Habemus Alma, l’Atacama Large Millimeter/submillimeter Array! L’Universo non avrà più segreti. Le dolci meraviglie del più potente telescopio radioastronomico ESO sulla Terra, ufficialmente inaugurato il 13 Marzo 2013 sul Chajnantor Plateau delle Ande cilene a 5mila metri di quota, sono servite. Alma è l’Osservatorio europeo australe più importante di sempre per conoscere i segreti più intimi dell’Universo. Alma, in totale sicurezza antisismica dai terremoti potenzialmente catastrofici della regione, opportunamente schermato dagli choc e dall’inquinamento elettromagnetici, è la più sensibile macchina del tempo ad apertura sintetica che sia mai stata concepita e costruita dall’Uomo sulla Terra: con le sue 66 antenne (30-1000 Ghz) pienamente operative entro l’Ottobre 2013, equivalenti a un singolo radiotelescopio di 16 Km di diametro, Alma offrirà una risoluzione spettrale di 100m/s, una risoluzione angolare fino a 100 volte migliore degli attuali interferometri e una sensibilità centuplicata! L’Alma mater della radioastronomia mondiale da un miliardo di dollari, ha aperto gli occhi dell’Umanità sull’ignoto. Il più potente Osservatorio astrofisico nella banda sub-millimetrica, è anche la più grande finestra aperta per scrutare i segreti dell’Universo dinamico, per sondare i più vicini sistemi extrasolari a caccia di esopianeti e civiltà aliene in formazione e in evoluzione. Sì, perché l’eventuale inquinamento luminoso elettromagnetico extraterrestre, di qualunque natura esso sia, non potrà sfuggire alle sensibili antenne di Alma! Siamo già anni-luce avanti alle 27 antenne del Very Large Array statunitense. L’European Southern Observatory (Eso), in collaborazione con i suoi partner internazionali, ha costruito la più moderna batteria di radiotelescopi espressamente concepita per studiare la luce proveniente dai più freddi oggetti cosmici. Le antenne di Alma attualmente in funzione sono 57. Tutte le altre saranno installate entro i prossimi mesi, a cominciare da Luglio 2013, con l’ultimazione dei lavori alla Residenza degli scienziati. Qual era la struttura dell’Universo nel passato? Com’erano distribuite le galassie che oggi osserviamo in gruppi, ammassi e filamenti che circondano grandi zone vuote, quando l’Universo era più giovane? È la crescita della struttura compatibile con le previsioni della Relatività Generale di Einstein? E come sono evolute le galassie stesse, incastonate come gioielli luminosi nel reticolo cosmico di Materia Oscura? Sono tutte domande fondamentali per capire come siamo arrivati sulla Terra e come ciò che osserviamo ora nello spazio intorno a noi è così simile a ciò che osserviamo a milioni e miliardi di anni luce. Domande che cominciano ad avere risposte convincenti grazie ai primi risultati scientifici realizzati da Alma che ha scoperto zuccheri e caffeina nei sistemi solari alieni! Non solo. Alma già rivoluziona la nostra comprensione della vita nell’Universo. I sensori criogenici delle sue antenne sono raffreddati a 4 gradi Kelvin (-269 gradi Celsius) per riscrivere la storia del Baby Boom delle stelle: il raccolto da record di galassie lontane include la maggior parte dei ritrovamenti di acqua cosmica finora pubblicati. In effetti alcune osservazioni effettuate con l’Atacama Large Millimeter/submillimeter Array, già mostrano chiaramente il picco della nascita di stelle nel Cosmo che avvenne molto prima di quanto si pensasse. I risultati sono pubblicati in una serie di articoli sulle riviste “Nature” e “Astrophysical Journal” del 14 Marzo 2013. Questa ricerca rappresenta l’esempio più recente delle scoperte provenienti dall’Osservatorio internazionale Alma. Si pensa che il picco più alto della produzione di stelle si sia verificato nell’Universo primordiale in galassie brillanti e massicce. Questi sistemi stellari, chiamati “starburst”, convertono vaste riserve di gas e polvere cosmici in nuove stelle a un ritmo parossistico, molte centinaia di volte più in fretta che in una galassia a spirale come la nostra, la Via Lattea. Gli astronomi dell’Eso, osservando con Alma più lontano nello spaziotempo e più di quanto finora la mente umana avesse mai concepito, fino a galassie così lontane che la loro luce ha impiegato molti miliardi di anni per giungere fino a noi, possono studiare questo periodo così movimentato della gioventù dell’Universo. “Più è lontana la galassia e più indietro nel tempo si guarda – rivela Joaquin Vieira del California Institute of Technology (Usa), a capo dell’equipe e primo autore dell’articolo sulla rivista Nature – così misurando la distanza delle galassie possiamo costruire una cronologia di quanto vigorosamente l’Universo stava creando stelle nelle diverse tappe della sua storia da 13,7 miliardi di anni”. Cioè dal Big Bang! Il team internazionale di scienziati ha scoperto queste galassie “starburst”’ lontane ed enigmatiche con il South Pole Telescope (Telescopio al Polo Sud) da 10 metri della National Science Foundation degli Usa, e poi ha usato le antenne di Alma per focalizzarsi ad esplorare il “baby boom” delle stelle nell’Universo giovane. Grande è stata la meraviglia dei ricercatori quando hanno scoperto che molte di queste galassie distanti, piene di polvere e che formano stelle, erano ancora più lontane del previsto. Ciò significa che, in media, il picco di formazione stellare avvenne 12 miliardi di anni fa, quando l’Universo aveva poco meno di 2 miliardi di anni, cioè almeno un miliardo di anni prima di quanto si pensasse. Le implicazioni sono lapalissiane. Due di queste galassie sono le più lontane mai viste del loro genere, così distanti che la loro luce iniziò il suo cammino quando l’Universo aveva appena un miliardo di anni. In una di queste galassie da record, l’acqua si trova tra le molecole rilevate da Alma, rendendola l’osservazione più lontana nel Cosmo, finora mai pubblicata, di questa nostra preziosa molecola vitale. L’equipe ha sfruttato la sensibilità senza pari di Alma per catturare la luce di 26 galassie a lunghezze d’onda intorno ai tre millimetri. La luce di una lunghezza d’onda specifica può essere prodotta dalle molecole di gas nelle galassie: a causa dell’espansione accelerata dell’Universo la lunghezza d’onda viene “stirata” nel corso dei miliardi di anni impiegati per raggiungerci. Così, misurando le lunghezze d’onda “stirate”, gli astronomi possono calcolare quanto è durato il viaggio per collocare ogni galassia al punto giusto nella Storia cosmica. “La sensibilità di Alma e il grande intervallo di lunghezze d’onda implicano che possiamo ottenere le nostre misure in pochi minuti per ciascuna galassia, circa cento volte più in fretta di prima – osserva Axel Weiss del Max-Planck-Institut für Radioastronomie di Bonn (Germania), a capo della misura delle distanze delle galassie – precedentemente, una misura come questa avrebbe richiesto un processo laborioso per combinare i dati provenienti da telescopi nella banda del visibile e da radiotelescopi”. Nella maggioranza dei casi, le osservazioni di Alma possono individuare da sole la distanza, ma per alcune galassie il team ha combinato i dati di Alma con misure prese da altri telescopi, tra cui l’Atacama Pathfinder Experiment (Apex) e il Very Large Telescope dell’Eso. Osservazioni aggiuntive sono state effettuate con l’Australia Telescope Compact Array e il Submillimeter Array. All’epoca delle osservazioni gli astronomi hanno usato solo 16 delle 66 antenne giganti che formano la schiera completa di Alma, poiché l’Osservatorio era ancora in costruzione. Una volta completato, Alma sarà molto più sensibile e potrà vedere galassie ancora più deboli. Per ora, gli astronomi hanno puntato le antenne di Alma a quelle più brillanti. Hanno anche sfruttato un aiuto dalla Natura, l’effetto di lente gravitazionale previsto dalla Teoria della Relatività Generale di Albert Einstein, per cui la luce di una galassia remota viene distorta dall’influsso gravitazionale di una galassia di grande massa in primo piano che si comporta come una lente e rende più brillante la fonte luminosa lontana. Per capire esattamente di quanto le lenti gravitazionali abbiano reso più brillanti le galassie, l’equipe ha ottenuto immagini molto nitide usando le osservazioni di Alma a lunghezze d’onda dell’ordine di 0,9 millimetri! “Queste meravigliose immagini di Alma mostrano le galassie di sfondo deformate in numerosi archi di luce, noti come Anelli di Einstein – spiega Yashar Hezaveh della McGill University di Montreal (Canada), esperto di lenti gravitazionali – che circondano la galassia in primo piano. Stiamo effettivamente usando l’enorme quantità di Materia Oscura che circonda le galassie nel mezzo dell’Universo come telescopi cosmici che rendono più grandi e brillanti le galassie ancora più lontane”. L’analisi della distorsione svela l’arcano: alcune delle galassie più distanti che formano stelle sono 40 bilioni (40 milioni di milioni) di volte più brillanti del Sole e le lenti gravitazionali le hanno ampliate fino a 22 volte. “Finora erano state trovate a queste lunghezze d’onda submillimetriche solo poche galassie ingrandite dalle lenti gravitazionali, ma ora SPT e Alma ne hanno scoperte a dozzine – rivela Carlos De Breuck dell’Eso), un componente del team – questo tipo di scienza utilizzava soprattutto le lunghezze d’onda visibili, con il Telescopio Spaziale Hubble, ma i nostri risultati mostrano che Alma è un giocatore molto potente appena sceso in campo”. Alma è molto più di un esperimento scientifico e tecnologico senza precedenti. “Questo è un grande esempio di come astronomi di tutto il mondo possano collaborare per produrre scoperte sorprendenti con un impianto all’avanguardia – fa notare Daniel Marrone della University of Arizona (Usa) – questo è solo l’inizio per Alma e per lo studio di queste galassie starburst. Il prossimo passo è di studiare questi oggetti in modo più approfondito e scoprire come e perché stanno formando stelle a questi tassi prodigiosi”. Lo studio è descritto nell’articolo “Dusty starburst galaxies in the early Universe as revealed by gravitational lensing”, di J. Vieira et al., per la rivista Nature. La misura della distanza delle galassie è descritta nell’articolo “ALMA redshifts of millimeter-selected galaxies from the SPT survey: The redshift distribution of dusty star-forming galaxies”, di A. Weiss et al., per la rivista Astrophysical Journal. Lo studio delle lenti gravitazionali è descritto nell’articolo “ALMA observations of strongly lensed dusty star-forming galaxies”, di Y. Hezaveh et al., per la rivista Astrophysical Journal. L’Atacama Large Millimeter/submillimeter Array è un Osservatorio astronomico internazionale frutto della collaborazione fra l’Europa, il Nord America e l’Asia Orientale, in cooperazione con la Repubblica del Cile. In Europa Alma è finanziato dall’Eso, in Nord America dalla U.S. National Science Foundation con il National Research Council del Canada e il National Science Council di Taiwan e in Asia Orientale dagli Istituti Nazionali di Scienze Naturali del Giappone in cooperazione con l’Accademia Sinica di Taiwan. La costruzione e la gestione di Alma sono condotte dall’Eso per conto dell’Europa, dall’Osservatorio Nazionale di Radio Astronomia gestito dalle Associated Universities Inc. (AUI) per conto del Nord America e dall’Osservatorio Astronomico Nazionale del Giappone per conto dell’Aisa Orientale. L’Osservatorio congiunto di Alma (JAO, Joint ALMA Observatory) fornisce la guida unitaria e la gestione della costruzione, del commissioning e delle operazioni di Alma. La sala operativa di Alma è situata a 3mila metri di quota per consentire agli scienziati di lavorare senza bombole d’ossigeno. Ma uno dei supercomputer di Alma, chiamato il “Correlatore”, il più potente al mondo, è stato installato e verificato nel suo sito remoto, in alta quota nelle Ande del Cile settentrionale, a 5mila metri. È una delle fondamentali tappe per il completamento di Alma, il più elaborato radiotelescopio da terra di tutti i tempi. Il Correlatore dedicato di Alma dispone di oltre 134 milioni di processori ed esegue fino a 17 biliardi di operazioni al secondo, una velocità paragonabile a quella del più veloce supercomputer di uso generale oggi in funzione. Il “cervello” elettronico è un componente critico di Alma, un radiotelescopio astronomico composto da una schiera di 66 antenne paraboliche di 12 metri di diametro che osservano lo spaziotempo da diverse coordinate terrestri in tempi differenti. I 134 milioni di processori del supercomputer combinano e confrontano con continuità i deboli segnali celesti ricevuti dalle antenne di Alma, con separazioni che arrivano fino a 16 chilometri, e permettono alle varie antenne di lavorare insieme come se fossero un unico enorme radiotelescopio. Il “cervello” di Alma è uno dei due sistemi informatici analoghi nel complesso dell’Osservatorio. Il totale di 66 antenne di Alma include una schiera principale di 50 antenne (metà fornite dall’Eso e metà da NRAO) e una schiera aggiuntiva, complementare di 16 antenne, nota come Atacama Compact Array (ACA), fornita dal National Astronomical Observatory of Japan. Un secondo supercomputer, costruito dalla compagnia Fujitsu e consegnato dal NAOJ, fornisce una correlazione indipendente delle 16 antenne di ACA, tranne per i periodi in cui alcune antenne selezionate di ACA vengono combinate con le 50 antenne principali più spaziate. Le informazioni raccolte da ciascuna antenna, infatti, devono essere combinate con tutte quelle delle altre antenne. Il Correlatore è stato costruito appositamente per questo compito: integrare perfettamente tutti i dati. Il record assoluto, tra i primi 500 computer di uso generale, è detenuto da Titan della Cray Inc., con una velocità di 17,59 biliardi di operazioni in virgola mobile al secondo. Ma il supercomputer di Alma è un elaboratore elettronico destinato solo a questo particolare compito e perciò non può comparire nella classifica generale degli altri supercomputer. Bisognava crearne una speciale per un simile Genio! “Questa sfida informatica unica nel suo genere richiede una progettazione innovativa, sia dal punto di vista dei singoli componenti sia dell’architettura complessiva del Correlatore – rivela Wolfgang Wild dell’Eso, Project Manager europeo di Alma. Il progetto iniziale del supercomputer, la costruzione e l’installazione, sono stati condotti dal National Radio Astronomy Observatory degli Usa, il partner principale di Alma nel Nord America. Il progetto del Correlatore è stato finanziato dalla National Science Foundation negli Stati Uniti, con contributi dell’Eso. “Il completamento e l’installazione del Correlatore è una tappa fondamentale verso il raggiungimento degli impegni del Nord America nei confronti del progetto internazionale Alma – spiega Mark McKinnon, Direttore del Progetto Alma per il Nord America all’NRAO – le sfide tecnologiche sono state enormi e il nostro gruppo è riuscito a superarle”. Come partner europeo in Alma, l’Eso ha fornito una parte fondamentale del supercomputer: un sistema di filtri digitali completamente nuovo e versatile, ideato in Europa, è stato incorporato nel progetto iniziale dell’NRAO. Un totale di 550 circuiti elettronici con filtri digitali all’avanguardia è stato progettato e costruito per l’Eso dall’Università di Bordeaux in Francia. Grazie agli studi di un nuovo concetto di Correlatore, eseguiti dall’Università di Bordeaux in un consorzio che include l’ASTRON in Olanda e l’INAF-Osservatorio di Arcetri in Italia. Con questi filtri, la luce di Alma può essere divisa in un numero di lunghezze d’onda 32 volte maggiore rispetto al progetto iniziale e ciascuna banda può essere calibrata in modo ottimale. “Questa flessibilità così migliorata è fantastica – spiega Alain Baudry dell’Università di Bordeaux, a capo del Progetto europeo del correlatore di Alma – ci lascia scomporre e analizzare lo spettro di luce visto da Alma in modo da poterci concentrare sulle lunghezze d’onda specifiche per ciascuna osservazione, sia che si tratti di fare una mappa delle molecole di gas in una nube in cui avviene la formazione stellare sia per la ricerca delle galassie più distanti nell’Universo”. Altri record del supercomputer di Alma. Ma la difficoltà ulteriore è rappresentata dalle temperature sviluppate dai circuiti, dalle tecnologie per il loro raffreddamento e dall’ubicazione in una zona estrema per l’Uomo: il Correlatore è ospitato dall’edificio tecnico AOS (Array Operations Site) di Alma, la struttura scientifica e tecnologica a più alta quota al mondo. A 5000 metri, l’aria è rarefatta e perciò ne serve un flusso due volte maggiore del solito per raffreddare la supermacchina. In pratica, il supercomputer usa circa 140 kW di potenza. In quest’aria rarefatta che costringe gli astronomi e i tecnici a far uso costante delle bombole d’ossigeno, non si possono usare dischi rigidi in rotazione poiché la testina di lettura/scrittura sfrutta un cuscino d’aria per non cadere sulla superficie del disco. Inoltre, l’attività sismica è comune sulle Ande cilene, perciò il Correlatore deve essere progettato per resistere alle vibrazioni dovute ai terremoti. Alma ha iniziato le osservazioni scientifiche nel 2011 con una schiera parziale di antenne. Una sezione del Correlatore era già usata per combinare i segnali dalla schiera parziale, ma ora il sistema è completo. Il supercomputer è pronto perché Alma inizi a funzionare con un numero maggiore di antenne, che aumenteranno la sensibilità e la qualità delle immagini. Alma dovrà svelare anche i segreti dei due potenti geyser giganti osservati al centro della nostra Galassia, la Via Lattea, dal radiotelescopio di 64 metri di diametro di Parkes in Australia, in collaborazione con il Sardinia Radio Telescope. Il team di Alma nei mesi scorsi ha verificato tutti i sistemi dell’Osservatorio Alma per prepararlo al primo ciclo di osservazioni scientifiche. È iniziata la prima fase della “Early Science”, la prima scienza. Uno dei risultati di queste verifiche è stata la prima immagine, o prima luce, di Alma. La foto rilasciata ufficialmente dagli astronomi dell’Eso, centrata sulla galassia detta “Le Antenne”, è stata realizzata utilizzando solo dodici antenne. Molte meno di quelle che verranno usate d’ora in poi. L’immagine, ottenuta con distanze tra i singoli radiotelescopi molto limitate, era solo un assaggio delle grandi potenzialità di Alma effettivamente disponibili dal 13 Marzo 2013. Man mano che l’Osservatorio crescerà, raggiungendo la piena operatività con le 66 antenne, la nitidezza, l’efficienza e la qualità delle osservazioni cresceranno sensibilmente. La qualità delle immagini prodotte da un telescopio interferometrico come Alma, dipende sia dalla separazione sia dal numero delle antenne. Separazioni ampie permettono di creare immagini più nitide. Se un numero maggiore di antenne viene combinato le immagini possono essere più dettagliate. Le Antenne sono una coppia di galassie in collisione con una forma decisamente distorta. Mentre la luce visibile ci mostra le stelle delle galassie, Alma rivela qualcosa che non si vede con gli occhi: le nubi di gas freddo e denso da cui si formano le nuove stelle. Le osservazioni sono state realizzate a lunghezze d’onda specifiche, nella banda millimetrica e submillimetrica, sintonizzate per rivelare molecole di monossido di carbonio all’interno di nubi di idrogeno altrimenti invisibili, per scovare dove si stanno formando le nuove stelle. Era la migliore immagine de Le Antenne che sia stata mai stata realizzata nella banda submillimetrica. Gli astronomi hanno individuato concentrazioni massicce di gas non solo nel cuore delle due galassie ma anche nella regione caotica in cui avviene lo scontro, dove la massa totale del gas è di qualche miliardo di volte la massa del Sole: un ricco serbatoio di materia per le generazioni future di stelle e pianeti. Questa luce, infatti, ha lunghezze d’onda di circa un millimetro, fra la luce infrarossa e le onde radio. Ed è meglio conosciuta nel mondo della scienza come radiazione millimetrica e submillimetrica. L’Alma vision rappresenta lo stato dell’arte nella radioastronomia mondiale. Alma, tuttavia, non servirà per “ascoltare” con le cuffie gli extra-ultraterrestri come sperano alcuni al Seti et similia, magari alla Carl Sagan! Nessuna sacerdotessa del deserto potrà mai ascoltare ET come nel romanzo-film “Contact”, occupando la struttura scientifica governativa per dare la caccia agli omini verdi. Gli astronomi sanno che la luce a queste lunghezze d’onda proviene da vaste nubi fredde nello spazio interstellare, a temperature di solo alcune decine di gradi sopra lo zero assoluto. E solo da alcune tra le più antiche e distanti galassie dell’Universo. Gli astronomi possono usarla per studiare le condizioni chimiche e fisiche nelle nubi molecolari, le dense regioni di gas e polvere dove nascono nuove stelle e nuovi pianeti alieni. Spesso, queste regioni dell’Universo sono buie e oscure se guardate nella luce visibile. Ma appaiono brillanti nello spettro millimetrico e submillimetrico. Come dire che questa radiazione apre letteralmente una finestra sull’enigmatico Universo freddo. Ma i segnali provenienti dallo spazio sono fortemente assorbiti dal vapore acqueo presente nell’atmosfera della Terra. Per questo i radiotelescopi devono essere costruiti in siti elevati e secchi come quello di 5000 metri dell’altopiano di Chajnantor. Il sito cileno del più alto Osservatorio astronomico sulla Terra. L’Eso con i suoi 15 partner internazionali ha costruito qui l’Atacama Large Millimeter/submillimeter Array, il più grande progetto astronomico esistente. Il sito di Alma, circa 50 chilometri ad Est di San Pedro di Atacama nel nord del Cile, è uno dei luoghi più secchi della Terra. I migliori astronomi del mondo vi possono trovare condizioni ineguagliabili per l’osservazione. Ma devono gestire un osservatorio di frontiera in condizioni molto difficili. Il Chajnantor è 750 metri più in alto dell’Osservatorio di Mauna Kea e 2400 metri più in alto del Very Large Telescope dell’Eso sul Cerro Paranal. Quando sarà pienamente operativo, Alma comporrà un telescopio singolo di design rivoluzionario, composto inizialmente da 66 antenne ad alta precisione che opereranno a lunghezze d’onda fra gli 0,3 e i 9,6 millimetri. La parte principale di Alma avrà cinquanta antenne, di 12 metri di diametro, che agiranno insieme come un singolo telescopio. Cioè un interferometro. Una serie compatta di quattro antenne di dodici metri e dodici antenne di 7 metri è complementare ad esso. Le antenne possono essere mosse in remoto nell’altopiano desertico per distanze dai 150 metri ai 16 chilometri, che danno ad Alma un potente zoom di lunghezza variabile. Sarà in grado di sondare l’Universo con sensibilità e risoluzione senza precedenti per una visione fino a dieci volte più precisa di quella del Telescopio Spaziale Hubble e potrà integrare le immagini ottenute dall’interferometro VLT. Alma studia la radiazione residua del Big Bang, gli elementi che costituiscono le stelle, i sistemi planetari, le galassie, la vita stessa, fornendo agli scienziati dettagliate immagini di stelle e pianeti nati in nuvole di gas, vicino al nostro Sistema Solare, e individuando galassie distanti che si formano ai confini dell’Universo osservabile. Che noi vediamo all’incirca, sempre sulla base della Relatività di Einstein, come erano dieci miliardi di anni fa. Alma consentirà agli astronomi di rispondere ad alcune delle domande più affascinanti sulle origini del nostro Universo. La costruzione di Alma verrà completata nell’Ottobre 2013, ma le prime osservazioni scientifiche con una parte della serie di antenne sono già iniziate. Attualmente la schiera di antenne radio di Alma è composta solamente da 57 delle 66 totali, e le separazioni raggiungono i 125 metri invece che il massimo di 16 chilometri. Ma Alma è già divenuto il miglior telescopio del suo genere, considerato il numero di astronomi che hanno richiesto tempo osservativo nel sito. “Anche in questa fase iniziale Alma batte già gli altri strumenti submillimetrici – fa notare Tim de Zeeuw, Direttore Generare dell’Eso – l’aver raggiunto questo traguardo rappresenta un tributo ai notevoli sforzi di molti scienziati e tecnici, di tutte le regioni del mondo che hanno contribuito ad Alma, che hanno reso possibile il progetto”. Alma è decisamente diverso dai telescopi che operano in luce visibile o infrarossa. È una schiera di antenne tra loro collegate che funziona come un singolo telescopio gigante a caccia di lunghezze d’onda molto più lunghe di quelle della luce visibile. Le immagini del Cosmo così formate sono perciò ben diverse da quelle normalmente più conosciute. Le osservazioni di Alma sono fondamentali per aiutare gli scienziati a capire come gli scontri tra le galassie possono innescare la formazione di nuove stelle e pianeti. Questo è solo uno degli esempi di come Alma possa svelare particolari dell’Universo che non sono altrimenti visibili con telescopi ottici o infrarossi. Questa prima fase di “Early Science” ha la durata di nove mesi. Alma, data la mole dei progetti presentati, poteva accettarne solo un centinaio. Ciò nonostante nei mesi scorsi gli astronomi interessati hanno inviato più di 900 proposte osservative da tutto il pianeta. Questo eccesso di un fattore 9 nelle richieste, è giudicato dall’Eso come un vero record per un nuovo telescopio. I progetti da realizzare sono stati scelti in base al merito scientifico, alla distribuzione geografica e alla rispondenza agli obiettivi scientifici principali di Alma. Partecipano anche scienziati italiani. “Stiamo vivendo un momento storico per la scienza, in particolare per l’astronomia, e forse anche per l’evoluzione dell’umanità poichè iniziamo ad utilizzare il più grande osservatorio oggi in costruzione” – rivela Thijs de Graauw, Direttore di Alma. Uno dei progetti scelti per le prime osservazioni di Alma è di David Wilner dell’Harvard –Smithsonian Center for Astrophysics di Cambridge (Massachusetts, Usa). “Il mio gruppo – spiega Wilner – è alla ricerca dei mattoni costitutivi del Sistema Solare ed Alma è l’unico strumento adatto per individuarli”. L’obiettivo della sua ricerca è AU Microscopii, una stella lontana circa 33 anni luce che ha circa l’1% dell’età del Sole. “Useremo Alma per individuare i planetesimi nel disco di detriti che orbita intorno a questa giovane stella. Solo con Alma – spiega lo scienziato – possiamo sperare di scoprire, in queste fasce di asteroidi ricche di polveri, dei grumi che siano indicazione di pianeti ancora invisibili”. Wilner e collaboratori condivideranno i dati con un gruppi di astronomi europei che hanno richiesto di osservare con Alma questa stella. Spesso la ricerca di pianeti abitabili intorno ad altri astri inizia con la ricerca di acqua in questi sistemi solari periferici. Anche i dischi di detriti, gli sciami di particelle di polvere, il gas e le rocce in orbita attorno alle stelle possono contenere blocchi ghiacciati formati da acqua congelata, gas e molecole organiche. L’astrochimica della vita è, infatti, un altro obiettivo di Alma. Simon Casassus dell’Università del Cile e il suo gruppo, grazie ad Alma potranno osservare il disco di polvere e gas che circonda HD142527, una giovane stella a 400 anni luce dalla Terra. “Il disco di polvere attorno a questa stella presenta una lacuna molto profonda che potrebbe essere stata prodotta dalla formazione di pianeti giganti – spiega Casassus – ed all’esterno di questa lacuna il disco contiene gas a sufficienza per produrre una dozzina di pianeti delle dimensioni Giove, mentre all’interno un giovane pianeta gassoso gigante potrebbe essere tuttora in formazione se il gas è ancora disponibile”. La loro osservazione con Alma misurerà la massa e le condizioni fisiche del gas all’interno del disco. “Così Alma ci offre la possibilità di osservare la formazione dei pianeti o il suo più recente sviluppo” – rivela Casassus. Ancora più lontano, a circa 26.000 anni luce dal Sole, nel centro della nostra Galassia, si trova Sagittario A*, un buco nero supermassiccio, di massa pari a circa 4 milioni di volte la massa del nostro luminare. Il gas e la polvere tra noi e il buco nero lo nascondono ai telescopi ottici. Alma può penetrare la nebbia galattica e offrire agli astronomi una visione perfetta di Sagittario A*. “Alma ci permetterà di osservare lampi di luce provenienti dai dintorni del buco nero supermassiccio – fa notare Heino Falcke, astronomo alla Radboud University Nijmegen, in Olanda – e di vedere le nubi di gas imprigionate dal suo straordinario getto. Questo ci permettera di studiare le confuse abitudini alimentari del mostro. Pensiamo che parte del gas possa sfuggire alla sua presa a velocità vicine a quelle della luce”. Come i contorni in un libro da colorare, la polvere cosmica e il gas freddo delineano le strutture all’interno delle galassie anche se gli astronomi non riescono a vedere chiaramente le galassie stesse. Ai più reconditi margini dell’Universo visibile si trovano le misteriose galassie “starburst”, isole brillanti in un Cosmo freddo e apparentemente tranquillo. Alma dà la caccia ai gas freddi, traccianti della polvere, indietro nel tempo, all’inizio dell’Universo, cioè fino a poche centinaia di milioni di anni dopo il Big Bang, quello che gli astronomi chiamano Alba Cosmica. Masami Ouchi dell’Università di Tokyo in Giappone userà Alma per osservare Himiko, una galassia molto distante, circondata da una nebulosa gigante e luminosa, che sforna ogni anno stelle per almeno un centinaio di volte la massa del nostro Sole. “Gli altri telescopi non possono dirci perché Himiko è così brillante – rivela Ouchi – e ha sviluppato questa enorme nebulosa caldissima, mentre il resto dell’Universo lì intorno è così calmo e buio. Alma ci può mostrare il gas freddo all’interno della nebulosa Himiko, che ne traccia i moti e le attività, e così potremo finalmente capire come hanno iniziato a formarsi le galassie all’alba dell’Universo”. Durante queste prime osservazioni, continuerà la fase di costruzione di Alma sulle Ande cilene. Ogni nuova antenna, equipaggiata per resistere al clima estremo, verrà inserita nella schiera e collegata con fibre ottiche. I dati raccolti da ognuna delle antenne verranno combinati in un’unica immagine da uno dei computer più veloci al mondo, costruito appositamente, il correlatore di Alma, che può eseguire 17 biliardi (1.7×10 alla 16ma potenza) di operazioni al secondo. L’European Southern Observatory è la principale organizzazione intergovernativa di Astronomia in Europa e l’Osservatorio astronomico più produttivo al mondo. È sostenuto da 15 paesi: Austria, Belgio, Brasile, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Gran Bretagna, Italia, Olanda, Portogallo, Repubblica Ceca, Spagna, Svezia e Svizzera. L’Eso svolge un ambizioso programma che si concentra sulla progettazione, costruzione e gestione di potenti strumenti astronomici da terra che consentano agli astronomi di realizzare importanti scoperte scientifiche. L’Eso ha un ruolo di punta nel promuovere e organizzare la cooperazione nella ricerca astronomica. Gestisce tre siti osservativi unici al mondo in Cile: La Silla, Paranal e Chajnantor. Sul Paranal, gestisce il Very Large Telescope, osservatorio astronomico d’avanguardia nella banda visibile e due telescopi per la “survey”. Vista, il più grande telescopio al mondo, lavora nella banda infrarossa, mentre il VST (VLT Survey Telescope) è il più grande telescopio progettato appositamente per scrutare il cielo in luce visibile. L’Eso attualmente sta progettando l’European Extremely Large Telescope, meglio conosciuto come E-ELT (Telescopio Europeo Estremamente Grande), della classe dei 40 metri di diametro (opererà nell’ottico e nell’infrarosso vicino) che diventerà “il più grande occhio del mondo rivolto al cielo”. Nel frattempo un team internazionale di astronomi guidati da ricercatori dell’Inaf ha presentato i primi risultati del grande Progetto Vipers che sta ricostruendo la struttura a grande scala dell’Universo quando questo aveva circa metà della sua età attuale. Misurando la distanza di 55mila galassie con il Very Large Telescope dell’Eso, i ricercatori hanno prodotto una Carta della distribuzione di materia con un’estensione e un dettaglio mai raggiunti prima a quest’epoca cosmica. Le prime analisi di queste mappe e il loro confronto con l’Universo odierno forniscono, tra l’altro, una misura del tasso di crescita delle strutture in accordo con le previsioni della Relatività Generale. Questo conferma la necessità di considerare la presenza di Energia Oscura per spiegare l’espansione accelerata dell’Universo che osserviamo. Il grande volume esplorato ha permesso già di ottenere la più precisa stima mai ottenuta dell’abbondanza di galassie di grande massa a quest’epoca. Il Progetto Vipers è sviluppato da un team internazionale coordinato da ricercatori dell’Inaf e utilizza lo spettrografo Vimos accoppiato al Very Large Telescope dell’Eso per ricostruire la distribuzione spaziale delle galassie quando l’Universo aveva circa metà dell’età attuale, attorno ai 7 miliardi di anni. I ricercatori del italiani del team Vipers sono: U.Abbas, M.Bolzonella, D.Bottini, E.Branchini, A.Cappi, O.Cucciati, I.Davidzon, G.De Lucia, C.Di Porto, P.Franzetti, A.Fritz, M.Fumana, B.Garilli, B.R.Granett, L.Guzzo (P.I.), A.Iovino, D.Maccagni, A.Marchetti, F.Marulli, L.Moscardini, L.Paioro, M.Polletta, M.Scodeggio, D.Vergani, G.Zamorani, A.Zanichelli. Gli istituti Inaf coinvolti sono: Osservatorio Astronomico di Brera, Milano/Merate, IASF Milano, Osservatorio Astronomico di Bologna, IASF Bologna, IRA Bologna, Osservatorio Astrofisico di Torino, Osservatorio Astronomico di Trieste. Sono coinvolte le Università di Bologna, di Roma Tre e di Milano. La novità del Progetto è nella combinazione senza precedenti delle dimensioni del volume esplorato e del dettaglio con cui la struttura a grande scale viene ricostruita. Misurando le distanze di circa 100mila galassie in un volume di quasi due miliardi di anni-luce cubici se ne ricostruisce la distribuzione tridimensionale. I risultati presentati in una serie di articoli inviati alla rivista “Astronomy & Astrophysics” e pubblicati online su “arxiv.org”, si basano sulle prime 55mila galassie finora osservate. “È il primo traguardo di un lavoro iniziato nel 2008 e che richiederà altri tre anni per essere completato” – spiega Luigi Guzzo dell’Inaf–Osservatorio Astronomico di Brera, coordinatore generale del progetto. Il primo e più spettacolare risultato fornito da questi dati è nelle Mappe della distribuzione delle galassie basate sulle nuove misure di distanza che mostrano come già a quell’epoca l’Universo fosse organizzato in grandi strutture filamentose, che connettono gli ammassi di galassie e circondano ampie zone vuote. È il cosiddetto “Cosmic Web”, la ragnatela cosmica che i ricercatori spiegano come il risultato dell’amplificazione da parte della forza di gravità di piccole perturbazioni nell’Universo primordiale. La struttura è analoga a quella osservata nell’Universo più vicino alla Terra, ma rappresenta un fotogramma intermedio del “film cosmico”, scattato circa 7 miliardi di anni fa e per di più dettagliatissimo e molto esteso. Un fondamentale passo in avanti che permette di avere a disposizione, per la prima volta, una visione d’assieme dell’Universo a queste epoche. Grazie all’estensione di queste Mappe, il team di Vipers è stato in grado di produrre già con il campione attuale dei risultati che migliorano significativamente le nostre conoscenze sia delle proprietà globali della popolazione di galassie sia della loro distribuzione spaziale a grande scala. Il livello di disomogeneità alle diverse scale (galassie, ammassi di galassie, filamenti) è infatti strettamente legato alle proprietà delle componenti fondamentali dell’Universo. Quanta e quale Materia Oscura è necessaria per spiegare ciò che vediamo? Che cosa produce l’accelerazione dell’espansione che oggi osserviamo, la cui scoperta valse il Premio Nobel 2011? È la cosiddetta Energia oscura oppure in realtà gli scienziati stanno usando una teoria non corretta per descrivere l’Universo su queste scale? Uno dei principali obiettivi di Vipers e di Alma riguarda proprio queste problematiche: il processo di aggregazione delle strutture sotto l’effetto della gravità produce dei moti ordinati delle galassie, che dipendono dal comportamento della gravità a grandi scale. Usando un metodo originariamente proposto da membri dello stesso team, uno dei lavori in fase di pubblicazione mostra che la distribuzione e le velocità delle galassie sono compatibili con le previsioni della Relatività Generale e confermano quindi la necessità di inserire una forma di Energia Oscura nelle relative equazioni, per spiegare l’espansione accelerata. Nel contempo, Vipers è stata progettata in modo da fornire un censimento completo della popolazione di galassie luminose entro il volume esplorato. In altre parole, oltre a ricostruire l’ambiente in cui le galassie si formano su grande scala, i dati di Vipers permettono di risalire alle proprietà delle singole galassie distribuite lungo i filamenti e negli ammassi, ovvero informazioni preziose come la loro luminosità, il colore della loro luce e la massa totale delle stelle che le compongono. Un altro degli articoli in corso di pubblicazione presenta una misura molto precisa del numero di galassie di grande massa già presenti nell’Universo quando il Creato aveva 7 miliardi di anni. “Avere a disposizione queste informazioni per campioni di centinaia di migliaia di galassie, come sarà il caso di Vipers al termine del progetto tra tre anni – rivela Micol Bolzonella dell’Inaf–Osservatorio Astronomico di Bologna che nel progetto coordina gli studi di evoluzione delle galassie – permette di identificare nel dettaglio i processi e le leggi fisiche che ne regolano l’evoluzione, informazioni che possono essere fraintese se si usano campioni troppo piccoli e non rappresentativi di simili oggetti celesti. Un po’ come succede quando una proiezione elettorale si basa su un gruppo di persone troppo piccolo e non rappresentativo della popolazione”. Vipers consente un salto di qualità, portando la precisione delle misure ad un livello paragonabile a quello raggiunto nell’Universo locale. “Non è stato semplice arrivare a questi risultati, ottenuti grazie a un lavoro lungo e sistematico, che ha richiesto lo sviluppo di procedure automatizzate di calibrazione e analisi dei dati e il coordinamento di un grande sforzo collettivo – spiega Guzzo – gli istituti dell’Inaf hanno avuto un ruolo centrale in questo compito. In particolare, presso l’Inaf-IASF di Milano si trova il Centro Riduzione Dati del progetto, sotto la responsabilità di Bianca Garilli e Marco Scodeggio, che ha sviluppato sia il software di calibrazione e gestione della survey sia la struttura informatica di archiviazione dei dati”. È da qui che i dati sono scaricabili dai membri del team per le diverse analisi, ed è qui che l’intera comunità scientifica mondiale potrà accedere a questo nuovo campione a partire già da Settembre 2013. “Così come successo per gli studi simili realizzati in passato, ci aspettiamo che anche per Vipers moltissimi risultati nuovi ed importanti arriveranno dalle analisi che svilupperà la comunità scientifica – rivela Guzzo – c’è da immaginare che anche nei dati di Vipers si celino scoperte assolutamente inattese!”. La Scienza nasce dall’integrazione di tutte le informazioni disponibili.
© Nicola Facciolini
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