La crisi morde senza pietà accanendosi contro il nostro paese con una violenza che non ha precedenti; vero è che nel secondo dopoguerra l’Italia era ridotta ad un ammasso di macerie e la povertà, quella autentica fatta di mancanza di denaro e, spesso, di cibo, costituiva un dato di fatto per una larga fetta della popolazione, ma tale situazione era ampiamente giustificata dall’abisso in cui eravamo precipitati causa il nazi-fascismo ed il secondo conflitto mondiale, e lo stato di indigenza che ne conseguiva godeva di fin troppe attenuanti.
Molto più complicato, per contro, fare i conti con il disastro, non solo economico, che ci tormenta da qualche anno a questa parte e che nel 2012 ha mostrato il suo volto più autentico, fatto di un calo generalizzato dei consumi, contornato da un crollo delle vendite in alcuni settori, di rinunce oramai dichiarate e di sacrifici su larga scala che stanno inesorabilmente cambiando lo stile di vita di moltissime famiglie, facendo piazza pulita di certezze che parevano consolidate e di luoghi comuni spazzati dal succedersi degli eventi.
Per dovere di precisione, quella alla quale stiamo assistendo non è una crisi passeggera ma un autentico tracollo in cui la disoccupazione dilagante (irrobustita dall’emorragia di posti di lavoro che sta colpendo soprattutto il comparto industriale), saldata ad una perdita progressiva delle potenzialità economiche delle famiglie, ha prodotto una miscela terrificante, depauperando di colpo migliaia di persone e costringendo l’intero paese a confrontarsi con una situazione fino a qualche anno fa quasi sconosciuta, certamente difficile da concepire per una realtà in cui il benessere, quello minimo ma tale da consentire una vita dignitosa, sembrava rappresentare un dato acquisito.
Un mio carissimo conoscente, con cui il pomeriggio del 31 dicembre ho scambiato quattro chiacchiere in quello splendido cimitero che è il centro storico di L’Aquila, mi fa notare come la crisi, pur costituendo un dato di fatto inconfutabile, sia stata irrobustita dalla irresponsabilità di molte famiglie e da un tenore di vita mantenuto per anni molto al di sopra delle proprie possibilità, e d’altro canto le difficoltà attuali ben si prestano ad essere “addolcite” proprio per il fatto di essere globali e condivise in quanto tali anche e soprattutto dagli altri membri dell’Unione Europea.
Replico di essere parzialmente d’accordo sulla prima osservazione, indubbiamente acuta, molto meno sulla seconda, più elementare e “casalinga”; non vi è dubbio che molti nuclei familiari abbiano avuto nel corso degli ultimi 10-15 anni un rapporto poco avveduto con il denaro, effettuando spese non in linea con i propri bilanci, spesso indebitandosi, ma se ciò è avvenuto la colpa è da imputare ad un sistema mediatico, di pura marca berlusconiana, che ha di fatto mercificato la realtà, impoverendola culturalmente ed arricchendola per contro di personaggi e modelli allucinanti ed inqualificabili. L’opinione pubblica italiana, dimostrando scarso senso di dignità, si è adeguata a tale sistema, perdendo progressivamente i pochi ma sicuri punti di riferimento che una volta aveva a disposizione e sottoponendosi di fatto ad un autentico lavaggio del cervello, con il quotidiano trasformato in una sorta di spot pubblicitario ed il diffondersi di comportamenti via via irrazionali tradottisi in spese del tutto inutili, compiute non per autentica necessità ma perché questo era il diktat imposto dalle televisioni del premier, l’immancabile tributo da versare alla “società di plastica”; nel momento in cui scrivo quest’ultima è sulla strada dell’estinzione ma i danni da essa prodotti, assolutamente devastanti, rimangono perfettamente visibili, con un paese rincitrullito e moltissime famiglie sommerse dai debiti, magari accumulati per una vacanza all’estero consigliata da Rete 4.
In merito alla seconda osservazione ritengo invece che il confronto con la situazione, anch’essa critica, di altri paesi, non lenisca affatto le nostre difficoltà, men che meno le giustifichi, anche perché i tradizionali partners di confronto, Germania e Francia su tutti, sono sistemati molto meglio di noi con un debito pubblico di gran lunga inferiore e con un assetto economico-istituzionale decisamente più efficiente; ma ciò che relega il contesto italiano ad una mortificante posizione di subalternità, tra l’altro perfettamente evitabile se solo lo si volesse, è lo scarso peso attribuito alla ricerca scientifica ed alla cultura in generale, ed anche sotto questo profilo vent’anni di centro-destra e di regime berlusconiano non sono trascorsi invano avendo stordito, peggio inebetito l’italiano medio al punto da trasformarlo in un affezionato cliente dei reality (“grande fratello” su tutti), unico indiscusso modello di riferimento per una società sempre più rozza ed ignorante e, al contempo, nemica di tutto ciò che, culturalmente parlando, ha reso grande il nostro paese.
Non a caso più di un ministro, Brunetta e Tremonti per citarne due, ha dichiarato una feroce avversione nei confronti di quello splendido universo di valori che è la “Cultura”, affermando testualmente che con quest’ultima “non si mangia”, constatazione assolutamente falsa ma che nella sua becera rozzezza dipinge alla perfezione un ventennio orribile, che ci ha mortificati intellettivamente prima ancora che nel portafogli e che adesso ci presenta un conto che molti di noi non saranno in grado di saldare.
Giuseppe Di Braccio
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