In azienda è “guerra tra generazioni”: difficile convivenza tra giovani e anziani

Quasi un lavoratore su quattro (il 23 per cento) ritiene che età, formazione, genere, look e idee politiche continuino a essere causa di discriminazione nelle imprese italiane. Uno su cinque (20 per cento) pensa di vivere in un ambiente ostile, che non consente alle persone di esprimersi liberamente. E le donne lo pensano più degli […]

Quasi un lavoratore su quattro (il 23 per cento) ritiene che età, formazione, genere, look e idee politiche continuino a essere causa di discriminazione nelle imprese italiane. Uno su cinque (20 per cento) pensa di vivere in un ambiente ostile, che non consente alle persone di esprimersi liberamente. E le donne lo pensano più degli uomini. Lo rivela l’Indagine sul diversity management, condotta dall’Osservatorio sul diversity management della Sda Bocconi su mille lavoratori dipendenti e presentata questa mattina da Stefano Basaglia e Chiara Paolino. La ricerca rileva che, nel 2012, sono stati fatti pochi passi significativi in avanti rispetto all’anno precedente. Il campione è equamente ripartito tra uomini e donne, è compreso nel 50 per cento dei casi tra i 30 e i 45 anni (7% al di sotto, 43% al di sopra) ed è costituito in maggioranza da quadri e impiegati che lavorano nella stessa impresa, nella metà dei casi, da più di 10 anni.

L’azienda non sembra essere tanto il luogo della guerra tra i sessi, quanto quello della guerra tra le generazioni. Le imprese, secondo i risultati della rilevazione, hanno avviato politiche delle risorse umane che vanno nella direzione dell’equità di trattamento per tutte le diversità, ma la convivenza tra generazioni rimane difficile: i giovani sostengono che le politiche di carriera favoriscono gli anziani, e questi si lamentano che tutta l’attenzione vada ai giovani. Raramente, inoltre, le politiche per la diversità si spingono fino al punto di valutare i manager in base agli obiettivi raggiunti in questo campo.

Le politiche di flessibilità sono poco utilizzate nelle aziende italiane e solitamente si limitano agli strumenti più tradizionali (flessibilità in entrata e uscita e part-time), con il rischio di stigmatizzare chi – in maggioranza donne – li utilizza. Tra gli strumenti di cui i lavoratori sentono maggiormente la mancanza vi sono quelli a supporto della genitorialità. I dipendenti, in genere, faticano a trovare un equilibrio soddisfacente tra la sfera lavorativa e quella familiare.

Le cause di discriminazione più spesso evidenziate dai dipendenti sono il percorso educativo, l’età, il sesso, l’orientamento politico e il look, mentre in risposta alla domanda sull’ambiente ostile viene indicata anche l’appartenenza a specifiche famiglie professionali.
Nonostante tutte queste criticità, i dipendenti che hanno risposto al questionario si sentono orgogliosi di quello che fanno (in una scala da 1 a 5 la valutazione media è 4). Tuttavia felicità, entusiasmo, voglia di fare e tutti gli item che esprimono reale coinvolgimento emotivo non sono altrettanto alti.

Rispetto al 2011, in definitiva, l’orientamento alla diversity presenta solo piccole variazioni. Le imprese stanno lavorando su diversi fronti, con alcuni discreti risultati sugli aspetti soft e più formali (per esempio la carta dei diritti), ma le attività orientate alla diversity restano ancora momenti spot nella vita quotidiana dell’impresa, senza scendere nell’operatività, come conferma il leggero peggioramento in tema di monitoraggio della diversity.

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