L’Aquila è una città priva di piccioni.
La Columba livia domestica, comunemente nota come piccione selvatico occidentale, è uno dei volatili più diffusi in tutti i paesi che si affacciano sul Mediterraneo. Nelle città italiane è quasi sempre presente, potremmo dire che accompagna l’urbanizzazione della penisola. Il suo habitat naturale sono le piazze e i parchi. Questo perché il piccione è granivoro, si nutre cioè di cereali e leguminose, ma non solo. Le piazze italiane sono piene di questi volatili perché si alimentano di briciole che gli esseri umani producono, volontariamente o involontariamente. I piccioni urbani del sud Europa proliferano lì dove ci sono persone: dove c’è il mercato in piazza, dove i bambini divorano gelati in cialde e sgranocchiano un pezzo di pizza. Non c’è scampo, il numero di piccioni aumenta a dismisura, e in diverse città italiane è stato fatto espresso divieto di dar loro da mangiare. Nel Centro Storico dell’Aquila, da quattro anni, non ci sono molti piccioni. Resta qualche volatile temerario che si affaccia in zona piazza Regina Margherita oppure a Piazza Duomo, ma niente più.
Anche i piccioni sono sfollati. Anche i piccioni, è risaputo, devono mangiare, e a L’Aquila non riescono ad arrivare a sera: tocca emigrare. Forse anche i piccioni si trovano di fronte all’imbarazzo di dover scegliere tra una città che non offre più nemmeno le briciole e l’incognita dell’emigrante. Forse anche i piccioni hanno eletto in Parlamento una senatrice che non conosce il numero esatto dei Senatori e dei Deputati che siedono nelle rispettive camere. Forse anche i piccioni hanno votato un certo partito nella speranza che venga loro restituito l’IMU, pur abitando in un progetto C.A.S.E. per piccioni, di fatto dei nidi fatiscenti ma antisismici. Una cosa è sicura, i piccioni si rendono conto che un centro storico non si regge esclusivamente sui fiumi di alcool e sui mezzi militari che presidiano i quattro cantoni. Magari avrebbero apprezzato un paio di uffici pubblici, qualche negozio, un po’ di luce anche di giorno, perché è rimasto solo il sole a illuminare una delle tante vergogne d’Italia. Il fantomatico processo di ricostruzione dell’Aquila.
Fabio Zenadocchio
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