La vergogna di chiedere aiuto quando si è in difficoltà economica. Sembra questa la motivazione che ha spinto al suicidio i due anziani coniugi di Civitanova Marche, Romeo Dionisi e Anna Maria Sopranzi. La coppia si è tolta la vita la settimana scorsa, in seguito all’accumularsi dei debiti. Lei aveva una pensione minima e lui era esodato. Dopo il loro suicidio anche il fratello di lei si è tolto la vita. Povertà che si assomma all’incapacità di farsi aiutare. Ne parliamo con Walter Nanni, responsabile dell’Ufficio studi Caritas.
La vergogna può soffocare il grido di allarme di chi è in grave difficoltà economica?
La vergogna è un sentimento presente soprattutto negli italiani e ancora più in particolare negli anziani, che non vogliono essere etichettati come poveri o stare in fila con gli emarginati agli sportelli Caritas. Ecco allora i pellegrinaggi ad altre parrocchie per non farsi vedere. E ci sono anche gli stranieri che cominciano ad avere problemi a chiedere, soprattutto famiglie con figli che sono nel nostro paese da molto tempo. Per loro ripiombare nello stato di necessità è un problema. C’è un dato del 2009 che si riferisce ai motivi del mancato ricorso ai Centri di ascolto secondo gli operatori: la vergogna e la dignità sono segnalati dal 43,3 per cento degli intervistati e costituiscono la prima motivazione. Dopo la vergogna c’è l’orgoglio, segnalato dal 9,4 per cento degli operatori.
E’ in atto una guerra tra poveri?
Sì se viene riferita al fatto che in Italia il welfare è ridotto ai minimi termini. Siccome i servizi sono sempre di meno, succede che ad esempio si enfatizzano titoli di merito per avere quei pochi benefici sociali che restano. La contrazione del welfare emerge in maniera preponderante dal censimento dei servizi socio-assistenziali collegati con la Chiesa. Nel 1999 il 32,7 per cento degli enti socio-assistenziali con la Chiesa aveva una convenzione con gli enti pubblici. Dieci anni dopo il dato è sceso al 18 per cento. E’ questo che fa scattare la guerra tra poveri, per accaparrarsi le briciole.
Ha senso parlare di “nuovi poveri”?
Secondo me l’etichetta “nuovi poveri” dice ben poco. Si può parlare invece di nuove forme di povertà che prima non esistevano. Per esempio la dipendenza da gioco d’azzardo è una nuova forma di povertà. Poi c’è la propensione al consumo normalizzata che riguarda le nuove generazioni e che determina l’indebitamento delle famiglie. I giovani diventano vittime delle trappole del consumo superiore alle entrate e trascinano interi nuclei familiari nell’impoverimento. C’è poi la dipendenza dalla forma fisica, che come lo shopping compulsivo, prima non esisteva. Mentre in Italia crolla il consumo di sostanze come eroina e cocaina, aumentano questi altri tipi di dipendenze non da sostanze.
Perché in Italia è così difficile leggere la povertà?
In realtà questa difficoltà nasce dal fatto che non esiste nessuna metodologia statistica che sia in grado di rendicontare completamente la povertà. Ma questo dipende dalla natura del fenomeno, che è in sé e per sé sommerso, che ha una natura intima, psicologica, legata alla sofferenza e al disagio. I dati aggregati nazionali possono dare le linee di tendenza, ma non possono andare molto in fondo.
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