altri, sotto il fuoco nemico. A Gerusalemme la Santa, così, la sirena si confonde con l’entrata del Sabato, il giorno santo, mentre il vento freddo spazza i suoi cipressi neri e la gente si affretta verso la cena familiare del Venerdì sera. Ma ve lo immaginate a Roma? Il missile vola da Gaza mentre si sorseggia un caffè con gli amici, e comincia il riposo. Mentre gli amici si affollano intorno ai tavolini carichi di bevande sotto il sole. Dov’è il rifugio, dove ci si potrà proteggere dall’attacco? Che fine farà il cuore gaudente di Israele, dove mai dovrebbero sedere nel silenzio del cemento le ragazze in pantaloncini, dove metterà Tel Aviv i suoi vecchi intellettuali polacchi sempre rimasti un po’ comunisti? La sirena suona, i bambini le fanno il verso mentre le madri li riacchiappano e cercano di trascinarli in un rifugio: Sderot, Ashod, Ashkelon,Bersheeba, le città regolarmente colpite, province poco interessanti, sono ora unite al destino di Gerusalemme e di Tel Aviv nella costrizione a guardare il cielo infuocato. Ma ve lo immaginate a Napoli, Bologna, Palermo, Cagliari, Torino, Milano? “Mezzo Stato è sotto il fuoco”. Non per un’eruzione vulcanica! Capite cosa significa? Non potere andare in bagno per ore; essere a casa e non sentirsi sicuri fra le proprie mura. I 60mila riservisti sono sempre pronti a salutare le mogli, i genitori e i figli, prima di partire. È il governo della Stella di Davide a decidere se occorre mandarli in guerra, a piedi o sui tank, ma in prima linea. Una psichiatra di Sderot, città colpita dalla pioggia di missili palestinesi, spiega che non esiste il “post trauma” perché appena si sta un po’ meglio ti cade addosso un altro missile, e il trauma si rinnova. Niente “post”. La stessa sorte tocca alle vittime palestinesi colpite dai caccia israeliani e utilizzate da Hamas come scudi umani, incensati come “shahid” nonostante l’esercito israeliano, per evitare vittime civili nei raid su Gaza, si impegni a compiere esecuzioni mirate che vengono valutati diversamente in Occidente. Nel frattempo Hamas fa le sue dichiarazioni su quanto sta avvenendo a Gaza. Il Primo ministro egiziano arriva nella Striscia per dimostrare solidarietà ai palestinesi mentre in Egitto viene mandato in onda il classico serial televisivo antisemita che su Internet e in Europa tutti legittimano. Spaventoso. Questo, mentre un quotidiano egiziano riporta una notizia del Times del 2009 secondo cui l’ex ministro israeliano Tzipi Livni si sarebbe prostituita per ottenere informazioni. Israele, dunque, oltre a difendersi dai razzi dei terroristi deve continuare a difendersi dalla delegittimazione e dalle minacce diplomatiche come l’ultima che ha ventilato Abu Mazen, deciso a chiedere all’Onu il riconoscimento unilaterale della Palestina come stato non membro il prossimo 29 Novembre 2012. I nostri giovani europei ne sono al corrente? Con quale stato d’animo è stata appresa in Europa la notizia dell’uccisione volontaria di tre civili innocenti nella loro casa di Kiryat Malachi, causata del lancio di 250 missili in 24 ore? Un bombardamento indiscriminato su una popolazione di un milione e mezzo di civili del Sud di Israele. Se la testata di un solo missile fosse stata “nucleare”, ne sarebbe bastata una sola per provocare un genocidio! Il bombardamento contro Israele da Gaza è indirizzato alla popolazione civile, come sempre peraltro da quando nell’agosto 2005 Israele ha sgomberato Gaza, oggi interamente nelle mani dei palestinesi di Hamas. Da allora, dalla Striscia, con qualche “tregua” politica, piove su Israele un insopportabile quantità di missili: in parte di lunga gittata (fajr) di probabile fabbricazione iraniana; in parte di tipo “grad”, “katyusha” e razzi vari. Sotto tiro sono i “kibbutz” come quello di Kfar Asa duramente colpito. I bambini israeliani vengono rinchiusi nelle stanze blindate. I negozi restano chiusi e l’economia si arresta. Questa è la guerra. L’impressione che gli Europei dovrebbero percepire è che gli israeliani abbiano vissuto e vivano nelle ultime settimane una condizione inaccettabile per qualunque Paese, inclusa l’Italia, in cui si colpisce gratuitamente e con premeditate crudeltà la popolazione civile. L’esercito israeliano ha cercato di contenere al massimo il numero dei palestinesi uccisi nell’ambito dell’operazione: Israele non ha mai cercato altro che di fermare il lancio di missili colpendo i responsabili e i nidi di armi. L’esposizione volontaria che Hamas fa dei propri civili rende molto difficile le operazioni mirate con perfezione. Riuscirà Gaza, un giorno, a pensare con la propria testa, al proprio sviluppo ed alla propria gente piuttosto che alla distruzione di Israele? L’enorme investimento israeliano nella vita degli abitanti, con un sistema di protezione capillare, un rifugio per ogni casa e il continuo investimento per proteggere le scuole e i luoghi di lavoro, rendono più difficile colpire i civili. Per questo il numero di morti è contenuto nonostante i lanci convenzionali ormai continui e senza tregua da mesi. È evidente che al di là della logica pena umana per ogni morto e ferito, occorre che l’organizzazione terrorista Hamas cessi dalla sua insistita determinazione a distruggere lo Stato ebraico. Molte famiglie, come le nostre in Italia, in queste ultime settimane hanno dovuto affrontare in Israele notti di autentico incubo nei rifugi sotto un attacco incessante che cerca i civili per ucciderli. A loro va la nostra solidarietà mentre speriamo nella Pace. Mentre in Europa proseguono gli atti vandalici contro gli Ebrei. “L’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane – ha dichiarato il presidente Renzo Gattegna – esprime sdegno e preoccupazione per il grave episodio vandalico che nelle scorse ore ha colpito la sinagoga di Parma. Un’azione particolarmente odiosa perché, a prescindere dall’ignobile matrice che l’ha ispirata, testimonia il diffondersi nelle nostre società di una crisi di valori che rischia di farsi sempre più radicale e tangibile. Colpire un luogo di culto equivale a colpire i principi di libertà, rispetto e pluralismo su cui si fonda il concetto stesso di civiltà umana. Un segnale inquietante, che non deve essere in alcun modo sottovalutato e che per questo richiede massima attenzione e vigilanza da parte di ognuno di noi”. Ma chi era Jabari, il leader militare di Hamas ucciso chirurgicamente da Israele? Il governo israeliano, prima di sferrare l’operazione “Amud Ashan” (Colonna di fumo) con l’uccisione mirata del capo del braccio armato di Hamas, Ahmad Jabari, responsabile di un numero di assassinati israeliani che si conta a centinaia, ha studiato in ogni dettaglio le conseguenze, compresa la pioggia di missili “grad” sulla città di Beersheba. La cronaca dovrebbe essere nota in Occidente. Gaza vive da anni le sue notti di incubo, a causa dei suoi governanti. Due popoli, due stati. I Palestinesi non avrebbero mai accettato di federarsi con Israele. Giammai. L’aviazione ebraica colpisce i depositi dei missili “fajr 5” e, forse, altri due capi di Hamas che dichiara “l’inferno per gli ebrei”. Vi ricorda qualcosa? Il Sinai è tutto percorso dal terrore anti-israeliano. I caccia disegnano strisce di forma bizzarra sui cieli del deserto del Neghev. L’Iran potrebbe ordinare agli Hezbollah, al Nord, di aprire il fuoco. E l’Egitto del presidente Morsi, che aveva minacciato di ritirare l’ambasciatore se Israele non avesse cessato unilateralmente dagli attacchi, avrebbe potuto reagire in maniera furiosa in difesa di Hamas, anch’esso parte dei Fratelli Musulmani. Jabari se ne andava in giro in macchina in pieno giorno, evidentemente sicuro che Netanyahu non avrebbe osato o non avesse le informazioni giuste, oppure che il suo viaggio al Nord insieme a Ehud Barak fosse una chiara testimonianza del disinteresse per Gaza. Eppure l’avviso era venuto diretto e preciso sia dal Premier che da Barak:“Agiremo quando meno se l’aspettano, come vorremo, quando vorremo”. E ancora, rivolto agli ambasciatori convocati a Ashkelon:“Nessun Paese al mondo potrebbe accettare che la sua popolazione sia bombardata ogni giorno, Hamas deve smettere, pena la fine”. L’alternativa era fra un’invasione da terra come nel 2008-2009 o un urlo deciso fino nell’orecchio di Ismail Hanje, il primo ministro, e gli altri capi di Hamas: è proibito sparare missili su un milione e mezzo di cittadini innocenti del Sud d’Israele. L’aviazione israliana ha seguitato per qualche ora a tempestare i depositi di armi e razzi, specialmente di missili “fajr 5” di lunga gittata, e le istallazioni militari. Il numero di morti, nonostante la drammatica conta, sembra indicare che il governo israeliano rispetto a un’operazione di terra con molte vittime e reazioni internazionali imprevedibili, abbia preferito intervenire dall’aria. In questi ultimi giorni, il Sud di Israele aveva subito una pioggia di 190 missili. “Missili di tipo nuovo” – spiega dal suo kibbutz attaccato a Gaza, Kfar Asa, il parlamentare di Kadima Shai Hermesh, mostrando a un gruppo di parlamentari italiani in visita mura ferite, alberi spezzati, grandi buchi rotondi nel soffitto delle case da cui la gente è fuggita mentre la sirena urlava “colore rosso”, tzeva adom, con i bambini in braccio. “Missili più grossi che presto arriveranno a Tel Aviv. L’Iran li ha riforniti, le mura spesse venti centimetri non bastano. Abbiamo fornito a ogni casa un rifugio con quaranta centimetri di muro e finestre blindate. Abbiamo solo quindici secondi per raggiungerlo, ma il governo ha speso 250 milioni in due anni per proteggere tutto”. Ma ve lo immaginate in Italia? “Questa è la ragione per cui i morti non sono tanti” – spiega bene Hermesh. E certo non la solita proposizione propagandistica per cui quei missili non fanno tanto male, così cara ai media mondiali. Perché armati di testate convenzionali non nucleari. A Gaza, mettono i loro bambini davanti ai combattenti. Uno scandalo che il mondo finge di non conoscere! “Noi abbiamo rifugi per tutti, uno per uno” – insiste Hermesh che mostra un asilo nido chiuso e blindato dove decine di bambini di tre e quattro anni passano tutto il tempo. Non si va mai all’aria aperta. Per gli adulti, il lavoro è in rovina, niente negozi aperti, niente passeggiate, uffici chiusi, e tutto questo punteggiato da distruzioni e danneggiamenti a scuole e case. Ma ve lo immaginate in Europa oggi? Anche la fermata dell’autobus è blindata. Difficile da capire per l’Europa? E piovono altri 140 razzi. Il mondo è davvero impazzito. Di teorie della cospirazio¬ne ne abbiamo sentite tan¬te, la più popolare è quella per cui gli Americani si sarebbero fatti da soli l’attacco alle Twin Towers dell’11 Settembre 2001 per risollevare l’economia della guerra. Ma se ne collezio¬nano anche di minori, come quella dei topi che attaccano so¬lo le case dei palestinesi, degli squali telecomandati lungo le coste di Sharm el Sheik, delle cinture cariche d’uranio ar¬ricchito che venivano date ai po¬veri palestinesi in regalo. E delle acque avvelenate, annunciate a un’attonita Hillary Clinton, dalla moglie di Arafat, Suha. L’ultima leggenda metropolitana mediorientale è fra le migliori. La fonte? Il sito del¬le forze militari siriane. La storiella affer¬ma, in una dichiarazione postata su Facebook, che “la tecnologia segreta iraniana” è la causa “onnipotente” che ha cre¬ato e mandato sulla Terra il terri¬bile uragano Sandy colpendo il grande Satana, gli Usa, cioè la Grande Mela. Perché l’ha fatto? È spiegato bene:“No¬stre fonti ci confermano che l’uragano Sandy che sta colpen¬do con forza gli Usa è stato crea¬to dalle più avanzate tecnologie sviluppate dall’eroico regime iraniano in collaborazione con la forza di resistenza del nostro deciso regime siriano”. Il post continua sostenendo che la forza spaventosa della tempesta è “una punizione per chiunque osa attaccare Bashar Assad e mi¬nacciare la pace e la stabilità”. Tutti sanno che il regime iraniano è sempre stato, con armi e uomi¬ni e usando il suo braccio destro, l’organizzazione sciita libanese degli Hezbollah, a fianco del re¬gime che ha già fatto fuori più di trentamila dei suoi concittadi¬ni. A questi adesso si dovrebbero som¬mare le decine di vittime americane di Sandy! Secondo le fonti siriane, in defi¬nitiva, sarebbero tutte vittime dell’accoppiata vincente Bashar-Ahmadinejad. E domani, chissà, dopo le “primarie” democratiche italiane con i suoi supereroi in calzamaglia, quali altre magnifiche imprese doneranno al mondo civilizzato questi ultimi dittatori mediorientali, retaggio di un passato che non vuole tramontare. Magari una favoletta degna de “Le Mille e una Notte”, magari più elementare di questa, nel pieno rispetto del Corano, che non sia di scandalo alla sensibilità religiosa corrente. Ad esempio qualcuna di quelle im¬prese “eroiche” che uccido¬no migliaia di persone tutto l’anno, in tutto il mondo, cristiani compresi, passanti innocenti, mamme e figli, padri e nipoti, come se ne sono registrate in questi ultimi anni di fallimentare Guerra al Terrore. I neonazisti e i neofascisti devono sapere, a qualunque religione appartengano, che le persone da loro perseguitate verbalmente non solo non si piegano e non si impressionano per la loro feroce stupidità ma si rafforzano nella loro identità, orgogliosi di appartenere ai popoli ebraici e cristiani. Che fine hanno fatto le “primavere arabe”, le loro rivoluzioni? Ora la novità è che, a confermare le delusioni, i dati indicano che la forza dell’opinione pubblica, le libertà civili, lo stato di diritto, la corruzione e la trasparenza hanno fatto nei paesi rivoluzionari passi indietro o sono rimasti fermi rispetto ai bei tempi andati dei tiranni passati per le armi occidentali. Lo scrive il rapporto della Freedom House che misura ogni anno il tasso di Democrazia. Non che la si debba prendere per oro colato. Ma la Democrazia è evidentemente una cosa seria. Anche nell’Italia dell’Anno Domini 2012, che tornerà a condannare i giornalisti alla pena detentiva! Uno scandalo inaudito. La Democrazia, misurata da parametri numerici, cioè scientifici, raggiunge la perfezione nella “governance” con 7 punti. La decenza con 5 punti. Il mondo islamico è andato giù ultimamente. La “rivoluzione” egiziana che si meritava sotto Mubarak un misero 1,98 ora, nonostante le libere elezioni che offrono subito un bel punteggio, raggiunge solo 2,25 punti. Siamo vicini al Baharein che nel 2004 aveva il 3,27 ed è piombato al 2,03. Cioè il livello della Siria quando è scoppiata la “rivoluzione” contro Assad. Sostiene, però, la Freedom House, che la Tunisia dal 2,36 di Zine el Abidine Ben Ali è salita a 4,11 punti. Il dato fa piacere ma sembra in contraddizione con le notizie: la nuova Costituzione conterrebbe una clausola che invece di stabilire un criterio di parità descrive le donne come “complementari” alla figura maschile, mentre un altro articolo definirebbe “reato” qualsiasi rapporto con Israele. E, quanto a trasparenza, non convincono proprio i giochetti per cui è svanito nel nulla, mentre la folla gridava “Obama Obama siamo tutti nuovi Osama!” il capo dei “Partigiani della Sharia” Abu Iyad ricercato dalla polizia perché avrebbe ispirato (o comandato) gli attacchi legati al filmetto “califonication” su Maometto trasmesso su Internet e costato la vita a quattro morti innocenti. La polizia non ha potuto o non ha voluto arrestarlo benchè fosse a portata di mano. In realtà, al di là dei conteggi, quello che deciderà il futuro è l’aria politica che spira nel Mediterraneo e in Italia. Si capisce fin troppo bene che nel mondo andrà di male in peggio. In quel favoloso e mistico “vento” non soffia la parola Democrazia, ma qualche altro gas! Monta, invece, un’onda di tsunami estremista islamico che sommergerà l’Europa e l’Occidente. Quel vento sta già portando sempre più sù l’islamismo jihadista e l’odio antioccidentale. I salafiti e Al Qaeda si organizzano chiedendo più Shaaria. Gli Hezbollah sciiti prendono la piazza subito dopo la partenza del Papa Benedetto XVI, per predicare a immense folle l’odio e la guerra, proprio dove un minuto prima si predicava la pace e l’amore di Dio. Il mondo sta impazzendo. Si vede il presidente egiziano Mursi che ci mette troppo tempo e troppo poco cuore a condannare gli assassinii di quei giorni. Fra un po’ si dirà nelle piazze del Mediterraneo:“si stava meglio anche quando si stava ancora peggio”. Eppure, come osservano autorevoli analisi, resta in noi occidentali un senso di incredulità prima ancora che di orrore quando vediamo che, col pretesto del misero filmetto contro Maometto, il mondo si tinge di nuovo tutto quanto di rosso sangue! Non si può fare a meno di chiedersi per che cosa sono morti i 13 pakistani massacrati a Lahore ed a Karachi. Per cosa è stata messa a ferro e fuoco l’Indonesia. Perchè proprio un commando terrorista palestinese ha lasciato sul terreno un soldato israeliano nel Negev perdendovi anche tre dei suoi adepti. Perché Parigi è sotto assedio. Perché fino a Roma, a Sidney in Australia, e in Tunisia, in Libano, in Yemen, e davanti all’ambasciata francese a Il Cairo, si sventolano le bandiere nere di minaccia al nostro mondo occidentale “peccaminoso e immorale”. Perché in Indonesia si distruggono McDonald. In Oriente e in Occidente i musulmani nelle piazze sanno bene che nel nostro mondo la stessa critica irridente che si applicano alle loro icone, le si applicano alle nostre: che gli Ebrei si prendono in giro da soli da secoli, che film e rappresentazioni artistiche di gusto svariato riproducono Gesù, la Madonna e i Santi, trascinandoli nelle lacrime, nel sudore e nel sangue della nostra povera umanità che vuole deridere o piangere Dio, senza che nessuno gli dica quando e come farlo. Senza una risposta divina esauriente all’umanità sola! Ha fatto bene o male Charlie Hebdo? Internet dovrebbe togliere il filmetto su Maometto dal cyberspazio? Hanno, come dicono in molti, qualche colpa nell’ondata di violenza che il mondo musulmano sta sollevando? La risposta è che non c’è colpa per reazione a qualcosa. La matrice integralista islamica non è reattiva come immaginiamo in Occidente sulla base dei nostri schemi mentali. Gli integralisti uccidono chi non si converte al loro credo. Semmai esiste un senso di opportunità: ciascuno interpreta a suo modo, nell’esercitare il diritto alla propria libera opinione, per cui tutte le colpe risiedono invece nell’uso della violenza per rispondere a chi disegna, dipinge, immagina la divinità in maniera diversa. Le reazioni solitarie e apparentemente esagerate per rispondere alla prepotenza di un’imposizione totalitaria, religiosa o laica che sia, sono figlie della mancanza di una più grande, solida e culturale “disponibilità” del nostro mondo ad affrontare con dignità e coraggio, il problema del nostro rapporto con l’Islam: una grande fede religiosa che, nascendo e sviluppandosi nei deserti della Terra, detta dignità e compattezza a un mondo frammentato, ma che oggi nella sua componente politica ha un tratto di violenza e di conquista comprovato da tante azioni chiaramente favorite dall’Occidente non più cristiano. E che dal tempo in cui l’Afghanistan sotto il tallone russo ne fu liberato dai “mujaidin” e da Bin Laden, pensa, almeno in questa componente, che sia cominciato un tempo di “reconquista” mondiale. Ed, allora, sono guai seri. Che dovremmo fare per evitare che Charlie Hebdo e compagni, diventino il vessillo dell’Occidente libertario suicida dei suoi valori? Rinunciare alla Democrazia ed alla Libertà, non si può. Dovremmo prendere in mano questa bandiera in due modi, sul piano culturale e su quello politico. Dalla fine del secolo scorso ha preso il sopravvento, nonostante la voce potente del professore Bernard Lewis, la scuola storica di Edward Said, che ha letto la storia dell’Islam come quella in cui l’Occidente non ha fatto altro che tentare di sopraffarne gli uomini e la fede. Ha anche stabilito che la storiografia classica era stata costruita tutta in funzione di questa dominazione. Niente di più falso. Nel VII Secolo il bacino del Mediterraneo era cristiano finchè i cristiani non si corruppero ed non arrivò l’Islam dall’Arabia, conquistando Israele, la Palestina, la Siria, l’Egitto, il Nordafrica. Da dove l’Islam avanzò in Europa conquistando la Sicilia, la Spagna, il Portogallo, arrivando fino in Francia e in Italia. Le navi saracene per secoli giunsero fino a Ostia e nelle nostre terre più interne risalendo i fiumi, saccheggiando, incendiando, uccidendo cristiani. Le Crociate, che è di moda dipingere come una prima forma di imperialismo occidentale per liberarsi delle guerre fratricide cristiane tra i principi in Europa, furono un modo di rispondere alla Conquista (questa fu la nostra reazione!) islamica, indipendentemente da quale che possa essere il mio disgustato giudizio sul comportamento dei crociati e dei saraceni in guerra. Questa fu solo la prima ondata. E la conquista si concluse secoli dopo con l’ondata Ottomana. Ci furono pascià turchi a Budapest e Belgrado. I musulmani assediarono Vienna. Fino a tutto il XVII Secolo l’Europa ha vissuto sempre sotto l’attacco mussulmano. E fu ricacciandolo indietro che si avventurò su un terreno di “reconquista” cristiana. L’Impero Ottomano durò dal 1299 al 1922, cioè 623 anni. Ed allora, invece di usare Internet e la Tv (anche sui tablet e sugli Ipad ) per trasmissioni e giochi senza senso, in attesa della fine del mondo che certamente ci colpirà molto presto ma per altre cause, bisognerebbe ristabilire nella coscienza pubblica mondiale la Verità storica, togliere la vittimizzazione dell’Islam dalla testa nostra e degli islamici in primis, costruendo su un piano di parità un rapporto finalmente senza rancore da parte loro. Subito. E in tutte le lingue. In secondo luogo, la Politica degli Usa e dell’Europa dovrebbe finalmente agire. È stato comodo appoggiarsi ai vecchi dittatori alla Mubarak e poi inneggiare alle primavere arabe. Ma se mettessimo dinnanzi ai nostro occhi il faro dei diritti umani, dei diritti civili morali e la libertà di opinione, potremmo forse avere la stessa luminosa iniziativa di condizionalità che portò il presidente repubblicano Ronald Reagan degli Usa, con l’emendamento Jackson e Vanick (condizionando certi rapporti economici e commerciali alla libertà di movimento dei russi) a mettere l’Unione Sovietica in scacco matto! Altro che filmetto in cui Obama e la signora Clinton si scusano di nuovo. Di cosa? È costato 70mila dollari, ma è servito solo a far bruciare più bandiere americane e israeliane. Un vero fuoco, alto e potente, largo come il mondo intero. Tutto questo è un fuoco d’artificio. È un modo di cercare di indurre il declino del potere occidentale in Medio Oriente e nel mondo, specie quello americano (in favore di quello cinese?), e di dire che le rivoluzioni arabe sono state una messa in scena di fronte alla realtà vera, quella dell’Islam senza compromessi. All’apertura di ogni Assemblea Generale delle Nazioni Unite non si può fare a meno di notare ogni volta che, come ha fatto ripetutamente dal 2007 in avanti il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad nel rilanciare dal podio dell’Onu il suo appello all’odio ed alla distruzione di un altro Stato membro, Israele, con la negazione della Shoah e con la determinazione a costruire un potere atomico che anche l’IAEA, l’agenzia delle Nazioni Unite per l’energia nucleare, suppone destinata ad un uso futuro non pacifico, ovvero alla costruzione della bomba nucleare, l’ipocrisia delle nazioni libere e democratiche sulla Terra sta preparando un’altra inesorabile guerra mondiale devastante. Le cui cause, naturalmente, saranno addebitate ad Israele. Ahmadinejad, quando parla nel suo ruolo di leader di un Paese privo di libertà di opinione e di religione, che tiene le donne in stato d’inferiorità, perseguita e impicca gli omosessuali in diretta Tv e nelle pubbliche piazze, nel suo lucido piano sa cosa si prospetta.
L’Iran che il Dipartimento di Stato Americano ritiene fra i più pericolosi esportatori di terrorismo e di guerre regionali anche tramite gli Hezbollah e Hamas (con tutte le sfumature diplomatiche dei grigi), che aiuta con uomini ed armi la dittatura di Bashar Assad in Siria, per Legge non dovrebbe più avre il “privilegio” accordatogli finora di diffondere il suo messo genocida, antisemita, anticristiano, dal podio dell’Onu. Le sue violazioni della carta dell’Onu sono molteplici, le sue continue e recenti chiamate a “cancellare Israele dalla carta geografica” violano espressamente la Convenzione contro il genocidio. Ascoltare i discorsi di Ahmadinejad all’Onu, sembra una crudele parodia del concetto di libertà di opinione e ogni paese libero dovrebbe boicottarne gli interventi e i comunicati stampa (compresi quelli di Al-Qaida) sui media mondiali. L’Assemblea dell’Onu, con le sue cospicue falle, corre il rischio di delegittimare se stessa. Dal Darfur alla Siria, la sua inerzia è stata ed sarà la nuova “malattia” del mondo libero. Le sue scelte, fatte in Assemblea e in tutte le sue Agenzie a colpi di maggioranze islamiche, terzomondiste e cristianofobiche, sembrano prefigurare un corpaccione irrilevante e talora dannoso per l’Umanità libera e democratica. Ma un gesto, potrebbe ridare all’Onu il suo significato originale: un serio boicottaggio legale dei discorsi e dei comunicati di Ahmadinejad e di tutte le organizzazioni e “fonti” terroristiche estremiste islamiche, unitamente a sessioni sullo stato di diritto, di cui i vecchi e nuovi “leader maximi” mediorientali non possono saperne tanto, ignoranti come sono in storia del Medio Oriente. Dato che alle riunioni dell’Onu e nelle Ong (ma anche dai megafoni satellitari delle democratiche e libere Tv occidentali) continuano a farneticare che “Israele non ha radici nel Medio Oriente, che è esistita solo una sessantina d’anni e l’Iran invece per un migliaio”! Peccato che chiunque abbia letto anche solo qualche passo della Sacra Bibbia, preesistente al Corano di diverse centinaia di anni, sappia che da tremilacinquecento anni esistono una terra e un popolo d’Israele (il Popolo Eletto da Dio in Persona; il Dio (sia benedetto il Suo Nome) di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, il Dio di Ismaele, cioè delle tre religioni monoteiste abramitiche) che hanno avuto, con alterne vicende, la loro sede proprio là, in Palestina, con tutto il rispetto per l’Antica Persia. Dal 1979, invece, esiste un regime che ripete la sua ossessione:“distruggere gli Ebrei”. Dal 2005 Ahmadinejad usa l’Onu come megafono delle sue teorie nazi-genocide e antioccidentali, sostenendo che le sanzioni per la costruzione del potere nucleare fuorilegge sono “un sacrilegio contro l’Islam”. Ultimamente, della delegazione iraniana venti persone si sono viste negare l’ingresso. Lo scorso anno tutti i delegati uscirono dell’emiciclo mentre Ahmadinejad dichiarava che “l’Olocausto non esiste e che l’11 di Settembre era un complotto americano”. L’ambasciatore all’Onu, Ron Prosor, ha lasciato la sessione affermando che “il leader di un Paese fuorilegge, violatore seriale dei principi fondamentali dello stato di diritto non deve entrare in questa sala, è una vergogna e una disgrazia dargli la possibilità di parlare…”. Un’intera antologia dei concetti diramati dal podio dell’Onu suggerisce che Ahmadinejad ammorba lo spirito del nostro tempo, viola le leggi, aizza tutto l’Islam, distrugge la residua decenza, onestà e forza di un qualsivoglia discorso politico pronunciato dal pulpito dell’Onu. Le citazioni tratte dall’antologia iraniana si affastellano sul Internet: Ahmadinejad definì gli Stati Uniti nel 2007 “egoisti e incompetenti che giurano obbedienza a Satana” e chiese se non era tempo che tornassero “dal sentiero dell’obbedienza a Satana a quello della fede in Dio”. Naturalmente, non si sa quale dio! Sull’attacco alle Twin Towers, le sue ripetute teorie sono che “il governo americano l’ha sostenuto e ne ha tratto vantaggio” per rovesciare “l’economia americana in declino e mantenere le grinfie sul Medio Oriente così da salvare il regime sionista”(A.D. 2011). Su Israele e sul sionismo ha detto più volte che “dominano tutta la finanza mondiale”, ripetendo in varie occasioni che “l’esistenza del regime sionista è un insulto a tutta l’umanità”, che il collasso di Israele “ci sarà ed è vicino”, e che “come un cancro che si diffonde in tutto il corpo, questo regime infesta la regione. Deve essere rimosso dal corpo”. Ed altre esplicite mille minacce di genocidio. Particolari che evidentemente sfuggono ad alcuni religiosi cattolici in Palestina e in Israele, ma non agli analisti. Sicuramente ai media occidentali che preferiscono altre “fonti più attendibili”. Ahmadinejad ha sempre detto che “la Shoah non deve essere presa come un dato storico, semmai il contrario”. Ha ripetuto che da loro “gli omosessuali non esistono”. Infatti, finiscono impiccati! Non semplicemente criticati moralmente ed eticamente sui loro costumi sessuali che in Occidente sono legittimi, negli stati di diritto e su Internet dove i minori possono osservarli liberamente. Ahmadinejad ha sempre ribadito, ed è questo il grande pericolo, le bugie sull’uso pacifico del nucleare che costruisce l’Iran, e lo farà anche stavolta, finchè avra in mano, col nostro consenso istituzionale, le materie prime (il plutonio) per costruire l’arma nucleare tattica da lanciare su quei piccoli missili che oggi piovono su Israele! Ma vi rendente conto? Dunque, Ahmadinejad viola la convenzione contro il genocidio e lo fa nel contesto della costruzione della bomba nucleare in miniatura! L’Iran è accusato dall’Us State Department di finanziare e organizzare il terrorismo internazionale, aiutando con armi e uomini Bashar Assad, Hamas, gli Hezbollah e chissà chi altri. E noi, su Internet e in Tv, dobbiamo ascoltarlo mentre pontifica dal podio dell’Onu? Questo mondo così pericolosamente alla rovescia, rischia di caderci addosso come nel film “Inception”. Il Congresso americano (non quello europeo!) ha ricevuto dalla Casa Bianca la notifica per aprire la borsa del biglietto verde: gli Usa doneranno al Nuovo Egitto di Mohammed Morsi 450 milioni di dollari per aiuti urgenti. Questa promessa segue un incontro tenuto ai margini dell’Assemblea Generale dell’One fra Hillary Clinton e Morsi stesso, in cui la Segretaria di Stato Americana (non europea) ha confermato la donazione del miliardo e mezzo promesso dal Presidente Obama al governo dell’Egitto nuovo. Sembra che una deputata dello Stato del Texas, la signora Kay Granger, presidente della subcommissione per gli aiuti all’estero, abbia bloccato momentaneamente l’elargizione, sostenendo che non vi vede niente di urgente dato che come ha detto la Granger “siamo ancora in un momento in cui i rapporti con l’Egitto sono sotto stretta osservazione”. Il Presidente Obama, poco prima dell’Election Day del 6 Novembre 2012 che lo ha riconfermato alla Casa Bianca per altri quattro anni, aveva detto che l’omicidio del suo ambasciatore Chris Stevens in Libia era stato perpetrato da un gruppo di cani sciolti e casuali. Ed ora le indagini invece sembrano convergere sul fatto che, come tutti avevano capito fuorchè l’Amministrazione americana, Al Qaeda avesse preparato l’attentato nei minimi particolari contando sull’ambiente post-rivoluzionario egiziano, assai favorevole! Sono i fatti della Storia. Intanto i ministri degli esteri di 57 Paesi islamici dell’OCI, dopo aver condannato il filmetto su Maometto che ha suscitato la folle reazione degli assassini dell’ambasciatore, invece di cercare di gettare acqua sul fuoco, stanno irrorando di benzina il pagliaio mediorientale tentando il controllo dell’opinione pubblica occidentale. Il documento preparato suggerisce, infatti, in sostanza che si scrive e si dice solo quello che approvano loro. L’OCI che vuole “leggi contro l’incitamento all’odio religioso”, sostiene che “la libertà di espressione deve essere usata con responsabilità”, chiede all’Occidente “di assumere tutte le misure compresa la legislazione contro atti che portino alla violenza contro i musulmani e la denigrazione della loro religione”, perchè “gli atti islamofobici violano la libertà di religione e di credo”. Questo, mentre la propaganda islamista carica di ogni viscerale stereotipo Ebrei e Cristiani in tutto il mondo, mentre si usa la violenza più folle contro appartenenti sia a fedi diverse sia ai propri correligionari ritenuti conniventi col nemico occidentale, mentre si assaltano le ambasciate occidentali, mentre vengono barbaramente trucidati i Cristiani durante le sante messe, mentre gli Ebrei per ogni dove vengono umiliati. Miracoli della Democrazia perdente? Se Obama ha cercato di far cancellare a “Google”, senza riuscirci, il filmetto dannoso ma dalle bassissime qualità intellettive ed espressive, molto lontane da quelle che Cristiani ed Ebrei usano per criticare sé stessi in Occidente, e si è incredibilmente scusato in ogni modo, intellettuali e giornalisti di tutto il mondo hanno criticato le vignette di Charles Ebdo. È una scelta che riflette il tentativo di conquistare Morsi concedendogli senza condizione ciò che vuole. Il presidente egiziano dopo l’attacco alle ambasciate, secondo glia nalisti, è stato lento e cauto nel condannare. E il sito della sua Fratellanza Mussulmana, invece, lodava la vendetta dell’onore offeso. All’Onu ha tenuto toni da predicatore religioso, nessun segno di simpatie moderniste. Obama, come ogni imperatore romano di lungo corso, ha sempre pensato che catturare la benevolenza del mondo islamico con ammissioni di colpa fosse la strada giusta. Oggi la pensa allo stesso modo? Anche i presidenti repubblicani Bush sbagliavano pensando che fossero i dittatori la ragione dell’odio islamico antiamericano. Obama oggi sembra pensare che sia colpa sua. E non un elemento congenito di quella stessa cultura islamica estremista (non mussulmana!) che ama la morte applicata per “martirio religioso” ai suoi stessi figli. Quanto intende indietreggiare ancora? Quanto intende scusarsi ancora? Dall’Egitto, secondo gli analisti, sono uscite due predicazioni dopo gli attacchi antioccidentali: quella di Yussuf Karadawi, capo della Fratellanza residente in Qatar, che chiede agli Usa ed a ciò che resta dell’Unione Europa (non bancaria della BCE che sta salvando capre e cavoli, ma all’Europa politica!) di bloccare la libertà di opinione sull’Islam, proprio come l’OCI; e l’altra del capo dei salafiti Ahmed Fuad Ashush che chiede ai giovani musulmani in Usa e in Europa di uccidere gli offensori, “così tutte quelle scimmie e quei maiali capiranno”. Nessuno della leadership egiziana condanna le violenze, nessuna imposta un dialogo. È difficile capire da dove venga la sicurezza di Obama nell’elargire dollari ai militari dell’Egitto ed alla Fratellanza Mussulmana. Proprio ora che la vicenda del filmetto è diventata un veicolo di potente pressione di intimidazione alla libertà d’opinione, gioiello della cultura “democratica” islamica. Ma la grande notizia, del cui esito nulla possiamo sapere, è un dato di fatto storico eminente: esiste un nuovo giovane Iran coraggioso che non è stato tutto sommerso nel bagno di sangue in cui affogarono le proteste del 2009. La grande notizia politica è che le sanzioni internazionali funzionano! Esiste un Iran imprenditoriale stanco e spaventato dalle sanzioni che stanno comprimendo l’economia persiana. L’esito politico di un’operazione che appariva inconsistente, appare invece lapalissiano. Le proteste nella capitale iraniana, non delle decine di migliaia del 2009- 2010 nè di un immenso pubblico di giovani che chiede Democrazia e Libertà, ma del “suk”, della classe media del bazar che con la sua pazienza, talora pusillanime, il suo ruolo di perno della stabilità e di piccola borghesia quando si arrabbia crea i cambi di regime: questo mondo si è stufato dei dittatori iraniani. Centinaia di persone chiudono i commerci del bazar, giustificando la “serrata” persiana poi con motivi di sicurezza. La verità è la rabbia per la miseria che tributano alla follia nucleare del regime. Fermati dalla polizia morale e minacciati, vanno avanti! Molti dimostranti gridano la loro rabbia. Anche i banchieri persiani sono stanchi. Agenzie di stampa si sono rincorse con notizie sul fermo degli agenti di cambio di moneta straniera, accusati di aver causato con la caccia alla moneta un forte il disastro, l’inflazione. L’inflazione è cresciuta, secondo dati ufficiali, del 25 per cento in tre giorni, ma la realtà suggerisce addirittura che abbia superato il 50 per cento. Le perdite di lavoro toccano tutti i settori, dall’industria al commercio e il lavoro intellettuale. Nemmeno i contratti dei ricercatori vengono rinnovati. Secondo l’opinione dell’economista iraniano, residente a Londra, Mehrdad Emadi, consigliere dell’Unione Europea, “vedremo presto masse di disoccupati in coda per il pane” in Iran. Come in Italia. Il governo che elargiva generosi sussidi di stimolo all’impresa basata sul petrolio, non è più in grado di fare nulla. Le esportazioni di petrolio sono declinate del cinquanta per cento nell’ultimo anno e così i guadagni della più vasta fonte di reddito sono calati del 40 per cento. E gli spread salgono vertiginosamente. Cosa può causare questa situazione? Il tono minaccioso e le minacce di guerra a Israele, le dichiarazioni di disprezzo per l’Europa e gli Usa che Ahmadinejad rinnova all’Onu, sono il ruggito di una fiera ferita molto pericolosa. Netanyahu, il premier israeliano, ha ripetuto a New York il rifiuto della bomba nucleare iraniana ma con toni di quieta attesa strategica e di riconciliazione con il Presidente Obama. All’Europa del Cancelliere tedesco Merkel e del Presidente francese Hollande, ha chiesto di rafforzare le sanzioni. Ovvero? Israele, che fino a poco fa riteneva fallimentare la politica di sanzioni cui di fatto il regime non ha mai risposto con qualche segnale di acquiscenza, che ha spinto per anni Obama a pianificare un attacco alle strutture nucleari iraniane, ha lasciato in pace gli Usa per le elezioni presidenziali, ritenendo invece che l’Europa possa giuocare ancora un ruolo dirimente, appunto con le sanzioni. Forse perché c’è la speranza del cambio di mandare a casa gli Ayatollah. Una speranza quasi inesistente. Non ci sono leader laici in vista, non lo erano neppure Hussein Mousavi e Mehdi Karroubi nel 2009. Essi, comunque, ambedue agli arresti domiciliari, sono leader inagibili. Khatami, andando a votare per le elezioni parlamentari, ha segnalato una qualche vicinanza al regime. Oggi il famoso “regime change” non è in vista. E si può prefigurare un eventuale rallentamento. Ma, al contrario, si può anche ipotizzare che l’Iran punti tutto sulla bomba nucleare tattica per ricattare Israele e il mondo, a far cessare le sanzioni. Tra pochi mesi. Ed, allora, che senso ha concedere, da parte delle amministrazioni locali in Italia, il patrocinio ad associazioni come la “Ship to Gaza Sweden” legata al movimento Freedom Flotilla che organizza missioni come quella della nave Estelle per forzare il blocco navale che Israele chiede di rispettare in risposta ai ripetuti atti ostili che giungo dal territorio amministrato da Hamas, un’organizzazione integralista islamica nella lista dell’Unione Europea delle organizzazioni terroriste che domina interamente il territorio di Gaza ed è devota alla distruzione dichiarata dello stato d’Israele e di tutti gli Ebrei? I quotidiani lanci di centinaia di missili verso le città israeliane dall’inizio del 2012 sono la prova accertata della quotidiana preparazione di attacchi terroristici contro i civili in Israele, dai palazzi di Gaza. E sono la prova delle dichiarazioni dei leader di Hamas: una pura istigazione all’odio razziale ed al terrore, giorno dopo giorno, tregua dopo tregua. Cercare di portare aiuto a Gaza, compiendo l’atto ostile dell’uso di vie non certificate, equivale senza ombra di dubbio a un gesto di folle ostilità contro l’esistenza stessa di Israele. Condividere le finalità dell’iniziativa della Freedom Flottilia, organizzazione che sostiene nel suo manifesto la delegittimazione di Israele e che annovera tra i suoi sostenitori associazioni caratterizzatesi negli anni per le loro posizioni estremiste ed antisemite quali Guerrillaradio, Infopal e Terra Santa Libera, è un atto illegale anche sul piano del diritto internazionale. Memori del disastro cui ha portato la propaganda antisraeliana della precedente Flottilla, la Mavi Marmara, alla quale tra gli altri aveva aderito anche l’Organizzazione non governativa turca Insani Yardim Vakfi (IHH) che ha legami, certificati dalla polizia turca stessa, con gruppi radicali islamici militanti come Hamas ed al-Qaida, saggia decisione sarebbe quella di rinunciare a tali “imprese” (le flotte americana e russa stanno convergendo al largo di Israele, ufficialmente per proteggere i loro connazionali da un’eventuale escalation del conflitto a Gaza, per evacuare i propri cittadini) perché la solidarietà nei confronti della Flottilia equivale a solidarizzare con gli attacchi terroristici compiuti da Hamas. Fornire aiuto umanitario alle popolazioni di Gaza si può fare utilizzando i regolari accessi del valico di Kerem Shalom, per cui Israele ha investito più di 80 milioni di dollari per renderlo più efficiente, o del valico di Erez dai quali dalla prima metà del 2012 sono transitati 37.405 camion portando 993.700 tonnellate di merci e da dove solo nei mesi di Settembre ed Agosto 2012 sono transitati 644 camion per trasportare circa 17mila tonnellate di merci, tra cui medicinali, cibo, laterizi, prodotti per l’agricoltura e l’industria. Sicchè, l’utilizzo di passaggi regolari consente ai destinatari dei doni a Gaza di goderne come previsto, senza che questo metta in pericolo, con importazioni improprie, la vita di bambini israeliani, che non possono andare a scuola perchè i missili provenienti da Gaza distruggono le loro vite e quelle delle loro famiglie giorno dopo giorno. Crediamo che esista uno specifico contributo ebraico alla vita politica, sociale, cultura, economica italiana. E questo contributo è individuabile in una particolare sensibilità che gli Ebrei hanno verso determinate tematiche antifasciste, da figli della Shoah, da cittadini democratici che vedono la Politica scevra da approcci ideologici, come l’unica strada per costruire un futuro migliore. Molti nodi, tuttavia, restano irrisolti sul territorio e sul piano nazionale. Tra cui la forte contrapposizione, di queste ultime ore, tra alcuni leader politici italiani schieratisi contro il legittimo intervento israeliano a Gaza in modo netto e perentorio. Dov’erano i nostri politici quando i bambini venivano uccisi in Siria? Perché non hanno parlato? Siamo stanchi di essere manipolati da politicanti che utilizzano gli Ebrei e i Cristiani a loro comodo. Cinque sono le vittime della strage di Itamar: padre, madre e tre figli. Una pagina orribile del conflitto israelo-palestinese che una certa stampa ha raccontato in modo scorretto e fuorviante. Abbiamo letto di cinque coloni uccisi e non di cinque vite innocenti spezzatea. Diciannove sono gli anni trascorsi dal 1948 al 1967, un lasso di tempo in cui la parola palestinese “non è mai esistita”. Cento per cento è il plebiscito di condanne che ogni volta colpisce Israele dalle sinistre italiane. Anche oggi, poco prima delle elezioni politiche e presidenziali nazionali della Primavera 2013. Ecco una testimonianza. “La prima volta che ho assistito ad un’esercitazione della popolazione civile in Israele è stato due anni fa. Non avendo sentito la notizia alla radio, la sirena mi ha colta di sorpresa ed ero terrorizzata. Gli israeliani del mio ufficio mi sbeffeggiavano. Io volevo correre nel bunker, mentre tutti sembravano infischiarsene. D’altra parte era solo un’esercitazione”. Adesso, invece, si fa sul serio e per Alessia Di Consiglio, studentessa romana trapiantata in Israele, è l’occasione per raccontare il “suo” primo attacco missilistico. È Giovedì pomeriggio quando gli ordigni di Hamas colpiscono Tel Aviv. Alessia si trova all’Università di Herzliya, a pochi chilometri di distanza. Nonostante il clima di tensione che serpeggia nell’aula, racconta nella nuova area blog di Hatikwa, la voglia di reagire, di sdrammatizzare, di guardare avanti. “Con la sfiga che ho è sicuramente caduto su casa mia”, dice uno studente. “Ci ho messo quattro ore a convincere i miei figli che a Tel Aviv non sarebbe successo niente e ora si prenderanno gioco di me a vita”, replica l’insegnante. Una prova di coraggio, tra i tanti aneddoti a riguardo, che l’ha impressionata. “Devo dire che non ho mai ammirato così tanto gli israeliani. Di solito mal digerisco la loro aggressività e il loro modo di fare troppo informale. Ma non è proprio in questo tipo di eventi – si chiede – che vengono realmente fuori le persone?”. Tra i blog più interessanti e aggiornati dal Medio Oriente, leggiamo il “Diario da una città di mare” di Daniela Fubini, torinese. Un intervento è dedicato alla prima angosciante sirena a Tel Aviv. “Ero appena tornata a casa – racconta Daniela – stavo preparandomi a cenare in fretta prima di una serata a teatro. Nell’istante in cui mettevo il pane sulla tavola e mi apprestavo a spostare la sedia, sono rimasta con le mani a mezz’aria mentre le mie orecchie comunicavano incredule al cervello: questa che suona è ‘la sirena’. Per ovvio che sia, ho sentito il cuore rimbombare in tutto il corpo, le mani mi tremavano un pochino, ho preso il cellulare, mi sono infilata le scarpe e sono scesa al piano di sotto”. E del teatro che ne è stato? “Dopo la paura e l’immersione nel cinismo condito di rassegnazione e fatalismo dei vicini – prosegue Daniela – la domanda era che fare dei biglietti. All’ora dell’appuntamento (45 minuti dopo il suono della sirena) la decisione è stata: tra aspettare tutti soli a casa la prossima, e sentirla eventualmente a teatro, in compagnia, buona la seconda”. Ed ancora. “Non so cosa voglia dire esattamente questa situazione, ma soprattutto non so quanto possa durare. Oggi che, per la prima volta nella mia vita, ho visto cos’è un rifugio e ci sono entrata – spiega Rebecca Treves, torinese, sul blog “Tre.no” – mi sembra incredibile pensare che ci sono città in cui questo succede quasi tutte le settimane. Sderot per esempio. C’è una grande forza in questo Stato che sopporta”. Rebecca sottolinea di aver colto tra la gente massimo senso di appartenenza e condivisione. “Le persone sono consapevoli. Tutti sanno cosa fare e cosa vuol dire Zeva Adom. Vuol dire allarme – scrive – vuol dire che suona la sirena”. Numerose le testimonianze di ‘italkim’, gli italiani d’Israele, anche sui social network. Gabriel Maisto, livornese scrive:“Stavo guidando il motorino, in trenta secondi sono arrivato al bunker e poi un boom assurdo. Maledetti!”. Ed ancora. “Sto bene!”, posta da Gerusalemme Alisa Hagen, fiorentina, che se la prende con i giornali italiani colpevoli di trasmettere “solamente ciò che interessa loro”. La vita intanto va avanti. Malgrado le insidie, i missili, la tensione. “Sono spaventata e senza sonno ma fiduciosa che presto finirà”, si augura Ylenia Tagliacozzo. “Si chiama terrorismo – scrive Miriam Somekh in un messaggio riportato da suo fratello Simone su Facebook e su “simonsays101.com” – perché il suo scopo è quello di disseminare la paura. Se entriamo nel panico, realizziamo il loro scopo.” Aviva Bruckmayer, milanese, pubblica la foto di una performance musicale svoltasi in piazza pochi istanti dopo l’ultimo allarme. Con annesso commento:“Cari nemici di Israele, ecco la nostra risposta”. Michael Sorani, torinese, non ha rinunciato a partecipare all’evento organizzato da Tsad Kadima a sostegno dei ragazzi cerebrolesi. “Alla faccia di Hamas”, sottolinea con orgoglio. Tregua sì, tregua no. Le notizie che arrivano da Israele, le vittime civili, il diluvio di razzi sparati sulle città dello Stato ebraico, l’azione militare su Gaza, hanno reso ancora più attuale il primo incontro organizzato a Milano dagli esponenti italiani di JCall, che si presenta come un “movimento di opinione ebraico impegnato nel sostegno al negoziato fra israeliani e palestinesi fondato sul principio due popoli-due Stati”. Tantissima la gente accorsa alla Casa della Cultura per l’evento “La sicurezza di Israele: quale ruolo per l’Ebraismo europeo”. A tratti molto teso il clima del dibattito, soprattutto a causa della presenza di un piccolo gruppo di esponenti dei movimenti di boicottaggio contro Israele, protagonisti di diversi interventi di contestazione. Ad ascoltare le parole del segretario generale di JCall-Europa, David Chemla, del coordinatore di JCall Italia, David Calef, del giornalista Gad Lerner e di Stefano Levi Della Torre, scrittore e pittore, moderati dal giornalista e consigliere della Comunità ebraica, Stefano Jesurum, sono accorsi numerosi Ebrei milanesi, incluso il vicepresidente della Comunità, Daniele Cohen. Non è, invece, potuto intervenire per rimanere accanto alla sua famiglia, Shaul Arieli, ex comandante di brigata dell’esercito israeliano nella striscia di Gaza, e co-promotore degli Accordi di Ginevra del 2003. Numerosi i punti cardine in comune tra i vari relatori: prima di tutto la costante preoccupazione degli Ebrei della Diaspora per lo Stato di Israele dal 1948 in avanti, condivisa dai firmatari dell’Appello alla ragione con cui nacque JCall nel 2010. I quali, tuttavia, disapprovano quello che definiscono il sostegno “incondizionato” della maggior parte dell’ebraismo europeo alle politiche del governo israeliano (duri nei confronti dell’attuale primo ministro Netanyahu), rigettando allo stesso tempo qualsiasi critica diretta alla delegittimazione dello Stato ebraico in quanto tale e battendosi per un dialogo basato sul riconoscimento del presidente dell’Autorità palestinese Abu Mazen come interlocutore e del congelamento degli insediamenti israeliani. Diverse le sfumature con cui gli ospiti hanno interpretato le linee generali, in una maniera che ha spesso suscitato la perplessità di molti presenti in sala, manifestata da diffusi mormorii. “Nell’ebraismo europeo oggi sembra non esserci spazio per il dibattito su quale sia la strategia migliore per arrivare alla soluzione del conflitto basata sul riconoscimento dei diritti delle persone vicine – ha esordito David Calef di JCall Italia – noi di JCall amiamo Israele, ma a volte dissentiamo dalle sue politiche. Esprimiamo preoccupazione per la sua delegittimazione, ma anche per gli insediamenti. Siamo del parere che senza affrontare il nodo degli insediamenti la situazione non si possa sbloccare. E riteniamo grave che non venga riconosciuta e rafforzata la posizione di AbuMazen come interlocutore per la pace”. Ed ancora. “Disse una volta lo scrittore Amos Oz: aiutateci a divorziare. JCall risponde proprio a questo – ha sottolineato David Chemla – ecco perché noi siamo per una soluzione basata su due Stati e non per un unico stato binazionale, che ci sembra allo stato attuale, fuori dalla realtà. Per noi che siamo qui e non subiamo il conflitto sulla nostra pelle, è importante rimanere lucidi e lavorare dall’esterno per rafforzare la posizione dei moderati”. Di “stati d’animo” ha voluto parlare Lerner, innanzitutto del suo stato d’animo nel vedere i titoli dei giornali degli scorsi giorni sulle stragi di bambini. “Devo confessare che il mio primo pensiero, è stato domandarmi perché titoli simili non sono apparsi in riferimento alla Siria, o anche ai 50 bambini morti in Egitto nell’incidente fra un treno e un pullman negli scorsi giorni. Un pensiero che ho scacciato perché è un problema di moralità: quando è Tzahal a fare questi morti, fa dieci volte più male, non soltanto perché uno Stato che ha a disposizione una superiorità tecnologica e militare ha anche una responsabilità superiore, ma anche perché se si sceglie come risposta la tecnica delle uccisioni mirate, che violano qualsiasi diritto internazionale, ci si mette sullo stesso piano di coloro che lanciano i razzi”. Sic! Preoccupato per l’inerzia della politica in Israele, non solo nei confronti della questione palestinese, ma anche delle Primavere arabe, si è detto Stefano Levi Della Torre, che ha aggiunto:“In questo momento Hamas è stato riconosciuto come interlocutore per una tregua da Netanyahu, mentre i tentativi di Abu Mazen vengono messi all’angolo. Pensiamo che questo sia pericoloso per il futuro di Israele che già nel 2006 quando si ritirò da Gaza non coinvolse e corresponsabilizzò la controparte, trasformando l’evento in una vittoria per Hamas. Hamas che oggi spende soldi in missili iraniani e non per esempio in rifugi antiaerei per la popolazione. È necessario riprendere il dialogo per la creazione di uno Stato palestinese perché altrimenti Israele non potrà, negli anni a venire, mantenersi uno Stato allo stesso tempo ebraico e democratico”. È per davvero uno strano modo di cercare di aiutare Israele quello di invitare a boicottare in Italia e in Europa manifestazioni pubbliche intese unicamente a far cessare la delegittimazione di Israele. Queste posizioni non sono limitate a pochi intellettuali. Del resto è un comportamento del tutto logico perché politicamente in Italia le manifestazioni pro-Israele con la Kippah sul capo, non portano consenso politico e sindacale! Neppure per piattaforme teoricamente condivisibili e condivise, poco prima delle elezioni, da tutte le parti politiche che oggi dichiarano apertamente di essere amiche di Israele e del popolo ebraico, in un periodo in cui la discordia domina tanti settori dell’opinione pubblica. Mirare, infatti, a far cessare l’ossessiva negazione del diritto di Israele a esistere, a difendersi, partecipando a manifestazioni (assenti sul territorio italiano) pro Israele per la difesa della vita civile nel mondo, sia che si tratti di cultura, di scienza, di sport o di arte, significa difendere le nostre stesse vite. Tale delegittimazione è avvenuta negli anni quale che fosse il governo al potere in Israele. Destra o sinistra. Non capiamo, quindi, cosa c’entri adesso il tema della critica a questo o a quel governo. Ognuno ha le sue idee su come raggiungere la Pace, cosa che speriamo sia davvero un obiettivo comune. Ma se l’obiettivo “Due stati per due popoli” dovesse essere frainteso? Per chi e per cosa protestano gli studenti italiani nelle piazze, marinando le scuole pubbliche e “scioperando” per interposta persona? Non per la devastazione che hanno procurato gli oltre 1000 missili che nell’ultimo anno sono stati sparati da Gaza contro lo Stato ebraico, Israele. Abbiamo ben presente che Israele è un Paese straordinario, con un popolo eccezionale che con la sua scienzia e tecnologia ha trasformato il deserto in piantagioni rigogliose, inventando macchine straordinarie capaci di differenziare e riciclare rifiuti indifferenziati, un Paese vittima di una guerra assurda che si trascina da troppi decenni, un Paese aggredito dentro ai suoi confini e, soprattutto, fuori. Culturalmente e politicamente. In Europa e in Italia. Un’aggressione, quella che viene messa in atto qui, anche in Italia, fatta di piccoli e grandi boicottaggi, campagne diffamatorie, disinformazione e tanti pregiudizi anche scolastici e universitari. Nessuno studente europeo marinerà mai la scuola per Israele! È questa la ragione per cui dobbiamo fermamente testimoniare la nostra vicinanza ad una Nazione rifiutate, oltraggiate e minacciata nel suo diritto ad esistere, e per la quale desideriamo la Giustizia e la Pace accanto al popolo palestinese amante della Vita. Israele è un esempio di Democrazia, Vita, Libertà, Giustizia, di Resistenza al male, all’arretratezza di quei costumi che mettono all’indice le libertà delle donne e i loro diritti, quindi la libertà di opinione. Un Paese, Israele, che va difeso e sostenuto perché, nonostante l’assedio di nemici accaniti e integralisti come Hamas e gli Hezbollah, ha sempre tenuto alta la bandiera dei diritti umani e dei diritti civili, pur se situato in una fettina di pianeta Terra dove le società sono ancora molto arretrate culturalmente sul fronte dei diritti umani della persona. Anche in Italia, nelle varie forze politiche. Ancora oggi continuano ad esserci persone che guardano alla realtà di Israele e di questi problemi complessi con le lenti deformate dell’ideologia e del pregiudizio. Non possiamo tollerare quello che sta accadendo alle popolazioni di Gaza, della Palestina e di Israele. È intollerabile quel che sta accadendo a Gaza. Sono intollerabili le torture e le uccisioni di Hamas nei confronti di persone sospette di collaborare con Israele. Fatte strisciare sull’asfalto legate ad una moto fino a provocarne la morte. Sono intollerabili gli oltre 1000 missili che in meno di un anno hanno colpito Israele: cosa avremmo fatto noi Italiani, popolo buono, se quei missili avessero colpito le nostre piazze affollate, i nostri bar, i nostri cinema, il Vaticano o l’Altare della Patria? Potrebbe succedere, il tempo scorre inesorabile verso l’appuntamento con la Storia. È intollerabile l’incertezza in cui vivono i cittadini di città come Sderot, Gerusalemme e Tel Aviv, bersagli da chi lancia missili con l’obiettivo di annientare e non di combattere per la propria causa. Sono intollerabili le posizioni di chi partendo da un pregiudizio dimentica che Hamas è un’organizzazione terroristica che ha scritto nel suo Statuto di voler distruggere Israele. E noi Italiani, persone per bene, come abbiamo dimostrato nella Guerra al Terrore sul fronte dell’Afghanistan e dell’Irak, con i terroristi non trattiamo! Allora, non giriamo più la testa dall’altra parte come quando, poco più di 70 anni fa, a colpi di torcicollo ci ritrovammo a casa nostra di fronte all’immane tragedia della Shoah. Per chi volesse saperne di più su Israele, la sua storia e la sua attualità: www.israele.net. Che Israele venga ammessa nell’Unione Europea e nella Nato. Ci vediamo a Gerusalemme!
© Nicola Facciolini
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