”Le statistiche hanno aperto una nuova fase in cui i minori non sono più invisibili. Sappiamo che il grosso dei problemi è al sud per i bambini, ma anche al nord soprattutto nelle famiglie immigrate”. Lo ha sottolineato Linda Laura Sabbadini, direttore del Dipartimento statistiche sociali dell’Istat, intervenendo oggi a Roma al rapporto sul benessere dei bambini. ”Le situazioni più problematiche si riscontrano nelle famiglie dove le donne non lavorano, soprattutto marocchine e albanesi. Mentre in alcuni casi va meglio, come per filippini e romeni. Qui il segno della povertà è più bassa, perché i bambini arrivano in una seconda fase, dopo il consolidamento del lavoro i familiari fanno il ricongiungimento”.
Sabbadini ha poi ricordato che il nostro è un paese dove molti bambini in una situazione di povertà assoluta, non solo relativa. Questi bambini poveri sono 723 mila, la metà dei quali vive al sud. ”Il 2011 è stato l’anno in cui si è verificato un grosso aumento di questa grave deprivazione, che tocca le famiglie con minori: quasi la metà di queste famiglie non svolto una vacanza, il 40 per cento non ha a disposizione 800 euro per una spesa imprevista e l’11 per cento ha problemi per permettere ai figli di fare pasti proteici adeguati nell’arco settimana – continua Sabbadini – . Il secondo aspetto è quello della scuola: siamo stati portati a modello per numerosi anni nel mondo, ma non siamo ancora riusciti a sciogliere il nodo dei tre anni successivi alla scuola primaria. Già al primo anno delle superiori il 20 per cento dei ragazzi viene bocciato. Anche qui il problema riguarda il sud, le famiglie immigrate del nord e le classi sociali più basse”.
Rispetto questo ultimo aspetto la dirigente dell’Istat ha sottolineato che la “scuola non riesce a svolgere un ruolo di riequilibrio sociale: l’estrazione sociale dei bambini pesa troppo sui percorsi di studio degli studenti condizionandone i destini e gli siti. Questo incide a catena nel futuro dei ragazzi anche per la transizione al mondo del lavoro. Anche in coloro che frequentano l’università questo incide – conclude – le distanze sociali non sono diminuite”
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