Canto di Natale in nero

Il peggior Natale degli ultimi dieci anni secondo Consob, con italiani in affanno che riducono i consumi, comprano meno regali, non fanno cenoni e non si concedono vacanze, in un Paese con una pressione fiscale al 45%, con la disoccupazione giunta quasi al 12, con più di un giovane su tre disoccupato ed un Pil […]

Il peggior Natale degli ultimi dieci anni secondo Consob, con italiani in affanno che riducono i consumi, comprano meno regali, non fanno cenoni e non si concedono vacanze, in un Paese con una pressione fiscale al 45%, con la disoccupazione giunta quasi al 12, con più di un giovane su tre disoccupato ed un Pil di segno negativo, che non accenna a riprendersi.

E se Berlusconi, in questo Natale, con la sentenza depositata in tribunale circa la separazione, tecnicamente non consensuale, da Veronica Lario, deve a questa 3 milioni di euro al mese, più Villa Belvedere, valore catastale di 78 milioni; molto di più pesano i rincari a pioggia (alimentari e beni di consumo) sulle tasche di quei pensionati, il 50% del totale, che possono contare su mille euro o anche meno e che non sanno più non come giungere a fine mese, ma come arrivare anche solo alla metà.

Per non parlare, poi, delle tasche di quelli (più di 4 milioni) in attesa di una occupazione, con 500.000 che rischiano, per fine mese, di vedere interrotta anche la cassa integrazione.

Non fa ridere Crosta e ed è sottotono la Litizzetto, nessuno si appassiona al possibile rinvio, causa elezioni, di Sanremo e su come sarà il Festival guidato da Fazio, perché preoccupa la già dichiarata non sostenibilità di una spesa sanitaria che è già più bassa (e di molto) di Francia, Germania e Inghilterra, di un welfare che ormai non garantisce quasi nulla ed è disfunzionale, mentre cresce la spesa pubblica con incremento vorticoso delle complessità burocratiche, che al danno aggiungono la beffa di procedure snervanti e senza fine, né logica, né alcuna certezza di risultato.

Intanto, mentre Berlusconi con il suo ricomposto Pdl e Bersani alle prese con le primarie per i candidati (fissate il 29 gennaio, con pezzi grossi già sicuri di correre, come il procuratore antimafia Piero Grassi) vorrebbero che Monti stesse fuori dai giochi, dopo la benedizione del Vaticano il professore, che è ormai deciso a dare, entro la fine anno, corpo e sostanza alla sua candidatura e che dopo la promulgazione del memorandum (criticato dalla Lega, dall’Idv dal Pdl e definito scontato dal Pd), a Venezia incontra i ministri Corrado Passera, Andrea Riccardi, Anna Maria Cancellieri, Giulio Terzi e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Antonio Catricalè; ufficialmente per studiare i provvedimenti ancora in vita nell’agenda del governo, in realtà per fare il punto sulle candidature, con tutti i suoi ministri probabili candidati e per discutere, infine, oggi ad ora di pranzo, nella Comunità di Sant’Egidio, con Pier Ferdinando Casini, Gianfranco Fini, Riccardi e gli altri azionisti di Verso la Terza Repubblica (assente solo Montezemolo che è negli Usa), sulle modalità della sua “salita in politica”.

Infatti c’è un solo punto all’ordine del giorno della riunione: la formula con la quale presentarsi alle elezioni, con Monti che punta su una lista unica che offrirebbe “la possibilità di costituire una massa critica in grado di intercettare il voto utile” e gli altri (Soprattutto Casini ed il contumace Montezemolo) che invece vorrebbero più liste: Udc, Futuro e libertà, Verso la Terza Repubblica, più una quarta lista squisitamente montiana, possibilemte senza politici. E c’è anche in ballo una quinta lista di cattolici in modo da diversificare al massimo l’offerta.

I sondaggi sembrano dare ragione a Monti in quanto, una lista unica Monti risulterebbe accreditata al 24%, mentre una coalizione formata da tre-quattro liste si attesterebbe al 15-18%.

Tornando alle difficoltà concrete degli italiani, non stanno meglio gli americani, con Obama, impegnato nelle trattative per evitare in extremis il fiscal cliff, che invita i leader repubblicani e democratici del Congresso ad un summit che inizierà questa sera, poiché, senza una intesa sulla riduzione del deficit, il primo gennaio scatteranno tagli automatici alla spesa pubblica per 1.200 miliardi (in dieci anni), con un contestuale aumento delle tasse del 2%.

Anche per questo la Camera Usa, a maggioranza repubblicana, è stata convocata in sessione straordinaria domenica 30 dicembre, per mettere ai voti l’eventuale intesa che dovesse profilarsi alla Casa Bianca.

I deputati potrebbero restare “in sessione” ininterrottamente fino al 2 gennaio, data di scadenza dell’attuale Congresso, pur di votare in tempo il testo dell’intesa che giungerà dal Senato.

Sotto il profilo economico gli indicatori non sono rassicuranti né per il Nuovo né per il Vecchio continente, con l’Italia osservata speciale, che è riuscita a piazzare Btp a 5 e 10 anni per 5,88 miliardi di euro, poco meno del target massimo di 6 miliardi, ma col differenziale di rendimento Btp-Bund che sale oltre quota 320 e titoli che rendono il 4,5%.

L’economia non va e non va l’impresa, col presidente di Confapi Industria Paolo Galassi che lancia l’allarme e chiede aiuto al mondo politico per abbattere il cuneo fiscale ed ammorbidire la legge Fornero che, allo stato attuale, con le comunicazioni obbligatorie e preventive per ogni qualsiasi licenziamento individuale e la convalida delle dimissioni che ingessano ulteriormente la gestione dei rapporti di lavoro, insieme alla grave incertezza politica che si riflette sui mercati, rischia di far perdere ulteriore competitività al nostro Paese.

Il rapporto pubblicato ieri dal servizio studi di Intesa Sanpaolo, recita: “la formazione di un governo stabile avrebbe l’effetto di attenuare significativamente le tensioni sui mercati che dopo le annunciate dimissioni di Monti sembrano avere come epicentro proprio l’Italia” e ci informa che la recessione continuerà a pesare sull’Italia e il 2013 sarà un altro anno molto difficile per il Paese, anche se, si ritiene, la flessione della crescita del sarà “meno accentuata” rispetto al 2012, perché gli effetti della restrizione fiscale e della crisi finanziaria peseranno meno rispetto a quest’anno.

Divertente in questo clima, è ascoltare Berlusconi fare il gradasso e dire che lui solo è di una categoria superiore, che lo spread è una invenzione tedesca e che quando c’era lui l’Italia era la seconda economia d’Europa, dimostrando che aveva ragione Paolo Rossi quanto, nel 2003, nella prefazione del bel saggio “Berlusconate” di Alessandro Corbi e Pietro Criscuoli, scriveva: “Un tempo esistevano il comico e il re. O il signorotto, il potente, il padrone. Comunque due ruoli ben distinti e lontani”; mentre con l’arrivo del Cavaliere, le cose sono cambiate e i due ruoli si sono sovrapposti.

Ascoltandolo oggi (come ieri), si comprende il senso della frase che ci ricorda che ogni bugia, anche la più grossa, se ripetuta molte volte, può divenire una verità ed anche che, non conoscendo il significato di termini quali “rispetto”, “buongusto”, Berlusconi può bellamente lasciarsi andare a pubbliche esternazioni che suonano come una volgare presa in giro per il comune e onesto cittadino, del tipo: “Non conduco una vita da ricco, anzi come ricco sono un disastro!”.

Il fatto è che non vi è un netto contrario neanche da parte del mondo politico a lui più avverso, come ad esempio il Pd, che sempre più ci appare come un gruppo di potere che non vuole mollare la poltrona.

Servirebbero proposte concrete per politiche di sostegno agli strati deboli della popolazione, rinforzi al welfare, tagli a sprechi inutili, un reddito minimo garantito, la distruzione del precariato ed invece, Bersani ed i suoi, preferiscono ancora avere nemici (questa volta sia Berlusconi che Monti), piuttosto che avventurarsi a formulare proposte che evidentemente non sanno neanche immaginare.

Ed in più non sanno comunicare, dimostrando che anche sotto il profilo mediatico non sono avanti, ma ancora continuano ad inseguire in totale affanno.

Come ricorda Giovamnna Cosenza su “Il Fatto Quotidiano”, ieri a “Uno Mattina”, Berlusconi ha commentato l’ormai celebre salita in politica”di Monti, con queste parole:Lui dice che “sale in politica” perché ha ragione: aveva un rango inferiore a quello di Presidente del consiglio [tende il braccio verso l’alto]. Io ho detto [il braccio va ancora più alto] “sceso in campo” [il braccio piomba in basso] perché avevo un rango superiore, e quindi è giusto: questo è il linguaggio”; usandola tecnica retorica della concessione: dare ragione all’avversario per ritorcere questa ragione contro di lui.

E mentre Rosy Bindi ancora usa la denigrazione ed il turpiloquio contro il nemico interno Renzi, mentre Vendola continua a narrare una Italia impossibile, anche Monti, nella conferenza stampa del 23 dicembre, dicendo: “faccio fatica a seguire la linearità del pensiero di Berlusconi”, basa la sua ironia su una concessione: “Sento qui il dovere di dire una parola di gratitudine e di… sbigottimento al tempo stesso nei confronti di Berlusconi” e dimostra, se ne ne fosse bisogno, quanto tutti gli altri abbiano da imparare.

Ma, al di là di questo fatto tecnico e meramente retorico (ma non per questo privo di significato), resta il fatto angosciante che il centrosinistra, purtroppo, non ha una vera proposta riformista da spendere. Ormai da troppi anni esso tira a campare con un generico economicismo, con logiche marginaliste per il recupero di efficienza, con generiche visioni razionalizzatrici per eliminare gli sprechi. Cioè con un pensiero del tutto inadeguato a governare le sfide del nostro tempo.

Prendiamo per esempio, la sanità, settore cruciale (come la scuola e la cultura) del nostro Paese, a cui la trasmissione “Coffee Break” di La7 ha dedicato la puntata di ieri mattina.

Come scrive un vero esperto, Ivan Cavicchi, le politiche sulla sanità di Monti sono state unanimemente condannate soprattutto dai partiti di centrosinistra. Nei tagli lineari si intravede un disegno neoliberista di definanziamento del sistema pubblico, di restringimento dei suoi confini, e quindi di controriforma. Milioni di esseri umani sono stati e saranno deprivati in tutto o in parte del necessario e dell’indispensabile in milioni di modi diversi. Oggi l’insieme di questi tagli ha unsignificato epidemiologico analogo a quello delle grandi epidemie del passato. Alle nostre coscienze è stata posta una pesante questione morale.

Nella famigerata agenda Monti sulla sanità c’è molta ambiguità, ma se si devono recuperare i danni causati delle sue politiche è necessario contrastarne il disegno implicito, quello che punta ad appaltare almeno una parte del sistema pubblico alla intermediazione finanziaria, quindi fondi, assicurazioni, mutue, incurante di causare abbandono sociale e un raddoppiamento dei costi complessivi del sistema.

Ora, sebbene la risposta della sinistra dovrebbe essere che la nostra sanità, che pur costa poco, costa più di quello che potrebbe costare perché piena di sprechi, di corruzioni, di speculazioni, di privilegi, di anacronismi e che occorre ridistribuire tutte le risorse cambiandone l’uso, senza cambiare la natura universale e solidale del sistema, ma semplicemente i modelli di spesa e di funzionamento; questa risposta non viene e neanche la filosofia che ne dovrebbe essere alla base, con almeno tre cose: una morale, un pensiero riformatore, una riforma pubblica che, evidentemente, la sinistra non sa neanche immaginare.

Ed ha meno immaginazione di un giornale conservatore e padronale come Il Sole 24 Ore che, commentando la famigerata Agenda, sulle due stringate e ripetitive pagine dedicate a voci cruciali come corruzione, evasione fiscale ed economia sommersa, commenta che ci si aspettavo molto più da uno che di questi argomenti si è occupato tutta la vita.

Allora, invece di Galullo sul ricordato giornale, dovrebbero essere i leader del Pd a dire chiaramente, a pochissimi giorni dalle elezioni, che anche se l’Italia non è un Paese più corrotto degli altri, ha il problema che sulla corruzione si fondano percorsi di vita, carriere e profili economici, sicché essa, pur facendo comodo a molti, non è più sopportabile, perché la parte sana del Paese è stufa di pagare, soprattutto al Sud, un prezzo altissimo, vale a dire il diritto scambiato per favore.

Nell’antichità classica la musica ha sempre avuto un ruolo fondamentale, sottolineando, sin dagli inizi, con la sua presenza costante i diversi momenti della vita dell’uomo e configurandosi, successivamente, come parte integrante di alcuni generi letterari, tra i quali un notevole rilievo ha a questo proposito il canto.

I canti corali della tragedia trovano la loro origine nel ditirambo, canto corale eseguito da cantori guidati da un corifeo ed evocanti le gesta di Dioniso, divinità orientale introdotta già in età antica ed il cui culto si era diffuso a tal punto che, nel VI secolo, il tiranno ateniese Pisistrato lo aveva proclamato protettore della città e della tragedia che in essa si rappresentava, in connessione alle “Grandi Dionisie”, le festività tributate da Atene a questo dio straniero.

Il ditirambo corale di questi giorni è per noi italiani il canto di una tragedia non solo per un presente disastroso, ma per un futuro senza idee né prospettive, che avvelena i nostri giorni, anche quelli di festa.

Il kommoj è un canto pervaso da una atmosfera di lutto e di dolore, che Aristotele definì “canto lamentoso per giorni luttuosi” e kommoj sono i canti che oggi scaturiscono dai nostri cuori, perché, come scrive Pico della Mirandola in “Conclusiones”: Iudicium sensus in Musica non est adhibendum, sed solius intellectus.

Carlo Di Stanislao

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