La strage degli innocenti continua

Non ci siamo ancora ripresi dalla barbara uccisione di 20 bambini nel Connectictut che un’altra agghiacciante notizia ci attanaglia mentre cerchiamo di entrare in un clima natalizio. Ieri, nella provincia di Nangarhar, nell’Afganistan orientale, una esplosione ha ucciso oggi 10 bambine tra i 9 e gli 11 anni, senza che si sappia ancora se le […]

Non ci siamo ancora ripresi dalla barbara uccisione di 20 bambini nel Connectictut che un’altra agghiacciante notizia ci attanaglia mentre cerchiamo di entrare in un clima natalizio.
Ieri, nella provincia di Nangarhar, nell’Afganistan orientale, una esplosione ha ucciso oggi 10 bambine tra i 9 e gli 11 anni, senza che si sappia ancora se le bimbe, uscite dal loro villaggio per raccogliere legna da ardere, siano state vittime di una bamba talebana o di una mina, ma certamente innocenti di una guerra che dura ormai da 11 anni e che non ha altro che vinti.
Quattro giorni fa, il portavoce del Dipartimento alla Difesa Usa, George Little, ha affermando che lo stesso giorno si è verificato attentato con autobomba vicino all’aeroporto di Kandahar dove, poco prima dell’incidente, era transitato il segretario alla Difesa Usa, Leon Panetta.
Il 3 dicembre, invece, un reparto misto dell’esercito afghano e della Forza internazionale di assistenza alla sicurezza (Isaf) ha condotto una operazione nella provincia orientale afghana di Kunar, che ha portato all’uccisione del leader talebano Mohammed Yar Gul e di due suoi uomini.
Come ha scritto Ennio Remondino su www.globalist.it., quando fu assegnato il Nobel per la Pace 2009 a Barak Obama, fu una sorpresa per tutti e furono perplessità per molti. Tre anni dopo possiamo dire che le sue prestazioni di pace non hanno esaltato il mondo. A fare confronti con tempi vicini, la Pace praticata da Obama non pare molto superiore a quelli di Bush padre, di Clinton, di Bush Jr. Nessuna guerra iniziata da George W. Bush è finita con la presidenza Obama ed anzi, in più, vi è stato l’intervento della Nato in Libia, per non parlare del campo di prigionia di Guantanamo Bay, a Cuba, che resiste alle promesse di smantellamento.
Fallimentare anche, dicono in molti, la politica dello status quo in Afganistan e del risultato in Iraq, tutt’altro che messo in sicurezza, al’interno di una politica estera definita da alcuni disastrosa, con difficoltà con la Cina e presa sempre minore sui paesi de l’America Latina e de L’Africa a seguito del risveglio arabo. Recitano i mantra della “massima economia mondiale” di fatto gli USA stanno precipitando in un inesorabile declino, con il 16% della popolazione in miseria e alla fame mentre l’1% vive nell’opulenza e nutrendosi di speculazione.
Tornando comunque all’Afganistan, nel Paese c’è crescente preoccupazione in vista del ritiro della maggior parte dei soldati del contingente internazionale previsto per la fine del 2014.
I due pericoli più concreti, una volta che le forze Nato si saranno ritirate, sono lo scoppio di una guerra civile tra le diverse fazioni in cui è diviso l’Afghanistan e la riconquista dei centri nevralgici del Paese da parte dei talebani. Modalità di fatto già viste in Iraq, dove impazzano ancora gli attentati e gli scontri fra opposte fazioni.
Recentemente l’Unicef ha gettato l’allarme sulla condizione di estremo pericolo per i bambini di quel Paese, dove guerra, insicurezza e tracollo economico hanno generato gravissime privazioni per l’infanzia, con solo 1 bambino su 3 ha accesso all’acqua potabile e 800.000 non possono frequentare una scuola.

l’Iraq è anche divenuto il paese che ha il record mondiale di cittadini rifugiati all’estero (oltre 2 milioni tra Siria e Giordania), cui si aggiungono 1,3 milioni di sfollati interni. Ogni mese, in media, 25.000 bambini si aggiungono a questa immensa folla di persone bisognose di tutto, per le quali gli aiuti umanitari sono diventati indispensabili alla sopravvivenza.
Quanto allo scenario Afgano, iniziata contro Bin Laden e i talebani, la guerra si è poi allargata, come prevedibile, su un fronte molto più ampio. Da molto tempo si parla di Af-Pak, cioè del fatto che questo conflitto è esteso al Pakistan e Islamabad non ha nessuna intenzione di porvi fine senza una contropartita.
I militari, e di conseguenza anche il governo dei civili salito al potere dopo la caduta del generale Musharraf, ritengono che l’Afghanistan faccia parte della “profondità strategica” del Pakistan, impegnato dai tempi della partizione britannica nel 1947 in un duro confronto con l’India.
Sicché, dopo 11 anni e in previsione, fra tre, di una uscita, la situazione interna ed internazionale nell’area è ancora più caotica e pericolosa che prima.
Pochi giorni fa, l’8 dicembre, un rapporto inviato dal Dipartimento di Stato americano all’Onu, informava che oltre 200 adolescenti afghani sono stati detenuti dalle forze Usa in una prigione militare in Afghanistan, ragazzi catturati nel 2008, tenuti prigionieri per circa un anno nella base aerea di Bagram, in quanto classificati come “combattenti nemici”.
Secondo i dati Unicef, solo nel 2010, in Afganistan 1.282 bambini sono stati uccisi o gravemente feriti e la cifra è fortemente lievitata negli ultimi due anni. Sempre stando ai dati Unicef, nel 2011, sono stati uccisi o feriti 4,8 bambini al giorno e 316 tra bambini e ragazzi sotto i 18 anni di età sono stati reclutati dalle parti in conflitto.
Ad aprile, poi, si è letto che, sempre più bambini vengono costretti a una vita di abusi, sfruttati dai ricchi afgani come schiavi sessuali, vestiti da donne per danzare nelle feste per soli uomini, ma il fenomeno, noto come bacha bazi (bambini ballerini) viene totalmente ignorato da governo e partner occidentali. E’ quanto hanno denunciato ricercatori afgani e funzionari occidentali al Washington Post, che è riuscito a intervistare anche alcuni uomini che ricorrono ai ‘bacha bazi’.
Il giorno dopo la strage, nel suo discorso a Newtown, Obama ha detto che sulle armi è ora di cambiare, ma avremmo voluto sentirlo dire che su ogni forma di violenza occorre porre la parola fine.
Se all’indomani della strage di Aurora aveva fatto capire di voler intervenire sulla regolamentazione delle armi da fuoco, Obama, adesso appare determinato a intraprendere un’azione capace di “cambiare” il rapporto che l’America ha con trecento milioni di armi in circolazione.
E speriamo che sappia cambiare anche l’idea del “bastone” che la stessa Nazione,da sempre, ha nei confronti del mondo, incentrando una politica di vero dialogo che sappia rinoscere e concigliare le differenze in ogni diverso continente.
Parlando di violenza e di stragi, corre l’obbligo ricordare un’altra mattanza che prosegue fra molti moniti e nessun fatto concreto, quella del femminicidio che, le deputate Bongiorno (Fli) e Carfagna (Pdl) sostengono di voler fermare con un ddl che è la proposta di modifica di alcuni articoli del codice penale per dare l’ergastolo a chi uccide “in reazione a un’offesa all’onore proprio o della famiglia” (chiedendo di introdurre l’aggravante negli omicidi a seguito di maltrattamenti (che già c’è, ed è stato introdotto a ottobre con la ratifica della Convezione di Lanzarote) e introducendo il matrimonio forzato (che costituirebbe un ulteriore grosso problema come ha ricordato a novembre 2011 e un anno dopo su Il Manifesto Luisa Betti).
Nel mondo 140 milioni di donne hanno subito qualche forma di violenza (una su tre), che è anche la prima causa di morte o invalidità tra i 16 e i 44 anni, e ogni anno vengono stuprate 150 milioni di bambine, mentre in Italia 7 milioni di donne tra i 16 e i 70 anni hanno subito nella vita almeno un tipo di violenza. Eppure una delle emergenze più forti rimane, qui da noi, la violenza domestica che compone l’85% della violenza nel suo totale.
Il governo italiano è stato ripreso più volte dalle Nazioni Unite – con le raccomandazioni Cedaw (Committee on the Elimination of Discrimination against Women) e quelle della special rapporteur dell’Onu, Rashida Manjoo – ma non ha alzato un dito neanche a fronte di scadenze (entro fine dicembre di quest’anno) che riguardano le richieste urgenti dell’Onu e che sono: “trovare il modo di finanziare stabilmente i centri antiviolenza, monitorare l’applicazione della 154/2001 (provvedimento che dispone l’allontanamento con cui il giudice prescrive all’imputato di lasciare immediatamente la casa familiare), aprire un’inchiesta per verificare se sussista una responsabilità in tutti quei casi in cui la donna è stata uccisa da una persona nei cui confronti aveva già sporto una o più denunce” – come dice Barbara Spinelli, avvocata Piattaforma Cedaw.
Un mese fa, la ministra di Giustizia Paola Severino, ha riconosciuto la natura culturale della violenza sulla donne, riconoscendolo come fenomeno trasversale che avviene sia nei Paesi ricchi che in quelli poveri: “Il problema sociologico della violenza sulle donne – ha osservato Severino – non riguarda le donne, visto che tutte le fasce di donne sono colpite, ma riguarda la cultura degli uomini, una cultura che si radica nel senso del possesso.
E’ questo, forse, il primo passo da fare, in Italia e nel resto del mondo, per creare una vera cultura della non violenza che freni, davvero, ogni nuova strage degli innocenti, in luoghi remoti ed in guerra, ma anche nei cosiddetti paesi civili dove donne e bambini sono troppo spesso massacrati.
“La donna che sbatteva nelle porte” è il titolo di un libro sulle violenze, ma anche ciò che Asl 6 e Procura della Repubblica di Livorno sperano di non sentire più pronunciare da chi è vittima di violenze, dopo la firma din un esemplare protocollo d’intesa tra sanità e giustizia, che istituisce una task-force contro i soprusi per le fasce più deboli, composto da un gruppo di lavoro formato da medici, infermieri, forze dell’ordine, volontari e magistrati, con la creazione di un “percorso rosa”, a tutela delle vittime di violenze che vede protagonisti non solo il personale sanitario, ma anche assistenti sociali e le forze dell’ordine competenti sull’intervento.
Ad ottobre, l’ONU ha diramato dati agghiaccianti, che ci dicono che sono 150 milioni le ragazze che nel mondo subiscono violenza sessuale, 10 milioni sono spose bambine e, in Italia dei 5000 minori vittime di violenza l’80% sono femmine.
In occasione della prima giornata modiale per le bambine e le ragazze, svoltasi l’11 ottobre, e a pochi giorni dall’approvazione del regolamento del Garante dell’Infanzia e dell’Adolescenza, che permette finalmente all’organismo che tutela i più piccoli di entrare in funzione, Terre des Hommes (http://www.terredeshommes.it/), ha presentato i dossier “La condizione delle bambine e ragazze nel mondo” e “Cronache bambine”, lanciando la campagna “InDifesa”, per la protezione e la tutela dei diritti delle piccole donne in Italia e nel mondo.
Dai documenti si stima che ogni anno, a livello mondiale, tra i 133 e i 275 milioni di maschi assistano a violenze familiari e lo sfruttamento di minori tra prostituzione, pornografia infantile e attività simili riguarda circa 1 milione di vittime. Nel mondo più povero, inoltre, le bambine sono esposte più dei maschi alla malnutrizione e all’anemia che ne compromettono il corretto sviluppo. Di contro, nei Paesi più industrializzati, sono le più colpite da disturbi dell’alimentazione come anoressia e bulimia (90% dei casi). Ma il momento critico che condiziona la vita di una bambina per sempre è quello legato al proseguimento degli studi, e sono ancora troppe le ragazze che non hanno accesso all’istruzione secondaria e finiscono per essere sfruttate come piccole schiave in lavori pesanti, o per sposarsi precocemente. In Africa sub sahariana questo dato è particolarmente alto: solo il 27% delle bambine prosegue oltre le elementari. Nel mondo, quasi 88 milioni di bambine sono oggi costrette a lavorare, metà delle quali in impieghi pericolosi e/o pesanti.
Da poco, la ministra del Lavoro, delle politiche sociale e delle pari opportunità Elsa Fornero, ha inoltre firmato la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza sulle donne e la violenza domestica, documento che rappresenta il primo strumento giuridicamente vincolante per gli Stati in materia di violenza sulla popolazione femminile: la violenza sulle donne è infatti qui riconosciuta come una violazione dei diritti umani e una forma di discriminazione ma è ancora, davvero, troppo poco.

Carlo Di Stanislao

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