Era il Natale del 90,un’aria festosa si respirava in paese, in città ed al tepore delle case; Diego il mio figlio più grande aveva solo 9 mesi . Una copiosa nevicata, la settimana prima, aveva interessata tutta l’Alta Valle dell’Aterno. Cabbia – una frazione del Comune di Montereale, mio paese d’origine in cui ho vissuto fino a nove anni – sembrava un presepe la coltre bianca superava abbondantemente gli 80 cm. C’erano dei punti in cui la beferina* ne aveva ammucchiata oltre un metro. Una calma irreale, rotta dal rumore del torrente , dominava tutta la vallata; le luci arancioni dei lampioni che riflettevano il candore della neve davano a quel mugolo di case un senso di pace e di mistero. Volevo portare a tutti i costi mio figlio, nel suo primo anno di vita, a trascorrere il Natale e Capodanno in quella casa nuova che, in uno spirito di collaborazione e di unità familiare, avevo costruito con i miei fratelli la buonanima di mio padre e mia madre. Ero tornato con i miei fratelli da Roma qualche giorno prima per aprire la strada, che appariva operazione impossibile , e riscaldare la casa . Il giovedì antecedente chiamai il Comune che gentilmente mandò un mezzo spazzaneve il quale fece un ottimo lavoro ma aggravò la situazione poiché lo strato che rimase – con il peso del mezzo e le temperature bassissime della notte – diventò una lastra di ghiaccio che sembrava un vetro. Il tutto era reso ancor più problematico dal fatto che la strada è molto scoscesa e con il ghiaccio era di una pericolosità unica. Solo una cosa rimaneva da fare , trovare un po’ di gente che, badili alla mano, rimuovessero quello strato pericoloso . Non ci perdemmo d’animo il giorno successivo , verso le 9 di mattina una squadra di amici erano pronti a pulire fino in fondo la strada. Andammo avanti fino ad ora di pranzo quando arrivati alla porta di casa la aprì e la prima cosa che feci fu di accendere il camino preparato precedentemente. Un po’ di carta un accendino e quella casa, nonostante la temperatura bassa che all’interno era di 3°, tornava a vivere; immediatamente dopo accesi i termosifoni regolati dal termostato a 20 gradi. Un bicchierino di grappa e stretti intorno al fuoco poche chiacchiere davano già quella sensazione di gioia di casa nuova pronta ad essere vissuta per almeno una decina di giorni nella serenità delle feste di Natale e fine anno che in montagna, si sa, sono molto più sentite. In serata ripartimmo per Roma felici di aver fatto una bella cosa e sperando che nei tre giorni successivi non nevicasse di nuovo. Chiamavo in continuazione per sincerarmi delle condizioni metereologiche e, trascorsa la notte di Natale al lavoro, la mattina di buon’ora partì per Cabbia. Arrivai senza problemi verso le 11 ed aperte la porta di casa mi raggiunse un magico tepore che strideva con il freddo clima circostante. Era iniziato il mio primo Natale in montagna allietato dalla meravigliosa , preziosa ed affettuosa presenza di Diego che con il suo candido sorriso, confuso con la neve, sembrava volesse ringraziare i nostri amici di tanta disponibilità e collaborazione, incurante di tanto lavoro per giungere a casa. Accesi nuovamente il camino mentre Maria, mia moglie, si prodigava nella preparazione del pranzo. Il sole brillava alto nel cielo di un blu intenso e rifletteva il chiarore abbagliante della neve che non si poteva guardare senza occhiali da sole; trascorsero le ore, arrivò la sera . Il freddo si fece ancor più pungente, in casa tra camino e termosifoni accesi si stava davvero bene. In piazza ancora ardeva il fuoco di Natale, acceso la sera della vigilia, che la nostra tradizione vuole serva a riscaldare il Bambinello appena nato ed il fumo svettava alto verso il cielo mentre capannelli di genti festanti discutevano tra loro. Passarono i giorni a casa della “ LA CAIA” si stava sempre meglio. Mi alzavo presto al mattino – toglievo la cenere dal camino, ricomponevo di nuovo il fuoco mentre risaliva il caffè esso, per autocombustione, partiva da solo e lo degustavo di fronte alla fiamma luminosa e scoppiettante – al primo chiarore appariva il G. Sasso illuminato dal sole in tutta la sua maestosa bellezza; i rami degli alberi ricamati sembravano mostrare tutto il loro splendore, i merli fuoriuscivano dalle siepi, suo ricovero notturno, ed il loro colore nero strideva con il chiarore della neve; passeri e pettirossi avevano divorate le molliche che gli avevo messe in un angolo più riparato. Nelle ore più miti verso mezzogiorno abbracciavo Diego tutto imbacuccato e lo portavo a fare due passi in quell’incanto, invernale, della natura. La sera saliva sempre qualche amico, organizzavamo delle cenette annaffiate da un buon vino che allora facevo io, ed uno dei miei più cari amici, zi Valerio, non riusciva ad accattivarsi la simpatia di Diego:alla sua vista si girava dall’altra parte ed iniziava a piangere. Una sera accadde che avevamo aperto un panettone ed il caso volle stesse davanti a lui, il bebè preso dalla voglia o dalla curiosità di quel dolce di Natale si lanciò senza esitazione tra le sue braccia, erano diventati amici. I giorni successivi alla sua vista il piccolo sorrideva e gli andava volentieri in braccio. Da quel Natale del lontano 1990 Diego è amico di zì Valerio – ormai in età avanzata – e come tutti noi di famiglia lo stima , lo rispetta, gli vuole bene. Così scorreva la vita di allora. Buon Natale!
Nando Giammarini
un racconto delizioso, che ci porta con il ricordo ai Natali trascorsi e sembra quasi di sentire il profumo del camino e il chiacchiericcio intorno al fuoco. Un nostalgico grazie e un caloroso augurio di buon Natale