I due gruppi di lavoro, il primo a carattere socio-economico ed il secondo di tipo istituzionale, riferiranno, rispettivamente alla 11 e alle 12, dei progressi nella costruzione, come “facilitatori”, di una piattaforma di proposte che possa trovare una larga maggioranza, mentre crescono le critiche per la nomina dei “dieci saggi”, soprattutto da destra e il capogruppo del Pdl alla Camera Renato Brunetta, che ai microfoni di Radio anch’io, a chi gli chiedeva se, al posto di Gaetano Quagliariello, avrebbe accettato l’invito del presidente della Repubblica a fare parte del gruppo dei ‘saggi’, che dice che lui avrebbe passato.
Grillo ha parlato di “badanti” per la democrazia, sia il centrodestra sia il centrosinistra continuano a parlare della necessità di avere un governo politico e se il Pdl dà dieci giorni pensa al Quirinale, il Pd non rinuncia all’ipotesi di un esecutivo Bersani.
Il centrodestra teme che si tenti di prendere tempo per far maturare un’intesa tra Pd e M5S per l’elezione del nuovo Capo dello Stato, ma oggi nella conversazione con il Corriere della sera, Napolitano ha precisato limiti, natura e tempi dei due gruppi di lavoro: 8-10 giorni al massimo come arco temporale entro il quale i due gruppi dovranno presentare le proprie conclusioni. Un termine che, però, nelle valutazioni offerte dal ‘saggio’ Mario Mauro (di Scelta civica) al Messaggero si potrebbe estendere a 15-20: davvero tanti, perché dal 15 aprile saranno convocate le Camere per l’elezione del successore di Giorgio Napolitano.
Il punto è che la scelta di investire ancora sul governo Monti e di accompagnarne le decisioni con i saggi, piace poco a chi avrebbe preferito che il Capo dello Stato certificasse lo stallo politico, magari con un voto di sfiducia in Parlamento a un eventuale presidente del Consiglio designato. Il Pdl, per dire, sente profumo di rivincita e vorrebbe andare a elezioni al più presto.
Ma molte critiche vengono anche da ambienti diversi. A queste ultime risponde via Twitter il portavoce del Presidente, Pasquale Cascella: “Non sono generici “saggi” ma personalità scelte con criteri oggettivi in funzione del lavoro già svolto e del ruolo ricoperto”, ha detto il portavoce al’indirizzo di Elisabetta Gualmini, dell’Istituto Cattaneo (“Per età e soprattutto per genere i 10 saggi non convincono del tutto”) e, indirettamente, a Emma Bonino (“È un tentativo di decantare la situazione, ma è stato fatto così in fretta da sembrare sorprendente. Pensatelo al contrario: un Presidente che nomina 10 donne. Tutti avrebbero detto: forse c’è qualcosa che non funziona”).
D’accordo con il presidente è il Pd, con Paolo Gentiloni che deciso ha dichiarato: “Napolitano ha fatto la cosa giusta. Se pensiamo ai problemi economici a cui siamo esposti e allo stallo del momento la scelta del Colle appare la migliore possibile. Io sto dalla parte di Enrico Letta che ha parlato di fiducia e sostegno alle decisioni di Napolitano. In questa situazione il presidente della Repubblica non poteva fare altro, anche perché il voto nell’immediato sarebbe una follia”.
I componenti dei gruppi di lavoro sono stati individuati per specifiche competenze, scrive Repubblica.
Quindi Valerio Onida, uno degli ex presidenti della Corte costituzionale che più si è occupato di riparto delle competenze tra Stato e Regioni e di sistema delle garanzie; gli estensori dell’ultimo progetto condiviso di riforma della seconda parte della costituzione (Violante – Quagliarello); l’ex vice presidente del Parlamento europeo che con più nettezza in sede di consultazioni ha manifestato l’esigenza di un approfondimento programmatico di merito sulle principali questioni aperte nel Paese (Mauro); i presidenti dei principali enti e autorità aventi competenza in materia economica (Salvatore Rossi, Pitruzzella, Giovannini); i presidenti delle uniche commissioni parlamentari già costituite che hanno cominciato a lavorare sui temi economici e sociali (Giorgetti e Bubbico); il ministro competente in materia di affari europei al fine di verificare la coerenza e la compatibilità delle misure con i vincoli e con le politiche comuni europee (Moavero).
Su l’Unità si sostiene che nessuno è autorizzato a pensare che gli esperti individuati si mettano al lavoro per fare scena o per perdere tempo.
E non, piuttosto, per far decantare la situazione rimettendo in primo piano i contenuti rispetto alle formule lavorando in stretto contatto con i presidenti dei gruppi parlamentari. Imperativo categorico: non perdere tempo prezioso.
Le puntualizzazioni arrivate dal Colle sono apparse necessarie davanti all’inversione di rotta dei commenti da parte delle forze politiche che se nel giorno di Pasqua avevano mostrato di apprezzare l’iniziativa del presidente, già a Pasquetta hanno cominciato ad avanzare dubbi e perplessità, a fare distinguo, a sollecitare nuove consultazioni.
Come se in queste ore qualcosa fosse cambiato nell’atteggiamento delle forze politiche rispetto a possibili soluzioni della crisi.
Che prosegua la situazione di stallo è sotto gli occhi di tutti. Ed è alta anche la preoccupazione per la reazione dei mercati a questo impasse.
Oggi lo spread apre a 345 e Piazza Affari annaspa, con avvio in calo dello 0,22%. Stamani Deutsche Bank ha ridotto il target price del titolo Mps da 0,18 a 0,15 euro, confermando la raccomandazione sell dopo i conti trimestrali definiti “deboli e peggiori delle attese” e gli analisti di Citigroup, hanno dichiarato che la prospettiva di nuove elezioni in Italia rimane una concreta possibilità, con un proseguo di incertezza politica che certo peserà sui Btp.
Giovedì le banche hanno registrato un lieve rimbalzo ma in tre giorni, da lunedì a mercoledì, Intesa ha perso il 7,2%, Unicredit l’8%. Scricchiola anche la diga dei Btp: i titoli di Stato hanno chiuso la settimana con lo spread 10 anni Btp/Bund a 348 punti base. Il rendimento del Btp 10 anni è al 4,75%, non troppo lontano dalla soglia critica del 5%.
Intanto, si scalda l’attesa per il direttivo della Bce che si riunirà giovedì prossimo, durante il quale non mancheranno i fautori di un calo dei tassi, giustificato dal rallentamento della congiuntura in tutta l’area Ue. E la moneta unica continua a vivere una fase molto delicata, con un primo segnale d’allarme suonato ieri sui mercati asiatici, con l’euro scivolato a 1,277 e col Financial Times che scrive che nel corso del 2012 i Paesi emergenti si sono disfatti di oltre 40 miliardi di riserve nella moneta unica, che oggi rappresenta solo il 24% del totale e non sono certo sopiti A i timori per i probabili disinvestimenti russi, dopo il prelievo forzoso sui depositi moscoviti a Cipro e per l’incertezza politica in Italia.
Carlo Di Stanislao
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