“Va’, Francesco, ripara la mia casa che è in rovina”. Papa Francesco è la rivoluzione dell’Amore nella tenerezza del dolce Cristo in terra. Nella Solennità di San Giuseppe, Martedì 19 Marzo 2013, alla presenza di circa 200mila fedeli, è stata celebrata a Roma la solenne Messa per l’inizio del Pontificato del Vescovo di Roma, Papa J. Mario Bergoglio. Una gioia incontenibile ha attraversato l’oceano, da Plaza de Mayo di Buenos Aires a piazza San Pietro in Roma. In una stupenda giornata italiana di sole, Papa Francesco in jeep ha salutato i presenti, asciugando le lacrime di quanti piangevano nel mondo. Grande è stato l’entusiasmo. Papa Francesco a un certo punto ha fatto fermare la jeep per scendere tra la folla e benedire un paraplegico. Papa Francesco, sorridente nella sua semplice talare bianca e per nulla stordito o esaltato dalla folla che tentava di sfiorarlo, accanto alla transenna ha cercato e trovato un uomo sdraiato su un lettino, un punto di dolore nell’oceano della folla entusiasta. Papa Francesco non si limitato a un cenno: si è fermato, è sceso, si è accostato e con una dolcezza infinita lo ha baciato e accarezzato, trattenendosi. Qui è iniziato il suo Pontificato. Tantissime le bandiere di tutto il mondo che sventolavano in piazza, tante quelle dell’Argentina, ma altrettante quelle di altri Paesi a rappresentare l’universalità della Chiesa di Cristo sulla Terra. Papa Francesco si è anche fermato per baciare alcuni bambini. Oltre 130 le delegazioni ufficiali da tutto il mondo presenti al rito per l’inizio del magistero petrino: 31 Capi di Stato, 6 sovrani regnanti, 3 Principi ereditari, 11 capi di Governo. Trentatre le delegazioni di Chiese e confessioni cristiane, tra cui, per la prima volta in mille anni, il Patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I. Presenti anche la delegazione ebraica, musulmana, buddista, sick, jainista. Ben 180 i concelebranti. Papa Francesco è sceso in processione con i patriarchi delle Chiese orientali alla Tomba di San Pietro, all’interno della Basilica, sostandovi in preghiera. Poi due diaconi hanno preso il Pallio (simbolo del Buon Pastore), l’Anello Piscatorio (simbolo del ministero petrino) e l’Evangeliario (la Parola che crea). Quindi la processione nella Basilica, al canto delle “Laudes Regiae”, le “Lodi del Re” che è Cristo, un canto litanico in onore di Gesù. Si invocano i Santi tra cui anche i Papi santi. La processione fa il suo ingresso sul sagrato della Basilica. Papa Francesco fa il segno della Croce. Il cardinale protodiacono Jean-Louis Tauran impone il Pallio sulle spalle del Papa: il Pallio, fatto di lana bianca, è simbolo del vescovo come buon pastore e dell’Agnello crocifisso per la salvezza dell’umanità. Poi il cardinale decano Angelo Sodano consegna l’Anello del Pescatore a Papa Bergoglio: l’Anello è l’insegna propria del vescovo. L’Anello Piscatorio con l’immagine di San Pietro (pescatore scelto da Gesù per diventare “pescatore di uomini”) con le chiavi, significa il compito affidato a Pietro, ed ai suoi successori, di confermare nella fede i fratelli. L’Anello di Papa Francesco non è d’oro ma d’argento dorato: quello di Paolo VI. Una rappresentanza di sei cardinali, due per ciascun ordine (vescovi, presbiteri e diaconi), prestano poi la “obbedienza” al Santo Padre. Le letture sono quelle della Solennità di San Giuseppe. Nell’omelia Papa Francesco “impone” la sua seconda Rivoluzione dell’Amore. Ringrazia innanzitutto il Signore di poter celebrare la Santa Messa di inizio del ministero petrino nella solennità di San Giuseppe, sposo della Vergine Maria e patrono della Chiesa universale: “è una coincidenza molto ricca di significato – dichiara Papa Bergoglio – ed è anche l’onomastico del mio venerato Predecessore: gli siamo vicini con la preghiera, piena di affetto e di riconoscenza”. Benedetto XVI ha assistito alla Messa grazie alla Tv. “Con affetto” Papa Francesco saluta i fratelli cardinali, i vescovi, i sacerdoti, i diaconi, i religiosi e le religiose e tutti i fedeli laici. Ringrazia per la loro presenza i Rappresentanti delle altre Chiese e Comunità ecclesiali, come pure i rappresentanti della comunità ebraica e di altre comunità religiose. “Rivolgo il mio cordiale saluto ai Capi di Stato e di Governo, alle Delegazioni ufficiali di tanti Paesi del mondo e al Corpo Diplomatico”. Papa Bergoglio commenta il Vangelo partendo dal brano in cui si dice che «Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’Angelo del Signore e prese con sé la sua sposa»(Matteo 1,24). “In queste parole – afferma Papa Francesco – è già racchiusa la missione che Dio affida a Giuseppe, quella di essere ‘custos’, custode. Custode di chi? Di Maria e di Gesù; ma è una custodia che si estende poi alla Chiesa, come ha sottolineato il beato Giovanni Paolo II: «San Giuseppe, come ebbe amorevole cura di Maria e si dedicò con gioioso impegno all’educazione di Gesù Cristo, così custodisce e protegge il suo mistico corpo, la Chiesa, di cui la Vergine Santa è figura e modello» (Esort. ap. Redemptoris Custos, 1)”. Papa Bergoglio chiede ai fedeli: “Come esercita Giuseppe questa custodia? Con discrezione, con umiltà, nel silenzio, ma con una presenza costante e una fedeltà totale, anche quando non comprende. Dal matrimonio con Maria fino all’episodio di Gesù dodicenne nel Tempio di Gerusalemme, accompagna con premura e tutto l’amore ogni momento. È accanto a Maria sua sposa nei momenti sereni e in quelli difficili della vita, nel viaggio a Betlemme per il censimento e nelle ore trepidanti e gioiose del parto; nel momento drammatico della fuga in Egitto e nella ricerca affannosa del figlio al Tempio; e poi nella quotidianità della casa di Nazareth, nel laboratorio dove ha insegnato il mestiere a Gesù”. Poi Papa Francesco chiede: “Come vive Giuseppe la sua vocazione di custode di Maria, di Gesù, della Chiesa? Nella costante attenzione a Dio, aperto ai suoi segni, disponibile al suo progetto, non tanto al proprio; ed è quello che Dio chiede a Davide, come abbiamo ascoltato nella prima Lettura: Dio non desidera una casa costruita dall’uomo, ma desidera la fedeltà alla sua Parola, al suo disegno; ed è Dio stesso che costruisce la casa, ma di pietre vive segnate dal suo Spirito. E Giuseppe è “custode”, perché sa ascoltare Dio, si lascia guidare dalla sua volontà, e proprio per questo è ancora più sensibile alle persone che gli sono affidate, sa leggere con realismo gli avvenimenti, è attento a ciò che lo circonda, e sa prendere le decisioni più sagge. In lui cari amici, vediamo come si risponde alla vocazione di Dio, con disponibilità, con prontezza, ma vediamo anche qual è il centro della vocazione cristiana: Cristo! Custodiamo Cristo nella nostra vita, per custodire gli altri, per custodire il creato!”. Ecco la rivoluzione dell’Amore. “La vocazione del custodire, però – prosegue Papa Bergoglio – non riguarda solamente noi cristiani, ha una dimensione che precede e che è semplicemente umana, riguarda tutti. È il custodire l’intero creato, la bellezza del creato, come ci viene detto nel Libro della Genesi e come ci ha mostrato san Francesco d’Assisi: è l’avere rispetto per ogni creatura di Dio e per l’ambiente in cui viviamo. È il custodire la gente, l’aver cura di tutti, di ogni persona, con amore, specialmente dei bambini, dei vecchi, di coloro che sono più fragili e che spesso sono nella periferia del nostro cuore. È l’aver cura l’uno dell’altro nella famiglia: i coniugi si custodiscono reciprocamente, poi come genitori si prendono cura dei figli, e col tempo anche i figli diventano custodi dei genitori. È il vivere con sincerità le amicizie, che sono un reciproco custodirsi nella confidenza, nel rispetto e nel bene. In fondo, tutto è affidato alla custodia dell’uomo, ed è una responsabilità che ci riguarda tutti. Siate custodi dei doni di Dio!”. Papa Francesco sottolinea che “quando l’uomo viene meno a questa responsabilità di custodire, quando non ci prendiamo cura del creato e dei fratelli, allora trova spazio la distruzione e il cuore inaridisce. In ogni epoca della storia, purtroppo, ci sono degli “Erode” che tramano disegni di morte, distruggono e deturpano il volto dell’uomo e della donna”. L’invito del Santo Padre è chiaro. “Vorrei chiedere, per favore, a tutti coloro che occupano ruoli di responsabilità in ambito economico, politico o sociale, a tutti gli uomini e le donne di buona volontà: siamo “custodi” della creazione, del disegno di Dio iscritto nella natura, custodi dell’altro, dell’ambiente; non lasciamo che segni di distruzione e di morte accompagnino il cammino di questo nostro mondo! Ma per “custodire” dobbiamo anche avere cura di noi stessi! Ricordiamo che l’odio, l’invidia, la superbia sporcano la vita! Custodire vuol dire allora vigilare sui nostri sentimenti, sul nostro cuore, perché è proprio da lì che escono le intenzioni buone e cattive: quelle che costruiscono e quelle che distruggono! Non dobbiamo avere paura della bontà, anzi neanche della tenerezza!”. Papa Bergoglio spiega che “il prendersi cura, il custodire chiede bontà, chiede di essere vissuto con tenerezza. Nei Vangeli, san Giuseppe appare come un uomo forte, coraggioso, lavoratore, ma nel suo animo emerge una grande tenerezza, che non è la virtù del debole, anzi, al contrario, denota fortezza d’animo e capacità di attenzione, di compassione, di vera apertura all’altro, capacità di amore. Non dobbiamo avere timore della bontà, della tenerezza! Oggi, insieme con la festa di san Giuseppe – rileva Papa Francesco – celebriamo l’inizio del ministero del nuovo Vescovo di Roma, Successore di Pietro, che comporta anche un potere. Certo, Gesù Cristo ha dato un potere a Pietro, ma di quale potere si tratta? Alla triplice domanda di Gesù a Pietro sull’amore, segue il triplice invito: pasci i miei agnelli, pasci le mie pecorelle. Non dimentichiamo mai che il vero potere – sottolinea Papa Bergoglio – è il servizio e che anche il Papa per esercitare il potere deve entrare sempre più in quel servizio che ha il suo vertice luminoso sulla Croce; deve guardare al servizio umile, concreto, ricco di fede, di san Giuseppe e come lui aprire le braccia per custodire tutto il Popolo di Dio e accogliere con affetto e tenerezza l’intera umanità, specie i più poveri, i più deboli, i più piccoli, quelli che Matteo descrive nel giudizio finale sulla carità: chi ha fame, sete, chi è straniero, nudo, malato, in carcere (cfr Mt 25,31-46). Solo chi serve con amore sa custodire!
Nella seconda Lettura – spiega Papa Francesco – san Paolo parla di Abramo, il quale «credette, saldo nella speranza contro ogni speranza» (Rm 4,18). Saldo nella speranza, contro ogni speranza! Anche oggi davanti a tanti tratti di cielo grigio, abbiamo bisogno di vedere la luce della speranza e di dare noi stessi la speranza. Custodire il creato, ogni uomo ed ogni donna, con uno sguardo di tenerezza e amore, è aprire l’orizzonte della speranza, è aprire uno squarcio di luce in mezzo a tante nubi, è portare il calore della speranza! E per il credente, per noi cristiani, come Abramo, come san Giuseppe, la speranza che portiamo ha l’orizzonte di Dio che ci è stato aperto in Cristo, è fondata sulla roccia che è Dio”. Il messaggio centrale al Mondo di Papa Francesco è chiarissimo: “Custodire Gesù con Maria, custodire l’intera creazione, custodire ogni persona, specie la più povera, custodire noi stessi: ecco un servizio che il Vescovo di Roma è chiamato a compiere, ma a cui tutti siamo chiamati per far risplendere la stella della speranza: Custodiamo con amore ciò che Dio ci ha donato! Chiedo l’intercessione della Vergine Maria, di san Giuseppe, dei santi Pietro e Paolo, di san Francesco, affinché lo Spirito Santo accompagni il mio ministero, e a voi tutti dico: pregate per me! Amen”. Durante la preghiera dei fedeli, si è pregato per Papa Francesco perché Dio lo custodisca nell’esercizio del ministero petrino, per i governanti perché Dio illumini le loro menti e li guidi alla costruzione della Civiltà dell’Amore, per i poveri e i sofferenti perché Dio con la sua provvidenza doni loro ristoro, consolazione e speranza anche mediante la carità dei fratelli. Al momento della Comunione, circa 500 sacerdoti hanno distribuito le Ostie consacrate ai fedeli. Un grande silenzio è poi sceso in Piazza San Pietro: molti si sono inginocchiati a pregare. Dopo aver dato la benedizione, al canto del “Salve Regina”, Papa Francesco si è recato davanti all’icona di Maria. Poi ha salutato le migliaia di fedeli, le autorità e le delegazioni presenti alla Messa. Queste sono le “legioni” del Papa, i suoi “angeli” che non lo lasceranno mai solo. Questa è la Chiesa alla quale Papa Francesco ha chiesto la prima benedizione, appena eletto, il 13 Marzo 2013. Le parole del Papa toccano le corde del cuore e dell’anima. Il potere del Successore di Pietro è tutto in quel primo gesto che Papa Francesco compie all’improvviso, secondo il suo stile, quando gli occhi dei media e del mondo sono su di lui: misericordia e carità. Ecco enunciato il “programma” di Papa Bergoglio che farà tremare le fondamenta della mondanità e del relativismo etico, le cause della peggiore crisi economica in tempo di pace. Sulla destra del seggio pontificio, eretto davanti ai cancelli di San Pietro, siedono più di 130 tra capi di Stato, di governo, massimi responsabili di organizzazioni sovranazionali. Papa Francesco continua a sviluppare il suo pensiero sull’essere custodi gli uni degli altri. Queste parole aleggiano come un Sole capace di sciogliere le pietre dell’egoismo. Certamente già suscitano commozione nei cuori dei credenti e dei non credenti, dimostrando che il nuovo Pescatore che è al timone della Barca di Pietro, è fermamente deciso a fendere le acque in tempesta per abbattere il muro di molte coscienze. La tenerezza di Papa Francesco sposa il coraggio del suo illustre predecessore Benedetto XVI, completandosi a vicenda. Quelle autorità istituzionali che vengono a rendergli omaggio, dovranno ascoltarlo per la salvezza della Terra e dei suoi abitanti. Papa Francesco, umile “servo” dell’Amore di Dio che gli ha già concesso il Potere su molti cuori, chiede di pregare per attuare questo suo “programma” che suscita in oltre un miliardo e 200 milioni di credenti così grande uesta
emozione e stupore. In Argentina, nella famosa Plaza de Mayo di Buenos Aires, tra le migliaia di fedeli riuniti davanti alla Cattedrale per seguire tramite collegamento video la Messa di inizio Pontificato, molto presto si è sentita la voce di Papa Francesco che in una telefonata trasmessa in diretta ha rivolto un saluto ai presenti: “Cari figli, so che state nella piazza. So che state pregando…ne ho molto bisogno”. Papa Francesco li ha ringraziati per questo e gli ha chiesto un favore. “Vi chiedo di camminare tutti insiemi, abbiate cura gli uni degli altri, non fatevi del male. Prendetevi cura della vostra famiglia – ha dichiarato Papa Bergoglio – custodite la natura, proteggete i bambini, accudite i vecchi; che non ci sia odio, che non ci siano litigi, lasciate da parte l’invidia, non ferite nessuno. Dialogate, che tra di voi sia vivo il desiderio di proteggervi”. Quindi l’auspicio del Papa ad avvicinarsi a Dio. “Dio è buono, sempre perdona, comprende, non abbiate paura; è Padre, avvicinatevi a Lui. Che la Vergine vi benedica molto, non dimenticatevi di questo vescovo che è lontano, ma che vi vuole tanto bene. Pregate per me”. Al termine della Messa sono arrivati due nuovi “tweet” di Papa Francesco: “Custodiamo Cristo nella nostra vita – scrive nel primo – abbiamo cura gli uni degli altri, custodiamo il creato con amore”. E nel secondo ribadisce che “Il vero potere è il servizio. Il Papa deve servire tutti, specie i più poveri, i più deboli, i più piccoli”. Sull’account “@pontifex” in nove lingue sono quasi 4 milioni i “followers” del Papa che ha deciso di confermare, per il suo nuovo ministero, il motto: “Miserando atque eligendo”, e nei tratti essenziali anche lo stemma che aveva come arcivescovo. Lo stemma di Papa Francesco è caratterizzato da una lineare semplicità: nello scudo blu sono raffigurati l’emblema del suo ordine di provenienza, la Compagnia di Gesù: un sole fiammeggiante al cui interno, in rosso, ci sono la Croce, il monogramma di Cristo e tre chiodi in nero, simboli della passione. In basso una stella a simboleggiare la sua devozione per Maria e il fiore di nardo che richiama San Giuseppe. Sullo sfondo, la mitra, cioè il tradizionale copricapo episcopale, collocato tra due chiavi decussate, ovvero incrociate. Il motto “Miserando atque eligendo” (guardandolo con misericordia e scegliendolo) è tratto da un’omelia di San Beda il Venerabile, sacerdote dell’ottavo secolo, quando parla di Gesù che chiama Matteo il pubblicano e lo guarda con sentimento di amore e lo sceglie come suo discepolo. Un episodio rivissuto dal giovane Bergoglio durante una confessione fatta all’età di 17 anni, nella festa di San Matteo così cara a San Domenico: in quell’occasione il futuro romano pontefice si sente toccare il cuore, avvertendo la misericordia di Dio, che con amore lo chiama alla vita religiosa. Una volta eletto vescovo, mons. Bergoglio decide di scegliere quel motto come programma di vita, che non lascia anche come Papa. Già nel suo primo Angelus, Domenica 17 Marzo 2013, Papa Francesco, in una stracolma Piazza San Pietro, aveva annunciato solo in italiano: “Fratelli e sorelle, buongiorno! Dopo il primo incontro di mercoledì scorso, oggi posso rivolgere di nuovo il mio saluto a tutti! E sono felice di farlo di domenica, nel giorno del Signore! Questo è bello è importante per noi cristiani: incontrarci di domenica, salutarci, parlarci come ora qui, nella piazza. Una piazza che, grazie ai media, ha le dimensioni del mondo. In questa quinta domenica di Quaresima, il Vangelo ci presenta l’episodio della donna adultera, che Gesù salva dalla condanna a morte. Colpisce l’atteggiamento di Gesù: non sentiamo parole di disprezzo, non sentiamo parole di condanna, ma soltanto parole di amore, di misericordia che invitano alla conversione. “Neanche io ti condanno: va’ e d’ora in poi non peccare più!”. Eh, fratelli e sorelle, il volto di Dio è quello di un padre misericordioso, che sempre ha pazienza! Avete pensato voi alla pazienza di Dio, la pazienza che lui ha con ciascuno di noi? Eh, quella è la sua misericordia. Sempre ha pazienza: ha pazienza con noi, ci comprende, ci attende, non si stanca di perdonarci se sappiamo tornare a lui con il cuore contrito. “Grande è la misericordia del Signore”. Poi il Papa ha proseguito: “In questi giorni, ho potuto leggere un libro di un cardinale – il cardinale Kasper, un teologo in gamba, eh?, un buon teologo – sulla misericordia. E mi ha fatto tanto bene, quel libro, ma non crediate che faccia pubblicità ai libri dei miei cardinali, eh? Non è così! Ma mi ha fatto tanto bene, tanto bene. Il cardinale Kasper diceva che sentire misericordia, questa parola cambia tutto. È il meglio che noi possiamo sentire: cambia il mondo. Un po’ di misericordia rende il mondo meno freddo e più giusto. Abbiamo bisogno di capire bene questa misericordia di Dio, questo padre misericordioso che ha tanta pazienza. Ricordiamo il profeta Isaia, che afferma che anche se i nostri peccati fossero rosso scarlatto, l’amore di Dio li renderà bianchi come la neve”. Quindi il Papa ha esclamato: “E’ bello, quello della misericordia! Ricordo, appena vescovo, nell’anno 1992, è arrivata a Buenos Aires la Madonna di Fatima e si è fatta una grande Messa per gli ammalati. Io sono andato a confessare, a quella Messa. E quasi alla fine della Messa mi sono alzato, perché dovevo amministrare una cresima. E’ venuta da me una donna anziana, umile, molto umile, ultraottantenne. Io l’ho guardata e le ho detto: “Nonna – perché da noi si dice così agli anziani: nonna – lei vuole confessarsi?”. “Sì”, mi ha detto. “Ma se lei non ha peccato”. E lei mi ha detto: “Tutti abbiamo peccati”. “Ma forse il Signore non li perdona”. “Il Signore perdona tutto”, mi ha detto: sicura. “Ma come lo sa, lei, signora?”. “Se il Signore non perdonasse tutto, il mondo non esisterebbe”. Io ho sentito una voglia di domandarle: “Mi dica, signora, lei ha studiato alla Gregoriana?”, perché quella è la sapienza che dà lo Spirito Santo: la sapienza interiore verso la misericordia di Dio. Non dimentichiamo questa parola: Dio mai si stanca di perdonarci, mai! “Eh, padre, qual è il problema?”. “Eh, il problema è che noi ci stanchiamo di chiedere perdono! Lui, mai si stanca di perdonare, ma noi, a volte, ci stanchiamo di chiedere perdono. Non ci stanchiamo mai, non ci stanchiamo mai! Lui è il Padre amoroso che sempre perdona, che ha quel cuore di misericordia per tutti noi. E anche noi impariamo ad essere misericordiosi con tutti. Invochiamo l’intercessione della Madonna che ha avuto tra le sue braccia la Misericordia di Dio fatta uomo”.
Al termine della preghiera dell’Angelus, il Papa ha rivolgo un cordiale saluto a tutti i pellegrini: “Grazie della vostra accoglienza e delle vostre preghiere. Pregate per me, ve lo chiedo. Rinnovo il mio abbraccio ai fedeli di Roma e lo estendo a tutti voi, e lo estendo a tutti voi che venite da varie parti dell’Italia e del mondo, come pure a quanti sono uniti a noi attraverso i mezzi di comunicazione. Ho scelto il nome del Patrono d’Italia, San Francesco d’Assisi, e ciò rafforza il mio legame spirituale con questa terra, dove – come sapete – sono le origini della mia famiglia. Ma Gesù ci ha chiamati a far parte di una nuova famiglia: la sua Chiesa, in questa famiglia di Dio, camminando insieme sulla via del Vangelo. Che il Signore vi benedica, che la Madonna vi custodisca; che non dimenticate questo: il Signore mai si stanca di perdonare! Siamo noi che ci stanchiamo di chiedere il perdono. Buona domenica e buon pranzo!”. Papa Francesco addita gli esempi evangelici, sempre. Lo ha fatto nella parrocchia di Sant’Anna in Vaticano, indicando in don Gonzalo Aemilius, il prete uruguayano salutato, un modello di sacerdozio. Viaggia con un termos di acqua calda e con il caratteristico recipiente pieno di foglie secche di mate, erba molto simile al the, dalla quale si ricava una bevanda aromatica. Di tanto in tanto ne beve un sorso con la bombilla, interrompendo quel fiume di parole con le quali padre Gonzalo Aemilius, il sacerdote uruguayano del quale il Santo Padre ha parlato al termine della messa celebrata a Sant’Anna, sommerge chi gli chiede di parlare di Papa Francesco. La sua esperienza attirò l’attenzione dell’allora arcivescovo di Buenos Aires, al punto da chiamare al telefono quel giovane di Montevideo, allora aveva 22 anni e non era neppure sacerdote, il giorno del suo compleanno per fargli gli auguri e per invitarlo a un incontro. Padre Gonzalo Aemilius ricorda quel giorno. “Quando mi dissero che mi cercava al telefono il cardinale Bergoglio – racconta il sacerdote – pensai allo scherzo di un amico. L’arcivescovo di Buenos Aires non mi conosceva e dunque come avrebbe potuto telefonare a me per farmi gli auguri? E anche mentre scambiavo con lui le prime parole, mi era difficile crederci. Dovette faticare per convincermi. Poi però quando mi resi conto che era lui veramente, capii anche che in quel momento stava cambiando la mia vita. Colpiva in particolare il suo modo di essere padre. Prima di tutto delle persone povere. Mi colpì molto, per esempio, quando, durante la messa del Giovedì santo celebrata in un quartiere simile a una favela brasiliana, dove circolava molta droga, fece la lavanda dei piedi a tossicodipendenti e malati di Aids con una tenerezza sconvolgente. E con il suo gesto riscattò tantissimi abitanti del quartiere, prigionieri di quel meccanismo tremendo che sono la droga e la sua strada”. Una paternità che si trasformava poi in fraternità quando “convocava nella cattedrale di Buenos Aires – racconta don Gonzalo – ebrei, musulmani, protestanti e anche non credenti per impetrare tutti insieme la pace per l’Argentina”. A impressionare don Gonzalo fu la capacità dell’arcivescovo di riuscire a integrare valori diversi e convogliarli in un’unica direzione. “Fare esperienza di questa sua capacità – spiega il giovane parroco – è stato decisivo nella mia vita. Mi ha insegnato a trarre il meglio che c’è in ogni individuo, per quanto possa essere diverso da tutti gli altri, e a metterlo a frutto per il bene di tutti”. Fr. Bruno Cadoré, il Maestro Generale dell’Ordine dei Frati Predicatori di San Domenico, saluta l’elezione del nuovo Romano Pontefice Papa Francesco come una Benedizione di Dio per la Chiesa Universale di Cristo. San Domenico e San Francesco sono i due pilastri della fede che, otto secoli fa, salvarono la Chiesa dagli assalti dell’Inferno, ponendo al centro della loro azione il Vangelo e la Croce di Cristo. Oggi il timone della Barca di Pietro, alla vigilia del Giubileo Domenicano del 2016 per gli 800 anni dalla fondazione dell’Ordine, è in ottime mani. Tutti i frati, le religiose, i sacerdoti e i laici domenicani si stringono accanto a Papa Francesco uniti nella preghiera. Possano i Santi Domenico e Francesco, insieme all’intercessione della Vergine Maria, custodire la Chiesa di Cristo a maggior gloria di Dio per la salvezza di tutte le anime che Lui conosce. “A te, o beato Giuseppe, stretti dalla tribolazione ricorriamo e fiduciosi invochiamo il tuo patrocinio, insieme con quello della tua santissima Sposa. Per quel sacro vincolo di carità, che ti strinse all’Immacolata Vergine Madre di Dio, e per l’amore paterno che portasti al fanciullo Gesù, riguarda, te ne preghiamo, con occhio benigno la cara eredità che Gesù Cristo acquistò col suo sangue, e col tuo potere ed aiuto soccorri ai nostri bisogni. Proteggi, o provvido Custode della divina Famiglia, l’eletta prole di Gesù Cristo; allontana da noi, o Padre amatissimo, la peste di errori e di vizi che ammorba il mondo; assistici propizio dal cielo in questa lotta con il potere delle tenebre, o nostro fortissimo protettore; e come un tempo salvasti dalla morte la minacciata vita del bambino Gesù, così ora difendi la santa Chiesa di Dio dalle ostili insidie e da ogni avversità; e stendi ognora sopra ciascuno di noi il tuo patrocinio, affinché col tuo esempio e mediante il tuo soccorso, possiamo virtuosamente vivere, piamente morire, e conseguire l’eterna beatitudine in cielo. Amen”. Noi siamo la Chiesa di Cristo. I suoi agnelli. Che il Buon Pastore conceda a Papa Francesco lunghi anni di Pontificato per adempiere alla Sua coraggiosa missione, illuminato e protetto dallo Spirito Santo.
Nicola Facciolini
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