Notizie senza giornalisti? Per la prima volta è possibile

“È possibile avere notizie senza giornalisti? Per la prima volta nella storia sì”. E’ questa la provocazione lanciata da Paul Lewis, giornalista del Guardian, intervenuto al seminario di Redattore Sociale “Labirinto senza fili”. Ai tempi di twitter, “l’informazione viaggerebbe comunque, le notizie si diffonderebbero lo stesso”. intervistato dalla collaboratrice di El Pais Mariangela Paone, Lewis ha spiegato come i […]

“È possibile avere notizie senza giornalisti? Per la prima volta nella storia sì”. E’ questa la provocazione lanciata da Paul Lewis, giornalista del Guardian, intervenuto al seminario di Redattore Sociale “Labirinto senza fili”. Ai tempi di twitter, “l’informazione viaggerebbe comunque, le notizie si diffonderebbero lo stesso”.

intervistato dalla collaboratrice di El Pais Mariangela Paone, Lewis ha spiegato come i social network stanno cambiando il lavoro dei giornalisti, in un momento di crisi per l’editoria come quello attuale. “Oggi la rete ci offre tante opportunità – ha detto – , infatti parliamo di giornalismo aperto contrapponendolo a quello chiuso. E noi dobbiamo sfruttare i cambiamenti che avvengono nella nostra industria invece di opporci. Prima eravamo noi giornalisti a dover interpretare il mondo, ma da dieci anni, tutti hanno accesso allo smartphone, tutti possono diventare giornalisti, pubblicare notizie. E questa è una sfida per i giornalisti retribuiti. Allora bisogna passare a un giornalismo di tipo collaborativo, bisogna potenziare la capacità delle persone di co-produrre notizie, i lettori non sono più fruitori passivi”.

Per Lewis ad aver determinato questo cambiamento è in particolar modo twitter: “Si tratta di un mezzo rivoluzionario, molto più di Facebook”. Twitter è stato usato per la prima volta in ambito giornalistico durante gli attacchi terroristici a Mombai nel 2011. Poi c’è stata la pubblicazione della foto dell’aereo caduto nel fiume Hudson a New York. E ancora, l’annuncio della morte di Osama Bin Laden è stato dato tramite un tweet che ha fatto il giro del mondo prima che lo facesse Obama.

Per raccontare il rapporto con twitter, Lewis ha raccontato due storie. La prima è quella dell’omicidio di Ian Tomlison, giornalaio morto nel 2009 durante gli scontri del G20 a Londra, secondo la versione ufficiale a causa di un infarto. Lewis è riuscito a smontare questa versione dimostrando che Tomlinson era stato ucciso dalla polizia. In che modo? Grazie a una foto scattata da un cittadino con lo smartphone vicino alla Bank of England che mostrava un funzionario di polizia che colpiva Tomlinson alla gamba e lo faceva cadere a terra. “Questa storia – ha spiegato Lewis – dimostra che i giornalisti possono collaborare con i cittadini”.

L’altro esempio è quello delle rivolte dell’anno scorso a Tottenham (Londra), con 50 mila persone che hanno preso parte a disordini, saccheggi, combattimenti con la polizia. “Londra sembrava una zona di guerra – ha raccontato Lewis – e le notizie si sono diffuse rapidissimamente tramite twitter. Io sono andato là, e grazie a twitter ho avuto la collaborazione di cittadini che mi hanno aiutato a capire come muovermi. E’ stato come se ci fosse un redattore in ufficio con 5, 6 persone sul campo. I 140 caratteri di twitter ci costringono alla brevità ma questo può essere utile per giornalisti, l’informazione è rapida ma è la chiave d’accesso per poi entrare nei dettagli”.

Dopo le rivolte di Londra il Guardian ha promosso per la prima volta una ricerca ex post, insieme alla London School of Economics: 30 ricercatori di diverso background per 3 mesi hanno fatto un’indagine sociologica, pubblicata con il titolo “Reading the riots” con interviste in profondità ai protagonisti della vicenda per capirne le ragioni. Sono state 600 le persone ascoltate”.

In questo scenario dunque che differenza fa la presenza di un giornalista sul campo? “Noi abbiamo un istinto per trovare la verità – ha detto Lewis – abbiamo un impegno per un certo livello di neutralità, per un giornalista la cosa peggiore è essere in ufficio quando succede qualcosa”.

E in merito al “controllo” dei tweet dei cittadini, ha commentato: “E’ facile fare errori, anche il Guardian ne ha fatti. Chi invia un video è un’entità on line finché non la incontriamo, la questione della fiducia diventa molto importante. Per verificare bisogna incontrare le persone”. La sfida è allora “prendere il meglio di entrambi i mondi” .

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