“Se il risultato conferma le ipotesi, allora hai appena fatto una misura; se il risultato è contrario alle ipotesi, allora hai fatto una scoperta”(Enrico Fermi). Tsunami di raggi cosmici piovono sulla Terra anche dalla supernova dell’Anno Domini 1006 che svela i suoi segreti agli astronomi europei grazie al Very Large Telescope dell’Osservatorio australe ESO in Cile. Una pioggia celeste inarrestabile e molto importante per il nostro Dna. Nello spazio profondo esistono le “sorelle” maggiori del famoso acceleratore Lhc del Cern di Ginevra spento, dopo la scoperta del Bosone di Higgs, per essere potenziato. L’osservatorio orbitale Fermi della Nasa conferma che sono gigantesche fabbriche di supermateria cosmica accelerata, arricchendo così quanto rilevato dal satellite Agile dell’Agenzia Spaziale Italiana, sulla base dell’intuizione del grande fisico italiano Enrico Fermi, premio Nobel cacciato dall’Italia e dall’Europa negli Anni Trenta del XX Secolo insieme a tanti altri illustri colleghi come Albert Einstein. Le analisi integrate dell’Eso, della Nasa, dell’Esa e dell’Asi hanno permesso agli scienziati di arrivare a questo straordinario risultato. Nuove osservazioni molto dettagliate del millenario resto di supernova SN1006, ottenute con il VLT dell’Eso, svelano alcuni indizi sull’origine dei raggi cosmici che irradiano regolarmente la Terra contribuendo alle mutazioni genetiche degli esseri viventi. Le supernove rappresentano la fine naturale delle stelle di grande massa che esplodono emettendo grandi quantità di energia (soprattutto sotto forma di neutrini e protoni) e materia accelerata a decine di migliaia di chilometri al secondo, scagliandole nello spazio profondo con onde d’urto violentissime, producendo ed irradiando tutti gli elementi radioattivi più pesanti dell’Elio, sotto forma di particelle, elementi chimici indispensabili alla vita, e onde gravitazionali. Nella nostra Galassia (Via Lattea) le supernova e sono in forte ritardo da almeno 400 anni. Per la prima volta le osservazioni del VLT suggeriscono la presenza di particelle ad alta velocità nel resto di supernova SN1006. Potrebbero essere i precursori dei raggi cosmici. I risultati sono stati pubblicati sul numero del 14 Febbraio 2013 della rivista Science. Nell’Anno del Signore 1006, in pieno Medioevo (come l’attuale, vista la sentenza dell’Alta Corte europea che ha “legittimato” ufficialmente le adozioni di minori da parte di coppie gay, un abominio giudico pedopornografico senza precedenti nella Storia del Diritto), quando la cultura occidentale custodita nelle biblioteche degli eremi e dei conventi dell’Impero Romano d’Oriente si salvò grazie al lavoro certosino di monaci, frati e sacerdoti di Santa Romana Apostolica Chiesa, una nuova stella apparve nei cieli australi e venne registrata in quasi tutto il mondo. Era molto più brillante del pianeta Venere. Potrebbe addirittura aver rivaleggiato in luminosità con la Luna Piena: al massimo di splendore la supernova forse era così sfolgorante da produrre ombre anche di giorno. In tempi più recenti gli astronomi hanno identificato la posizione di questa immane deflagrazione stellare e l’hanno chiamata SN1006. Hanno anche trovato un anello luminoso di materiale in espansione, nella costellazione australe del Lupo, che costituisce i resti della grande esplosione. Da tempo si sospetta che questi resti di supernova siano anche il luogo in cui si formano alcuni raggi cosmici, particelle molto energetiche, provenienti dallo spazio esterno del Sistema Solare, che si muovono a velocità prossime a quella della luce (300mila chilometri al secondo). Ma finora i dettagli di questo meccanismo fisico erano gelosamente custoditi nel fronte d’urto della supernova SN1006. Il team di astronomi, guidato da Sladjana Nikolić del “Max Planck Institute for Astronomy” di Heidelberg (Germania) grazie allo strumento Vimos accoppiato al VLT dell’Eso, è riuscito ad osservare il millenario resto di SN1006 con una risoluzione mai raggiunta prima. Le nuove prove sono emerse durante l’analisi dei dati effettuata da Sladjana Nikolić come parte della ricerca svolta per il dottorato all’Università di Heidelberg. I ricercatori volevano studiare ciò che accade nel luogo in cui il materiale espulso ad alta velocità dalla supernova si getta sulla materia interstellare “ferma”, cioè sul fronte d’urto che si espande ad alta velocità, producendo un’onda di pressione simile al boato sonico causato da uno Space Shuttle, da un jet F-35 o T-50 o dalla grandinata di meteoriti incandescenti che Venerdì 15 Febbraio 2013, dopo l’esplosione in cielo da 500 chilotoni di un singolo corpo celeste di 17 metri e 10mila tonnellate, si sono abbattuti su Chelyabinsk in Russia (www.youtube.com/watch?v=ZPWs8bGhMZc). Uno tsunami cosmico di polveri, gas e radiazioni inarrestabili. Il fronte d’urto della SN1006 è forse un candidato naturale per l’acceleratore di particelle cosmico a lungo cercato. Per la prima volta l’equipe di astrofisici è riuscita non solo a ricavare informazioni sul materiale del fronte d’urto in una certa regione, ma anche a costruire una mappa delle proprietà del gas e di come queste cambiano attraversando il fronte medesimo. L’analisi ha fornito indizi essenziali per risolvere il mistero. I risultati appaiono sorprendenti e suggeriscono che vi siano molti più protoni in moto rapidissimo nel gas, nella regione d’impatto della supernova con il mezzo interstellare. Questi protoni, molti di più di quelli finora attesi, sono chiamati “sopratermici” poiché si muovono molto più velocemente di quanto previsto semplicemente sulla base della temperatura del materiale espulso dalla stella. Anche se non sono i raggi cosmici di alta energia tanto ricercati, potrebbero essere le “particelle seme” necessarie per acquistare, attraverso l’interazione con il materiale nel fronte d’urto, l’energia elevatissima richiesta per volar via nello spazio come raggi cosmici. “Questa è la prima volta che riusciamo a guardare da vicino quel che accade nel fronte d’urto di una supernova e nei suoi dintorni – rivela Sladjana Nikolić – abbiamo trovato l’evidenza della presenza di una regione che viene riscaldata proprio come ci si aspetterebbe se ci fossero dei protoni che trasportano l’energia direttamente dalla periferia al fronte d’urto”. È la prima ricerca a far uso di uno spettrografo a campo integrale per sondare le proprietà del fronte d’urto nei resti di supernova in così gran dettaglio. L’equipe è ora ansiosa di applicare questo metodo ad altri resti di supernova, anche quelli più vicini al nostro Sistema Solare. Ciò viene ottenuto per mezzo di una funzione del sensore Vimos chiamata “unità di campo integrale” in cui la luce registrata in ogni pixel viene dispersa nei suoi colori componenti: ciascuno di questi spettri viene poi registrato. Gli spettri possono essere quindi analizzati individualmente e si possono costruire le mappe delle velocità e delle proprietà chimiche di ogni parte dell’oggetto. “Questo nuovo approccio osservativo – fa notare Glenn van de Ven, del Max Planck Institute for Astronomy, coautore dello studio presentato nell’articolo “An Integral View of Fast Shocks around Supernova 1006” pubblicato su Science – potrebbe essere la chiave per risolvere il rompicapo della produzione dei raggi cosmici da parte dei resti di supernova”. L’equipe è composta da Sladjana Nikolić (Max Planck Institute for Astronomy [MPIA], Heidelberg, Germania), Glenn van de Ven (MPIA), Kevin Heng (University of Bern, Svizzera), Daniel Kupko (Leibniz Institute for Astrophysics Potsdam [AIP], Potsdam, Germania), Bernd Husemann (AIP), John C. Raymond (Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics, Cambridge, USA), John P. Hughes (Rutgers University, Piscataway, USA) e Jesús Falcon-Barroso (Instituto de Astrofísica de Canarias, La Laguna, Spagna). Queste ricerche avvalorano i dati del satellite Fermi della Nasa che conferma l’esistenza delle sorelle maggiori dell’acceleratore del Cern: si trovano nell’Universo i giganteschi LHC cosmici. Nel giorno in cui il Large Hadron Collider viene spento per essere reso più potente, il satellite Fermi ha infatti osservato tracce di questi potenti acceleratori che conferiscono alle particelle energia e velocità altissime per poi scagliarle nello spazio profondo, fino a farle piovere anche sulla Terra sotto forma di raggi cosmici in grado di modificare il Dna degli esseri viventi nel corso di milioni di anni. Lo studio è pubblicato sulla rivista scientifica Science anche a firma di numerosi ricercatori italiani dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn), dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf) e dell’Agenzia Spaziale Italiana attraverso l’ASI Science Data Center. Il satellite Fermi, lanciato in orbita l’11 Giugno 2008, è una missione della Nasa realizzata anche grazie all’importante contributo di team scientifici italiani che hanno costruito parti fondamentali dei rivelatori a bordo dell’osservatorio. L’Agenzia Spaziale Italiana ha coordinato e co-finanziato il contributo nazionale all’esperimento anche per distribuirne i dati tramite l’ASDC. Il cuore del rivelatore di fotoni di altissima energia del Fermi è il Large Area Telescope (LAT), lo strumento grazie al quale è stata possibile questa scoperta, costruito in Italia dagli scienziati dell’Infn. Lo studio ha esaminato ciò che resta di due supernovae. La teoria più accreditata prevede che questa onda d’urto, quando incontra i densi strati di materia (nubi molecolari) che si trovano nelle vicinanze dell’evento, inneschi il meccanismo di accelerazione delle particelle, in particolare i protoni, già previsto in forma semplificata da Enrico Fermi più di 60 anni fa, e che è all’origine delle altissime energie raggiunte dai raggi cosmici che raggiungono copiosamente anche il nostro pianeta. I protoni però non solo vengono accelerati ad altissima velocità ed energia, proprio come avviene nell’acceleratore Lhc al Cern di Ginevra, ma collidono fra di loro dando origine ad una cascata di particelle secondarie. Quando i protoni si scontrano producono, fra le altre, una particella senza carica elettrica chiamata “pione neutro” che decade immediatamente emettendo coppie di fotoni di luce con una distribuzione di energia caratteristica. Proprio studiando i fotoni provenienti dai resti delle supernovae, i ricercatori dell’osservatorio Fermi sono riusciti a trovare una quantità significativa di questi fotoni con la distribuzione in energia tipica del decadimento del pione neutro. Pare ragionevole pensare che la “firma” delle collisioni protone-protone ad alta energia sia dell’acceleratore celeste. Finora mancavano prove dirette del meccanismo cosmico da tempo ipotizzato dagli astrofisici. Oggi, il Large Area Telescope a bordo del Fermi lo conferma migliorando quanto era già stato rivelato da un altro satellite ad esclusiva partecipazione italiana: l’osservatorio Agile dell’Asi, frutto della collaborazione con l’Inaf e l’Infn. “È uno dei risultati più attesi ed importanti degli ultimi venti anni per l’astrofisica delle alte energie e per la fisica astroparticellare – dichiara Ronaldo Bellazzini coordinatore per l’Infn del gruppo di scienziati italiani del Fermi – abbiamo ora l’evidenza diretta che la nostra Galassia è popolata da una moltitudine di macchine acceleratrici in grado di portare i raggi cosmici ad energie cosi elevate che neppure potremmo immaginare di raggiungere con i nostri acceleratori terrestri. Queste ‘macchine’ cosmiche sono potenti laboratori per studiare fenomeni altrimenti inaccessibili con gli strumenti che l’uomo può pensare di costruire sulla terra”. E in orbita terrestre. “È una grande conferma della scoperta del satellite Agile pubblicata l’anno scorso da Giuliani et al., di emissione gamma da pioni neutri prodotti da raggi cosmici accelerati nella supernova W44 – rivela Marco Tavani dell’Inaf, Principal Investigator del satellite AGILE – è un risultato di straordinaria importanza per la scienza italiana che segue la tradizione di Enrico Fermi. Sono sicuro che sarebbe contento di noi, se potesse vedere questi risultati che finalmente, dopo molti decenni, sono arrivati”. Conferma che sposa lo studio ottenuto dal Very Large Telescope dell’Eso in grado di sparare un potente raggio laser nel cielo per creare una stella artificiale, consentendo al Telescopio di produrre immagini di ottima qualità ottica. Le stelle a guida laser sono astri artificiali creati nell’atmosfera terrestre. Per effetto del laser, lo strato di atomi di sodio che si trova a 90 chilometri di altitudine, emette luce, creando così una stella artificiale nel cielo: usando le misurazioni ottenute rispetto alla stella artificiale, gli strumenti ottici adattivi possono quindi correggere nelle osservazioni l’effetto di sfocatura dovuto all’atmosfera. Il concetto innovativo dell’Eso è di lanciare il laser con un piccolo telescopio combinato in una singola unità modulare che può essere montata direttamente su un telescopio più grande. L’idea, che è stata brevettata dall’Eso, sarà usata per dotare il Very Large Telescope (VLT) di quattro unità laser simili, ed avrà inoltre un ruolo chiave nelle unità che attrezzeranno il futuro European Extremely Large Telescope (E-ELT). Da appena un secolo sappiamo che la Terra è costantemente sottoposta ad una doccia di raggi cosmici: particelle di altissima energia, per lo più protoni, che ci piovono addosso da ogni direzione. Gli scienziati trovano difficile dimostrare da dove vengano perché il debole campo magnetico che pervade la nostra Galassia è sufficiente per curvare la loro traiettoria rendendo impossibile ricostruire la loro direzione di origine. “Non resta che procedere a ritroso cercando di capire quali condizioni fisiche siano necessarie per accelerare particelle ad energie così alte da superare quelle raggiungibili da Lhc” – spiega Patrizia Caraveo, Direttore dell’Istituto di Astrofisica Spaziale e Fisica Cosmica dell’Inaf a Milano. L’idea brillante venne ad Enrico Fermi che propose un meccanismo tipo ping-pong per aumentare la velocità (energia cinetica) delle particelle grazie a rimbalzi su strutture in movimento nel mezzo interstellare. “Ovviamente le particelle non rimbalzano contro un muro ma interagiscono con una struttura, tipicamente un filamento, caratterizzata da densità maggiore di quella dell’ambiente circostante. Quindi da un campo magnetico più elevato. È il campo magnetico che devia la traiettoria delle particelle ridistribuendole in tutte le direzioni. Le particelle che rimangono intrappolate nel campo magnetico del filamento, ad ogni rimbalzo acquistano un po’ di energia a spese del moto del filamento e vengono accelerate. Le strutture in movimento più spettacolari che conosciamo sono i resti di supernova, quindi l’identikit delle possibili sorgenti di raggi è presto fatto: gli oggetti celesti ideali per accelerare i raggi cosmici sono i resti delle esplosioni di supernova”. L’astronomia X, grazie alle osservazioni dei telescopi spaziali Chandra ed XMM-Newton, ha fornito prove convincenti che i resti di supernova emettono radiazione di sincrotrone prodotta da elettroni accelerati che interagiscono con il campo magnetico dei filamenti in movimento. “È un buon inizio, ma non basta. Noi sappiamo che la maggioranza dei raggi cosmici sono protoni e quello che cerchiamo – rivela la Caraveo – è la prova della presenza di protoni accelerati. Peccato che i protoni siano più difficili da rivelare degli elettroni. Non emettono sincrotrone (i campi magnetici dei resti di supernova fanno il solletico ai protoni) e l’unico modo che abbiamo di indovinare la presenza di protoni accelerati è attraverso i prodotti della loro interazione con il mezzo interstellare. Quando un protone dei raggi cosmici colpisce un protone del mezzo interstellare vengono generate diverse particelle, una delle quali, il pione neutro, decade immediatamente in due raggi gamma di alta energia. Se questi fotoni, che vengono emessi in tutte le direzioni, viaggiano in direzione della Terra hanno una certa probabilità di essere registrati dai telescopi gamma che operano in orbita terrestre: Agile della Agenzia Spaziale Italiana e Fermi della Nasa”. Dal momento che i raggi gamma si propagano in linea retta, possiamo capire da dove vengono. “È in questo modo che l’astronomia gamma può partecipare da protagonista alla caccia alle sorgenti dei raggi cosmici”. Basta puntare Agile e Fermi verso un resto di supernova per avere la prova dell’accelerazione dei raggi cosmici? “Non è così semplice. Oltre ai protoni accelerati ci vogliono dei protoni-bersaglio, quindi non basta guardare un bel resto di supernova, occorre selezionare un resto che si stia espandendo contro una nube interstellare. Per di più, i resti non devono essere troppo giovani – fa notare la Caraveo – per evitare un contributo troppo importante da parte dei sempre presenti elettroni, che sono anche capaci di produrre raggi gamma con un meccanismo che i fisici chiamano Compton Inverso”. Questo restringe la scelta a un numero esiguo di oggetti celesti. “I più promettenti sono noti come IC443 nell’anticentro della nostra Galassia, più o meno a metà strada tra la nebulosa del Granchio e Geminga, e W44 immerso nel piano della nostra Galassia. Entrambi sono stati studiati in dettaglio da Agile e Fermi, e i risultati concordano nel mostrare la firma della presenza di protoni accelerati. Entrambi sono rivelati come sorgenti estese e la forma vista in gamma è compatibile con quella tracciata sulla base dei dati radio. Non è la forma del resto di supernova che ci mostra i protoni bensì lo spettro. È lì che si può trovare la prova che i raggi gamma sono stati prodotti dall’interazione dei protoni dei raggi cosmici con i protoni del mezzo interstellare”. Il pione neutro, quando decade, dà origine a due raggi gamma che ereditano sia la sua energia di massa sia la sua energia cinetica. “La massa del p0 è 135 MeV, quindi i due gamma possono contare su un’eredità di massa di poco meno di 70 MeV ciascuno oltre all’energia cinetica della particella originale. I gamma prodotti dall’interazioni tra protoni accelerati e protoni bersaglio hanno una firma spettrale ben precisa e inconfondibile: un bump intorno ai 100 MeV. È questo che è stato visto prima da Agile e adesso da Fermi, che pubblica su Science il grafico cumulativo dei dati gamma disponibili per W44”. Nel frattempo, Agile ha accumulato più dati e lo spettro ha una gobba ancora più pronunciata. È la fine del mistero? “Solo in parte. Grazie ad Agile ed a Fermi – spiega la Caraveo – adesso sappiamo dove vengono accelerati i raggi cosmici che ci piovono addosso continuamente, non sappiamo ancora in dettaglio come ciò avvenga”. Tutti dovrebbero visitare i più grandi telescopi astronomici dell’Eso in Cile, “occhi” straordinari che rappresentano un omaggio agli scienziati e all’industria europei, ma anche a come essi interagiscono con efficacia all’interno dell’Eso sia con altri Stati membri sia con la nazione ospite, il Cile. Il Paranal è un simbolo importante per l’umanità, dell’aspirazione alla conoscenza e della cooperazione internazionale. Poter visitare questo luogo spettacolare e vedere con i propri occhi i frutti della collaborazione di molti stati europei nel campo dell’Astronomia, è un privilegio senza precedenti. È fondamentale esplorare le frontiere della scienza ed approfondire la nostra conoscenza dell’Universo. Come cittadini europei siamo orgogliosi di vedere che teniamo fede a questo obiettivo ambizioso. Grazie all’Eso, gli Stati Uniti d’Europa sono già una realtà scientifica consolidata. L’Eso è un grande esempio di come persone di molte diverse nazioni e culture si siano uniti per portare l’astronomia negli Stati membri e della nazione ospite, il Cile, all’avanguardia della ricerca astronomica mondiale. Lo prova la nuova immagine del telescopio VISTA dell’Eso che cattura un paesaggio celeste di nubi di gas incandescenti e tentacoli di polvere che circondano giovani stelle calde. L’immagine infrarossa mostra l’incubatrice stellare nota come NGC 6357 sotto una nuova, sorprendente luce. È stata ottenuta durante una survey di Vista che sta scansionando tutta la Via Lattea per costruire una mappa della sua struttura e spiegare come si è formata. A circa 8000 anni luce dalla Terra nella costellazione dello Scorpione, NGC 6357, a volte soprannominata la Nebulosa Aragosta per il suo aspetto nelle immagini in luce visibile, è una regione piena di grandi nubi di gas e tentacoli di polvere scura. Queste nubi stanno formando stelle. Alcune molto calde e massicce che risplendono di blu-bianco in luce visibile. Il nome informale di Nebulosa Aragosta viene a volte dato anche alla spettacolare regione di formazione stellare Messier 17, anche se quest’oggetto viene chiamato Nebulosa Omega. La nuova immagine usa dati infrarossi dal telescopio “Visible and Infrared Survey Telescope for Astronomy” dell’Eso all’Osservatorio di Paranal in Cile. È solo una piccola parte dell’immensa scansione cosmica chiamata “VISTA Variables in the Vía Láctea” che sta osservando la zona centrale della nostra Galassia. La nuova fotografia mostra un panorama molto diverso da quello delle immagini in luce visibile, come quella del telescopio danese da 1,5 metri a La Silla, poiché la radiazione infrarossa può penetrare gran parte del rivestimento di polvere che avvolge l’oggetto. Le osservazioni nella banda infrarossa possono svelare strutture non visibili nelle foto in luce visibile: poiché l’oggetto è troppo freddo, è oscurato da uno spesso strato di polvere o è molto distante, la sua luce giunge sulla Terra “stirata” verso l’estremità rossa dello spettro dall’espansione accelerata dell’Universo. Si pensava che uno degli astri più giovani e brillanti in NGC 6357, nota come Pismis 24-1, fosse la stella più massiccia conosciuta, finché non fu scoperto che in realtà era composta da almeno tre enormi stelle brillanti, ciascuna con una massa poco meno di 100 volte quella del nostro Sole. Queste stelle sono dei veri pesi massimi, tra gli astri più massicci della nostra Via Lattea. Pismis 24-1 è l’oggetto più brillante nell’ammasso stellare Pismis 24, un gruppo di stelle che si pensa si siano formate tutte allo stesso tempo in NGC 6357. Vista è il più grande e potente telescopio per survey mai costruito ed è dedicato a osservare il cielo in luce infrarossa. La survey VVV sta esplorando il rigonfiamento centrale e parte del piano della nostra Galassia per creare un’enorme collezione di dati che aiuti gli astronomi a scoprire nuove informazioni sull’origine, sui primi momenti di vita e sulla struttura della Via Lattea. Alcune parti di NGC 6357 sono state osservate anche dal Telescopio Spaziale Hubble della Nasa/Esa e dal VLT. Entrambi i telescopi hanno prodotto immagini in luce visibile di varie zone di questa regione. Il confronto con la nuova immagine infrarossa mostra alcune differenze notevoli. Nell’infrarosso i grandi pennacchi di materiale di colore rossastro sono molto ridotti, con tentacoli di pallido gas violaceo che si dipartono dalla nebulosa in diverse aree. C’è poi l’immagine infrarossa del telescopio Vista che mostra l’ammasso globulare 47 Tucanae con un dettaglio sorprendente: contiene milioni di stelle e molte tra quelle annidate al suo interno ci appaiono esotiche e mostrano proprietà insolite. Studiare gli oggetti all’interno di ammassi come 47 Tucanae aiuta gli scienziati a capire meglio come queste strane sfere si formano e interagiscono. L’immagine è molto nitida e profonda. Gli ammassi globulari sono grandi nubi sferiche di stelle vecchie legate dalla gravità. Orbitano intorno al nucleo delle galassie, così come i satelliti orbitano intorno alla Terra. Questi grumi di stelle contengono pochissima polvere e gas: si pensa che la maggior parte sia stata soffiata via dall’ammasso dai venti stellari e dalle esplosioni delle stelle in esso contenute, o strappata dal gas interstellare che interagisce con l’ammasso. Tutto il materiale rimasto si è fuso a formare stelle miliardi di anni fa. Gli ammassi globulari accendono l’interesse degli astronomi per un sacco di buone ragioni: 47 Tucanae, noto anche come NGC 104, è un ammasso globulare enorme ed antico, a circa 15000 anni luce dalla Terra. Contiene molte stelle e sistemi stellari bizzarri e interessanti. Ubicato nella costellazione australe del Tucano, 47 Tucanae orbita nella Via Lattea. La sua dimensione di circa 120 anni luce è così ampia che, nonostante la distanza, appare grande quasi come la Luna piena. Contiene milioni di stelle ed è tra i più brillanti e massicci ammassi globulari noti. È visibile a occhio nudo. Esistono più di 150 ammassi globulari in orbita intorno al centro della nostra Galassia: 47 Tucanae è il secondo per massa, dopo Omega Centauri. Tra la massa vorticosa di stelle al centro si trovano molti sistemi interessanti, tra cui sorgenti di raggi X, stelle variabili, stelle-vampiro, stelle “normali” inaspettatamente brillanti note come le “vagabonde blu” (“blue stragglers”) e piccoli oggetti noti come “pulsar al millisecondo”, stelle morte che ruotano molto rapidamente. Le pulsar al millisecondo sono versioni incredibilmente più veloci delle pulsar normali, resti stellari altamente magnetizzati in rapidissima rotazione che emettono impulsi di radiazione mentre girano. Sono 23 le pulsar al millisecondo note in 47 Tucanae. Più di tutti gli altri ammassi globulari tranne uno, Terzan 5. Le giganti rosse, stelle che hanno esaurito il combustibile nel nucleo e si sono quindi gonfiate, sono distribuite ovunque nell’immagine di Vista e sono facili da individuare poiché risplendono di un colore ambra scuro che si staglia sullo sfondo bianco-giallo degli astri. Il nucleo densamente affollato fa da contrasto alle regioni più esterne dell’ammasso, meno dense, mentre sullo sfondo sono visibili molte stelle della Piccola Nube di Magellano. L’immagine è stata ottenuta con il telescopio Vista dell’Eso, durante la survey delle Nubi di Magellano, due delle galassie più vicine alla Terra: 47 Tucanae, anche se molto più vicino delle Nubi, si trova per caso in proiezione davanti alla Piccola Nube di Magellano ripresa durante la survey. In Cile l’Osservatorio australe europeo dispone anche del Telescopio APEX (Atacama Pathfinder Experiment). Una nuova immagine mostra una splendida vista delle nubi di polvere cosmica nella regione di Orione. Mentre queste dense nubi interstellari appaiono scure e opache nelle osservazioni in luce visibile, la camera LABOCA di APEX osserva il calore emesso dalla polvere e svela i nascondigli in cui si formano nuove stelle. Ma una di queste nubi oscure non è quel che sembra. Nello spazio, le dense nubi di gas e polvere cosmica costituiscono il luogo di nascita delle nuove stelle. In luce visibile, questa polvere è scura e opaca, nasconde gli astri dietro di sé così efficacemente che, quando l’astronomo William Herschel ne osservò una nella costellazione dello Scorpione nell’Anno Domini 1774, pensò di aver trovato una regione senza stelle. E così si dice abbia esclamato:“Qui c’è davvero un buco nel cielo!”(in tedesco:“Hier ist wahrhaftig ein Loch im Himmel!”). Per meglio comprendere la formazione stellare, agli astronomi servono telescopi in grado di osservare a lunghezze d’onda maggiori, come la banda sub-millimetrica, in cui i grani scuri di polvere emettono invece che assorbire luce. APEX, sulla piana di Chajnantor nelle Ande cilene, è il più grande telescopio ad antenna singola per la banda sub-millimetrica nell’emisfero australe ed è ideale per gli astronomi che studiano la nascita delle stelle. Il complesso della nube molecolare di Orione, nella costellazione di Orione, a circa 1500 anni luce dalla Terra, è la regione di formazione stellare massiccia più vicina al nostro pianeta. Contiene un tesoro di nebulose brillanti, di nubi oscure e di giovani stelle. La nuova immagine mostra solo una parte di questo vasto complesso in luce visibile, a cui sono sovrapposti i dati di APEX, in brillanti toni arancio, che sembrano incendiare la nube scura. Spesso i grumi più brillanti visti da APEX corrispondono alle macchie più scure in luce visibile: il segno caratteristico di una densa nube di polvere che assorbe la luce visibile ma risplende a lunghezze d’onda sub-millimetriche, probabile zona di formazione stellare. La macchia brillante sotto al centro della nuova immagine dell’Eso, è la nebulosa NGC 1999. Questa regione, se vista in luce visibile, è quella che gli astronomi chiamano nebulosa a riflessione, in cui la debole luce bluastra delle stelle di sfondo viene riflessa dalle nubi di polvere. La nebulosa è illuminata soprattutto dalla radiazione energetica emessa dalla giovane stella V380 Orionis che si annida all’interno. L’astro ha una temperatura superficiale di circa 10000 gradi Kelvin (circa la stessa in gradi Celsius), cioè quasi il doppio del Sole. La massa dovrebbe essere circa 3,5 volte quella del nostro luminare. Al centro della nebulosa è evidente una chiazza scura, visibile ancor più chiaramente nella famosa immagine del telescopio spaziale Hubble della Nasa/Esa. Di solito una chiazza scura indica una densa nube di polvere cosmica, che nasconde le stelle e la nebulosa dietro di sé. Invece gli astronomi vedono nell’immagine che la chiazza rimane incredibilmente scura, anche quando si aggiungono le osservazioni di APEX. Grazie a queste osservazioni combinate con quelle in luce infrarossa di altri telescopi, gli scienziati ritengono che la macchia scura sia in realtà un buco o una cavità della nebulosa, scavata dal materiale che fluisce dalla stella V380 Orionis. La regione raffigurata nell’immagine si trova circa due gradi a sud della grande e ben nota Nebulosa di Orione (Messier 42) che si vede verso il bordo superiore nella panoramica più ampia in luce visibile dalla “Digitized Sky Survey”. Il laser sparato dall’Eso per la ricerca astronomica è un potente raggio luminoso di 20 Watt. Per proteggere piloti e passeggeri dei voli, è stata creata in Cile una zona di divieto di volo attorno all’Osservatorio durante le ore notturne di osservazione. L’European Southern Observatory (Osservatorio Australe Europeo) è la principale organizzazione intergovernativa di Astronomia in Europa e l’Osservatorio astronomico più produttivo al mondo. È sostenuto da 15 Paesi: Austria, Belgio, Brasile, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Gran Bretagna, Italia, Olanda, Portogallo, Repubblica Ceca, Spagna, Svezia, e Svizzera. L’Eso svolge un ambizioso programma che si concentra sulla progettazione, costruzione e gestione di potenti strumenti astronomici da terra che consentano agli astronomi di realizzare importanti scoperte scientifiche. L’Eso ha un ruolo di punta nel promuovere e organizzare la cooperazione nella ricerca astronomica. Gestisce tre siti osservativi unici al mondo in Cile: La Silla, Paranal e Chajnantor. Sul Paranal, l’Eso gestisce il Very Large Telescope, l’Osservatorio astronomico d’avanguardia nella banda visibile e due telescopi per survey: Vista, il più grande telescopio al mondo, lavora nella banda infrarossa mentre il VST (VLT Survey Telescope) è il più grande telescopio progettato appositamente per produrre scansioni del cielo in luce visibile. L’Eso è il partner europeo di un telescopio astronomico di concetto rivoluzionario, ALMA, il più grande progetto astronomico esistente, di imminente inaugurazione. L’Eso al momento sta progettando l’European Extremely Large Telescope (E-ELT, Telescopio Europeo Estremamente Grande), uno strumento da 39 metri di diametro che nel prossimo decennio opererà nell’ottico e nell’infrarosso vicino, per diventare “il più grande occhio del mondo rivolto al cielo”.
© Nicola Facciolini
Nella foto la Nebulosa Aragosta osservata dal telescopio VISTA di ESO.