Lista unica al Senato e coalizione di liste alla Camera. Così Mario Monti ha deciso la “salita in politica”, scontentando Corrado Passera che al Corriere dichiara che avrebbe preferito una sola lista per fare “massa critica”, ma rende entusiasta Casini che su twitter commenta: ““Oggi non nasce un partito personale ma una speranza per gli italiani: adesso tutti al lavoro!”.
Infuriato è il segretario del Pdl Angelino Alfano, il quale dice che le parole di Monti dimostrano: “in modo inequivocabile il tentativo di nascondere dietro qualche candidatura moderata un disegno di alleanza con la sinistra”.
Durissimi anche i commenti che arrivano dai giornali vicini al centrodestra, con Maurizio Belpietro che su Libero si scaglia contro il professore e scrive che “il sobrio premier pensa solo ai fatti suoi, in questo caso alla sua lista e al modo per non essere costretto a mollare la poltrona”, candidandosi come “vice di Casini” . Quanto a Sallusti, che dopo tanti strepiti e dopo essersi sentito come un nuovo Dreyfus gode degli arresti domiciliari: trattamento che non è mai stato riservato a nessuno dei tanti poveri cristi che capitano nelle aule di giustizia e finiscono implacabilmente in galera, scrive sul Giornale che: “il presunto nuovo di Monti è un miscuglio tra il peggio della vecchia politica, preti salottiere e maneggioni, democristiani operaisti, traditori del Pdl miracolati da Berlusconi”.
Invece Bersani apre nuovamente a Monti ed al suo raggruppamento, anche se sono in molti, fra i commentatori politici, a sostenere che nelle parole del professore si nota una retrazione a destra ed una minore disponibilità verso il Pd.
D’altra parte, per fare più completa opera di avvicinamento ai moderati, dieci giorni fa era volato Bruxelles per incontrare, nell’ordine, il presidente del Consiglio europeo Herman Van Rompuy, il presidente della commissione Manuel Barroso e il presidente dell’Eurogruppo Jean Claude Junker: nessuno progressista e tutti da rassicurare che: “Il Pd è un partito solidamente europeista e vuole contribuire a migliorare le politiche Ue”.
La “salita in campo” del premier uscente si è celebrata ieri al Senato, in una conferenza stampa convocata a tamburo battente dopo un lungo vertice – svoltosi con modalità mantenute sotto stretto riserbo – cui hanno partecipato tra gli altri Pier Ferdinando Casini, Benedetto Della Vedova, Linda Lanzillotta, Nicola Rossi, Pietro Ichino, Mario Mauro, Carlo Calenda e Andrea Romano per ItaliaFutura (non Luca Cordero di Montezemolo, impegnato all’estero, puntualizza il Professore), Lorenzo Dellai, Andrea Olivero e “alcuni ministri” del governo che sta terminando il suo compito.
Monti sottolinea soprattutto che non ha “mai pensato di creare un nuovo partito, non sono l’uomo della Provvidenza”. Dunque “non ci sarà un nuovo partito, ma un rassemblement e uno statuto”. Il Professore accetterà “di incoraggiare lo sforzo congiunto di politica responsabile e società civile nelle forme che saranno definite, accettando di essere designato capo della coalizione o dando il mio impegno – scandisce Monti – per il successo dell’operazione.
Plaudono l’Osservatore Romano e il presidente della Cei Angelo Banasco, mentre ribadiscono il netto diniego a Monti Idv e Lega, usando entrambi il registro della poca credibilità di un uomo che, promettendo alleanze con tutti, ricorda sempre più la Dc della veteropolitica.
Sempre sul Corriere Antonio Polito plaude alla scelta di più liste perché così “chi vuole votare Monti sa per chi votare”, ma aggiunge che il punto debole è la vocazione maggioritaria della coalizione centrista, perchè, sebbene sia giusto che Monti la rivendichi ed è difficile chiedere voti quando già si sa che saranno destinati ad allearsi con altri, è poco realistico immaginarla con il sistema elettorale vigente.
Per questo Monti, che ha mostrato anche in questo caso molto acume, deve ora spiegare “in cosa il suo progetto si differenzi da quello di Bersani”.
Quanto alle candidature l’ultima parola sarà di Monti che ha affidato ad Enrico Bondi, già commissario per la spending review, il compito di esaminare i profili dei potenziali candidati.
A rischio, secondo il Corriere, sono Franco Frattini, transfugo del Pdl, il cui nome non sarebbe gradito agli uomini di Fli, ancora memori delle interrogazioni sulla questione della Casa di Montecarlo e anche Flavia Perina, ex direttore del Secolo d’Italia, oltre all’Udc Mario Tassone, alle Camera da 34 anni. Non ci sarebbero invece problemi per Giulia Bongiorno e il delfino di Casini Roberto Rao.
La politica si ravviva e si accalora dopo mesi di silenzio perché ora si tratta di garantire se stessa ed il gioco delle parti di ciascuno è un gioco solo apparentemente mobile, ma che non porta a nulla, con il cadavere sempre più malconcio de l’Italia a cui tutti dicono di tenere, ma che in fondo è solo uno strumento per scopi individuali, come nel film “Le tre sepolture” di e con Tommy Lee Jones, in cui i valori mancanti derivano dalla perdita di un autentico codice d’onore.
Ma non esiste onore in politica, né coerenza, né amicizia e la cosa più discutibile non è solo Berlusconi per cui vale non lo storico: “Après moi, le deluge”, ma l’attuale: “Après moi, moi.”
Ognuno è impegnato a garantire se stesso e segno inequivocabile di ciò è la rapidità con cui, in seduta straordinaria, dopo lo stop della scorsa settimana per mancanza del numero legale, il Senato ha convertito in legge il decreto “taglia firme”: provvedimento che riduce del 75% il numero delle firme necessarie per la presentazione delle liste elettorali per i partiti non presenti in parlamento fin dall’inizio della legislatura e che favorisci i candidati dell’Udc e non solo (Sel, Cinque Stelle e Centrodestra nazionale di Ignazio La Russa, ad esempio).
Parimenti, invece, il provvedimento ‘Liste pulite’ non é stato affrontato nel consiglio dei ministri in Senato, con il ministro degli interni Cancellieri (data fra i papali a sostituire Napolitano, ora che Monti è in politica diretta), che dichiara che lo stop si deve al fatto che lo schema di decreto non è riuscito ad ottenere il via libera dalla Commissione Bilancio del Senato, con, a quanto si apprende, il presidente Azzolini che non avrebbe dato la liberatoria per il parere.
Bersani fa intendere che Giorgio Napolitanoavrebbe già dato il pre-incarico di governo a lui e rassicura (anche da Canale 5) che i rapporti con Monti sono “cordialissimi”, ma perde le staffe quando gli si chiede delle primarie e del tormentone deroghe.
Ribadisce che sono gli unici a fare le primarie e che “da soli non possiamo certo risolvere il problema di come si scelgono i deputati”, snocciola un po’ di cifre. “La Direzione ha discusso di un numero di deroghe che non arriva neanche al 3% (dieci i parlamentari uscenti che l’hanno chiesta, ndr)», puntualizza. Poi ricorda le novità – ben poco raccontate, a suo dire – a partire dalla quota del 33% di candidature sicure per le donne, un dato che definisce «la certezza di un numero di donne in Parlamento che non c’è mai stato in un gruppo politico”.
Glissando però sul fatto che restano, però, ad ardere, e nemmeno troppo sotto la cenere, due problemi: il “listino” bloccato che sarà nella piena disponibilità del segretario e dei segretari regionali (un’ottantina di nomi più i 47 capilista nelle varie circoscrizioni) e alcune esclusioni eccellenti.
Come ha scritto giorni fa Il Messaggero, i nomi certi per il listino verranno pescati nella società civile (tra loro gli studiosi Carlo Galli, Miguel Gotor, Alberto Melloni, Massimo D’Antoni), nel sindacato (l’ex segretario della Cgil, Guglielmo Epifani) e nel comitato Bersani (in testa a tutti i tre volti giovani del bersanismo: Moretti, Speranza e Giuntella), ma anche tra i membri della Segreteria: la responsabile Scuola Francesca Puglisi e Nico Stumpo, responsabile organizzazione, ma non Orfini e Fassina.
Tra gli esclusi eccellenti, invece, figurano l’unica deputata lesbica, Paola Concia, gli eco-dem Della Seta e Ferrante (forse recuperati) e, soprattutto, i veltroniani ieri e renziani oggi Andrea Sarubbi, Stefano Ceccanti (vero mago di sistemi elettorali) e forse, l’ex Udc Marco Follini, che taglia corto e commenta: “Chiedere la deroga è poco dignitoso”.
Dignità e politica, un tema sempre caldo cu cui si sono versati fiumi di inchiostro e universi di notazioni e di parole senza mai scovare, nei fatti, un connubio convincente in tal senso.
La candidata alle primarie del Pd, consigliere comunale a Tizzano e ricercatrice universitaria a ParmaMaraMorini, nel suo programma con otto punti, ha messo al primo posto il “ridare dignità alla politica”.
A lei e a chi come lei parla di dignità e fa politica, raccomandiamo di concentrarsi e di realizzare programmi basati su riduzione del numero dei parlamentari, abolizione dei vitalizi, modifica dei patti di stabilità degli enti locali, estensione dei diritti civili. Solo in questo caso si potrà iniziare a parlare di dignità.
Secondo una lucida osservazione di Rosmini, la filosofia del diritto precede la filosofia della politica nel senso che alla prima spetta di fissare i criteri per stabilire i diritti conformi a giustizia, alla seconda spetta di trovare le più efficaci modalità della loro implementazione.
Il suo insegnamento, in sostanza, è che la politica non può mai diventare arbitra della giustizia, per quanto corretto possa essere il mezzo scelto per l’assunzione delle deliberazioni.
Se il consenso politico diventasse il criterio del riconoscimento dei diritti e della dignità umana si cadrebbe in un paradossale circolo vizioso: e cioè che i diritti, che sono il fondamento di legittimità del sistema democratico, sarebbero nello stesso tempo anche l’oggetto delle sue determinazioni. Si tratterebbe in fondo di una auto-legittimazione del potere democratico che non comporterebbe alcun argine alla sua sfera decisionale.
Ed è questo che ora sta accadendo, con ogni tipo di governo e con ogni tipo di opposizione, tanto da rammentare, tristemente, i punti della riflessione filosofico-giuridica di Kant (riassunti sapientemente da Mario Cattaneo nel testo del 2002 “Dignità umana e pace perpetua: Kant e la critica della politica”), secondo cui la politica è, di fatto, la maniera con cui si attuano le volontà e gli interessi arbitrari dei detentori del potere.
Dignità e morale, per avere il coraggio di cambiarla l’impostazione politica secondo le procedure recenti, dimostratesi, costantemente, fallimentari.
Il saggio politico di fama mondiale più scentrato dell’epoca moderna è di certo La Fine Della Storia di Francis Fukuyama. Se c’è una cosa che si è evoluta in aspetti inediti, e agghiacciati se si vuole, negli ultimi 20 anni è proprio la Storia. Fukuyama, un Neoconservatore americano, pensò che col crollo dell’Unione Sovietica la partita della Storia fosse stata vinta del capitalismo del libero mercato, quello dei consumi in veste democratica, e che in effetti non vi sarebbe stata altra significativa evoluzione. A parte l’aver clamorosamente mancato il cosiddetto Scontro della Civiltà (Samuel P. Huntington) insorto dopo la nascita dell’islamismo radicale negli tardi anni ‘80, Fukuyama non ha saputo vedere quale abisso di oscurantismo si stava aprendo in Europa, che avrebbe portato all’attuale Eurozona e alla crisi di cui tutti siamo preda.
E non sono riusciti a farlo, in nessuna Nazione, né i politici progressisti, né i conservatori. Paolo Bernard, un anno fa, nella monografia Il Più Grande Crimine, chiarì che dopo l’avvento della democrazia e dopo il conseguente riscatto di enormi masse verso un’esistenza più agiata ma soprattutto tutelata da diritti, l’obiettivo primario delle elites finanziarie e grandi industriali (Neomercantili), e in particolare dei ‘rentiers’ europei – cioè gli apparati di potere che per ‘diritto divino’ estraevano immense ricchezze dal lavoro altrui – fu uno solo: tornare a sottomettere quelle masse immense di esseri umani che, da poco più che mandrie di semi-animali totalmente asservite ai lussi dei ‘rentiers’, avevano acquisito istruzione, diritti, e soprattutto avevano assaggiato l’agio dei consumi. Questo, i ‘rentiers’, non l’accettarono mai, perché è ovvio che se la persona acquisisce i mezzi per rivendicare una fetta della ricchezza comune, e se queste persone divengono centinaia di milioni, la fetta di ricchezza che non andrà più ai ‘rentiers’ è enorme, e a loro questo non andò mai giù. Non solo: questi cittadini erano divenuti ‘arroganti’, ardivano reclamare sempre più diritti con sempre maggiori risorse, e i ‘rentiers’ si chiesero allarmati “ma di questo passo che ne sarà di noi?”. Non solo: il Vaticano vide sciami di fedeli staccarsi dai suoi ignobili ricatti superstiziosi, quindi dal suo controllo, proprio perché quelle persone stavano acquisendo una sicurezza economica e un’istruzione superiori al passato. Era finita l’epoca in cui la parola del parroco, e non di rado il suo diritto assoluto a stuprare le figlie del contadino/bracciante, erano la condicio sine qua non per l’assunzione di quell’uomo presso il latifondista, cioè la sottomissione in schiavitù di milioni di famiglie alla Chiesa. Era finita l’epoca in cui l’ignoranza sorella della povertà spingeva centinaia di milioni di esseri umani a subire senza fiatare le ignobili angherie della vampiresche elites benedette dal diritto divino sancito dai Papi. Così, per tornare a poter tenere sotto controllo milioni di persone, dopo la fine del “pericolo rosso” che ha funzionato dal 1950 al 1989, è nata la “politica della paura, della Jihad planetaria di Al Qaida e quando anche questa ha stemperato i suo effetti, “la politica della carenza”, con la crisi degli spread, dell’euro, delle banche fallite, dei mercati, del debito, del deficit, che non dà lavoro, distrugge aziende, abbassa gli stipendi, alza le tasse, richiede sacrifici, manda a spasso gli operai, non dà lavoro ai giovani, chiude i rubinetti dei crediti; ma, soprattutto, è ovunque e non si ferma.
In questo modo anche i partiti progressisti si sono allineati più sui valori del denaro che della dignità umana e sostengono che occorre accettare ogni risanamento per il bene comune e delle future generazioni.
In questo modo il nostra Parlamento, di destra e di sinistra, sta seduto ad accettare finanziare che tu non hai potuto condividere, mentre la tua Nazione deve indebitarsi con le banche per dare miliardi a un fondo da cui gli verranno prestiti che dovrà ripagare spremendo a sangue i cittadini e le aziende, costringendoci, di fatto, a fare un debito per comprare la mazza con cui ci spaccheranno le ginocchia e piegheranno la nostra residua dignità.
Un avvertimento, finale, per chi poi crede di vedere dignità in Monti e nel suo raggruppamento. L’economista francese ed ex insider del governo Mitterrand, Prof. Alain Parguez, che ha personalmente testimoniato l’appartenenza all’Opus Dei del padre creatore di tutto il disegno dell’Europa moderna, l’onnipotente Jaques Delors, che fu anche a capo della Commissione Europea dall’85 al ’95, ha dichiarato per iscritto che: “Tutti i membri dei consigli economici del Papa sono uomini dell’Opus Dei, la maggioranza dei quali proviene dall’università Bocconi di Milano”.
Allora guardiamo ai quei partiti (e politici), che mostrano di capire che occorre uscire da strategie basate sul paura e carenza, che generano masse di disoccupati alla disperazione pronti a lavorare a stipendi quasi cinesi ed ignorano che i nuovi immani mercati non sono qui, ma in Brasile, Cina e India e che occorre essere attrattivi e competitivi, ma sui prodotti e l’offerta e non certo lavorando come schiavi o non lavorando affatto.
Carlo Di Stanislao
ma jatevenne a fa….banda di ladroni…
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