Terremoti Tsunami Eruzioni Vulcaniche Impatti Cosmici AD 2013, la Parola di Thomas Jordan

“L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”(Art.1). “I politici e i burocrati, non gli scienziati, si assumano la piena responsabilità della traduzione operativa della Comunicazione scientifica del Rischio” sismico, vulcanico e spaziale. “Lasciate lavorare gli scienziati in santa pace […]

“L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”(Art.1). “I politici e i burocrati, non gli scienziati, si assumano la piena responsabilità della traduzione operativa della Comunicazione scientifica del Rischio” sismico, vulcanico e spaziale. “Lasciate lavorare gli scienziati in santa pace per il bene dell’umanità” – dichiara il professor Thomas Jordan (www.youtube.com/watch?v=xNK5nmDFgy8).È in estrema sintesi quanto emerso dalla “sessone aquilana” al 45mo Agu Fall Meeting di San Francisco. Atto che si ripeterà all’Egu Spring Meeting di Vienna (Austria, 7-12 Aprile 2013) poiché anche gli scienziati europei dell’Unione Geofisica, per bocca del Presidente dell’EGU Seismology Division, Charlotte Krawczyk, sono allarmati dal famoso verdetto (http://static.egu.eu/static/2272/newsletter/geoq/geoq_04.pdf) del 22 Ottobre 2012. Il professor Thomas Jordan, famoso sismologo americano, ha lanciato un caloroso appello alle popolazioni del mondo e non soltanto alla comunità scientifica internazionale, parlando espressamente dell’urgente necessità di far applicare al più presto, alla lettera, le Tredici Raccomandazioni elaborate all’indomani del terremoto di L’Aquila del 6 Aprile 2009 (Mw=6.3; 309 morti; 1600 feriti). A 46 mesi da quei fatti, l’unica lezione finora impartita dalla drammatica tragedia che ha distrutto la Capitale d’Abruzzo non sembra concentrata sulle politiche di prevenzione e mitigazione degli effetti delle catastrofi naturali. Ma sulle polemiche e sulla paralisi. La Onna 6 Aprile 2009 By Franco VolpatoGiustizia faccia il suo corso per accertare la verità tutta intera, acclarando le responsabilità personali soggettive dei tecnici, dei politici e dei pubblici ufficiali responsabili di quelle 309 vittime. In Italia, tuttavia, è difficile lasciar lavorare gli scienziati in santa pace per il bene dell’umanità. Lo è sempre stato e sempre lo sarà per una ragione o per un’altra: la cultura ufficiale, del resto per atto politico, ha relegato tutte le scienze a sub-cultura! È allora cominciata la nuova caccia alle streghe vista l’ignoranza dei politicanti italiani sui temi scientifici? I segreti della Comunicazione del Rischio naturale, la scoperta della Democrazia del Rischio e la Ricerca made in Europe sono temi basilari che non possono essere dimenticati e disattesi o, peggio, lasciati alla disinformazione dei media durante le catastrofi. Se questi temi trovano pieno diritto di cittadinanza nell’Agenda Monti, lo vedremo nei fatti. Ma dove si fermano le responsabilità dei consulenti scientifici, dove iniziano quelle della politica e delle pubbliche amministrazioni, a chi spetta il compito di tradurre l’incertezza della scienza in una Comunicazione efficace ed operativa al servizio dei cittadini? La conoscenza dei terremoti, delle eruzioni vulcaniche, degli tsunami, dei dissesti idro-geologici, degli impatti cosmici è indispensabile ma non basta da sola a mitigare il diverso rischio correlato. Anche il monitoraggio preciso, accurato e costante serve a vigilare sull’andamento del fenomeno naturale, ma non significa in nessun modo essere in grado di influire sul fenomeno stesso, modificarne l’evoluzione, interromperlo o anche solo mitigarlo o posticiparlo. Per questo è indispensabile adottare misure di Prevenzione, di Informazione ed Educazione capillare ai cittadini in cui Istituzioni scientifiche, Protezione Civile, Amministrazioni locali e Politici devono svolgere un ruolo coordinato, con la partecipazione attiva e consapevole delle popolazioni e dei mass-media in prima persona. Che tipo di Prevenzione sismica si sta facendo nei Comuni italiani? I Piani di Protezione Civile sono stati attuati ed aggiornati? Sono state firmate, Venerdì 21 Dicembre 2012, due nuove convenzioni tra il Dipartimento della Protezione Civile e l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia. La prima, il cui importo è di 10 milioni di euro, riguarda le attività di servizio che l’Ingv svolgerà nel 2013 in continuità con quanto fatto negli anni passati: garantire la sorveglianza sismica e vulcanica del territorio nazionale, il mantenimento delle banche dati, nonché le attività di divulgazione, educazione e sensibilizzazione della popolazione sui rischi sismici e vulcanici. La seconda convenzione, per la quale sono stati destinati 500mila euro, prevede l’istituzione di un Centro per la Pericolosità Sismica presso l’Ingv: nel corso del 2013 saranno potenziati le banche dati e i modelli di calcolo per la realizzazione di stime di pericolosità sismica a lungo, medio e breve termine, creando l’infrastruttura informatica necessaria. In futuro, il nuovo Centro potrà diventare una struttura permanente di riferimento con il compito di trasferire in modalità pre-operativa e operativa i risultati e gli avanzamenti della ricerca scientifica e tecnologica, a livello nazionale e internazionale, in materia di pericolosità sismica, inclusi quelli sviluppati con i progetti regolati dalla Convenzione in atto tra il Dipartimento e l’Ingv per gli sviluppi scientifici. Una volta sperimentati in fase pre-operativa, i risultati di tale attività potranno essere utilizzati sui molti fronti della Prevenzione Sismica, a partire dall’aggiornamento delle mappe di pericolosità necessarie alla progettazione delle costruzioni in zona sismica, fino alla definizione delle priorità territoriali per gli interventi di rafforzamento delle costruzioni nei successivi anni. L’istituzione del Centro e la creazione della relativa infrastruttura concretizzerà, tra l’altro, le famose 13 Raccomandazioni contenute nel Rapporto finale della Commissione Internazionale sulla Previsione dei Terremoti per la Protezione Civile, istituita a seguito del terremoto aquilano del 6 Aprile 2009. Su tutto questo pesa, a livello mondiale, la Motivazione della Sentenza di condanna (a sei anni di carcere) dei sei scienziati italiani accusati di non aver correttamente comunicato, a chi di dovere in sede istituzionale nella Commissione Grandi Rischi, il pericolo sismico per mettere in salvo in tempo utile la popolazione di L’Aquila. Di fatto escludendo, a quanto pare e fino a prova di smentita, ogni tipo di responsabilità persona (e non soltanto oggettiva) in capo alla classe politica e burocratica al potere! Come se gli scienziati fossero investiti di somma autorità politica operativa. Per Thomas Jordan una vera ed autentica aberrazione logica, inconcepibile negli Usa dove gli scienziati si limitano ad informare chi di dovere sul rischio naturale dei fenomeni in atto sulla Terra e nello spazio. L’alto costo di vite umane, quindi, sarebbe imputabile ad una legislazione italiana incapace di difendere la vita, di salvaguardare le nostre abitazioni, scuole, ospedali, città. Thomas Jordan, a capo degli scienziati sismologi del Southern California Research Center presso la University of Southern California, non ha dubbi. Quei 309 morti, come tutte le morti causate dai fenomeni naturali, non sono imputabili agli scienziati. Ma alla cattiva politica. Alle “non-regole” che si rivelano mortali in molti casi quando invece risulterebbero più efficaci le buone regole di messa in sicurezza del territorio, a costi decisamente più bassi rispetto a quelli necessari, dopo le catastrofi, per la ricostruzione. Ciò vale per San Francisco ad altissimo rischio sismico (il colossale Big One di magnitudo 8 e superiore, è atteso entro 30 anni e potrebbe essere una carneficina non soltanto per la città californiana già distrutta nel 1906) come per L’Aquila e tutte le altre città d’Italia e del mondo. Ma i sismologi non possono finire in carcere dopo ogni catastrofe. Sarebbe la fine della scienza e della libera ricerca pubblica e privata. La caccia alle streghe non salverà vite umane. Ma aumenterà il numero delle vittime. I sismologi non possono prevedere i terremoti. La comunità scientifica non può finire alla sbarra per responsabilità politiche soggettive, le uniche autenticamente imputabili e condannabili. È giunta l’ora che la popolazione mondiale ne sia cosciente. Le previsioni probabilistiche non vanno confuse con le previsioni deterministiche. Gli eventi aquilani hanno certamente indotto molti esperti a rilasciare dichiarazioni incaute, alcune delle quali non scientifiche come quella sul presunto “scaricamento delle forze tettoniche durante lo sciame sismico”, sotto la pressione psicologica dei media, come acclarato sulla rivista Nature. Affermazioni che sarebbero state interpretate e tradotte dai politici in senso rassicurante nei confronti della popolazione aquilana! Una sciocca deduzione che è costata la vita a 309 persone. Ma cosa c’entrano gli scienziati? Certamente i politici avrebbero potuto ugualmente invitare o comandare l’evacuazione totale della città di L’Aquila, sulla base del semplice buon senso del padre di famiglia. Ma non è stato fatto perché è più facile scaricare le responsabilità sugli scienziati. Da sempre. Max Wyss, direttore del World Agency of Planetary Monitoring and Earthquake Risk Reduction, osserva che le dichiarazioni non scientifiche di alcuni esperti potrebbero aver alimentato il caos medianico e operativo. Ma non giustificano il procedimento penale contro gli scienziati. Gli eventi catastrofici come e quando dovrebbero essere comunicati? Alla maniera “profetico-religiosa” di alcuni, magari con pochissime ore di preavviso mondiale? Per fare cosa? Per evacuare il pianeta Terra grazie a navicelle spaziali inesistenti come le scialuppe del Titanic? Nel 2008 Thomas Jordan e colleghi, quattro anni dopo la tragedia planetaria dello tsunami asiatico responsabile della morte di almeno 250mila persone nell’Oceano Indiano, condussero uno studio per stilare dei protocolli di emergenza ad uso e utilità delle sei nazioni a maggior rischio sulla Terra. Bene, nessuna ha legiferato in materia! Nessuno ha mai fatto nulla sulla base delle indicazioni esplicite degli scienziati. Nessun politico, nessun burocrate ha mosso un dito per aggiornare le leggi e salvaguardare le coste e città. Italia compresa, a pochi mesi dalla catastrofe aquilana! Nessuno a formalizzato in sede istituzionale, parlamentare e governativa, alcunché. Parola di Thomas Jordan. Nessuno ha informato la popolazione sulle procedure scientifiche da eseguire per evitare la morte delle persone in caso di catastrofi naturali. Impatti cosmici, eruzioni vulcaniche, terremoti e tsunami compresi. Nessuno ha fatto capire alle persone come calcolare il rischio sismico su base probabilistica. Nessuno ha spiegato ai cittadini dove e come abitare il territorio. Chi dovrebbe finire in galera con l’ergastolo? Jordan e il suo team di scienziati ha prodotto numeri inequivocabili che sono la chiave per capire tutto: le probabilità di un Big One, a San Francisco come nel resto del mondo, possono essere ovunque di una contro 100 ovvero di una contro 10mila. La sostanza non cambia. I cittadini non hanno certo familiarità con le previsioni probabilistiche elaborate dai sismilogi e che sarebbero, tuttavia, già sufficienti per mettere in sicurezza totale le nostre città. Ogni fenomeno naturale ha le sue. Se è importante distinguere le probabilità e la frequenza dei disastri su base temporale, il rischio non perde la sua drammatica attualità sulla base di una presunta “normalità” fenomenica alle diverse scale di occorrenza. La normale sismicità di un’area o la diversa collocazione su una mappa, ad esempio, non può far dormire sugli allori, come suggerisce Stephen Sparks, un vulcanologo della Bristol University. I cittadini devono pretendere dai propri politici e burocrati più di quanto finora immaginato, se vogliono sopravvivere. Allo stesso tempo, gli scienziati devono umilmente riconoscere che è giunta l’ora di farsi rispettare. Scendere dalle bianche torri di Ithilien, non basta. Dalla difesa bisogna passare all’attacco contro l’Hiroshima culturale planetaria, contro l’ignoranza scientifica. I mezzi (le App) non mancano. Ma, soprattutto, i sismologi devono far sapere che l’incertezza scientifica nelle loro stime di probabilità non può tradursi in una loro responsabilità penale dopo le catastrofi. A pagare debbono essere i politici e i burocrati investiti di responsabilità democratica dai loro popoli. Non gli scienziati. Le probabilità non debbono portare al carcere. I fallimenti politici, economici, fiscali, amministrativi, in sede di mancata messa in sicurezza dei propri territori e paesi prima delle catastrofi e della morte di centinaia o di milioni di persone, certamente sì. Per costoro è più che logico che si aprano le gabbie di un carcere. Non per gli scienziati. Non per chi fa ed annuncia le proprie scoperte. Dunque, per salvare vite umane bisogna ripensare la legislazione vigente e la comunicazione scientifica del rischio naturale. Non c’è ragione di ritenere, da sempre, che alcuna regione (dove oggi sorge una città o una megalopoli) della Terra sia immune da un Big One improvviso e letale, non soltanto in California o in Giappone o in Nuova Zelanda. Qualunque ne sia la causa naturale. Senza scatenare il panico, ogni scienziato che si rispetti ha il dovere di comunicarlo a chi di dovere senza rischiare nulla. Questa è la libertà. Dove essa manca, prima o poi, visto l’incremento esponenziale della popolazione terrestre (siamo oltre 7 miliardi di persone) che vive lungo le coste del mondo, si conteranno milioni di morti inevitabilmente. I pubblici ufficiali hanno il dovere di approntare le difese prima degli eventi. Ossia protocolli di Protezione Civile nazionale e internazionale, perfettamente integrati e universali, per far fronte ad ogni evenienza. Per evitare che il sistema dell’emergenza e dei soccorsi collassi a qualsiasi livello. Pesante a un impatto cosmico da asteroide o cometa, con annessi tsunami, terremoti ed eruzioni vulcaniche, a catena! Gli studi esistono e vanno fatti conoscere alla popolazione. Questo è il compito delle Commissioni istituzionali dei Grandi Rischi. Non di favorire l’ingresso in carcere dei suoi membri scientifici. Com’è noto il Progetto che il Presidente Mario Monti ha affidato all’Italia per proseguire la sua opera parla anche di Scuola, Università, Ricerca, Cultura e di Rivitalizzare la vocazione industriale scientifica e tecnologica del Belpaese (www.agenda-monti.it/). “È prioritario accrescere gli investimenti nella ricerca e nell’innovazione – dichiara il Presidente Mario Monti – incentivando in particolare gli investimenti nel settore privato, anche mediante agevolazioni fiscali e rafforzando il dialogo tra imprese e università. Bisogna rendere le università e i centri di ricerca italiani capaci di competere con successo per i fondi di ricerca europei, sulla scorta del lavoro avviato nei mesi passati”. Questo tema è evidenziato nel capitolo dedicato a “rivitalizzare la vocazione industriale dell’Italia” dove si afferma infatti che “occorre aumentare gli investimenti in ricerca e innovazione attraverso il credito strutturale di imposta”.  Potrà sembrare strano ma in Italia finora queste idee sono state lettera morta in politica negli ultimi 20 anni. Infatti i politicanti italiani di destra, centro e sinistra, tra un festino e l’altro, hanno pensato a ben altro! Certamente fallendo anche sul possibile aiuto “alle nuove piccole imprese innovative facendo emergere un mercato dei capitali di rischio”. Mario Monti parla di scuola, università e capitale umano per i quali il centro dell’intervento del suo Governo ruota intorno al principio che “man mano che si riduce il costo del debito pubblico e si eliminano spese inutili, possiamo creare nuovi spazi per investimenti nell’istruzione”. Il Senatore Monti sente questo suo Messaggio (ora Agenda Politica per l’Italia) come un dovere verso la Nazione, “per non buttare a mare, alle ortiche, i grandi sacrifici fatti dal popolo italiano”. Nello stesso spirito da parte degli scienziati sembra doveroso che, almeno per quanto riguarda la questione Ricerca-Innovazione in Italia, l’Agenda Politica sia ancora, se possibile, più chiara ed efficace. Il Ministro della pubblica istruzione avverte che per il 2013 ci può essere il ragionevole rischio che un numero sensibile di Università possa chiudere per collasso finanziario. Svariati Enti pubblici di ricerca stanno seguendo le vicende di quote di ricercatori precari a rischio del posto del lavoro dopo che alcune centinaia erano già stati persi negli anni precedenti. Ci si appresta a ridurre gli abbonamenti alle pubblicazioni scientifiche, altri ad approfittare dei “saldi” di inizio d’anno nuovo 2013 (post vacanze di Natale), altri ancora ad aumentare i giorni di chiusura e ridurre le spese di riscaldamento, altri a come motivare la rinuncia alla partecipazione a Convegni o a bandi non avendo il coraggio di confessare di non avere i soldi per le missioni e i progetti mentre le libertà fondamentali, costituzionalmente garantite, vengono sempre più compresse. Un mondo del tutto diverso da quello disegnato dai politicanti che, sorridendo in maniera innaturale, truccati all’inverosimile (meglio di Madama Butterfly) bramano più di ogni altra cosa il Potere e non la Scienza, non la Tecnologia al servizio dell’Uomo, in grado di creare vero Pil. Peraltro, per tutto ciò che è pubblico non sembrerebbe avere una particolare attenzione o interesse che non sia, stando ai fatti, per la loro chiusura o delocalizzazione estera. Magari si trattasse di effettiva privatizzazione e liberalizzazione, come per l’industria spaziale commerciale! Libertà che nei paesi liberi come gli Usa consente agli scienziati-imprenditori, con i loro brevetti, di far crescere le loro Mario Monti Premier in Italia della III Repubblicanazioni. La prima osservazione è che evidentemente tutti gli addetti alla ricerca pubblica a tutti i livelli guardano al Presidente Mario Monti sempre come ad un tecnico. Non certamente come un automa politicante marziano ultradimensionale separato dalla realtà dei cittadini. La seconda osservazione nasce dal fatto che, mentre si riconosce come prioritaria la necessità di accrescere gli investimenti nella ricerca e nell’innovazione, si precisa poi che questo obiettivo si raggiunge “incentivando in particolare gli investimenti del settore privato”. Se da un lato il Senatore (a vita) Mario Monti, candidato Premier alle Elezioni Politiche e Presidenziali italiane del 24-25 Febbraio 2013, accetta di buon grado un intervento pubblico in economia che abbia il senso del trasferimento finanziario, considerato che, giustamente, si batte contro le spese pubbliche inutili e gli sprechi, sarà bene verificare e far conoscere capillarmente questo tipo di intervento suggerito dal professor Monti. Che il nostro sistema industriale sia al collasso totale perché finora ha investito in ricerca molto meno degli altri sistemi industriali occidentali, è questione nota da decenni nell’indifferenza generale dei partiti, dei sindacati e dei movimenti al potere. Correggere questa differenza deficitaria con degli incentivi pubblici implica l’assumere due ipotesi, non necessariamente alternative, ma che almeno una deve risultare corretta: la prima consiste nel fatto che  il nostro sistema delle imprese, non realmente capitalistico ma feudale ed assistenziale, riceve dal pubblico in materia di Ricerca & Sviluppo minori aiuti rispetto a quelli ricevuti dalle imprese degli altri Paesi, venendosi a trovare così in condizioni sfavorevoli. La seconda ipotesi presume che i nostri imprenditori siano presi da una improvvisa crisi di avarizia autolesionistica tutte le volte che si presenta un possibile investimento in ricerca per sviluppare brevetti e Pil. La prima ipotesi è smentita dai fatti, basta leggere le statistiche; la seconda la lasciamo al Premier Monti perche gli scienziati ne hanno una terza del tutto differente. E cioè che quella differenza di spesa in ricerca tra le nostre imprese e le altre non esiste se solo i confronti venissero fatti con un minimo di intelligenza e cioè a parità di dimensione d’impresa ed a parità di specializzazione produttiva. Così facendo si vedrà che la terapia per le nostre imprese non è di natura psico-terapeutica ma capitalistica. Ma si dovrà allora constatare che quella difficoltà competitiva che anche Mario Monti rileva non può essere affrontata con qualche incentivo, ma rivoluzionando il Sistema delle Imprese pubbliche e private, liberalizzando tutto. Ci vuole ben altro per cambiare la specializzazione produttiva, ci vuole qualcosa di cui non vi è traccia alcuna nei partiti e movimenti politici italiani che si presentano di fronte al Popolo Italiano invocando il sacro voto politico! Nell’Agenda Monti per l’Italia del Senatore Monti, c’è un significativo bagliore nell’oscurità ma occorre una larghissimo consenso elettorale per attuarlo. La divisione non paga. Poiché tutto l’impianto dell’Agenda Monti è finalizzato al superamento della divergenza economica e sociale del nostro Paese dal resto dei soci europei, per quanto riguarda la questione della Ricerca/Sviluppo/Competitività, sembra di poter sostenere che con questa cura da cavallo il nostro Sistema Produttivo ricomincerà a risorgere solo se tutte le forze politiche e sindacali ingoieranno la pillola. Poiché la divergenza economica, sociale e culturale si potrà ridurre privatizzando il sistema della ricerca, Mario Monti dovrà essere investito di un’autorità ben più forte di quanto si possa oggi lontanamente immaginare o sognare. Con la sconfitta delle mafie territoriali e dei poteri oscuri che uccidono la scienza, la ricerca e il lavoro in Italia. La crisi generale del Paese, infatti, non è solo di ordine demografica: ritardi e marginalità del ruolo della ricerca e dell’innovazione in Italia sono fattori negativi e importanti del nostro declino economico, sociale e culturale. Pensate, si continua a morire di terremoti e le nostre spiagge sono sprovviste di cartelli di allerta tsunami! La recente indicazione che sta emergendo anche in sede europea per un maggiore impegno verso le questioni dello sviluppo, della ricerca e dell’innovazione coglie finalmente un punto centrale del ruolo europeo, ma nel contempo esalta i ritardi e le difficoltà crescenti dell’Italia. Il parallelo programma espresso dal Presidente degli Stati Uniti Barack Hussein Obama, prima delle elezioni di Novembre 2012 e confermato dopo la sua rielezione, con il quale si punta ad un ampio ricorso alle capacità della ricerca per recuperare il “sogno americano”, rappresenta un’ulteriore conferma della necessità di una vera e profonda riflessione critica e di una riprogettazione delle politiche economiche, sociali e ambientali italiane. Prevista dall’Agenda Monti che, se coronata dal successo politico-elettorale del 24-25 Febbraio 2013, rivoluzionerà la vita dei lavoratori scienziati e tecnici italiani, europei ed esteri. Questa iniziativa politica diretta vuole essere un urgente Appello al Popolo Italiano alla partecipazione della Società Civile, perché il mondo della ricerca e della cultura cosi direttamente chiamato in causa contribuisca con un proprio impegno e con una propria elaborazione a questo processo di trasformazione. Evitando accuratamente posizioni corporative ed allargando l’analisi ai problemi generali del Paese, sembra che proprio i ritardi “culturali” in materia di società della conoscenza rappresentino un ostacolo e un limite da superare necessariamente anche con il contributo di quanti non da oggi, peraltro, lamentano e segnalano il declino italiano. A questo fine gli scienziati di buona volontà ritengono di poter indicare intanto tre obiettivi generali, intorno ai quali articolare una serie di interventi e, in definitiva, un Progetto da sottoporre alle responsabilità politiche che avranno manifestato una apertura e una condivisione nel tradurre questo Sogno in un’azione incisiva di governo. Questi Obiettivi generali possono essere cosi espressi: Portare il sistema formativo, universitario e della ricerca ai livelli della media dell’Unione Europea nell’Arco di tempo di due legislature politico- economiche; Promuovere nello stesso arco temporale una struttura e una specializzazione produttiva capace di perseguire obiettivi di sviluppo sostenibile del Paese con politiche industriali autenticamente concorrenziali; Promuovere nella società civile, anche attraverso il concorso di autonome iniziative, la coscienza critica delle trasformazioni rese possibili dalla civiltà della conoscenza, nonché l’individuazione di tematiche sensibili e di interesse generale relative alla qualità etica, economica e sociale di uno sviluppo intrecciato con lo sviluppo delle conoscenze scientifiche grazie a politiche educative autenticamente innovative rispetto al passato. Nell’articolare questi Obiettivi generali gli scienziati non intendono certamente evitare la questione delle risorse finanziare, le cui ben note carenze sembrano alle volte essere utilizzate per negare le possibilità di determinati cambiamenti. Quindi domandano anche di esprimersi sull’entità e sulle fonti dei finanziamenti sottesi alle varie proposte. L’indicazione degli Obiettivi generali deve essere intesa come l’individuazione di una valenza capace di riassumere un arco molto ampio e differenziato di interventi tali, tuttavia, da concorrere a quello che necessariamente assume la dimensione di un Progetto Paese. Per esemplificare il percorso e il livello attuale delle elaborazioni che si ritengono opportune, gli scienziati sottolineano una serie di questioni e di indicazioni, certamente di diverso peso relativo e certamente non esaustive. Le ipotesi d’intervento conseguenti ai tre Obiettivi generali sono così esplicitate. Eliminare i provvedimenti sul taglio del turn-over (in questo momento all’80%) negli Enti di ricerca e avviare rapidamente l’assunzione di almeno 1000/1500 ricercatori nelle strutture pubbliche di ricerca concludendo tale operazione nell’arco di un biennio; Prevedere, a partire dal prossimo bilancio, un aumento annuo dei finanziamenti pubblici per la ricerca non inferire al 10% per le spese di investimento e del 5% sul resto (circa 0,5 miliardi all’anno, per due anni) per il recupero di operatività delle strutture. Unificare nell’arco di alcuni anni il trattamento normativo e retributivo dei dipendenti delle strutture pubbliche di ricerca alla media europea; Attuare una reale autonomia statutaria degli EPR in modo che la partecipazione delle comunità scientifiche interne sia effettivamente promotrice dello sviluppo degli Enti stessi; Evitare ogni ipotesi di nuove riforme delle istituzioni di ricerca a costo zero che, come le precedenti, avrebbero come soli effetti quelli di Jordan_Thomasintrodurre ritardi, disattendere aspettative, creare blocchi operativi e, nel frattempo, contribuire al degrado delle strutture. Se di riforma si vorrà parlare questo tema deve essere affrontato in tempi e modi tutti da definire, partendo dalla definizione degli obiettivi e dalla predisposizione di risorse; Definire uno strumento finanziario pubblico che assicuri gli investimenti a rischio e le relative valutazioni sulle prospettive e sulle strutture competitive e di mercato esistenti, relative agli specifici interventi attuativi di Progetti di particolare rilevanza economica. Esiste una crescente dimensione dell’intervento Comunitario sia in materia di scelte strategiche sia di interventi finanziari. Questa condizione richiede, date le connessioni sempre più strette tra Ricerca, Innovazione e Sviluppo, che da parte dell’Unione – e in primo luogo del Parlamento europeo – venga assunto e praticato il principio di operare per uno sviluppo equilibrato dell’Unione stessa. Per parte nazionale è necessario costruire da un lato una parallela capacità in materia di scelte strategiche e, dall’altro, le condizioni materiali per partecipare all’utilizzazione dei fondi comunitari tenendo presente che la possibilità di concorrere implica una preesistente disponibilità di risorse. Definire una sede politica di valutazione e approvazione di grandi Progetti pluriennali di ricerca/innovazione/sviluppo, nazionali o internazionali, rispondenti a valutazioni d’interesse nazionale, oltre che coerenti con i principi di uno sviluppo sostenibile. Tale CIPE Sviluppo/Innovazione deve essere incaricato anche di controllare, aggiornare e valutare i relativi andamenti e i risultati di tali Progetti. Particolarmente urgenti appaiono le revisioni della didattica disciplinare nel settore scientifico-tecnico a tutti i livelli. Promuovere nello stesso arco temporale una struttura e una specializzazione produttiva capace di perseguire obiettivi di sviluppo sostenibile del paese (politiche industriali). Articolare il trasferimento di risorse finanziarie pubbliche per spese in R&S a favore del sistema delle imprese sulla base di tre criteri: rendere le agevolazioni orizzontali e automatiche alla R&S delle imprese omogenee con quelle operanti negli altri paesi dell’Unione Europea; ospitare presso laboratori pubblici e con appositi accordi personale delle imprese impegnato in Progetti comuni di sviluppo; contribuire alla realizzazione di progetti di Sviluppo con copertura da parte pubblica sino al 50% dei costi allorché proposti dalle imprese e gestiti congiuntamente e sino all’80 % se proposti e gestiti dal pubblico. Esistono tematiche che per la loro rilevanza strategica in materia di sviluppo sostenibile, chiamano in causa una pluralità di responsabilità politiche e strumentali che devono convergere verso il raggiungimento di obiettivi coerenti. In queste condizioni è necessario elaborare un apposito Piano che espliciti questi obiettivi, le condizioni e le responsabilità operative e le corrispondenti dimensioni finanziarie. È questo attualmente il caso del tema dell’Energia. Attribuire alle strutture pubbliche di ricerca oltre che la responsabilità di definire e graduare gli impegni in materia di ricerca fondamentale e di ricerca libera, la possibilità di assumere l’iniziativa in materia di trasferimento tecnologico, di presentazioni di progetti d’innovazione, di stabilire accordi con il sistema economico, industriale e finanziario, nonché stabilire norme generali per la cessione delle conoscenze tali da favorire le azioni di applicazione e diffusione al sistema produttivo nazionale unitamente al controllo di tali sviluppi; Promuovere nella società la coscienza critica delle trasformazioni rese possibili dalla civiltà della conoscenza (politiche educative). Recuperare i finanziamenti alle scuole ed alle Università private da riversare sulle scuole e sulle Università pubbliche e, inoltre, per avviare una riforma della scuola dell’obbligo sino ai 18 anni come luogo sociale di formazione del cittadino. Prevedere risorse per un piano di formazione e disseminazione della cultura scientifica al fine di educare e innalzare la capacità della società italiana di comprendere e utilizzare i risultati delle ricerche e il loro impiego per lo sviluppo sostenibile. Sostenere le istituzioni culturali come l’Accademia dei Lincei, le Biblioteche Nazionali, Fondazioni della Conoscenza e della Divulgazione Scientifica, inserendole in un Sistema Integrato della Ricerca Italiana al fine di creare sinergie e promuovere contributi per il trasferimento della conoscenza verso la società e l’industria. La Scienza è Cultura a pieno titolo. Anche in Italia. Creare un’azione politica trasversale ai diversi ministeri (Ricerca e Università, Scuola, Ambiente, Agricoltura, Beni Culturali, Economia e Sviluppo, Sanità) per determinare azioni strategiche nazionali finalizzate all’aumento della competitività del sistema della ricerca italiano promuovendo trasferimento di conoscenze e multidisciplinarietà (ad esempio affrontando in modo integrato sfide e problematiche riguardanti sviluppo economico, ambiente e sanità). Consapevoli del fatto che tutte le città d’Italia e del mondo sono a rischio, è giunta l’ora di svegliarsi. La metà della popolazione mondiale vive nelle città, soprattutto lungo le coste! Le Tredici Raccomandazioni elaborate da dieci geoscienziati nell’Ottobre 2009 a L’Aquila, sono rimaste lettera morta nelle Istituzioni territoriali italiane. I soldi pubblici (è questa la percezione generale) vengono rubati dai partiti e dai movimenti politici finora al potere, invece di essere investisti per mettere in totale sicurezza antisismica le nostre case, non soltanto i centri strategici. Prepariamoci alla prossima catastrofe nazionale idrogeologica, sismica e vulcanica, con annesso tsunami, con il cuore e l’anima in santa pace. È inevitabile come nel “loop” di causalità infinita del film Matrix? In Italia, il rapporto tra i danni prodotti dai terremoti e l’energia rilasciata nel corso degli eventi è molto più alto rispetto a quello che si verifica normalmente in altri Paesi ad elevata sismicità, come la California, la Nuova Zelanda o il Giappone. Il terremoto del 1997 in Umbria e nelle Marche ha prodotto un quadro di danneggiamento (senza tetto: 32.000, danno economico di circa 10 miliardi di Euro) confrontabile con quello Tsunamidella California del 1989 (14.5 miliardi di dollari), malgrado fosse caratterizzato da un’energia circa 30 volte inferiore. Ciò è dovuto principalmente all’elevata densità abitativa, alla notevole fragilità del nostro patrimonio edilizio, all’inefficienza del sistema legislativo, politico, amministrativo. Certamente non bisogna stracciarsi troppo le vesti, ma neanche credere che si possa riuscire a risorgere dalle ceneri senza il contributo delle Istituzioni, degli scienziati e di persone qualificate come il Senatore Mario Monti. Altrimenti, meglio sarebbe astenersi. La grande abbuffata dei mediocri politicanti è certamente giunta al capolinea: l’Anello del Potere si è dissolto tra le fiamme del Monte Fato. Negli ultimi anni, accogliendo le Raccomandazioni della Commissione Internazionale, lo sforzo dei ricercatori si è finalmente concentrato sul determinare le variazioni temporali della probabilità di accadimento (lavori di Warner Marzocchi, dirigente di ricerca dell’Igv, autore con Jiancang Zhuang di Statistics between mainshocks and foreshocks in Italy and Southern California, Geophysical Research Letters 38, L09310, 2011 e con Maura Murru, Anna Maria Lombardi, Giuseppe Falcone, Rodolfo Console di Daily earthquake forecasts during the May-June 2012 Emilia earthquake sequence, Annals Of Geophysics, 55, 4, 2012). Che siano i Migliori a fare la differenza e la loro parte per salvare l’Italia.

Nicola Facciolini

Una risposta a “Terremoti Tsunami Eruzioni Vulcaniche Impatti Cosmici AD 2013, la Parola di Thomas Jordan”

  1. Vaffanculo ha detto:

    boia a chi molla tutti i pezzi di merda parassiti ,opportunisti , arrivisti ,politici ,usurpatori,ecc… finiranno nei forni

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