Tutto torna come prima: anche per la pensione di inabilità, che spetta alla persona con invalidità civile al 100 per cento, si continuerà a far riferimento al reddito personale del soggetto, senza prendere in considerazione anche il reddito del coniuge. La decisione è stata ufficializzata da una nota (la numero 717 del 14/01/2013) del direttore generale Mauro Nori che precisa come “sia nella liquidazione dell’assegno ordinario mensile di invalidità civile parziale, sia per la pensione di inabilità civile si continuerà a far riferimento al reddito personale dell’invalido”.
Il ripensamento viene spiegato sostenendo che “in attesa della preannunziata nota ministeriale a chiarimento della complessa materia dei limiti reddituali delle pensioni di inabilità civile ed in considerazione di un’interpretazione costituzionalmente orientata degli artt. 12 e 13 della legge n. 118/1971, si ritiene di non modificare l’orientamento amministrativo assunto a suo tempo dal Ministero dell’Interno (circ. Ministero dell’Interno n. 5 del 20.6.1980) e successivamente confermato nel tempo da questo Istituto all’atto del subentro nella funzione di erogazione delle provvidenze economiche per le minorazioni civili”.
Con la circolare n. 149 del 28 dicembre 2012 la Direzione Centrale delle Prestazioni dell’Inps, con l’annuale provvedimento che fissa gli importi per le provvidenze (pensioni, assegni, indennità) e i limiti reddituali, aveva introdotto per via amministrativa una novità rilevante destinata agli invalidi civile al 100%: nel reddito considerato per valutare il superamento o meno della soglia per l’ottenimento della pensione rientrava non solo il reddito personale ma anche quello del coniuge. Una decisione che non si basava sulla legge, ma su una singola sentenza della Corte di Cassazione (la n° 4677 del 2011) con cui la Sezione Lavoro della Corte di Cassazione aveva respinto l’impugnazione di una cittadina contro Inps e ministero delle Finanze che in precedenza le avevano respinto la domanda di inabilità civile. A sostegno della decisione presa, la Corte rilevava che, cumulando i redditi del coniuge, la signora superava i limiti di redditi previsti per il requisito economico.
Sulla vicenda le principali associazioni delle persone con disabilità e i sindacati avevano espresso forti critiche all’Inps, accusato di cambiare le regole in via amministrativa. Il ministero del Lavoro e delle Politiche sociali aveva aperto un’istruttoria e lo stesso ministro Fornero, in una lettera al presidente Inps Mastrapasqua, aveva chiesto di fatto la sospensione del provvedimento, ritenendo che “ogni decisione al riguardo debba essere presa solo a seguito del completamento dell’istruttoria” avviata dal dicastero del Welfare. La circolare Inps “ha comprensibilmente creato – scriveva il ministero – forte preoccupazione sociale in quanto il nuovo indirizzo si pone in antitesi con quanto operato negli ultimi trent’anni, in coerenza con i pronunciamenti della stessa Corte di Cassazione degli anni precedenti”. Veniva fatto notare come la stessa Corte di Cassazione poneva “in evidenza l’esistenza di normative diverse per le prestazioni riservate agli inabili totali e parziali”, e lo stesso pronunciamento della Corte di Cassazione (avvenuto peraltro non a sezioni riunite) contraddiceva una giurisprudenza concorde, mantenuta fino a quel momento, sulla non inclusione del reddito familiare nella considerazione della soglia del reddito per ottenere la pensione.
Il ministro Fornero chiedeva all’Inps di “valutare, ppur nel rispetto dell’autonomia dell’Istituto, tutti gli aspetti giuridici, di merito e di equità connessi all’applicazione della nuova soglia reddituale almeno fino al completamento dell’istruttoria stessa (incluse le implicazioni relative alle erogazioni effettuate in aderenza al precedente orientamento giurisprudenziale)”. Una richiesta alla quale ha fatto immediatamente seguito la decisione dell’Inps di sospendere la decisione assunta a fine dicembre. Per la soddisfazione dei sindacati e delle associazioni del settore.
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