Mentre in Italia i moderati lo tirano per la giacca, Mario Monti appare a sorpresa al vertice del Ppe e proprio nel giorno in cui è atteso anche Silvio Berlusconi, spiega che ha accettato l’invito del presidente dei popolari europei Wilfried Martens, per illustrare il caso Italia e i motivi che lo hanno spinto a preannunciare le dimissioni.
Il gesto appare più che politico, anche se il professore ancora una volta non si sbilancia, con l’Europa tutta che lo reclama a gran voce: lo vuole la Francia socialista di Francois Hollande e la stessa cancelliera Angela Merkel si sarebbe spinta fino a chiedergli personalmente di candidarsi.
Per rassicurare Europa e mercati, Monti dichiara che l’Italia è e resterà europeista e non smentisce un suo possibile impegno futuro, con Elmar Brok, influente eurodeputato della Cdu, che appena lasciato il pre-vertice dichiara: “Abbiamo detto chiaramente a Monti che ci piacerebbe vedere la sua candidatura e abbiamo avuto un buon feeling”, facendo intendere che il professore è pronto a restare in campo.
Arriva a Bruxelles, dove l’atteso summit europeo passa in secondo piano e la scena e’ tutta per l’Italia, anche Silvio Berlusconi, anche lui – dice – per “candidare” Monti, pronto a fare un passo indietro se il Professore accetterà di essere il punto di riferimento dei moderati, che con lui, da Casini a Montezemolo, superando qualche “difficoltà” con la Lega (che si può far ragionare, dice il Cavaliere mentre quasi in contemporanea da Roma Maroni lo gela) potranno vincere e bloccare il temuto governo delle sinistre.
Anche se condivise nelle intenzioni, le sue parole non convincono però né frau Angela che – dopo le prese di posizione di Berlino dei giorni scorsi, anche per i timori di una deriva antitedesca – ha ormai puntato le sue carte su Monti, malgrado Berlino, ufficialmente, ribadisce di non voler entrare negli affari interni di politica italiana; né Martens, che è contro ogni politica “antieuropeista e populista”.
E non si lascia convincere Francois Hollande, che elogia Monti come “l’uomo che ha fatto rialzare l’Italia”.
Nel corso della riunione dei capi di Stato e di governo del Ppe, tenutasi con un pranzo presso l’Accademia reale delle Scienze, il primo ministro del Lussemburgo e presidente dell’Eurogruppo Jean-Claude, ha dichiarato che a Monti è stato dato “ampio sostegno”, mentre il premier olandese Mark Rutte, lasciando la riunione, taglia corto: “è chiaro che il Ppe supporta Mario Monti e non Silvio Berlusconi”.
Ieri, nella sala dai soffitti dorati e con pareti di marmo purpureo, che contrastano con gli stucchi creando un atmosfera un po’ cimiteriale, Wilfried Martens, la vecchia volpe della politica fiamminga, ora presidente del Partito Popolare europeo, ha messo in scena il requiem per Berlusconi e la cantata solenne di riconoscimento del continente per Monti.
Il professore è stato accolto con sorrisi e messo al centro della scena, pur non essendo un politico ma solo un invitato, mentre Silvio Berlusconi (queste cose contano più delle parole), relegato in un angolo, fra i segretari dei partiti, lontanissimo dal cuore del potere composto da Barroso, Van Rompuy e, soprattutto, Frau Merkel che, con giacca grigia e colletto di velluto nero, dice che apprezza “ gli sforzi che ha fatto il governo Monti” e ricorda che con il cavaliere ha avuto delle divergenze di punti di vista sul ruolo della Bce, concludendo laconica: “le sue posizioni sono diverse dalla mia”.
La replica di Berlusconi se possibile aggrava le cose, quando afferma che lui non ce l’ho con la Germania, ma chiarisce che: “deve finire questa storia che loro hanno i tassi bassi e gli altri no; bisogna fare in modo che la Bce possa intervenire per aiutare gli stati e non si limiti alla politica dei tassi”. Uno sfregio per Berlino, indigesto anche per Monti, che chiude la questione ringraziando Berlusconi per le parole di apprezzamento, e rammenta, per stemperare i toni e spostare l’argomento, che nel 1999 gli avevano chiesto un parere sull’ingresso di Forza Italia nel Ppe e lui lo aveva dato positivo.
Dopo il caffè Martens congeda tutti ma torna a dire che se Monti sparisse dalla politica “sarebbe una grave perdita per tutti”, frase certo non di circostanza e di cui ora sia Berlusconi che Bersani che Monti, dovranno tenere conto.
Ieri sera a Servizio Pubblico, Marco Travaglio ha comunque chiuso il suo intervento dicendo che Berlusconi: “Un anno fa era politicamente defunto, ora potrebbe essere di nuovo decisivo perché continuano a dialogare con lui“ ed aggiunto una citazione di Cecchi Gori che Del Cav parlò così:”Se gli dai un dito lui ti prende il culo“.
Nel presentare poi il suo ultimo libro “Lo stato Montificio” , il giornalista de Il Fatto Quotidiano ha però ricordato a noi tutti, che anche con il governo dei “tecnici” non è venuta meno la pratica politica di annunciare riforme epocali che poi non trovano la luce. Nei tempi passati, all’annuncio del governo faceva da contrappunto una notazione delle opposizioni: non si può fare, numeri in libertà, ipotesi risibile. Da quando invece al potere ci sono i “tecnici” sostenuti da una maggioranza bipartisan di difficile definizione (Pdl-Pd-Udc-Fli), la dichiarazione resta nei titoloni dei giornali, senza il controcanto di nessuno e soprattutto senza nessuna vera attuazione.
Così, a parte le pensioni, niente altro si è fatto in tema di revisione della spesa e miglioramento del servizio pubblico.
Anche ieri Marco Palombi su Il Fatto Quotidiano, ci ha informato che a sette giorni di lavoro parlamentare, alla fine della legislatura, le Camere procedono a passo di carica per passare (ieri), con la solita fiducia e senza nemmeno un emendamento, il dl Sviluppo in cui si prorogano le concessioni sulle spiagge fino al 2020 e infilano nel decreto stabilità nuove norme sulla tassa sulle transazioni finanziarie (Ttf), che secondo un ordine del giorno approvato alla Camera dovrebbe applicarsi proprio ad ogni transazione, compresi quegli strumenti derivati che riempiono le pance delle nostre banche; ma, secondo il progetto illustrato dal governo in Senato nelle riunioni di questi giorni (l’ultima l’11 sera), la Ttf deve essere corretta proprio per escludere i derivati – con l’eccezione di quelli azionari, le briciole – e salvaguardare in generale le operazioni degli istituti di credito.
E questa esenzione non dichiarata dalla tassa sulle transazioni finanziarie non è l’unico regalo che l’esecutivo in uscita fa alle banche: sempre nel ddl stabilità finiranno infatti anche i cosiddetti Monti bond, i 3,9 miliardi che il governo presterà al Monte dei Paschi di Siena accettando di farsi rimborsare gli interessi, in caso di insolvenza, con nuovi titoli di debito a carico dello Stato. Usciti dal decreto Sviluppo per una questione procedurale, finiti in un testo ad hoc (il “salva-infrazioni” ) che non ha nessuna speranza di essere approvato in tempo, ora entrano in una legge che è obbligatorio approvare.
A due mesi, poi, dalle elezioni, non si capisce nulla su schieramenti e candidati, per non parlare poi dei programmi.
Bersani dice che farà le primarie per le liste appena dopo le feste, Casini continua ad inseguire Fini e Montezemolo, che si svincola ma non sa dove andare; Di Pietro urla che è solo lui la vera opposizione, spera in Grillo (che intanto defenestra due dei suoi), ma fa gli occhi dolci a Bersani; gli ex colonnelli di An sperano che il Pdl possa reggere; Dell’Utri di essere nuovamente candidato in barba alle sentenze e al rigore preteso da Alfano; mentre la Meloni, mestamente, cerca casa.
E sarà perché vedo il cinema dovunque, mi viene in mente l’affabile, cinico custode di cimitero, interpretato da un Gassman che fa il verso a un povero samurai, di “Mortacci”, diretto da Sergio Citti nel 1988 e, nella fantasia, quel ruolo mi pare adattissimo a Mario Monti e quella farsa amara e grottesca, perfetta a rappresentarci, in questi miseri e drammatici tempi.
Carlo Di Stanislao
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