“Solo la Divina Misericordia mette un limite al male”(Cardinale Christoph Schönborn). La Cometa Panstarrs il 5 Marzo 2013 saluta la Terra dalla distanza di appena 170 milioni di chilometri (1.1 UA) nel freddo spazio siderale. Il 12 e 13 Marzo inizierà lo spettacolo per l’emisfero boreale, quando sfreccerà bassa sull’orizzonte Ovest, al tramonto del Sole, con la Luna Crescente.Che le acque degli oceani e dei mari terrestri siano di natura extraterrestre ce lo ricordano gli asteroidi e le comete, i 185 crateri da impatto cosmico sul nostro pianeta e gli splendidi astri chiomati dell’Anno Domini 2013, le comete pasquali Panstarrs e Lemmon, e la natalizia Ison: autentici fari cosmici ricchissimi di acqua, minerali, amminoacidi, in navigazione attorno al nostro Sole, visibili dalla Terra, grazie a Dio alla giusta distanza di sicurezza. Magnifiche (alcune novelle) visitatrici del Sistema Solare interno. Batterie di telescopi e binocoli sono già al lavoro. È singolare che per una strana serie di coincidenze celesti, in attesa dell’elezione del nuovo Sommo Pontefice di Santa Romana Apostolica Chiesa, mentre tutti gli scienziati attendevano il passaggio ravvicinato dell’asteroide “2012 DA14” previsto da un anno per la notte del 15 Febbraio 2013, nei cieli sopra gli Urali un altro “piccolo” sasso spaziale abbia messo in scena un imprevisto e catastrofico spettacolo (500 chilotoni di energia) mandando un migliaio di persone all’ospedale, mentre ci si prepara a un altro show cometario, forse senza precedenti dal 1843. Cosa sta succedendo: un ammonimento celeste per la Terra? Potrebbe sembrare una campagna pubblicitaria cosmica ben orchestrata. In realtà, il fatto che il 2013 si stia rivelando l’anno degli impatti, delle meterore e delle comete, contemporaneamente alla preparazione della Missione Rosetta (http://rosetta.jpl.nasa.gov/) in navigazione negli spazi siderali, pronta a riscaldare i suoi strumenti dopo la lunga ibernazione poco prima di atterrare sul nucleo cometario della 67P/Churyumov-Gerasimenko, è solo un’incredibile coincidenza. Una di quelle inferenze che influenzano le attività degli studiosi, dei credenti e degli amanti dell’astronomia, alla ricerca della verità. Le comete sono imprevedibili. Capire cosa sono, la loro origine e il loro ruolo nel nostro Sistema Solare, è fondamentale per la nostra stessa sopravvivenza! Sono tre, le protagoniste del 2013 dotate di chioma e code d’ordinanza, tutte visibili. Due già a occhio nudo anche dai nostri cieli. L’arrivo, si fa per dire, della prima delle tre, è previsto per il 10 Marzo 2013. Si chiama Panstarrs. Da alcuni giorni ha iniziato a farsi amare e fotografare, ispirando decine di migliaia di astronomi dell’emisfero australe. La cometa Panstarrs fa bella mostra di sé su Internet insieme alla cometa Lemmon: sono la grande novità del cielo australe di questi giorni. Le osservazioni culmineranno intorno alla metà di Marzo. In realtà è sempre difficile calcolare con precisione il giorno esatto in cui le comete diventano visibili dai nostri cieli e la loro luminosità massima. Le previsioni sono ammantate da un alone di incertezza, come sempre accade per le comete, oggetti astronomici che viaggiano mediamente a 60mila Km/h, capaci di apparire all’improvviso e smentire i calcoli anche su tempi di scala molto brevi. Il fatto che questa cometa non sia stata già osservata in una visita precedente al Sistema Solare, la rende àncora più interessante. La Panstarrs è infatti una cometa di lunghissimo periodo (aperiodica) che compie la sua orbita intorno al Sole in circa 110mila anni. Al momento gli astronomi possono solo stimare quando e quanto diventerà luminosa nei nostri cieli. E se è visibile con un semplice binocolo per gli astrofili australiani, molti sono pronti a scommettere che dall’11 Marzo 2013 diventerà ben visibile anche ad occhio nudo sui cieli italiani. La Panstarrs “C/2011 L4” è stata scoperta il 6 Giugno 2011 dal telescopio Panoramic Survey Telescope & Rapid Response System delle Hawaii (Usa), situato nell’isola hawaiiana di Maui, il primo di 4 telescopi gemelli progettati per la ricerca automatica di asteroidi e comete potenzialmente pericolosi per il nostro pianeta All’epoca si trovava a circa 1,2 miliardi di chilometri dalla Terra e le prime osservazioni hanno consentito di calcolare un’orbita preliminare migliorata nei mesi successivi. Sulla base dei calcoli orbitali, in continuo aggiornamento, la cometa Panstarrs sembra avere un’orbita parabolica quasi perpendicolare all’eclittica, essendo inclinata di ben 84°. In pratica la cometa proviene da Sud ed attraversa il Sistema Solare interno in direzione Nord. Ciò comporta favorevoli conseguenze per la sua osservabilità nell’emisfero boreale: dopo il perielio, momento in cui solitamente le comete appaiono più brillanti in quanto alla massima vicinanza al Sole, in questo mese di marzo la Panstarrs si troverà a Nord del Sole e potrebbe essere ben visibile, dapprima sull’orizzonte Ovest dopo il tramonto, in seguito sempre più in alto, fino a diventare circumpolare. La
luminosità della cometa dipenderà dal contenuto di ghiacci del suo nucleo, e dal tasso di sublimazione di queste sostanze volatili man mano che le temperature aumenteranno con il suo avvicinarsi al Sole. Il 5 Marzo 2013 la cometa Panstarrs raggiunge la massima vicinanza alla Terra (170 milioni di km) e il 10 Marzo raggiungerà il perielio (massima vicinanza al Sole, 0.3 Unità Astronomiche). Tuttavia le prime date migliori per osservarla saranno il 12 e 13 Marzo 2013 quando la si vedrà bassa sull’orizzonte Ovest, circa un’ora dopo il tramonto del Sole, non lontano dalla falce di una giovanissima Luna Crescente. Una rara e suggestiva visione. Il 4 Aprile si troverà ad appena 2,5° dalla Galassia di Andromeda. Nel momento di miglior visibilità, dovrebbe brillare di magnitudine negativa meno 0,2, con le code di circa 10 gradi. In queste condizioni anche se il cielo sarà ancora illuminato dalla luce del crepuscolo, dovrebbe essere possibile scorgere il nucleo e una parte delle code anche ad occhio nudo, sebbene un binocolo o un telescopio a bassi ingrandimenti offrano una visione migliore. Va detto che negli ultimi giorni le aspettative su questa cometa sono diminuite, ed in molti credono che non sarà più brillante della magnitudine 3, praticamente invisibile in un cielo ancora parzialmente illuminato. La Panstarrs proviene dalla Nube di Oort, la nuvola sferica composta di miliardi di corpi ghiacciati pronti a trasformarsi in comete, che avvolge il Sistema Solare alla distanza di 100mila Unita Astronomiche dal Sole, cioè 100.000 volte la distanza tra Sole e Terra. Nettuno, l’ultimo pianeta, è situato a circa 30 UA. La Panstarrs ha un’orbita inclinata di circa 84 gradi: cioè significa che orbitando attraversa di taglio il piano del Sistema Solare, altra caratteristica tipica delle comete non periodiche. Le più veloci e letali insieme a quelle iperboliche. La cometa Panstarrs sarà visibile nel cielo occidentale per circa un’ora dopo il tramonto, poco sopra l’orizzonte. Si stima che la sua luminosità, al momento della massima vicinanza al Sole (perielio), sarà intorno alla magnitudine 0, sebbene in questi giorni si tema che possa addirittura scendere alla 3 (quindi meno luminosa). Per fotografarla occorre disporre di una fotocamera reflex posta su un cavalletto, di un obiettivo grandangolare se si vuole fare una panoramica o più spinto se si desidera un maggior ingrandimento alla massima apertura. Poi si regoli sia la sensibilità della fotocamera sia il tempo di esposizione a seconda dell’entità del chiarore nel quale è immerso l’astro. Tuttavia parliamo sempre di qualche secondo di posa, ecco perché è necessario il cavalletto. Se invece si desidera solo vederla ma non fotografarla, allora è di aiuto anche un binocolo luminoso, come per esempio un 7×50 o un 10×50. Nei giorni successivi l’astro chiomato si alzerà sull’orizzonte sempre di più, ma nel contempo si allontanerà anche dalla Terra e diminuirà la sua luminosità. Ne consegue che per fotografarlo occorreranno ottiche più spinte e tempi di esposizione più lunghi. Per intenderci un telescopio o teleobiettivi potenti montati su inseguitori astronomici. Per i non addetti ai lavori, insomma, il momento migliore per osservare la cometa e provare a far qualche bello scatto, saranno le sere del 12 e 13 Marzo, con cavalletto e macchina fotografica reflex. La Panstarrs è solo la prima della parata di astri chiomati prevista per il 2013. La seconda cometa in ordine di apparizione è la verde Lemmon che promette dalla fine di Marzo di diventare ben visibile anche sui nostri cieli. Con la sua lunga coda, inconfondibile per il colore verdastro dovuto ai gas che stanno evaporando dal nucleo, la Lemmon è già stata immortalata nell’emisfero australe e, per ora, conquista tra le tre la fascia di più bella tra le prime pagine dei media. La terza cometa protagonista del 2013 è la già famosa Ison che aprirà probabilmente l’anno 2014, diventando la cometa di Natale del 2013 e la più spettacolare in assoluto. La Ison come le sue colleghe, promette un grandioso evento: transitando molto vicina al Sole, sarà incredibilmente luminosa, probabilmente uguagliando la Luna e rimanendo visibile anche di giorno, forse come la famosa cometa “C/1843D1”. Il Central Bureau for Astronomical Telegrams aveva annunciato la scoperta della cometa Ison, effettuata lo scorso 21 Settembre 2012, da parte di Vitali Nevski ed Artyom Novichonok, tramite un riflettore da 40-cm di diametro della International Scientific Optical Network (ISON) situato vicino a Kislovodsk (Russia). Al momento dell’avvistamento l’oggetto aveva una magnitudine di 18 circa, ma promette di diventare estremamente brillante in occasione del suo passaggio al perielio, nell’Autunno 2013. Se le previsioni saranno rispettate (esperienze passate hanno insegnato ad essere prudenti con simili estrapolazioni) a fine Novembre 2013, la cometa Ison potrebbe raggiungere magnitudini decisamente negative, seppur a ridosso del Sole, ed arrivare quindi ad emulare il comportamento della splendida cometa “C/2006P1” McNaught. Sono state già prodotte le prime osservazioni di conferma della nuova cometa Ison, per seguire la sua evoluzione nell’arco dei prossimi mesi: sarà molto interessante studiare l’attivazione della cometa Ison mentre si avvicina al Sole, considerato che attualmente essa si trova a poche Unità Astronomiche di distanza dalla nostra stella. Le misure dell’indice di attività legato all’abbondanza delle polveri nella chioma cometaria, rilevato subito dopo l’annuncio della scoperta, grazie a delle riprese estremamente profonde effettuate con il riflettore da 2 metri del Faulkes Telescope-South (Siding Spring, Australia) mostrano effettivamente che la cometa Ison appare estremamente attiva già a grande distanza dal Sole, a circa 6 UA, oltre l’orbita di Giove, un caso che ha pochi precedenti noti. Si nota già l’esistenza di una piccola chioma ben sviluppata. Non ci resta che attendere e sperare che la “C/2012S1” Ison rispetti le previsioni, diventando la più grande cometa di sempre. Nel frattempo più brillante delle previsioni e delle attese, la cometa Lemmon “C/2012F6” ha acceso i cieli dell’emisfero australe già da circa 92 milioni di miglia dalla Terra. Scoperta il 23 Marzo 2012 sul Monte Lemmon in Arizona, l’astro chiomato segue un’orbita ellittica con un periodo di 11mila anni nel Sistema Solare. Questa è la sua prima visita da lungo tempo. Le curve di luce indicano che raggiungerà una magnitudine molto bassa, inferiore a 2, simile a quella delle stelle del Grande Carro, il 23 Marzo 2013, quando si avvicinerà al Sole alla stessa distanza di Venere dal nostro luminare (0,7 Unità Astronimiche). È visibile ad occhio nudo. Le foto la mostrano splendente con la sua lunga chioma gassosa di colore verde a base di componenti velenose di CN e C2. Sostanze che irradiate dal Sole nel vuoto dello spazio lasciano percepire questa luminosità. Sarà visibile nell’emisfero boreale in Primavera. È una cometa pasquale. Mentre la Ison, ancora lontana, sta rapidamente attraversando la costellazione dei Gemelli tra le stelle di Castore e Polluce. Brilla della quindicesima magnitudine. Ma si avvicina al Sole rapidamente e ben presto i suoi gas daranno spettacolo. Potrebbe diventare la cometa del XXI Secolo, molto più brillante della Hale-Boop e della Yakutake degli Anni Novanta del secolo scorso. La Ison è una cometa quasi suicida. Il 28 Novembre 2013 sfiorerà il Sole da una quota di 1,2 milioni di chilometri, attraversando la corona solare. Se sopravviverà all’abbraccio mortale delle potenti radiazioni solari, riemergerà più splendente della Luna Piena per diverse settimane. Sarà la cometa di Natale 2013. Visibile anche di giorno. Come nel film Deep Impact. La chioma e la coda offriranno uno scenario fantastico, disegnando i cieli come non mai, in un meraviglioso intreccio di colori. Attualmente la Ison si sta avvicinando all’orbita di Giove. Lontana dal gigante gassoso che altrimenti la farebbe a pezzi. Man mano che farà il suo ingresso nel Sistema Solare più interno i gas della cometa “esploderanno”! Dall’Estate 2013 gli scienziati si aspettano di ottenere i dati orbitali quasi definitivi per caratterizzare tutte le fasi di avvicinamento della cometa Ison al Sole. Il calore forse non la vaporizzerà: i suoi potenti getti di gas potrebbero imprimerle ulteriori variazioni orbitali. Non lo sappiamo. Potrebbe disintegrarsi ma è da escludere che possa puntare verso la Terra! Questo perché gli astronomi quando scoprono simili oggetti (le comete in particolare) sono subito in grado di tracciare il loro percorso orbitale attorno al Sole. I calcoli escludono oggi un rischio d’impatto con la Terra. Se diventerà la Cometa del Secolo, allora la Ison potrà anche fare ritorno. Scoperta da due astronomi dilettanti, Artyom Novichonok e Vitali Nevski, quando viaggiava a 965 milioni di Km dalla Terra, la Ison influenzerà la nostra cultura astronomica ed artistica. Questa distanza è già un grande record. È inusuale scoprire comete in avvicinamento da regioni così distanti. In genere questi antichi corpi ghiacciati più scuri del carbone, orbitano oltre l’orbita del pianeta Nettuno, attorno al Sole, indifferenti alle sorti del genere umano. Rimangono invisibili perché le basse temperature impediscono ai gas ed alle polveri di “esplodere” in potenti getti dalle loro superfici. Solo quando si avvicinano al Sole si mostrano per quello che sono. Il fatto che la Ison già a quelle distanze si sia “accesa” significa che è un oggetto abbastanza peculiare, forse grande diverse miglia, in grado di sopravvivere alla fornace termonucleare solare e sensibile agli effetti di risonanza. Ma potrebbe anche spezzarsi. In tal caso rimarrà comunque ben visibile fino al mese di Gennaio 2013, illuminando le nostre fredde notti invernali. Gli scienziati già la paragonano alle comete storiche che nei secoli passati hanno spaventato ed entusiasmato i nostri antenati. Come la Cometa di Kirch, di Newton, la Grande Cometa del 1680, dalla lunga spettacolare coda, visibile anche di giorno, la prima ad essere scoperta con un telescopio. La Ison potrebbe battere ogni record. E non dovremo attendere molto per scoprirlo. Occhio al cielo! Già dal mese di Luglio 2013 gli astronomi capiranno con che cosa abbiamo a che fare. “Le comete sono come i gatti – sostiene il grande astronomo e cacciatore di astri chiomati David Levy, autore della scoperta di 22 comete – esse hanno la coda e fanno esattamente quello che vogliono”. Quale sarà il destino delle comete di Pasqua? Lo scopriremo dal 10 Marzo 2013. La cometa Lemmon C/2012 F6 mostrerà tutto il suo potenziale e raggiungerà il perielio, il punto più vicino della sua orbita al Sole, il 24 Marzo 2013, quando sarà ad una distanza di 0,73 Unità Astronomiche. Nei mesi successivi, attraversando l’equatore celeste, diventerà visibile agli osservatori del cielo nell’emisfero settentrionale e prima che torni a visitarci dovrà fare un viaggio di 50 anni. Una cometa in cielo, soprattutto se luminosa tanto da vedersi bene ad occhio nudo, è uno spettacolo astronomico formidabile, uno dei più belli che lo spazio cosmico possa offrire all’umanità. L’anno che è appena iniziato drammaticamente, per una particolare combinazione di meccanica celeste, sarà un anno decisamente ricco di eventi, speriamo, pacifici. Di comete, nel nostro Sistema Solare, ce ne sono milioni, di tutte le forme, le composizioni e le grandezze. La gran parte di queste si trova all’estremo limite del nostro sistema planetario, in quella zona conosciuta come la Nube di Oort. Ogni tanto, a causa dell’effetto gravitazionale-mareale dei pianeti esterni e dell’effetto termico insieme combinati nel corso di milioni di anni, qualcuna di queste scure patate primordiali si allontana dal proprio equilibrio e si avventura all’interno del Sistema Solare, attratta dal Sole, la più potente massa gravitazione. Il 2013 si è aperto con una piccola e non molto luminosa cometa, la C/2012 K5, scoperta nel mese di Maggio 2012 attraverso il telescopio automatico Linear situato nel New Mexico. È passata al perielio il 29 Novembre scorso e a Dicembre era visibile prima dell’alba. Si è poi spostata verso le costellazioni di Auriga e Toro ed è diventata visibile la sera. Per osservare le comete occorre andare in una località piuttosto buia, lontana dall’inquinamento luminoso, possibilmente in collina o montagna, e utilizzare un piccolo telescopio o binocolo di almeno 5-10 cm di diametro con un oculare a grande campo e basso ingrandimento (7-25x). Bisogna dotarsi di una cartina stellare, anche elettronica, per poter identificarne con precisione la posizione. La Panstarrs ha la particolarità di avere una piccola distanza perielica: solo 0,3 UA e quindi dovrebbe diventare piuttosto luminosa raggiungendo la magnitudine apparente negativa (meno 0.5), luminosa cioè quanto le più brillanti stelle del cielo. Massimo splendore che sarà raggiunto tra il giorno prima e quello successivo al passaggio al perielio, il 10 Marzo. Attraversato l’equatore celeste, sarà visibile la sera dai cieli boreali, in un periodo circa compreso tra il 9 Marzo fino a metà Aprile 2013. È la Cometa di Pasqua. Per osservarla sarà bene utilizzare un binocolo che consentirà di vedere i dettagli del nucleo e della coda. Anche la Ison come la Panstarrs è una cometa aperiodica, proveniente quindi dalla Nube di Oort, e dovrebbe avere un perielio piccolissimo di soli 0,012 UA. In Agosto dovrebbe essere visibile con un piccolo telescopio o un binocolo e dalla fine di Ottobre dovrebbe risplendere a occhio nudo, rimanendo osservabile fino a metà Gennaio 2014. Il perielio si verificherà il 28 Novembre e intorno a questa data le previsioni attuali valutano che la magnitudine negativa potrebbe raggiungere addirittura la cifra di meno 13, più luminosa della Luna! Sarà sempre visibile nell’emisfero boreale superando la memorabile Hale-Bopp del 1997. Le comete sono degli oggetti astronomici relativamente piccoli, fino a qualche decina di chilometri di diametro. Simili ad asteroidi, a differenza di questi, sono formate prevalentemente da biossido di carbonio, metano e acqua ghiacciati, misti a polveri. Quando si avvicinano al Sole, riscaldandosi in superficie, si verifica la sublimazione delle sostanze congelate che provocano la formazione della chioma e delle code. Spinte dal vento solare le code, quella di polveri e quella di ioni, si pongono in posizione antisolare, orientandosi in direzione opposta a quella del nostro luminare. Le code possono diventare estese diversi milioni di chilometri nello spazio cosmico. La cometa Ison attraverserà l’orbita della Terra il prossimo 16 Gennaio 2014 lasciando una scia formata da una gran quantità di polveri e piccole pietre. Non vuol dire che passerà vicino alla Terra, ma solo che si intersecherà con la “strada” che il nostro pianeta percorre attorno al Sole. E cosi, 12 mesi dopo, il 16 gennaio 2015, quando la Terra ripercorrerà quel tratto di “strada” dove la cometa ISON dovrebbe aver lasciato le sue polveri, potrebbe assistere a una bella pioggia di stelle cadenti! La cometa “C/2013 A1” scoperta quest’anno è un altro caso particolarmente interessante: gli scienziati la stanno tenendo d’occhio ormai da mesi. Secondo i calcoli preliminari il 19 Ottobre 2014 la cometa entrerà nell’orbita di Marte. L’avvicinamento massimo previsto finora è di 109mila chilometri dal Pianeta Rosso. Non è da escludere un impatto cosmico su Marte. Insomma questi due anni 2013-14, tra asteroidi, meteore e comete, passeranno alla storia dell’Astronomia. C’è una remota possibilità che una cometa colpisca o sfiori il pianeta Marte nel 2014. Gli esperti stanno ancora determinando la traiettoria della cometa C/2013A1. Anche se non ci sarà un impatto, l’incontro con il Pianeta Rosso si potrà vedere abbastanza bene dalla Terra: su Marte probabilmente potrà essere osservata con una magnitudine negativa di meno 4. Splendente come Venere visto dalla Terra. Il corpo celeste ghiacciato è stato avvistato per la prima volta in Australia, dall’Osservatorio Siding Spring in New South Wales, dal supercacciatore di comete Robert McNaught. Non appena è stata individuata, gli astronomi del Catalina Sky Survey in Arizona (Usa) hanno verificato le loro osservazioni precedenti, trovando una prima immagine risalente all’8 Dicembre 2012, Festa dell’Immacolata Concezione. La traiettoria della cometa incrocerà l’orbita di Marte il 19 Ottobre 2014. I giorni di osservazione sono ancora troppo pochi per stabilire con precisione l’avvicinamento massimo. La cometa C/2013A1 potrebbe passare a una distanza di sicurezza di 0.008 AU (1 milione di chilometri), ma potrebbe anche trovarsi già in rotta di collisione con Marte. Dato che è una cometa iperbolica e si sposta in un’orbita retrograda, la sua velocità rispetto al Pianeta Rosso sarà molto elevata: viaggerà a circa 56 chilometri al secondo. In base alla stima attuale della magnitudine assoluta del nucleo, che indicherebbe un diametro del corpo fino a 50 km, l’energia liberata da un impatto sarebbe equivalente a 2 per 10 elevato alla decima potenza in megatoni: un impatto di questa portata potrebbe lasciare un cratere di 500 chilometri di diametro e 2 chilometri di profondità. E sarebbe uno spettacolo straordinario, visto da Terra. Si è pensato a lungo che solo le comete, oggetti celesti composti prevalentemente di ghiaccio, avessero le code di polveri e gas che puntano in direzioni diverse. Ma gli astronomi hanno scoperto che la coda può letteralmente spuntare anche agli asteroidi, rendendoli così visibili a grandi distanze. Grazie al Gran Telescopio Canarias (in Spagna), Fernando Moreno dell’Istituto di Astrofisica dell’Andalusia e i suoi colleghi hanno osservato uno di questi rari oggetti, chiamati “Main-Belt Comets” (MBC) perché orbitano nelle cinture asteroidali, ma presentano le caratteristiche tipiche delle comete, anche se solo per un breve periodo. La famiglia, il cui primo esemplare è stato scoperto nel 1996, comprende ora almeno dieci membri in tutto. L’ultimo, studiato appunto dai ricercatori spagnoli, è “P/2012F5” (Gibbs) ed è stato scoperto nel Marzo dello scorso anno dall’Osservatorio di Mount Lemmon (Arizona). Tra Maggio e Giugno dello stesso anno gli astronomi spagnoli hanno studiato la sua coda e formulato un modello matematico per spiegarne l’origine. “I nostri modelli ci dicono che il fenomeno che ha creato la coda è stato causato da un evento repentino durato solo poche ore” – rivela Fernando Moreno dell’Istituto di Astrofisica di Andalusia (CSIC), primo autore dello studio “A short-duration event as the cause of dust ejection from Main-Belt Comet P/2012 F5 (Gibbs)” pubblicato su “The Astrophysical Journal Letters”. Assieme ai suoi colleghi è riuscito a individuare la data in cui quest’evento dev’essere avvenuto: il 1° Luglio 2011. Le immagini ottenute con il telescopio spagnolo mostrano “una struttura allungata di polvere sottile”. La larghezza e la luminosità della coda hanno permesso agli studiosi di calcolare e studiare le strutture diverse della testa e della fine della coda. Dati alla mano, i ricercatori hanno stimato anche la grandezza dell’asteroide che ha un raggio di circa 100/150 metri e la cui coda ha emesso circa mezzo milione di tonnellate di materiali. Qual è l’origine di questo fenomeno? Gli studiosi dibattono su due ipotesi. “La coda potrebbe essere il risultato di una collisione con un altro corpo celeste, o magari una frattura casuale dovuta alla rotazione dell’asteroide” – spiega Moreno. La seconda ipotesi propone uno sgretolamento dell’asteroide che, di conseguenza, rilascia gradualmente materiale simile a quello delle comete. I ricercatori sperano di ottenere più dati per raffinare l’analisi con le osservazioni tra Luglio e Agosto del 2014 quando le condizioni per studiare l’asteroide saranno di nuovo particolarmente favorevoli. Comete ed esopianeti alieni sembrano andare d’amore e d’accordo negli altri sistemi planetari, proprio come nel nostro. Gli astronomi hanno infatti individuato sei potenziali “esocomete” in orbita intorno a giovani stelle lontane, capaci di ospitare anche degli esopianeti. Questo potrebbe suggerire che le due categorie di oggetti spaziali coesistano molto comunemente anche in altri sistemi solari alieni. E non solo nel nostro. Lo studio, firmato da un team di ricercatori delle università di Berkeley e Clarion negli Stati Uniti, ha studiato 10 stelle relativamente giovani, trovando attorno ad esse quelle che hanno tutta l’aria di essere comete. Oltre a enormi dischi di gas e polvere stellare che sono il tipico segno della presenza di esopianeti. Barry Welsh, autore della ricerca, sostiene che “questo potrebbe rappresentare l’anello mancante nei recenti studi di formazione planetaria. Vediamo spesso dischi di polvere stellare attorno a un grande gruppo di stelle e vediamo anche i pianeti. Quello che mancava ancora alla lista era tutto il resto: asteroidi e comete. Ma ora penso che ci siamo riusciti”. Una delle stelle al centro dello studio è la famosa Beta-Pictoris (β-Pic), attorno alla quale erano state avvistate delle comete già nel 1987. Grazie alle ricerche condotte dall’Eso, nel 2009 gli astronomi hanno individuato un pianeta attorno a β-Pic grande 10 volte più di Giove. In seguito, secondo Welsh, gli astronomi persero interesse per la ricerca di esocomete. Anche perché individuarle è molto difficile, a meno che non si trovino nella fase in cui vengono deviate dalla loro orbita ai margini del sistema stellar alieno e iniziano a precipitare verso la stella, evaporando e creando tipiche righe di assorbimento che possono essere facilmente individuate nella luce raccolta dai telescopi. È proprio questo il caso delle sei esocomete trovate dal gruppo di Welsh che sono state scoperte durante cinque notti di osservazioni tra Maggio 2010 e Novembre 2012 grazie al telescopio da 2,1 metri dell’Osservatorio McDonald in Texas (Usa), raccogliendo deboli righe di assorbimento con variazioni giornaliere. Le comete sono: 49 Ceti (HD 9672), 5 Vulpeculae (HD 182919), 2 Andromedae, HD 21620, HD 42111 and HD 110411 e orbitano attorno a giovani stelle di tipo A, che hanno appena 5 milioni di anni. Tutte le indicazioni portano alla conclusione che queste stelle di tipo A dovrebbero essere circondate anche da esopianeti, anche perché i pianeti alieni sono l’unica cosa che può deviare una cometa dalla sua orbita e farla cadere verso la sua stella. Nel suo lavoro principale di studio dei processi di formazione stellare, cosa che fa particolarmente bene osservando la luce infrarossa, il satellite Herschel dell’Esa si presta bene anche ad altri tipi di ricerche, inclusa la planetologia cometaria, come dimostrano due studi pubblicati rispettivamente su “Monthly Notices of the Royal Astronomical Society”, condotto da Mark Wyatt dell’Università di Cambridge, e il più recente lavoro pubblicato su “Astronomy and Astrophysics” fimato da Jean-Francois Lestrade dell’Osservatorio di Parigi. I due gruppi di ricerca hanno usato gli strumenti di Herschel per studiare due lontani sistemi planetari chiamati: GJ 581 e 61 Vir. Entrambi ospitano solo pianeti della categoria Super-Terre, tra le 2 e le 18 masse terrestri, mentre non ci sono tracce di pianeti giganti della taglia di Giove e Saturno. Ma la caratteristica più interessante che accomuna i due sistemi è la presenza di ampie cinture di materiale cometario, che potrebbero rifornire quei pianeti di acqua. Herschel ha rilevato nella luce infrarossa le caratteristiche tracce di polvere a 100 gradi sotto il punto di congelamento, concludendo che devono esserci almeno 10 volte più comete che non nel nostro Sistema solare, dove si pensa che sia stata proprio l’interazione gravitazionale tra Giove e Saturno a disgregare la fascia di Kuiper, un tempo molto più affollata, sparpagliando una grande quantità di comete verso i pianeti più interni, riempendo così gli oceani della Terra.“Queste osservazioni ci dicono una cosa: nel nostro Sistema Solare abbiamo pianeti giganti e una fascia di Kuiper poco popolosa, mentre sistemi con pianeti di piccola massa hanno fasce di Kuiper più dense – spiega Wyatt – così pensiamo che l’assenza di un Giove permetta a questi sistemi di evitare un bombardamento drammatico, e avere invece una pioggia graduale di comete nell’arco di miliardi di anni”. Con le conseguenze del caso. “Per una stella più vecchia come GJ 581, che ha almeno due miliardi di anni, è passato abbastanza tempo perché questa pioggia graduale abbia portato sul pianeta grandi quantità d’acqua, cosa molto importante per i pianeti che si trovano nella zona abitabile attorno alla stella” – rivela Jean-Francois Lestrade. È un po’ come se stessimo assistendo a uno tra i più colossali incidenti tra comete, il cui risultato è quello di produrre una sterminata nuvola di monossido di carbonio che si trova attorno alla stella 49 Ceti. È questo lo scenario proposto da Benjamin Zuckerman, dell’Università della California, e dal suo collega Inseok Song, dell’Università della Georgia, in un articolo recentemente apparso su The Astrophyisical Journal. “Riteniamo che 49 Ceti abbia un’età di 40 milioni di anni, e il mistero che nasconde è come sia possibile che possa esserci così tanto gas attorno a un astro di questa età” – fa notare Zuckenberg. La sua affermazione nasce dal fatto che le stelle molto giovani, attorno al milione di anni, possiedono un disco di polveri e gas attorno ad esse. La componente gassosa però tende a dissiparsi nel tempo nell’arco di alcuni milioni di anni, così che di solito gli astri già dopo 10 milioni di anni dalla loro “accensione” termonucleare non presentano praticamente gas attorno ad essi. Ma questo non è il caso di 49 Ceti. Per i due ricercatori la provenienza di quest’anomala presenza di gas può essere imputata a un disco molto massiccio di materiale cometario, simile alla fascia di Kuiper nel nostro Sistema solare, in orbita attorno a 49 Ceti. Per dare un’idea di quanto grande dovrebbe essere, la sua massa complessiva si aggirerebbe sulle 400 Terre, ovvero 4000 volte la materia contenuta nella fascia di Kuiper. “Centinaia di migliaia di miliardi di comete orbitano attorno a quella stella e alla sua compagna, che ha circa trenta milioni di anni – rivela Zuckenberg – immaginate uno sciame fittissimo di oggetti, ognuno approssimativamente del diametro di un chilometro e mezzo, che si scontrano continuamente l’uno con l’altro. Queste giovani comete sono molto più ricche di monossido di carbonio di quelle che popolano il nostro Sistema solare. Quando vengono in collisione, questo gas viene liberato e va a costituire la ‘nuvola’ che avvolge il sistema stellare di 49 Ceti”. Zuckerman e Song sono riusciti anche a dare una stima di quella che è la frequenza degli impatti tra queste comete. E il quadro che risulta è davvero sorprendente: per produrre la quantità di gas osservata, si verificherebbe uno scontro ogni sei secondi! Un vero e proprio super-scenario di impatti cosmici alieni, non c’è che dire. La nostra Terra sembra un pianeta decisamente ricco d’acqua ma in realtà, in termini cosmici, sul nostro mondo essa rappresenta meno dell’un per cento della massa terrestre. E probabilmente l’acqua presente sulla Terra proviene in realtà da comete e asteroidi. Beviamo quindi acqua extraterrestre da decine di migliaia di anni come specie umana. Uno studio condotto da Rebecca Martin e Mario Livio del Space Telescope Science Institute di Baltimora ha provato a spiegare il motivo per cui il nostro pianeta è relativamente asciutto. Cosa su cui gli astronomi s’interrogano da anni. Il modello teorico più accreditato spiega la formazione del Sistema Solare a partire da un disco protoplanetario, un disco turbinante di gas e polveri che circondava il nostro Sole. Secondo questo modello, la Terra dovrebbe essere ben più ricca di acqua. Sempre secondo il modello, il nostro mondo azzurro dovrebbe essersi formato da materiale ghiacciato in una zona attorno al Sole dove le temperature erano abbastanza fredde da far condensare il ghiaccio stesso. Ma, allora, perché la Terra è relativamente asciutta? Lo studio, basato su simulazioni al computer dell’evoluzione del Sistema Solare, spiega come il nostro pianeta si sia formato da detriti rocciosi in una zona più calda, dentro la cosiddetta “linea della neve”. Questa demarcazione nel nostro Sistema Solare si trova attualmente nel bel mezzo della fascia principale degli asteroidi, una regione compresa fra le orbite di Marte e Giove. Oltre questo punto la luce del Sole è troppo debole per liquefare i detriti ghiacciati rilasciati dal disco protoplanetario. I precedenti modelli del disco di accrescimento suggerivano che la “linea della neve” fosse molto più vicina al Sole 4,56 miliardi di anni fa, quando la Terra si formò, e quindi il nostro pianeta avrebbe dovuto formarsi in una zona dove il ghiaccio non poteva essere sciolto dal calore solare. Ma Martin e Livio suggeriscono un’altra possibilità. “Diversamente dal modello standard del disco di accrescimento, la linea della neve nella nostra analisi non si sposta mai dentro l’orbita della Terra ma rimane, invece, sempre più esterna” – rivela Livio – e ciò spiega perché il nostro sia un pianeta asciutto. Infatti, il nostro modello spiega perché anche altri pianeti come Mercurio, Venere e Marte siano relativamente asciutti”. Se la “linea della neve” fosse stata all’interno dell’orbita della Terra quando questa si formò, secondo Martin, “il nostro pianeta sarebbe dovuto essere un corpo ghiacciato. I pianeti come Urano e Nettuno che si sono formati oltre quella linea sono composti dal 10 per cento di acqua. Ma la Terra non ne ha molta, e questo è sempre stato un enigma”. Lo studio è pubblicato su “Monthly Notices of the Royal Astronomical Society”. Evidentemente le “chiare, fresche e dolci acque” che fanno del pianeta Terra quell’oasi cosmica che conosciamo, consentendo la comparsa della vita, hanno un’origine extraterrestre. Le principali ipotesi in campo sono due. L’acqua potrebbe esserci stata portata dalle comete e provenire dai margini esterni del Sistema Solare dove la maggior parte di questi corpi chiomati si sarebbero formati; oppure potrebbe essersi formata più vicino a noi, nelle parti più interne del Sistema Solare, e la “fonte” di quella presente sulla Terra sarebbero soprattutto gli asteroidi, o meglio i meteoriti che se ne distaccano e cadono sul nostro pianeta. Milioni di tonnellate ogni anno. Uno studio pubblicato su Science da Conel Alexander e colleghi della “Carnegie Institution for Science” propende decisamente per l’ipotesi degli asteroidi. Gli autori hanno analizzato campioni provenienti da 85 meteoriti appartenenti alla classe delle condriti carbonacee che rappresentano la maggior parte delle meteoriti che cadono sulla Terra, delle quali fanno parte i frammenti rinvenuti in Russia dopo il recente impatto sugli Urali. In particolare hanno studiato la percentuale di deuterio (acqua pesante), un particolare isotopo dell’idrogeno, presente nei frammenti. La percentuale di deuterio nell’acqua su un corpo del Sistema Solare è considerata infatti un buon indicatore della distanza dal Sole a cui si è formato. Più era distante, più alto è il contenuto di deuterio. I ricercatori hanno quindi confrontato le concentrazioni misurate con quelle relative ad alcune comete. In questo caso, la concentrazione viene misurata attraverso la spettrografia, cioè l’analisi della luce riflessa dalle comete. Alexander e colleghi hanno così mostrato che le condriti carbonacee contengono una percentuale di deuterio molto più bassa rispetto alle comete. Le due popolazioni di oggetti si sarebbero quindi formate in punti diversi: gli asteroidi nella fascia tra le orbite di Giove e di Marte. Le comete molto più lontano. Una conclusione che sarebbe in contrasto con la teoria prevalente, per cui le une e le altre si sarebbero formate assieme, ben oltre l’orbita di Giove, per poi avvicinarsi fino a portare il loro contenuto di ghiaccio sulla Terra. E, a questo punto, proprio in base al contenuto di deuterio, la fonte più probabile di composti volatili (e quindi di acqua) sulla Terra sarebbero le condriti carbonacee. Le conclusioni sono però ben lontane dal chiudere il dibattito, secondo Giovanni Valsecchi dell’Istituto di Astrofisica e Planetologia Spaziali di Roma (Iaps-Inaf). “Tutto si basa sulla misura del rapporto deuterio/idrogeno, che per le comete è molto difficile. Talmente difficile che – spiega Valsecchi –abbiamo questo dato solo per 4 o 5 comete in tutto. Fare considerazioni statistiche sulla base di così pochi dati è molto rischioso, perché si rischia di scambiare un oggetto eccezionale per uno rappresentativo. Servirà ancora molto tempo prima di avere abbastanza dati per una statistica solida”. Quanto all’idea che l’acqua terrestre venga soprattutto dalle condriti carbonacee, Valsecchi ricorda che fu proposta già nel 2000 in un articolo di Alessandro Morbidelli con lo stesso Valsecchi come coautore. “Da allora il quadro è molto cambiato, è un mosaico a cui mancano ancora molti tasselli e – rivela Valsecchi – non si può dire che ci sia un’ipotesi prevalente. Il motivo per cui studi come questo, interessante ma che non aggiunge moltissimo, escano su Science è proprio che il campo è così aperto e incerto”. Asteroidi e comete non rappresentano nulla di particolarmente insolito nell’armonia del Cosmo. Di passaggi ravvicinati è costellata l’intera esistenza del nostro pianeta. Qualche volte gli è andata bene, altre volte no. E numerose tracce sono tutt’ora lì, sotto gli occhi di tutti, a dimostrarci la spaventosa energia racchiusa in questi proiettili cosmici. Di “2012 DA14” qualcosa si sapeva. Scoperto nella notte del 22 Febbraio 2012, dagli astronomi dell’Osservatorio di Maiorca a La Sagra (Spagna), una settimana dopo il suo transito a due milioni e mezzo di chilometri dal nostro pianeta, ha subito incuriosito gli esperti di dinamica perché la sua orbita, un anno più tardi, l’avrebbe riportato ancor più vicino alla Terra. Le osservazioni successive (si è riusciti a seguirlo fino a metà Maggio, poi lo si è perso e lo si è riacciuffato solamente il 9 Gennaio scorso) hanno permesso di escludere l’impatto, ma destava comunque forte preoccupazione il fatto che quel masso cosmico di una cinquantina di metri sarebbe passato all’interno della fascia in cui orbitano i satelliti geostazionari: un record assoluto per oggetti di queste dimensioni. Passaggio estremamente ravvicinato ma senza conseguenze per il pianeta. Non così per “2012 DA14”. L’analisi dinamica ha già permesso di scoprire che la sua orbita cambierà! Al JPL hanno calcolato che, mentre prima dell’inchino alla Terra l’asteroide impiegava 368 giorni a completare la sua orbita, dopo il 15 Febbraio 2013 impiegherà 51 giorni di meno! La spinta gravitazionale della Terra ha già modificato l’orbita di 2012DA14 promuovendolo da oggetto di tipo Apollo a oggetto di tipo Amor. Non è escluso che per l’asteroide possano esserci altre conseguenze più drammatiche, secondo gli scienziati: tutto dipende dalla sua struttura interna. Altro che sonni tranquilli, il 15 Febbraio 2013. Ma non si può certo fare a meno di chiedersi cosa sarebbe successo se quell’orbita fosse stata meno benevola nei confronti della Terra e dei suoi 7 miliardi di abitanti. Un oggetto di una cinquantina di metri che sfreccia nello spazio a 7,8 km al second, oltre 28mila chilometri orari, porta con sé un carico di energia cinetica pari a circa 3,3 megatoni, in grado cioè di liberare la stessa energia che si ottiene facendo detonare 3,3 milioni di tonnellate di tritolo. Se si tratta di un oggetto roccioso friabile l’atmosfera potrebbe riuscire a schermarne in parte gli effetti disintegrandolo prima che tocchi il suolo. Gli sfortunati abitanti dell’area sottostante non sarebbero comunque per nulla al sicuro: potrebbero essere letteralmente disintegrati dall’onda termico d’urto. Se, invece, l’asteroide avesse una composizione ferrosa, l’atmosfera verrebbe tranquillamente “bucata” e la Terra si ritroverebbe con un’altro cratere fumante da impatto. È stato un asteroide ferroso più o meno delle dimensioni di 2012DA14 a scavare circa 50mila anni fa nel deserto dell’Arizona il Meteor Crater. Se il punto di impatto dovesse malauguratamente coincidere con una popolosa città ci ritroveremmo a piangere milioni di morti. Finché l’oggetto in rotta di collisione è piccolo, la provvidenziale azione protettiva dell’atmosfera ci mette una pezza, magari individuato solamente da uno dei numerosi satelliti di sorveglianza. Altre volte qualche occasionale osservatore ha la fortuna di assistere a uno show pirotecnico che inizia con l’apparizione improvvisa nel cielo di una scia luminosa, come negli Usa nel 1998, che ha il suo punto culminante in un abbagliante lampo di luce generato dall’esplosione di quel piccolo oggetto e si conclude con una persistente scia di fumo lasciata dall’evento. Ma non sempre tutto si risolve in una fantastica scenografia. I fatti capitati nella regione di Chelyabinsk, 1500 chilometri ad est di Mosca, indicano chiaramente che può capitare qualcosa di veramente catastrofico. E che l’onda d’urto lasci il segno. Lo stesso giorno in cui gli scienziati attendevano il passaggio di 2012DA14, intorno alle ore 9:20 del mattino (ora locale), gli abitanti di quella regione degli Urali hanno provato sulla loro pelle, fortunatamente in misura molto lieve, cosa significa subire passivamente l’impatto cosmico di un piccolo asteroide sul nostro pianeta. Davvero impressionanti le immagini che mostrano la scia luminosa apparsa dal nulla che taglia di netto il cielo. Poi le improvvise accensioni di due palle di fuoco più luminose del Sole con le scie di fumo residue. Sfortunatamente, questa volta l’onda d’urto, attutita dalla quota delle esplosioni, ha raggiunto il suolo interessando numerose città e paesi, lesionando edifici e mandando in frantumi i vetri delle finestre. Sarebbero soprattutto le schegge di vetro scagliate come proiettili la principale causa del ferimento di oltre 1200 persone. Si registra anche la caduta al suolo di molti frammenti (meteoriti), uno dei quali ha aperto un bel buco nella superficie ghiacciata di un lago nei pressi della città di Chebarkul. Certamente non c’è proprio alcun legame tra l’evento di Chelyabinsk e il passaggio di 2012DA14. Fin dalle prime ricostruzioni, le orbite dei due asteoridi erano completamente differenti e solo il caso ha voluto che i due spettacoli andassero in scena a poche ore di distanza uno dall’altro. Un ammonimento? Un drammatico uno-due che, però, deve necessariamente imporre una seria riflessione in chi di dovere. Il nostro pianeta non è un’isola di pace immune da catastrofi cosmiche. Da tempo sappiamo che anche la Terra, come tutti gli altri oggetti del Sistema Solare, è un potenziale bersaglio in un gigantesco tiro a segno cosmico governato dalle ben note leggi dinamiche delle risonanze orbitali e da quelle sfortunatamente più imprevedibili del caos. Per la serie: l’asteroide o la grande cometa che distruggerà la Terra, forse tra qualche milione di anni, potrebbe già essere in rotta di collisione! Il dato certo che ci viene dalle attuali conoscenze astronomiche è che non possiamo considerarci al sicuro. Allora, cosa stiamo facendo per proteggerci? L’unica strada percorribile non può essere solo quella di limitarsi a scrutare il cielo cercando di scoprire il maggior numero possibile di questi potenziali killer nascosti nell’oscurità siderale e, magari, limitarsi a individuare in anticipo il loro piano criminale. Bisogna provare a renderlo meno tragico. Indispensabile è potenziare il programma di ricerca Spaceguard con tutti gli osservatori astronomici pubblici e privati della Terra, integrando tutti i dati. Accorgerci, come talvolta capita, che un piccolo asteroide ci è passato vicino solo quando questo si sta già allontanando, non è certo una bella cosa. Sarà tremendamente difficile riuscire a scovarli tutti e la spada di Damocle di eventi come quello di Chelyabinsk e Tunguska l’avremo sempre sul capo. Ma un conto è piangere un milione di morti per oggetti imprevedibili perché troppo piccoli per essere intercettati e distrutti. Un conto è firmare la condanna a morte per l’intero pianeta: almeno i più pericolosi dobbiamo riuscire a stanarli. Qual è la nostra preparazione ad affrontare una simile emergenza? Finché si tratta di eventi minori, le nostre procedure di intervento e mitigazione possono reggere. Ma siamo davvero certi che saremmo in grado di far fronte alle conseguenze della caduta di un proiettile cosmico, asteoride o cometa, magari con impatti multipli, o anche soltanto di un piccolo oggetto come 2012DA14? Il doppio ammonimento-evento di Venerdì 15 Febbraio 2013 impone qualche riflessione supplementare a chi ha la responsabilità di predisporre e coordinare eventuali procedure di emergenza e protezione civile. Meglio non farci cogliere impreparati. Le foto animate di 2012DA14 ottenute dalla Stazione Osservativa di Campo Imperatore, dimostrano che gli osservatori astronomici di Roma e Teramo dell’Inaf sono riusciti a seguire il “Near Earth Object” per farne anche uno spettro infrarosso. Sul Gran Sasso d’Italia, a 2200 metri di quota, sorge l’Osservatorio di Campo Imperatore, la Stazione Osservativa dell’Inaf-Osservatorio Astronomico di Roma. Nella cupola Est è operativo il famoso Telescopio AZT-24, un Ritchey-Chretien da 1.1 metri di diametro, equipaggiato con la camera infrarossa Swircam,
gestito in collaborazione con l’Inaf– Osservatorio Astronomico di Teramo “Vincenzo Cerulli”(Collurania). Per le sue peculiarità (è l’unico strumento infrarosso dell’Inaf operativo sul territorio nazionale, fondamentale in un Programma Spaceguard) il telescopio è impiegato in campi d’indagine molto specifici quali: follow-up di SNe, GRB, monitoraggio di AGN e formazione stellare. Grazie ad un recentissimo “upgrade” del sistema di controllo del telescopio, l’AZT-24 è ora in grado di eseguire osservazioni molto complesse come l’inseguimento di transienti veloci quali i NEO (asteoridi e comete) e i detriti spaziali (Space Debris). Questo ha permesso allo staff di Campo Imperatore, diretto da Andrea Di Paola, di fare una vera “ripresa in volo” dell’asteroide passato vicino al nostro pianeta il 15 Febbraio 2003. “La notte era cominciata male per via delle condizioni avverse del cielo – rivela Andrea Di Paola – ma, come spesso succede a Campo Imperatore, il cielo è mutato ed alle ore 4:00 siamo riusciti a riprendere l’asteroide grazie alle precise posizioni fornite dal servizio Neodys”. Due filmati sono stati realizzati componendo immagini ottenute tra le ore 4:32 e le 5:05 della mattina del 16 Febbraio. La differenza tra i due filmati consiste nella tecnica adottata per acquisire le singole immagini. Nel caso della prima animazione, ciascuna immagine di 10 secondi di esposizione in banda J è stata ripresa con il telescopio in movimento per compensare lo spostamento apparente delle stelle che in questo modo appaiono fisse e puntiformi mentre l’asteroide attraversa il campo di vista da Sud verso Nord. Nella seconda animazione le immagini, ancora di 10 secondi di posa in banda J, sono state riprese mentre il telescopio inseguiva il moto apparente dell’asteroide che così risulta fermo nel centro del campo mentre le stelle gli sfilano attorno. Questa tecnica viene normalmente impiegata per individuare oggetti molto deboli e veloci che altrimenti non lascerebbe nessuna traccia rilevabile sui sensori. Sempre con quest’ultima tecnica è stato anche possibile acquisire uno spettro infrarosso dell’asteroide. “Siamo molto soddisfatti del risultato ottenuto – fa notare Di Paola – date le difficoltà d’inseguimento di oggetti transienti e veloci come questo. Si è trattato in effetti del battesimo di un sistema complesso e sofisticato che ha come finalità quella di estendere il campo di impiego dell’AZT-24 all’osservazione di NEO e detriti”. L’impatto cosmico della meteora di 10mila tonnellate sui cieli della Russia centrale, 1500 Km ad est di Mosca, ha liberato un’energia di 500 chilotoni, equivalente a 40 volte la bomba nucleare sganciata su Hiroshima (500mila tonnellate di Tnt). I servizi speciali russi hanno raccolto molti frammenti del meteorite. L’Ufficio stampa della Direzione Generale del Ministero degli Affari Interni dell’Oblast di Chelyabinsk ha comunicato che i frammenti del corpo celeste vengono periziati. L’incidente cosmico ha coinvolto gli abitanti delle Oblast’ di Tjumen’, di Kurgan, dell’Oblast’ di Sverdlovsk e i territori del nord del Kazakistan. I danni maggiori li ha subìti l’Oblast’ di Chelyabinsk, molti edifici sono rimasti senza vetri. Le tracce infrasoniche del corpo celeste russo avrebbero sicuramente attivato tutti i sistemi satellitari automatici di Allerta Nucleare durante la Guerra Fredda, magari provocando il pre-riscaldamento dei missili nucleari! Secondo le prime valutazioni scientifiche l’oggetto penetrato Venerdì 15 Febbraio 2013, alle ore 4:20:26 italiane, nei cieli della Russia centrale aveva le dimensioni di circa 17 metri (55 piedi) e una massa variabile tra le 7 e 10mila tonnellate. La sua velocità d’ingresso nell’atmosfera terrestre con un angolo di 20 gradi, secondo Bill Cooke a capo del Marshall Space Flight Center della Nasa in Alabama (Usa), è stata di circa 18 chilometri al secondo. L’oggetto (non uno sciame ma una singola meteora carbonacea) ha cominciato a frammentarsi in soli 32.5 secondi a 30-50 km di altezza nel corso di tre distinte esplosioni, con un’energia equivalente iniziale pari a 30 chilotoni (2,4 Hiroshima) che si è più che decuplicata tra i 5 e i 15 km di quota, liberando definitivamente l’energia di 40 ordigni nucleari Little Boy. Altre valutazioni parlano di 300 chilotoni, secondo la stima di Margaret Campbell-Brown del Dipartimento di Fisica e Astronomia della University of Western Ontario. I calcoli avvalorati da Peter Brown della University of Western Ontario in Canada e da Sergei Smirnov, un esperto dell’Osservatorio Pulkovo in Russia, sono state effettuati grazie alle onde di pressione raccolte da cinque distinte stazioni mondiali: la prima a registrare l’evento è stata la Stazione dell’Alaska a 6.500 km di distanza da Chelyabinsk, il “ground zero” dell’impatto cosmico russo. L’oggetto, la cui frequenza d’impatto sulla Terra è di una ogni 100 anni, non era chiaramente relazionato in alcun modo al piccolo asteroide “2012DA14” in quanto i corpi celesti si muovevano in direzioni differenti ed erano separati da un lasso temporale troppo ampio. Uno dei frammenti più grandi si è schiantato nel lago di Chebarkul, a 60 chilometri dalla città di Cheliabinsk, dove è stato fotografato un foro di otto metri di diametro nella superficie ghiacciata. Le autorità russe hanno subito intimato ai cittadini di non prelevare alcun oggetto “estraneo”. In quelle ore si è registrata anche una sospetta esplosione da impatto cosmico su Cuba. Testimoni parlano di una sfera più luminosa del Sole che ha attraversato i cieli dell’isola caraibica giovedì notte 14 Febbraio 2013 (ora locale) prima di esplodere, provocando un piccolo sisma. L’esplosione e la pioggia di frammenti che si è abbattuta sugli Urali, infrangendo tutte le difese planetarie (gas atmosferici) e la barriera del suono (www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=qShr0J8E5BE) hanno provocato 1.200 feriti, distruggendo fabbriche, danneggiando 3mila edifici tra cui 34 strutture ospedaliere e 361 scuole, colpendo 200 bambini. Sono gli effetti dell’onda d’urto. L’Agenzia Interfax e l’Accademia delle Scienze Russa Roscosmos precisano che sono sei le città “bombardate” dai frammenti della meteora. Il fenomeno si è verificato a circa 80 chilometri dalla città di Satka, non lontano da Chelyabinsk, alle 9:22 ora locale. L’evento è stato registrato su un’estesa area da Tyumen a Kurgan, nella regione di Sverdlovsk e nel Kazakistan settentrionale. Secondo il colonnello Yaroslav Poshiupkin, portavoce della regione militare degli Urali, come conferma l’Agenzia Ria Novosti, sarebbe stato ritrovato un cratere di 8 metri di diametro sul ghiaccio del lago Chebarkul. La zona è stata sigillata dai militari che hanno inviato anche una squadra di sommozzatori, secondo fonti russe. I cittadini di Chelyabinsk e di Sverdlovsk hanno riferito di avere visto “oggetti che bruciavano” nel cielo. Video amatoriali mandati in onda dalla televisione russa e su Youtube mostrano chiaramente un corpo celeste accendersi improvvisamente nei cieli russi per poi esplodere in un intenso lampo di fuoco più brillante del Sole e tale da proiettare ombre poco prima di frammentarsi in piccolissimi cristalli e di cadere al suolo lasciando una lunga coda bianca con il tipico effetto di un’esplosione nucleare in cielo. Fonti ufficiali russe spiegano che i cristalli della meteora sono stati prodotti dalla disintegrazione di un oggetto largo almeno 15 metri “nella parte bassa dell’atmosfera”. Secondo l’esperto di meccanica celeste Andrea Milani dell’Università di Pisa, responsabile del gruppo di ricerca NeoDyS, specializzato nel calcolare le orbite degli asteroidi più vicini alla Terra, “non c’è alcun legame tra la pioggia di meteoriti in Russia e il passaggio ravvicinato dell’asteroide 2012 DA14. Tra i due eventi non c’è alcuna relazione”. Un bombardamento cosmico tanto inatteso che il Presidente russo Vladimir Putin, impegnato nel G20 a Mosca, si è detto preoccupato criticando severamente i sistemi di allerta giudicati “non del tutto efficaci”. Il leader del Cremlino ha chiesto alle autorità di fornire maggiore aiuto ai cittadini. Mentre il Premier Dmitri Medvedev dal Forum Economico di Krasnoyarsk ha dichiarato:“è la prova che non solo l’economia è vulnerabile, ma l’intero pianeta”. Più di un milione di russi si è così risvegliata tra lampi di luce e violente esplosioni cosmiche a bassa quota, causate dall’onda d’urto dell’esplosione nell’atmosfera. La maggioranza dei feriti è stata colpita dai vetri delle finestre infranti dall’impatto della meteora. Chiuse scuole e asili nella regione. Il fenomeno è stato registrato anche a Tyumen, Kurgan, Sverdlovsk e nel Nord del Kazakhstan. Inviati sul posto 10mila agenti di polizia e 20mila uomini della Protezione Civile. Secondo l’Accademia delle Scienze Russa, l’oggetto senza alcun preavviso è entrato nell’atmosfera terrestre alla velocità di 15-20 chilometri al secondo e si è distrutto alla quota di 30-50 km. Molte schegge sarebbero già state individuate, secondo il Ministero degli Interni russo, nei distretti circostanti di Chebarkul e di Zlatust. L’onda d’urto ha investito un’ampia regione che è stata solcata da una scia di fumo bianco lasciata dalla meteora, seguendo una direzione apparente da Ovest verso Est. Secondo i servizi di emergenza russi il fenomeno non ha causato un innalzamento dei livelli di radiazioni, che sono rimasti nei parametri abituali per la regione. L’Agenzia russa per l’Energia Atomica ha riferito che le installazioni negli Urali non hanno subito danni. I frammenti cosmici non sono stati abbattuti da missili lanciati da jet russi, come riferito dal Tg2 italiano! Una news degna di Striscia La Notizia. L’Agenzia Spaziale Roscosmos ha fatto sapere che i loro apparecchi non hanno registrato la meteora che invece sembra sia stata osservata dal satellite europeo Meteosat 10. Panico tra i malcapitati, alcuni dei quali hanno temuto una “fine del mondo” in ritardo sul calendario Maya! Ma non manca l’ironia politica sul web:“È un segnale per Putin: dopo il Papa, deve dimettersi!”. Non mancano le teorie complottistiche: per il leader nazionalista Vladimir Zhirinovski non di meteoriti si tratta, ma del collaudo di una nuova arma segreta realizzata dagli americani, “provocatori guerrafondai”! Il Sentinel Space Telescope della B612 Foundation, totalmente finanziato da privati, in orbita dal 2018 grazie alla Nasa ed al regolare contratto siglato sulla base della Liberalizzazione della Impresa Spaziale Privata, ci salverà da future catastrofi cosmiche? Andrà alla ricerca no-profit del 90 per cento dei NEO (asteoridi, meteore e comete) più grossi di 350 piedi e di circa la metà dei NEO più piccoli, in orbita non oltre i 200 milioni di chilometri dalla Terra. Parola di Ed Lu, amministratore delegato della B612 Foundation. Piccoli oggetti come la meteora russa non possono essere intercettati e distrutti. “È un fenomeno che accade continuamente, che la Terra sia bombardata da piccoli oggetti che si frantumano in atmosfera. Grosso modo una volta all’anno – spiega Giovanni Valsecchi dell’Inaf/IAPS di Roma, esperto di meteoriti – si verifica in atmosfera un evento che libera un’energia pari a quella della bomba di Hiroshima. E grosso modo una volta al mese un evento che libera un’energia pari a circa un kiloton. Però noi non vediamo quasi mai gli effetti di questi eventi perché la Terra è sostanzialmente spopolata. Questa volta, invece, la meteora si è verificata sopra una regione abitata, vicino a una città. Con alta probabilità, fra l’altro, di avere telecamere puntate sul fenomeno, contribuendo così anche uno studio scientifico dell’evento. I dati delle telecamere contribuiranno a ricostruire l’orbita dell’oggetto con una discreta approssimazione. I parametri più importanti si possono verificare semplicemente già osservando dalla direzione di volo”. Eventuali collegamenti con l’asteroide “2012 DA14”, anche per pura coincidenza cosmica, sono da escludere. “A me sembra pura coincidenza. La meteora sulla Russia si è verificata 16 ore prima del passaggio di “DA14” attraverso l’eclittica. Questo significa che le due orbite, in ogni caso, differirebbero di 2/3 di grado in una certa variabile angolare: questo già ci dice qualcosa. E soprattutto, il punto fondamentale è che questa meteora non viaggiava da Sud verso Nord, come invece farebbe un’eventuale meteora associata a DA14”. Il gran sasso spaziale “2012 DA14” è volato via tranquillamente dopo aver salutato l’Indonesia alle ore 20:25 italiane da 27.600 Km di quota, senza devastare la Terra (avrebbe liberato nell’impatto un’energia di 2,4 megatoni, cioè di 2,4 milioni di tonnellate di Tnt) che è da sempre al centro del mirino di improvvisi impatti cosmici. Asteroidi e comete minacciano il nostro pianeta dall’alba della Creazione. Abbiamo solo la nostra atmosfera a difenderci. Non esistono ancora satelliti e space shuttle armati di potenti missili nucleari e raggi laser come nei film hollywoodiani Meteor, Armageddon e Deep Impact. La vera fine del mondo potrebbe giungere per mano di montagne spaziali più grandi dell’asteroide “2012 DA14”, la roccia di 130mila tonnellate e del diametro di circa 50 metri che Venerdì 15 Febbraio 2013 ha sfiorato la Terra (flyby) senza colpirla, ad una distanza record di soli 27.600 chilometri dalla superficie, al di sopra dell’Oceano Indiano, a largo di Sumatra, all’interno dell’orbita geostazionaria, a 36mila Km, di molti satelliti per telecomunicazioni. Tutti in sicurezza secondo la Nasa. Il masso cosmico delle dimensioni di uno Space Shuttle, era troppo piccolo e in ritardo per la “fine” farlocca prevista dai falsi profeti per il 12 e il 21 Dicembre 2012. Molti siti Internet ne parlano sicuramente a sproposito. Per fugare allarmismi di massa, è bene sapere che non si tratta di un evento eccezionale. La Terra è bombardata continuamente da materiale extraterrestre proveniente dallo spazio ed è “sfiorata” ogni giorno da circa tremila sassi spaziali di poche decine o centinaia di metri di diametro potenzialmente pericolosi perché le loro orbite spesse volte intersecano la nostra “regione vitale” all’interno della distanza di sicurezza dalla Terra che è di 8 milioni di chilometri. Si stima che, in media, arrivi sulla superficie del nostro mondo una quantità di meteoriti extraterrestri pari circa 100mila tonnellate all’anno. Si tratta per lo più di polveri e di piccoli corpi che si frammentano e bruciano attraversando l’alta atmosfera a velocità dell’ordine delle decine di chilometri al secondo. Ma ogni tanto, grazie a Dio molto raramente, qualcuna di queste rocce spaziali più grandi può raggiungere la superficie provocando danni e catastrofi. L’oggetto “2012DA14” scoperto il 23 Febbraio 2012 dall’Osservatorio di La Sagra, nella Spagna meridionale, il 15 Febbraio 2013 è passato a un decimo della distanza Terra-Luna. Un transito davvero molto ravvicinato che ha attraversato, come un coltello su un panetto di burro, l’orbita dei satelliti geostazionari per la meteorologia e le telecomunicazioni. Non ha segnato neppure la loro “fine” del mondo! L’asteroide non è diventato un meteorite, in termini astronomici è piccolo. La sua massa è di circa 130mila tonnellate, dunque superiore alla stazza di una portaerei nucleare Usa. “Non c’è alcun motivo di preoccuparsi” – avvisano gli scienziati. Non è stato necessario abbassare o alzare l’orbita di eventuali satelliti a rischio poco prima dell’incontro ravvicinato. Per il futuro tutto dipende dalla geometria cosmica di questi passaggi ravvicinati con la Terra. In genere se un asteroide così ravvicinato, secondo il calcolo dei ricercatori, passasse in una delle ristrettissime zone dello spazio circumterrestre, lungo un corridoio delle dimensioni di alcune centinaia di metri, chiamato “buco della serratura gravitazionale”, l’oggetto potrebbe cambiare leggermente la sua orbita e impattare contro il nostro pianeta in uno dei suoi passaggi successivi. Nel caso di “2012 DA14” le probabilità erano bassissime. E l’interazione con l’atmosfera terrestre, non lo avrebbe distrutto quasi completamente, vista la composizione. Il passaggio dell’asteroide 2012DA14 è stato seguito da numerosi telescopi, tra i quali il Telescopio Schmidt 67/92 dell’Inaf – Osservatorio Astronomico di Padova, sito sulla cima Ekar sopra l’altopiano di Asiago. È uno strumento a grande campo, particolarmente adatto alla scoperta di oggetti variabili, nella nostra Galassia e in galassie lontane (novae e supernovae), ma anche nel Sistema Solare (asteroidi e comete). Attualmente è un telescopio controllato in remoto e fortemente utilizzato anche per la divulgazione. La camera CCD che è montata al telescopio è stata donata dai Rotary Club Vicentini nel 2009, in occasione dell’Anno Internazionale dell’Astronomia. Mai dire mai come insegna la storia. Più pericoloso è l’asteroide Apophis scoperto nel Dicembre 2004. Un gigantesco macigno di circa 350 metri e con una massa di poco inferiore alle 30 milioni di tonnellate. Se impattasse sulla Terra (ovunque colpisse, in mare o al suolo) libererebbe un’energia pari a circa 40mila volte quella sviluppata dalla bomba nucleare che distrusse Hiroshima, aprendo sulla superficie terrestre un cratere 50 volte superiore al suo diametro, innescando terremoti, tsunami ed eruzioni vulcaniche “antipodali”, distruggendo un continente nella migliore delle ipotesi, avvelenando l’atmosfera e le acque. Il prossimo passaggio molto ravvicinato, a circa 30mila Km dal centro della Terra, avverrà il giorno di Martedì 13 Aprile 2029. Ma il passaggio più rischioso sarà quello del 13 Aprile 2036. Il giorno di Pasqua, duemila e sei anni dopo la Risurrezione di Nostro Signore Gesù Cristo (7 Aprile A.D. 30, secondo il nostro amato Benedetto XVI, il Papa del Gran Coraggio). Come nel caso di “2012DA14” gli scienziati sperano che nel 2029 Apophis non passi attraverso uno di quei buchi della serratura gravitazionali della Terra. Altrimenti il botto è assicurato! Si stima che gli asteroidi potenzialmente pericolosi per il nostro mondo, con dimensioni superiori al centinaio di metri (quelli che potrebbero arrivare a terra bucando in pochissimi istanti l’atmosfera terrestre) siano circa 150mila. A tutt’oggi più del 90 per cento di questa popolazione di asteroidi è sconosciuta, senza contare le più pericolose comete iperboliche, velenosissimi e velocissimi frammenti di ghiaccio interstellare! Un impatto simile a quello di Apophis, magari di un oggetto di due chilometri di diametro, farebbe precipitare l’umanità negli scenari hollywoodiani più oscuri e paludati. E, indipendentemente dai Maya o dall’Apocalisse biblica, per il nostro pianeta si aprirebbe un’era molto diversa. Finirebbe la nostra civiltà tecnologica ma potremmo pur sempre risorgere per ricominciare daccapo. Sopra i due chilometri di diametro, che sia un impatto da cometa o da asteroide, non vi sarebbe più storia
! Qualcuno lassù, forse i sei astronauti superstiti della Stazione Spaziale Internazionale, magari dando di stomaco, potrebbe assistere all’estinzione totale del genere umano dalla distanza di sicurezza di 400 Km di quota. L’asteroide “4179 Toutatis” il 13 Dicembre 2012 ci ha appena sfiorati! La sonda Cinese “Chang’E 2” ce l’ha fatta: l’ha fotografato mentre l’oggetto si avvicinava alla Terra. Progettata per osservare la Luna, che ha raggiunto nel 2010, la sonda cinese nei mesi scorsi era stata spostata dall’orbita lunare per osservare da vicino Toutatis che alle 7:40 ore italiane aveva raggiunto la minima distanza dalla Terra passando a 6,9 milioni di chilometri. Come riferisce la Planetary Society, la sonda si è avvicinata a Toutatis il 13 Dicembre, nella fase di allontanamento dell’oggetto dal nostro pianeta, raggiungendo una distanza minima dalla superficie, viaggiando con una velocità di 10,7 Km/secondo. Il diametro di Toutatis, scoperto il 4 Gennaio 1989 da C. Pollas, è di 5,4 Km. Le fotografie sono state scattate a una distanza compresa fra 93 e 240 chilometri dall’asteroide. La qualità delle immagini è migliore di quanto immaginato perché la sonda Chang’E 2 non è stata progettata per osservare un corpo in movimento come un asteroide ma per osservare la Luna da un orbita regolare. In ogni caso è un successo per la Cina che per la prima volta ha fatto avvicinare una sua sonda a un asteroide. Secondo gli esperti per il Celeste Impero potrebbe essere stata una sorta di prova generale dal punto di vista tecnologico per pianificare future mission. Non solo per osservare da vicino asteroidi o comete, ma per farvi sbarcare degli astronauti prima della Nasa. Il nome deriva da Toutatis, divinità della guerra, della fertilità e della ricchezza della mitologia celtica. Toutatis è correlato con lo sciame meteorico delle Kappa Aquaridi. Il periodo di rivoluzione di Toutatis intorno al Sole è in risonanza 1:3 con quello di Giove e 1:4 con quello della Terra. Il che significa che una volta ogni quattro anni l’asteroide si presenta alla minima distanza con il nostro pianeta. Il 29 Settembre 2004 Toutatis è passato a circa 1,5 milioni di chilometri dalla Terra. La distanza più breve mai raggiunta dall’Anno Domini 1353. Sopra i cinque chilometri di diametro, un impatto cosmico di un asteoride o di una cometa condurrebbe all’estinzione di tutte le specie viventi sulla Terra. Come sarebbe il mondo senza l’Uomo? La risposta ce la offre Lori Nix, artista di Brooklyn (New York, Usa) che si diletta nel creare modellini in miniatura di luoghi e paesaggi post-apocalittici. Per questi motivi, anche se la probabilità effettiva di essere colpiti da un qualsiasi oggetto è molto bassa, la Nasa e tutti gli Osservatori astronomici del mondo (pubblici e privati) sono sempre in stato di allerta! L’approccio orbitale di “2012 DA14” è stato comunque da record. Era dagli Anni ’90 del secolo scorso che non se ne vedeva sfrecciare uno così grande e vicino alla Terra. La prima e la seconda fascia di asteroidi, con l’annessa sfera di comete ghiacciate molto al di là di Plutone, sono un serbatoio immenso di acqua e minerali. Montagne e rocce spaziali di tutte le dimensioni, residui primordiali della formazione del nostro Sistema Solare, se “perturbati” nelle loro tranquille orbite possono “decidere” di avvicinarsi al Sole e, quindi, alla Terra. Il Programma “Near-Earth” della Nasa aiuta gli scienziati ad osservare e studiare gli oggetti che varcano il confine di sicurezza degli 8 milioni di chilometri dalla Terra. Come il roccioso “2012DA14”. Generalmente oggetti di queste dimensioni si avvicinano alla Terra una volta ogni 40 anni e possono colpire il nostro mondo una volta ogni 1200 anni. Un simile impatto scaverebbe un cratere di oltre mille metri come il Meteor Crater in Arizona (Usa), un evento di 50mila anni fa. L’asteroide però era di metallo. Ma la mattina del 30 Giugno 1908, qualcosa di molto simile a “2012DA14” esplose a circa 60 Km di quota sopra la Siberia con la potenza di mille Hiroshima, devastando 1.200 chilometri quadrati di taiga, abbattendo 60 milioni di alberi attorno al fiume Podkamennaya Tunguska, presso l’odierna Krasnoyarsk Krai in Russia. Fu l’onda d’urto termica e sonica a distruggere la foresta siberiana, provocando anche un piccolo cratere oggi lacustre. L’Evento Tunguska, forse causato dalla collisione di un asteoride o di una piccolo cometa, avrebbe sicuramente distrutto Mosca e San Pietroburgo. Oggi gli scienziati possono inseguire i corpi celesti più grossi che sfrecciano nello spazio e con largo anticipo soltanto gli asteoridi perché le comete appaiono all’improvviso, di solito dopo aver superato l’orbita di Giove, quando sono già prossime alla Terra (pochi mesi prima!) ed al Sole. I parametri orbitali noti da un anno, escludevano la catastrofe per “2012DA14”. Misure successive l’hanno poi confermato. A riprova del fatto che dovremmo sempre avere alcuni mesi di preavviso, anche nel caso più sfortunato. È davvero così che stanno le cose? Non necessariamente. Lo spazio è immenso. I telescopi sono pochi. I radar non bastano. E il politichese italiota non ci salverà! Il monitoraggio è ancora insufficiente, soprattutto per gli oggetti che potrebbero giungere dal Sole con un approccio orbitale estremante radente. Il nostro lato cieco. I telescopi spaziali non farebbero altro che registrare l’evento, poche settimane prima della catastrofe. Idem la Stazione Spaziale Internazionale. Tutti i telescopi radar della Terra hanno osservato il passaggio ravvicinato di “2012DA14”. Gli echi radar hanno analizzato l’oggetto in gran dettaglio, consentendo agli scienziati di formulare previsioni sui prossimi incontri, per studiarne le caratteristiche fisiche e il moto orbitale, ottendendo una mappa radar in 3D della roccia spaziale (http://neo.jpl.nasa.gov). La Terra ha conosciuto tanti altri “The End” nella sua lunga storia geologica, prima della comparsa dell’Uomo. A volte le specie viventi sono state distrutte al 95 per cento per mano della Natura (non degli Alieni) per poi ricominciare daccapo in maniera sempre nuova. Lo ricordano il confine KT e la sottile striscia di Iridio segnati in maniera indelebile nelle rocce di tutto il mondo: i limiti invalicabili tra le due ere del Cretaceo e del Terziario. Sono gli effetti della terribile esplosione termonucleare di 65 milioni di fa. Quella dell’asteroide Baptistina di 10 Km di diametro che impattando nello Yucatan spazzò via i dinosauri dalla faccia della Terra, determinando un preciso spartiacque (KT) tra l’era dei rettili giganti e quella dei mammiferi. Colpì con la potenza di tutto l’arsenale termonucleare esistito sulla Terra. Il dato su cui riflettere, tuttavia, è un altro. L’inverno nucleare causato dalle polveri proiettate nella stratosfera, dall’immenso incendio planetario innescato dall’impatto e l’avvelenamento delle acque, sterminarono le specie sopravvissute all’esplosione. Si salvarono in pochi, sottoterra e nelle profondità marine. L’oscurità ricoprì il nostro mondo per secoli prima che i mammiferi, gli uccelli e i rettili più piccoli potessero finalmente rivedere la luce del Sole per iniziare un nuovo ciclo vitale. Accadde altre volte prima dell’era dei dinosauri tra il Permiano e il Triassico. Accadrà di nuovo, prima o poi. Quando? Non lo sappiamo. Ma 13mila anni fa, secondo alcuni scienziati, un impatto cosmico in Nord America, forse di una roccia spaziale o una cometa di 4 Km di diametro, potrebbe essere la causa della distruzione improvvisa della cultura “paleo-indiana” dei Clovis nel Messico centrale. Nel Luglio del 1994 i frammenti della cometa Shoemaker-Levy 9 bombardarono il pianeta Giove, liberando l’energia di milioni di megatoni. Una sola di quelle esplosioni avrebbe sicuramente vaporizzato la Terra in un istante!
Nicola Facciolini
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