Due rilevanti manifestazioni culturali in una settimana, il terzo ed ultimo incontro con gli scrittori finalisti del Premio Penne, l’assegnazione del Premio Nino Carloni, e poi la imminente inaugurazione di un nuovo teatro nella zona di Monticchio, descrivono una città viva e piena di attività culturali per quanto riguarda la musica, la narrativa ed il teatro. A ciò si aggiungono inaugurazioni recenti, ricordo con piacere quella della nuova sede del Dipartimento di Scienze Umane nata dal restauro del vecchio ospedale S. Salvatore. Gran bella sede, dà prestigio alla città e più ancora ne darà quando tutto il complesso sarà disponibile per l’uso di studenti e professori.
A questa innegabile vivacità positiva si contrappone la situazione drammatica del centro storico. Sere fa, verso le sei del pomeriggio, Corso Vittorio Emanuele appariva come un budello nero, deserto fin dove arrivava lo sguardo. Non un raggio di luce, non un passante a ricordare la vita che c’era, tutto chiuso, sbarrato, lo spazio segnato dalle tavole di sicurezza abitato solo dal vento e dal freddo. Sinistri scricchiolii si sentivano di tanto in tanto provenire dalle impalcature di legno, come i lamenti di un malato grave, molto grave.
L’impressione fortemente negativa, disperante, generata da questo aspetto della realtà aquilana, destinato a trascinarsi in un futuro imprevedibile, suscita una domanda: ma veramente vogliamo partecipare al concorso Capitale della Cultura 2019?
Per mostrare al mondo che cosa? I quartieri residenziali periferici per quella data saranno stati certamente rimessi a nuovo, penso alla zona di Viale Crispi, a S. Barbara, a Pettino, dove tanti cantieri sono all’opera. Ma i fabbricati più antichi, quelli dei vicoletti del centro intorno alla vecchia Piazza del Mercato, il palazzo del Governo e tutto il complesso della chiesa di S. Agostino, i fabbricati di Via Verdi e dintorni, solo per citane alcuni, in che condizione saranno nel 2019? Vogliamo veramente credere che starà tutto a posto, restaurato o ricostruito da capo?
Per ora sono più di quindici le città che hanno dimostrato attenzione alla possibilità di diventare Capitale europea della cultura. Sono città distribuite in tutta la penisola, alcune famose nel mondo da secoli, di dimensione, storia, notorietà molto diverse fra di loro.
Mi domando se e come veramente può nascere a L’Aquila un progetto di città rimessa a nuovo, realizzabile in tempi prevedibili, programmabili, riguardante l’ambiente e la sicurezza dei cittadini, i beni culturali, l’industria creativa, il benessere sociale, i tesori enogastronomici e la tradizione sportiva. Costruire questo percorso di candidatura costituisce per i cittadini dell’Aquila ed il suo territorio un utile sforzo di progettualità che dovrebbe dare lavoro alle migliori forze professionali, giovani e meno giovani, per ordinare le priorità e, soprattutto, trovare le risorse adeguate per realizzare i progetti.
Per ora è palese, sotto gli occhi di tutti, un singolare fenomeno, dove arrivano le ruspe per lavori nuovi o per il restauro dell’esistente, viene sistematicamente perpetrata la strage del verde. Filari di alberi, cespugli, aiole, abeti annosi, pinete spariscono sotto le seghe elettriche. Se c’erano delle piante, è perché qualcuno le mise a dimora, ritenendole indispensabili elementi per il benessere quotidiano dei cittadini. Appare evidente che colate di cemento senza prati, aiole ed alberi, sono di uno squallore tristissimo, soffocante.
Il verde pubblico e privato, ben curato, sia ritenuto indispensabile per la rinascita della città in qualunque progetto di rinnovamento e di crescita. E’ una questione di Cultura, dico Cultura con la c maiuscola, quella che vogliamo sia valutata nel 2019 da una commissione che dovrà scegliere, fra tante città italiane, la Capitale della Cultura.
Che non si scambino per Cultura l’erudizione, i bei discorsi e le promesse, gli interventi più o meno azzeccati intorno ai tavoli della città, le popolari e diffuse critiche negative figlie della maldicenza di S. Agnese.
Se i lavori richiedono spazi ampi per il movimento delle macchine, una volta finiti, che si rimetta a dimora il verde che c’era, meglio metterne di più, per piacere. E’ una questione di Cultura. Ed oggi la Cultura che progetta per il futuro e per il benessere del maggior numero di cittadini, è verde.
Emanuela Medoro
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