Gianni Furia, l’autore del brano che segue, è un nipote della sorella della mia nonna materna. Oggi vive nella zona di Boston, dove con tutta la famiglia emigrò negli anni ’50. Profughi dall’Africa poterono emigrare in tempi brevi usufruendo di una legge americana, il Mc Carran Act, che consentiva ai profughi di emigrare fuori quota.
Durante la guerra la famiglia Furia abitava a L’ Aquila con la famiglia, nelle case della banca d’Italia, zona via XX settembre.
Era a casa il giorno dell’Immacolata quando i tedeschi bombardarono la zecca. Ho trovato oggi nella mia email il suo ricordo di quella giornata. Una pagina di storia della nostra città.
Per me trovare questo brano è stata una forte emozione.
Sono nata alla fine del ‘40 ed i miei primi ricordi riguardano la guerra. Questa pagina così viva mi suscita immagini indimenticabili di persone e luoghi. Noi, la mia famiglia Fabrizi Medoro, abitavamo allora a casa Pannunzio, in via S. Francesco di Paola 17, sulla piazzetta dove c’era il garage Pacilli. Quando suonavano le sirene che annunciavano i bombardamenti correvamo giù per le scale e ci nascondevamo in cantina, una specie di grotta con la volta a botte, piena di carbone e legna, credendo di essere più al sicuro. Da grande ho sempre pensato che se le bombe avessero colpito la casa, saremmo stati sepolti da una mucchio di macerie più grosso e pesante.
Oggi ho sentito dire che quella casa è molto danneggiata per il sisma, è crollata la volta a botte della cucina grandissima, con il caminetto ed i fornelli a carbone rivestiti di mattonelle bianche, che stava in fondo al corridoio.
Gianni Furia, il giorno dell’Immacolata
Manca un’ora per 8 dicembre da voi, perché lo dico? E’ il giorno dell’ Immacolata e l’8 dicembre 1943 che ci fu il bombardamento degli alleati alla stazione ferroviaria dell’ Aquila. E’ una cosa che non posso dimenticare e ricordo tutti gli avvicendamenti e particolari come fossero oggi.
La mattina nostra Madre era andata in città per far la fila per assistenze per cibo, noi fratelli e sorelle eravamo a casa, ( assegnataci ad uno dei palazzi della Banca d’Italia, nelle vicinanze della stazione) essendo profughi.
Come spesso accadeva, quel giorno sentimmo il gran boato che facevano gli aerei alleati, carichi di bombe che però di solito passavano solo per altre destinazioni. Così uscimmo di casa a guardare gli aerei che molto alti passavano… sembravano molto lenti.
Era una giornata di sole e cielo blu, senza una nuvola.
Tanti aerei passavano ed all’ improvviso ecco che si vedono queste piccole bombe di colore nero che scendevano, senza rumore fino a che si sono avvicinate, allora scappammo in casa chiudendo le finestre con le persiane, ed in quel momento si cominciano a sentire gli scoppi, le finestre sradicate che volavano per la casa, cos’ pure i mobili e calcinacci. Noi ci eravamo rifugiati vicino le colonne perché nostra Madre ci diceva che era il posto più sicuro.
E’ inutile descrivere il terrore e paura.
Dopo poco fuori la strada si vedeva gente sopravvissuta che camminava per la strada in salita verso il centro della città, sporchi di sangue e polvere, alcuni senza scarpe. Alcune donne erano con un camice blu, penso che lavorassero alla zecca vicino la stazione.
Alla stazione vi erano treni con prigionieri alleati chiusi nei vagoni, molti morirono, altri con i vagoni rotti riuscirono a scappare e spesso furono nascosti da famiglie Cosa molto pericolosa perché se sorpresi sarebbero stati tutti arrestati e condotti ai campi di concentramento. Mia sorella andò qualche volta a portare cibi ad una famiglia che ospitavano un soldato inglese.
Questo e’ il ricordo dell’8 dicembre 1943.
B. notte…. Gianni
Gianni Furia ed Emanuela Medoro
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