Alla vigilia di un ennesimo venerdì di proteste e dopo le dimissioni di tutti e 17 i consiglieri del suo governo, vi è grande attesa in Egitto per il discorso che il presidente Mohamed Morsi pronuncerà in giornata davanti alle tv, mentre anche l’Università Al-Azhar, l’istituzione più prestigiosa del mondo islamico sunnita, ha chiesto al presidente di sospendere il decreto che accresce i suoi poteri.
Stamani gran parte dei manifestanti ha lasciato l’area del palazzo presidenziale, dopo che la Guardia nazionale aveva intimato loro l’evacuazione e il potente capo dei Fratelli Musulmani al potere, Mohamed Badie, ha lanciato un appello all’unità del popolo, mentre Morsi si è asserragliato nel palazzo presidenziale presidiato da almeno tre carri armati.
Nonostante i disordini e la dimissione in massa del consiglio, il presidente intende far celebrare il 15 dicembre il referendum sulla nuova costituzione, che ha una forte impronta islamica e dalla cui redazione sono di fatto state escluse le forze dell’opposizione.
Subito dopo essere rientrato nel palazzo, ha incontrato il generale Abdel Fattah al-Sisi, capo dell’esercito e ministro della Difesa, oltre al primo ministro e ai ministri di Interno e Giustizia, per discutere le modalità attraverso cui giungere a una stabilizzazione della nazione e, dopo l’incontro, il generale Mohammed
Zaki, comandante della guardia repubblicana, ha sottolineato che il dispiegamento dei militari attorno alla sede della presidenza, mira esclusivamente a riportare la calma e non sarà strumento di oppressione dei dimostranti.
Gli articoli ”contestati” della Costituzione possono essere modificati, ha detto il vicepresidente egiziano Mahmoud Mekki, ma non prima del referendum. C’è comunque “una sincera volontà politica di superare l’attuale periodo e rispondere alle richieste della gente”, ha affermato Mekki, aggiungendo che “la porta del dialogo è aperta a coloro che si oppongono alla bozza di Costituzione. Dobbiamo trovare una via di uscita e siamo seri nella ricerca del consenso. Non abbiamo alcuna altra alternativa al dialogo”, ha detto Mekki evocando la possibilità di modificare gli articoli ”contestati” della Costituzione, ammettendo di avere anche lui ”riserve” sulla dichiarazione costituzionale emessa dal presidente. E ancora: “I manifestanti hanno richieste che devono essere rispettate e delle quali occorre tenere conto”, ha detto il vicepresidente egiziano Mahmoud Mekki.
Da parte sua, Morsi si è limitato ad assicurare tramite il suo portavoce che la presidenza rispetta il diritto alle manifestazioni pacifiche e ha dato direttive alle forze dell’ordine di agire con moderazione.
Intanto i social network hanno lanciato un appello perché vengano forniti cibo e riparo ai manifestanti che hanno annunciato di non voler lasciare i luoghi della protesta fino a che Morsi non ritirerà il decreto mentre il segretario di Stato americano, Hillary Clinton, ha sottolineato la necessità che in Egitto si realizzi un “dialogo trasparente” tra tutte le parti e che nel Paese siano rispettati i diritti di tutti i cittadini.
Mentre regge la tregua davvero molto esile fra Israele e Palestina, la situazione in Egitto rende la situazione dell’area bollente, con una Nazione-chiave, spaccata nel suo sostegno alle forze di ispirazione religiosa e nel suo desiderio di porre fine alla transizione.
La situazione egiziana allarma anche i mercati, poiché, nonostante il crollo del settore turistico causato dalla rivoluzione, l’Egitto è in fase di ripresa e adesso puntava in alto: passare dai 16 milioni di turisti del 2010 a 30 milioni entro il 2020, con due aree di intervento cruciali offerte per gli investimenti degli europei: far diventare il turismo più verde e sostenibile, tramite il solare termico e illuminazione a basso consumo, e lo sviluppo dell’area fra il Cairo e Assuan.
Per non parlare poi del fatto che sul fronte energia alcuni pionieri dell’Ue sono sbarcati da tempo nel paese dei faraoni: ed i primi ad avere ottenuto i permessi per produrre rinnovabili, anche se per uso “interno” al gruppo, sono stati gli italiani di Italgen, controllata del gigante Italcementi Spa.
Sono in molti in queste ore a ricordare che, probabilmente, alla luce dei fatti, la politica degli Occidentali (USA, Francia, Italia) contro i vecchi e stabili regimi criminali di Egitto, Libia, Tunisia e ancora prima contro quello di Saddam e ancora prima contro quello dello Scià, sia stata di grande superficialità ed ignoranza, in merito al modo di pensare delle masse nelle aree musulmane che, leggendo in modo letterale il Corano, sono convinte che avere amicizia e collaborazione con i Cristiani sia peccato, mentre Ebrei e idolatri sono considerati pericolosi nemici, possibilmente da cancellare.
La nuova Costituzione, proposta da Morsi ma su suggerimento dei Fratelli Mussulmani che ora gli ringhiano contro, non riconosce la supremazia del diritto internazionale sulle norme interne e non chiarisce come l’Egitto potrà rispettare gli impegni contenuti nei trattati internazionali sui diritti umani di cui è stato parte.
Inoltre, i principi della shari’a, negli articoli 2 e 219, sono definiti, come ai tempi di Mubarak, rispettivamente “fonti primarie della legge” (con gran disappunto dei salafiti, che volevano fossero le fonti “uniche”) e “regole fondamentali della giurisprudenza” e sebbene il Principio generale IV sancisca l’uguaglianza di fronte alla legge, l’applicazione dei principi della shari’a potrebbe rafforzare l’attuale discriminazione contro le donne in materia di matrimonio, divorzio e vita familiare.
Inoltre, a riprova del peso avuto dalla presenza delle forze armate nell’Assemblea costituente, l’art. 198 trascina nel futuro dell’Egitto quella vera e propria ferita del diritto costituita dai processi dei civili di fronte alle corti marziali: processi che erano stati all’ordine del giorno sotto Mubarak e persino di più, con oltre 12.000 casi, nell’anno e mezzo di transizione guidata dai militari del Consiglio supremo delle forze armate.
Dal 2011 l’Egitto è entrato in una lunga fase di trasformazione politico-istituzionale caratterizzata da grande incertezza ed instabilità. Nel giugno scorso Mohammed Morsi, rappresentante del movimento della Fratellanza Musulmana e membro del Partito di Libertà e Giustizia ad essa ispirato, è divenuto nuovo Presidente della Repubblica, con in mano il supremo comando delle forze armate (SCAF), con emanazione, ad agosto, di decreti per limitare il potere dei militari.
Per quanto riguarda il processo di democratizzazione, secondo il Democracy Index dell’Economist, il sistema politico-istituzionale dell’Egitto è considerato “Regime ibrido” ed occupa il 115° posto a livello mondiale, mentre l’evoluzione delle dinamiche istituzionali e politiche nell’ultimo anno e mezzo, ha influito significativamente sul contesto di business. Il rischio politico elevato influisce negativamente sul rischio-paese, anche se l’atteggiamento della leadership politica e militare del è quello di rassicurare gli investitori stranieri e stimolare lo sviluppo dei rapporti commerciali ed economici con il resto del mondo.
Inoltre, come sosteneva giorni fa l’esperto dell’area Uri Avnery, i 61enne Morsi (il suo nome per intero è Mohamed Morsi Isa al-Ayyad; Isa è la forma araba di Gesù, che nell’islam è considerato un profeta), anche se durante la recente crisi di Gaza tutti i ledear hanno confidato in lui, è solo un novizio e per di più in mala fede.
In effetti, guardando ai risultati, siamo più o meno esattamente al punto in cui eravamo prima: Hamas è rimasta con il suo stretto controllo della Striscia di Gaza, gli abitanti della stessa odiano Israele più di prima, molti abitanti della West Bank, che per tutta la guerra hanno dimostrato in migliaia a favore di Hamas, voteranno ancora in maggior numero per Hamas alle prossime elezioni e i votanti israeliani voteranno fra due mesi nel modo in cui avevano già pensato.
E non ci sentiamo, come vicini a questa polveriera, garantita dal fatto che “Al-Nur” (La-Luce) che, prima delle elezioni veniva considerato minoritario, debole, lontano dalla mentalità dell’egiziano medio, sia ora il secondo partito del Paese, né tranquillizzati dalle dichiarazioni dei salafiti che lo compongono che affermano che essendosi trasformati da movimento a partito politico giunto al potere, si sono ha ridefiniti i toni, rimettendo in discussione la loro natura estremista e, talvolta, violenta, che vorrebbe tornare ai primi secoli dell’Islam, giustificano lo scontro confessionale che si vive quasi quotidianamente nei villaggi delle sperdute periferie egiziane, come risultato dell’ignoranza dilagante, derivata da un sistema d’istruzione statale fatiscente. Proprio per questo, tra le priorità del partito, secondo le parole del leader Bassem Al-Zarqa, c’è la riforma dell’istruzione. Una riforma ancora da avviare mentre è già avviata una sanguinosa e crescente instabilità di fatti e di toni.
Carlo Di Stanislao
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