I leader europei sono preoccupati e un’ondata di sarcasmo campeggia sui giornali stranieri: ”Il ritorno della mummia”, titola Liberation; per il Daily Beast ”Il joker e’ tornato” e il Financial Times avverte: ”Berlusconi non si fa scrupoli, fermatelo”.
Si dice amareggiato ed offeso l’oggetto di tanto sarcasmo che avverte che si è battuto e si batterà “per una Europa meno burocratica e più politica”, mentre il parlamento europeo Martin Schulz, da lui paragonato nel 2003 ad un kapò, definisce il suo ritorno come ”’il contrario della stabilita”’ e il presidente della Commissione Europea, Jose’ Manuel Barroso, evidenzia che: “in Europa si ha bisogno di un’Italia forte e stabile” e conclude: “ Monti ha dato un contributo eccezionale al dialogo europeo”.
A soli quattro giorni dal suo pimpante rientro Berlusconi fa di tutto: corteggia Renzi che gli risponde picche, come la Lega, che non gli da (con Zaia ed altri) certezze su future alleanze, oltre ad essere alle prese con una durissima polemica interna fra Alfano e Dell’Utri, che affonda le sue radici in un’intervista concessa domenica da quest’ultimo al quotidiano ”La Repubblica”, dove aveva detto che: ”La segreteria Alfano non e’ mai esistita e rincarato: “ Poveretto, non ha potuto cambiare niente, se siamo ridotti in questo stato e’ perché il partito e’ imploso, non si e’ rinnovato”.
Alfano ha replicato ieri dalle poltrone di ”Porta a porta” dove ha affermato: ”Molti dei guai del nostro partito derivano anche da soggetti come Dell’Utri ed aggiunto che questi: “e’ un povero disgraziato per quello che gli sta succedendo e parla a ruota libera facendo credere che le sue parole siano i pensieri di Berlusconi”.
Anche se da Oslo, dove era con altri rappresentanti per il Nobel a l’Europa, Mario Monti dichiara che non vi è ne vi sarà alcun vuoto istituzionale nel Paese, segnali di slavine iniziali già vengono dall’affossamento, anzi dal vero e proprio de profundis suonato al taglio degli enti locali, arrivato ieri sera in commissione Affari costituzionali del Senato, quando i presenti hanno preso atto, all’unanimità, dell’impossibilità di proseguire, tra i tanti emendamenti (140) e il poco tempo a disposizione, votando per l’affondamento del decreto, con i due ministri presenti, Filippo Patroni Griffi e Piero Giarda, a cui non è rimasto che incassare il cocente fallimento e lo scatenamento, da subito, della fiera delle responsabilità, che non cambia la sostanza dei fatti: il Parlamento e il governo non sono riusciti a portare avanti il progetto di spending review, una grave sconfitta per i “tecnici” che, a parte i primi cento giorni, quando hanno portato in porto la riforma del sistema previdenziale, hanno perso ogni altra occasione per cambiare il volto del Paese.
Inoltre, anche se Berlusconi dichiara che lo spread non significa nulla, gli investitori rimangono con il fiato sospeso fino giovedì, nell’attesa del risultato delle emissioni di titoli di Stato italiani per un valore di 10 miliardi.
Ieri lo spread è salito a 359, per poi scendere a 350, comunque 30 punti sopra i livelli che precedevano il ritorno in campo del Cavaliere e la sfiducia Pdl al governo.
C’è da dire, come scrive Quotidianonet, che lo stato di incertezza degli investitori si deve anche al fatto che l’eventuale coppia alternativa a Berlusconi, cioè Bersani-Vendola, non solo non è gradita a Stati Uniti, Vaticano e partner europei, ma non pare offrire sufficienti garanzie sull’applicazione di riforme pesanti e strutturali.
Sapendo questo, ieri Bersani, con una lunga intervista al giornale conservatore della borghesia finanziaria, il Wall Street Journal, ha cercato di rassicurare i mercati sulla solidità del Pd e sulla affidabilità del suo futuro governo, nonché sul fatto che il suo governo rispetterà tutti gli impegni europei e che non cambierà le misure economiche del governo Monti.
Preso poi da una sorta di megalomania, ha anche dichiarato che senza il PD l’Italia sarebbe un problema per il mondo, specificando che è sua intenzione realizzare una coalizione moderata con Casini e Montezemolo, cosa che certamente ha mandato in fibrillazione Vendola ed il suo gruppo, anche perché il segretario e vincitore delle primarie, ha aggiunto che il suo partito non è la vecchia Unione di Prodi e per non lasciare equivoci, pure che Vendola non avrà voce in capitolo, concludendo che: “la discussione sull’articolo 18 è ormai un capitolo chiuso”.
Per essere ancora più convincente ha parlato anche di Matteo Renzi, dichiarando che punta a un “mix di personalità con grande esperienza, a giovani che hanno già mostrato il loro valore sul campo” e che chiederà a Renzi “di essere più coinvolto nel dibattito interno al partito”.
Insomma la caccia al voto moderato è già partito ed è questo il nodo centrale nella testa dei due competitori nelle prossime elezioni che dovrebbero avvenire a febbraio. Quanto al resto (lavoro, sanità, scuola, giovani) si provvederà, forse, solo dopo.
E anche se l’ultimo rapporto appena pubblicato dal Censis, ci dice che cresce la sfiducia degli italiani nell’attuale sistema di welfare, con l’86% che sostiene che debba essere assolutamente cambiato per rispondere meglio ai nuovi bisogni di protezione,come la non autosufficienza e il non lavoro è ancora sono ancora gli spettri fra i giovani dai 18 ai 34 anni risulta, con il 37% di essi3 che è precario il 29,2% che ha perso l’occupazione ed 33,6% è che è disoccupato di lunga durata; si continuano a promettere da tutte le parti ricette e soluzioni solo teoriche, ma nessuna concreta strategia, né da destra né da sinistra.
I dati del rapporto 2012 ci dicono anche che ci si affida sempre più a “vendita di oro e di altri oggetti preziosi (circa 2,5 milioni di famiglie lo hanno fatto negli ultimi due anni), vendita di mobili e/o opere d’arte (oltre 300.000 famiglie), tagli ai consumi (l’85% delle famiglie ha eliminato sprechi ed eccessi e il 73% va a caccia di offerte e alimenti meno costosi)”, oltre alla messa in circuito del patrimonio immobiliare, affittando alloggi non utilizzati o trasformando il proprio in un piccolo bed & breakfast (nelle grandi citta’, con oltre 250.000 abitanti, lo ha fatto il 2,5% delle famiglie)”.
Nella sanità, poi, il 62% dei concittadini ritiene che le manovre di finanza pubblica producano “tagli ai servizi e riduzione della loro qualità, piuttosto che eliminazione degli sprechi e razionalizzazione delle spese”. Così, le “mutue sanitarie integrative “coinvolgono attualmente oltre 6 milioni di iscritti e più di 11 milioni di beneficiari. Si va quindi delineando un nuovo e più articolato welfare, che “nasce dalle reazioni alle difficoltà della crisi, ma che e’ anche l’espressione di un riposizionamento dei soggetti destinato a consolidarsi nel tempo”.
Insomma l’Italia è più povera e più impaurita e fra la promessa di severità di Bersani o di un futuro detassato e felice di Berlusconi, quasi certamente sceglierà il secondo, dimenticandosi che è stato proprio questo a generare le condizioni in cui viviamo da quasi 20 anni.
A guardare freddamente i dati, la situazione e’ molto difficile:, con un terzo di italiani a rischio povertà ed esclusione ed una diffusa difficoltà di famiglie che non riescono a far fronte ad una spesa improvvisa e neppure a riscaldare adeguatamente il proprio appartamento.
Un’Italia in cui si è ridisegnata la categoria di povertà, che non significa più essere senza tetto, ma senza la possibilità di una vita serena e con prospettive.
E, a parte le promesse elettorali che certamente si moltiplicheranno in questi giorni, da monito deve servirci il fatto che, dopo le dichiarazioni di Patroni Griffi sulla impossibilità di stabilizzare i quasi 300.000 contrattisti che ancora reggono ciò che resta di scuola e sanità, tutti i partiti se nesono stati zitti, non sapendo cosa proporre o cosa argomentare.
Molte delle patologie della democrazia italiana degli ultimi venti anni – dall’assenza di competizione interna ai partiti dalla corruzione più o meno diffusa, dalla scarsa efficacia del processo decisionale all’esplosione della spesa pubblica regionale – sono la conseguenza di riforme istituzionali non fatte o rinviate e, come si vede, molte riforme sono state solo promesse ma non fatte neanche dal governo dei tecnici.
Il funzionamento del mercato del lavoro, del welfare e del sistema d’istruzione scolastica ed universitaria, lungi dal contrastare le diseguaglianze, le ha alimentate: la Seconda Repubblica ha fallito nell’unica vera missione dello Stato contemporaneo, la valorizzazione continua del capitale umano.
Ne sono prova i bassi tassi di occupazione (soprattutto femminile), la disoccupazione di lungo periodo, la natalità stentata, l’emigrazione di studenti e lavoratori qualificati, l’incapacità di attrarre talenti stranieri, la produttività zoppicante.
Ed ora i protagonisti del fallimento, a destra e da sinistra, chiamano il popolo a credere ancora in loro, sperando nella memoria corta di ciascuno.
Naturalmente con questo non intendo alimentare né l’antipolitica del non voto né il populismo di un voto di protesta all’insegna della differenza.
Intendo invece dire che dovremo avere occhi ben aperti e dare il nostro sostegno a chi ci presenterà piani concreti in cui sarà altrettanto cruciale sventare il default del sistema formativo, ridefinire il perimetro e le funzioni degli ammortizzatori sociali per orientarli ai nuovi veri bisogni, che evitare la bancarotta delle finanze pubbliche, per far si che la crisi non metta radici ancora più profonde nella nostra società.
Bisognerà infine che siano sostenuti quei programmi che si occupano concretamente dei giovani, attraverso cui superare lo stato attuale, ben descritto da Mario Seminerio ne “La cura letale”, quando dice: “la condizione lavorativa dei giovani laureati è sempre più simile a quella dei non laureati. La prospettiva di impieghi sottoqualificati e sottoretribuiti rispetto all’investimento in capitale umano compiuto dalle famiglie è un potente disincentivo a proseguire il percorso formativo”.
Da cittadino ho molto chiare le urgenze da risolvere e da elettore darò il mio voto a chi mi convincerà che mette in campo strumenti concreti per risolverli con sacrifici equamente diffusi.
Carlo Di Stanislao
Certo che tutti questi giornali e “statisti” europei che si preoccupano del bene degli italiani mi lasciano perplesso. Non hanno fatto fallire la Grecia per non far rimettere i soldi ai cittadini tedeschi e inglesi (anche da loro le banche non pagano mai) per poi ridurre ugualmente il popolo greco alla fame. E così hanno fatto con l’Italia, anzi grazie al loro “uomo” M.M. hanno avuto un anno di tempo per ridurre l’esposizione di BOT e CCT del nostro paese così in caso di default chi pagherà sarà il ceto medio (italiano) che ha investito i suoi risparmi in buoni postali e bot.