Se le donne italiane fossero uccise con la stessa frequenza delle nigeriane in Italia, allora non si parlerebbe di 120 casi, ma di oltre quattromila. È il calcolo dell’Associazione vittime ed ex vittime della tratta diffuso per bocca di Isoke Aikpitanyi, che fa il punto sulla difficile situazione delle connazionali. “Solo nel 2012 in Italia sono state assassinate dieci nigeriane – riferisce -: dieci sulle 15 mila donne presenti in Italia sono un’enormità”. Difficile dire se questi casi rientrano nelle statistiche: “Alcuni sì, altri no perchè non esiste una lista del tutto attendibile sul numero complessivo delle donne uccise. Se poi aggiungiamo la morte e la violenza che queste donne subiscono durante i loro viaggi, il quadro di insieme che ne esce diventerà insopportabile”.
Paura e solitudine si diffondono così tra le donne nigeriane, che non sanno come accedere ai servizi di tutela e non hanno nessuno cui chiedere aiuto: “Noi vittime ed ex vittime della tratta sappiamo, per esperienza, che i centri antiviolenza non sono operativi a nostro favore e lo sono solo in parte a favore delle donne straniere” avverte Aikpitanyi, che precisa: “Non è un’accusa o una critica. È che i centri antiviolenza sono nati per una tipologia di attività rivolte soprattutto alle donne italiane; sono aperti anche alle straniere che, però, conoscono poco i servizi ai quali potrebbero rivolgersi per avere sostegno”. Nei servizi antitratta, poi, non c’è spazio per chi ha vissuto in passato quest’esperienza: “Chiediamoci come mai apparentemente mentre a molte donne italiane e a molti uomini è stata offerta la possibilità di lavorare, con uno stipendio, nella realtà della tratta, pochissime vittime ed ex vittime hanno avuto questa opportunità”. E incalza: “Neppure tutte le mediatrici in campo sono delle ‘pari’, ma sono semplicemente donne che provengono dallo stesso continente”.
Tutte queste criticità alimentano un senso di isolamento delle vittime della tratta dal resto della società civile. Inoltre, pesa la difficoltà a far ascoltare la propria voce: “Invece di ascoltarci, le donne italiane preferiscono fare il possibile per rappresentarci loro, prendendosi tutto lo spazio, cercando di capire, interpretare e rappresentare noi che vorremmo farlo direttamente”. Per l’associazione per fermare la piaga del femminicidio “bisogna mettere in campo molte energie, sensibilità diverse e bisogna avere la lucidità per conoscere il problema sotto tutti i suoi aspetti. Bisognerebbe, inoltre, chiedere il rafforzamento dei centri antiviolenza e dei servizi antitratta”. (gig)
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