“Essere potenti è come essere una donna. Se hai bisogno di dimostrarlo vuol dire che non lo sei. Nelle cose che contano il compromesso non è accettabile. È molto bello parlare di libertà qui con voi in Italia, perché non appena libererete la vostra economia dalla burocrazia e dai sussidi nessuno saprà competere in Europa con il vostro talento”(Margaret Thatcher). Arrivederci, Baronessa Thatcher! Sulle dolci sonorità del “Preludio e Fuga” numero 1 in C maggiore BWV 846 di Johann Sebastian Bach, è giusto riconoscere che il dna politico della Thatcher è rintracciabile ovunque, non solo nella destra conservatrice britannica, in quanto la grandezza vera della Thatcher è nell’aver lasciato sanguinante la ferita storica aperta con la sua rivoluzione riformatrice. La memoria di un leader di questo tipo, fatale e glorioso primo ministro di una grande democrazia moderna, muore quando smette di dividere, di appassionare, di fanatizzare perfino, nel contrasto di idee e fino all’iracondia dei ricordi, i sopravvissuti. Altrimenti è potenzialmente immortale. Perché tutto il resto è fatalmente immorale e scatenerà, per chi crede o meno, l’ira dell’Altissimo. Erede del Premier W. Churchill, il vincitore della Seconda Guerra Mondiale, nata Margaret Hilda Roberts, nominata nel 1990 Baronessa Thatcher di Kesteven e conosciuta anche come la Lady di Ferro, in inglese “The Iron Lady” (Grantham, 13 ottobre 1925 – Londra, 8 aprile 2013), Margaret Thatcher è stata molto più di un geniale politico britannico. Chimico ed avvocato, fu primo ministro del Regno Unito dal 1979 al 1990. La prima e a tutt’oggi unica donna ad aver ricoperto la carica di Primo Ministro del Regno Unito. Dal 1975 al 1990 fu leader del Partito conservatore britannico. Il titolo nobiliare di Baronessa di Kesteven nella contea del Lincolnshire è del 7 Dicembre 1990. Le sue onorificenze sono molteplici: Dama dell’Ordine della Giarrettiera, Membro dell’Ordine al Merito del Regno Unito, Dama di Gran Croce del Reale Ordine di Francesco I (Casa di Borbone – Due Sicilie), Dama di Gran Croce del Grand’Ordine del Re Dmitar Zvonimir (Croazia), Ordine dell’Amicizia di I Classe (Kazakistan), Gran Croce dell’Ordine di Vytautas il Grande (Lituania) e Medaglia presidenziale della libertà (Stati Uniti). Al suo nome è legata la corrente politica denominata, forse impropriamente come tutti gli “-ismi”, Thatcherismo, che fonde il conservatorismo con il liberismo (non il libertinaggio oggi tanto in voga nel Regno Unito e in Europa!) e il periodo britannico degli Anni ’80 meglio conosciuto come “era thatcheriana”. Era una donna molto paziente, a patto che alla fine si facesse come voleva lei. Perché nessuno come lei, prima e unica donna a comandare l’esecutivo nella Gran Bretagna contemporanea, ha mai deciso tanto di rilevante per il mondo in così poco tempo (1979-1990). Possedeva un senso non comune delle istituzioni e della premiership. Fino al grandioso “pluralis maiestatis” degno della Regina:“We have become grandmother” – disse la Thatcher descrivendo un lieto evento familiare:“siamo diventate nonna”. E che nonna! Dominatrice di cuori e cervelli, Margaret fece impazzire di invidia e ribollire di masochismo gran parte della nomenclatura parlamentare britannica, della Casa reale e del popolo che lei amava. Cambiò per sempre il volto della politica e della società nel Regno Unito e nel mondo intero. Dalla sua esperienza di governo si creò una nuova dottrina economico-politica. Fu amata e odiata per i fatti concreti, non per gli attacchi alla magistratura! Ma, come hanno evidenziato tutte le analisi peraltro parziali, ciò che Margaret Thatcher, scomparsa a Londra l’8 Aprile 2013 all’età di 87 anni, considerò la sua più grande realizzazione, fu l’aver salvato la vita di una ragazza ebrea nel 1938, Edith Muhlbauer, diciassettenne austriaca amica di penna della sorella maggiore della futura Lady di Ferro, Muriel. Quando, dopo l’Anshluss, i nazisti cominciarono a portare via gli ebrei, la giovane si rivolse alla famiglia inglese in cerca di aiuto. Ma i signori Roberts che gestivano una piccola drogheria nella cittadina di Grantham, come ricordano i giornali di tutto il mondo nel sottolineare le umili origini della Thatcher, non avevano le risorse per far scappare e ospitare Edith. Furono le due sorelle Muriel e Margaret, che all’epoca aveva 12 anni, a darsi da fare. Raccolsero i fondi, convinsero il Rotary Club locale a sposare la loro causa. Edith si salvò, rimase in Inghilterra e poi riuscì a raggiungere alcuni parenti in America. Una storia che, come ricorda il magazine ebraico statunitense Tablet, lasciò un segno profondo nella piccola Margaret. “Non esitare mai nel fare tutto quello che puoi per salvare una vita” – spiegò il Primo Ministro emerito in un incontro pubblico nel 1995. E mentre il mondo intero onora Margaret Thatcher, ammiratori ed avversari che ancora l’accusano di aver portato solo macerie sociali mentre la peggiore crisi economica e politica affama gli Italiani e li conduce al disastro, un ricordo speciale giunge dalla Comunità ebraica britannica, con cui la Thatcher mantenne sempre un rapporto stretto. A differenza di molti leader che l’avevano preceduta, la Lady di Ferro non ebbe mai alcuna tolleranza nei confronti dell’antisemitismo, come ricordò Nigel Lawson che la Thatcher nominò suo ministro delle finanze facendo prudere le narici a molti suoi colleghi di partito proprio a causa della sua appartenenza ebraica. “Semplicemente non riesco a comprendere l’antisemitismo in sé” – rivelò la Thatcher nelle sue memorie. La Lady di Ferro si impegnò anche per imprimere una svolta alla politica britannica in Medio Oriente, tradizionalmente filo-araba (palestinese). Ella stessa fu fondatrice dell’Associazione di amicizia anglo-israeliana di Finchley, sobborgo a nord di Londra dove fu finalmente eletta al Parlamento dopo due tentativi mancati e dove, tra l’altro, si concentra una parte cospicua della popolazione ebraica della capitale britannica. “La baronessa Thatcher è stata un gigante che ha trasformato il Regno Unito – ricorda rav Jonathan Sacks, il rabbino capo del Commonwealth – l’ho conosciuta molti anni fa, quando era il parlamentare del nostro collegio elettorale. È stata amata ed ammirata da molti della nostra comunità che ne sentiranno la mancanza. Sono poche le persone che nella mia vita hanno lasciato un’impronta tanto profonda nella società britannica”. Margaret Thatcher ha guidato i veri Conservatori a tre vittorie elettorali governando il più lungo periodo in carica per un Primo Ministro. La Thatcher avrà esequie solenni ma non un funerale di Stato e non ci sarà una camera ardente, secondo le direttive lasciate dalla Lady di Ferro. Downing Street, dove è stata issata la bandiera a mezz’asta, chiarisce che formalmente i funerali avranno la stessa rilevanza attribuita alla Regina Madre e a Lady Diana. Le esequie si svolgeranno nella cattedrale di St. Paul il 17 Aprile 2013 e la cerimonia contemplerà gli onori militari. I funerali saranno poi seguiti da una cremazione privata. Margaret Thatcher è morta nella sua suite all’Hotel Ritz, nel centro di Londra, dove da tempo si era ritirata, colpita da un ictus. A dare l’annuncio della sua scomparsa è stato il suo portavoce Lord Bell. “È con grande tristezza che Mark e Carol Thatcher annunciano che la madre è morta in seguito ad un ictus” – è stato il comunicato ufficiale diffuso dai familiari. Nata il 13 Ottobre 1925 a Grantham, nel Lincolnshire, Margaret Hilda Roberts (prese poi il cognome del marito, Thatcher, quando si sposò nel 1951) era figlia di un droghiere di campagna. Laureata in chimica al Somerville College dell’Università di Oxford, fin da giovane si occupò di politica diventando presidente di un’associazione studentesca conservatrice. Primo premier donna della Gran Bretagna ed esponente di una conservatorismo liberale che negli Anni ‘80 arrivò a influenzare gli Stati Uniti d’America e l’Europa, Margaret Thatcher è stata una figura speciale. Nei suoi 11 anni a Downing Street, segnati dalle liberalizzazioni, dalle privatizzazioni, dalle vittorie nel braccio di ferro con i sindacati e, grazie alla Royal Navy, nella guerra delle Isole Falkland, fu una delle figure più amate ma anche più detestate dai suoi detrattori interni di Partito ed esterni, della Gran Bretagna. La futura baronessa di Kesteven dimostrò un’incrollabile determinazione scalando prima il bastione del Partito Conservatore (ne divenne leader nel Febbraio 1975) e poi guidando con saggezza e fortezza il Regno Unito. Da subito mostrò il suo piglio decisionista. Con un lungo e durissimo braccio di ferro interno, scontrandosi con il sindacato dei minatori di Arthur Scargill (1984-1985) e sul fronte esterno recuperando l’orgoglio nazionale appannato, prima del suo arrivo a Downing Street, dalla tragica spedizione di Suez nel 1956, reagendo all’invasione delle Isole Falkland ordinata dalla giunta militare argentina nel 1982. Il trionfo, a caro prezzo, nella guerra delle Falkland-Malvinas fu la spinta propulsiva su cui la Thatcher costruì la sua carriera fino alla sconfitta nel 1990. Negli ultimi anni si era ritirata dalla vita pubblica a causa delle sue condizioni di salute: da tempo soffriva di Alzheimer. Una delle sue ultime apparizioni risale al 2010 quando fu invitata a Downing Street dal premier conservatore David Cameron che oggi potrà certamente riflettere, alla luce della storia della Thatcher, sulle dubbie scelte morali e niente affatto conservatrici operate dal suo governo e dalla sua politica libertaria in tema di Famiglia e Matrimonio. La chiamavano Lady di Ferro. Ma nel passato di Margaret Thatcher ci fu una parentesi “soffice”. Infatti il gusto e la consistenza del gelato che siamo abituati a gustare, è in qualche modo legato alla scienza di Margaret Hilda Roberts Thatcher. Scioperi, disoccupazione alle stelle e collasso dei servizi pubblici, frutto delle dissennate politiche progressiste britanniche, furono i tre ingredienti “magici” che aiutarono la Thatcher a vincere le Politiche del 1979, ottenendo la maggioranza nella Camera dei Comuni. Entrata a passo spedito a Downing Street, la Thatcher citò San Francesco d’Assisi. “Dove c’è discordia, che si possa portare armonia. Dove c’è errore, che si porti la verità. Dove c’è dubbio, si porti la fede. E dove c’è disperazione, che si possa portare la speranza” – furono le sue prime parole dopo la vittoria. Il suo fu infatti un messaggio di apertura e conciliazione. Gli avversari della Thatcher, anche coloro che oggi la onorano con fiori e messaggi, diedero vita a una durissima opposizione. Lei non si arrese mai. Fece altrettanto con il sindacato dei minatori. Ma le sue politiche apparentemente anti-sociali cambiarono nel profondo l’assetto economico-produttivo della Gran Bretagna, restituendole il prestigio della grande potenza economica e militare, e di grande “sentinella” della Pace in Europa. Il Primo Ministro affrontò a muso duro il potere dei sindacati con una legge che rese lo sciopero illegale se non approvato a voto segreto dalla maggioranza dei lavoratori. Ispiratasi al pensiero economico di Friedrich von Hayek (scuola austriaca) e Milton Friedman (scuola di Chicago), assieme al Presidente Ronald Reagan, la Thatcher incarnò lo spirito della Rivoluzione Conservatrice Riformista, alla cui base c’è il teorema “meno Stato, più mercato” soltanto scimmiottato in Italia, negli ultimi 20 anni, da pseudo-conservatori di centrodestra che avrebbero molto da apprendere dalla storia e dalla leadership della Lady di Ferro! Prima di decidere che la politica era il suo mestiere, il titolo accademico in Chimica le valse l’impiego alla J. Lyons and Co., dove fece parte di un team che studiò un modo per rendere il gelato più morbido. Così la giovane Margaret condusse alcuni esperimenti durante i quali introdusse aria nell’alimento in modo da renderlo più cremoso ed economico. Il risultato fu il “Mr Whippy ice cream”, gelato diventato popolarissimo in Gran Bretagna anche grazie ai famosi furgoncini, tanto amati dai piccoli, che lo vendono nelle strade delle località di villeggiatura. Tra le ragioni del successo del gelato della Thatcher, proprio la formula che lo rende più leggero e morbido. Ma non solo. L’invenzione venne adottata in poco tempo anche da altre industrie dolciarie americane e rese possibile servire il gelato attraverso i dispenser a rubinetto oggi diffusi in tutto il mondo. Grazie alla Thatcher! Un po’ meno dolce fu certamente il braccio di ferro con l’Irlanda del Nord durante la Guerra Fredda. Un rapporto difficile che vide anche momenti di grandi tensioni: da un lato il Primo Ministro britannico impegnato in una spietata battaglia al terrorismo e dall’altro gli attivisti dell’Ira. Non è un caso che oggi Gerry Adams, presidente del Sinn Fein, commenti la scomparsa della Lady di Ferro con parole sprezzanti:“Margaret Thatcher ha fatto un gran male al popolo britannico e irlandese durante il suo mandato da primo ministro”. Uno dei momenti più tesi fu quello della morte di Bobby Sands, attivista nord-irlandese, deceduto il 5 Maggio del 1981 nella prigione speciale di Long Kesh, dopo un lungo sciopero della fame. Sands protestava contro il regime carcerario cui erano sottoposti i detenuti repubblicani. Una condizione durissima, raccontata nei suoi diari, in cui le descrizioni dei famigerati “Blocchi H” facevano pensare ai lager nazisti. Alla Camera dei Comuni il Primo ministro Margaret Thatcher dichiarò:“Bobby Sands era un criminale. Ha scelto di togliersi la vita. Una scelta che l’organizzazione alla quale apparteneva non ha concesso a molte delle sue vittime”. Il tutto mentre il mondo intero, Amnesty Internationl compresa, criticava le durissime leggi speciali introdotte dalla Gran Bretagna dall’esecutivo precedente. Tra le disposizioni contenute nella “Emergency Provision Act”, la più importante era quella sull’istituzione di tribunali speciali, le cosiddette “Diplock Courts”, prive di giuria e costituite da un unico giudice competente per i reati di terrorismo. L’EPA prevedeva l’ampliamento dei poteri di arresto e di perquisizione attribuiti alla polizia ed ai military, il prolungamento del fermo di polizia sino a 72 ore senza l’obbligo di fornire alcuna giustificazione da parte dell’autorità giudiziaria, la presunzione di colpevolezza nel caso di possesso illegale di armi e l’accettazione di testimonianze senza possibilità di interrogatori o confronti. A questi provvedimenti furono affiancate condizioni di detenzione e di interrogatorio durissime. Così nel 1981 un numero di appartenenti all’Ira iniziò lo sciopero della fame per riottenere lo status di prigionieri politici. Margaret Thatcher non cedette alle loro richieste e dieci di essi morirono di fame, primo dei quali Bobby Sands. Ci vollero 217 giorni e l’intercessione delle famiglie dei prigionieri per far cessare lo sciopero della fame e far reintegrare alcuni dei diritti dei detenuti. Da Bobby Sands in poi, l’Ira fece della Thatcher il suo nemico numero uno. Nel 1984 il rapporto con il Nord Irlanda diventò ancora più teso. La Lady di Ferro scampò a un attentato contro il suo hotel a Brighton. Nell’edificio che verrà completamente distrutto, era in corso il congresso del Partito conservatore alla presenza della Thatcher. Furono cinque i morti. L’anno successivo i rappresentanti del Regno Unito e della Repubblica d’Irlanda firmarono il Trattato di Hillsborough in cui si ribadì che l’Irlanda del Nord non avrebbe subìto alcuna modificazione del proprio status costituzionale, sino ad una differente espressione della volontà della maggioranza della popolazione. L’accordo riaccese le violenze tra protestanti e cattolici. Nel 1988 il governo inglese emanò il “Broadcasting Ban”, in base al quale si vietava la trasmissione radio-televisiva di dichiarazioni rilasciate da esponenti di otto organizzazioni politiche nord-irlandesi, tra cui il Sinn Féin e l’Ulster Defence Association. Il Ministro degli Interni britannico motivò il provvedimento affermando che solo in tal modo era possibile impedire il diffondersi del terrorismo. Il Broadcasting Ban è stato revocato solo nel 1994. Margaret era il tailleur più temuto d’Europa. I burocrati politicanti ne erano terrorizzati. Era anche il giro di perle più inflessibile del Sud America. La donna di cui aveva bisogno la Gran Bretagna, quando l’Argentina cercò di riprendersi le Isole Malvinas, e il Primo Ministro di cui ha bisogno oggi l’Italia e l’Europa. A maggior ragione il mondo oggi s’inchina a Margaret Thatcher, rendendole i giusti onori. Lascia la scena “come una regina” – riconosce la stampa di Buenos Aires, dove quella donna “dagli occhi di Caligola e la bocca di Marilyn Monroe” – sono le parole del presidente francese François Maurice Adrien Marie Mitterrand – non ha lasciato dolci ricordi. “Pirata, strega e assassina” – la definivano alcuni giornali argentini, aggiungendo una benda nera da corsaro sull’occhio destro di colei che aveva umiliato il Paese australe dell’attuale Romano Pontefice Francesco, con un solo assalto della Royal Navy per riportare le Falklands sotto la bandiera del Regno Unito. “Margaret ci lascia per sempre come Lady Diana e la Regina Vittoria” – ammettono gli stessi quotidiani di Buenos Aires, senza animosità, attribuendole un commovente rango reale. Proprio alla Lady di Ferro che aveva tenuto testa a uno degli scioperi più duri e disperati dei minatori britannici, piegandoli come aveva piegato i generali argentini due anni prima. Il potere femminile, quello che non agisce dietro le quinte o dietro un uomo, trova in Margaret Thatcher il paradigma perfetto. Una vera donna-leader con la gonna, i tacchi, gli orecchini, il rossetto mai volgare, le corsettine rigide, i capelli cotonati e un’inflessibilità prossima alla superiorità ultraterrena, quasi aliena, extraterrestre. Eppure così umana. La stessa inflessibilità con cui poi la cacciò il suo Partito conservatore, riconoscendole così un’invenzione che sicuramente poche altre donne sono in grado di apprezzare in Europa e in Italia: il diritto di essere trattata senza galanteria, in perfetta parità, perfino nel grande Paese dei gentlemen. “Margaret Thatcher ha salvato il nostro Paese” – rivela il Primo ministro britannico David Cameron che ricorda con dolore la Lady di Ferro – la sua eredità resterà non solo negli anni a venire, ma nei secoli. Un grande leader, un grande Primo Ministro, un grande cittadino britannico”. Parole cariche di responsabilità etica e morale in difesa della civiltà. Margaret Roberts in Thatcher entra in parlamento per la prima volta nel 1959. Venti anni dopo, dal 1979 al 1990, diventa la prima e finora unica donna a guidare il governo britannico. La leader politica che coniò frasi come: “Essere potenti è come essere una signora. Se hai necessità di dirlo, non lo sei”, fece la guerra all’Argentina per difendere (non attaccare!) le Falklands ma soprattutto ruppe il monopolio maschile del Partito conservatore britannico in un Paese in cui esistono ancora club per soli gentiluomini non distanti dal Palazzo di Westminster, è stata il simbolo dei tagli alla spesa pubblica, alla burocrazia, e della svolta liberale (non libertaria!) in Gran Bretagna. Resta un simbolo della “lotta” all’unione nazionale dei minatori di Arthur Scargill tra il 1984 e il 1985: un film del 1996, “Grazie, Signora Thatcher”, racconta proprio di un gruppo di minatori a rischio disoccupazione che uscì alla vigilia dell’ascesa del laburista Tony Blair dopo 20 anni di “dominio” conservatore. “È con grande tristezza che Mark e Carol Thatcher hanno annunciato che la loro madre, baronessa Thatcher, è morta serenamente” – si legge nella nota del suo portavoce, Lord Tim Bell. Esprime tristezza la regina Elisabetta. Dovrebbe fare altrettanto, Sua Maestà, per la deriva immorale libertaria del Regno Unito e dell’Europa. La Thatcher è stata una delle figure politiche più osannate ed odiate della storia contemporanea internazionale, capace di incarnare il ruolo di condottiera dell’autentico conservatorismo riformatore come nessun altro dopo il grande Winston Churchill. Rivoluzionaria quanto basta per un conservatore vero sulle orme di Abraham Lincoln, la Lady di Ferro fece a pezzi i burocrati spendaccioni del dopoguerra. Anticomunista viscerale senza cedimenti, è stata sicuramente una delle figure più detestate dalla sinistra internazionale e dagli attuali finti conservatori “moderati” di centrodestra. L’era della Lady di Ferro inizia il 4 Maggio del 1979 quando la Thatcher, vittoriosa leader conservatrice alle elezioni politiche, entra nella residenza del premier britannico a Downing Street, dove sarebbe rimasta fino al 1990. Un periodo in cui avrebbe preso un Paese depresso rispetto al resto d’Europa, come il Regno Unito, e lo avrebbe trasformato creando grandi ricchezze e sviluppo economico. Da anni era ormai una fragile anziana signora che si vedeva pochissimo in pubblico ed entrava regolarmente in ospedale. Ma al culmine della sua vita politica, con i suoi modi fieri al limite dell’onnipotenza, la Thatcher diede vita a una rivoluzione conservatrice, che in Italia e in Europa ci sogniamo da sempre, nel pieno rispetto delle Leggi di Dio. In parallelo a quanto faceva Ronald Reagan negli Stati Uniti, la Thatcher svecchiò coraggiosamente l’obsoleto stato sociale della società britannica, aprendola a un’economia liberista e competitiva che pure i laburisti “progressisti” di Tony Blair con altrettanta onestà intellettuale hanno difeso in alcune parti. Una svolta, dicono i suoi sostenitori ancora oggi numerosi, che ha offerto più opportunità a tutti. Ovvero, come affermano i suoi detrattori, una serie di scelte che hanno reso molto più marcati i fossati economici tra ricchi e poveri nel Regno Unito, con conseguenze anche sui valori sociali e solidaristici di cui molti oggi lamentano la fine in Gran Bretagna, dimenticando però la deriva etica marcatamemte progressista. Per la sinistra, la Thatcher rimane soprattutto il premier che negli Anni Ottanta mirò alla distruzione, con evidente successo, dei vecchi sindacati, a partire dalle potenti organizzazioni dei minatori, privatizzando le miniere di carbone, cuore del processo energetico britannico. Privatizzazione fu anche la parola d’ordine che la Thatcher impose alle aziende pubbliche di vario tipo, mentre mano libera veniva data alle imprese, in termini di licenziamenti ed assunzioni. Il risultato, accanto ad una super-flessibilità di tipo americano del mercato del lavoro, con pochi eguali in Europa occidentale, fu anche uno sviluppo tumultuoso dell’economia nazionale britannica che tornò a crescere dopo una lunga stagnazione. Singolarmente, per una politica conservatrice, la Thatcher decise il proprio destino, quasi “programmato”, con l’introduzione di una controversa tassa sulla cittadinanza, la “poll tax”, che suscitò una violenta opposizione ed avviò il suo tramonto politico dal 1989 al 1990. In politica estera, la Thatcher trovò in Reagan il suo alleato d’acciaio: a parte le similitudini in politica economica, entrambi furono ferventi anticomunisti antisovietici e vinsero insieme la Guerra Fredda determinando il crollo dell’Unione Sovietica nel 1991. I sindacalisti e i progressisti italiani hanno bocciato l’esperienza Thatcher con alcuni distinguo. Tra lo Stato e i cittadini-lavoratori, spiegano a oltre trent’anni dalla scrittura di quella pagina della politica economica internazionale, devono esserci comunque degli enti intermedi, magari auto-finanziati e con regolari bilanci pubblici, capaci di coniugare gli effetti del liberismo con la tutela dei diritti dei lavoratori e il welfare. Il leader della Cisl, Raffaele Bonanni, ricorda che il modo migliore per gestire una ristrutturazione è garantire un dialogo tra le parti coinvolte: governo, sindacati e imprese. Carlo Ghezzi della Cgil, da parte sua, riconosce alla Lady di Ferro una sorte di “onore delle armi”: al di là della posizione di forte intransigenza avuta in quegli anni da Downing Street nei confronti dei rappresentanti dei lavoratori, Margaret Thatcher non ha mai disatteso le regole che sono alla base della democrazia. Sullo fondo, però, un timore comune a chi in quegli anni faceva attività sindacale in Italia: che questo modello di gestione dei rapporti, così poco incline al compromesso, potesse diffondersi anche in altri Paesi, a cominciare dall’Italia! Margaret Thatcher, infatti, è considerata un’accanita avversaria dei sindacati che l’hanno accusata di voler smantellare lo stato sociale. Quel braccio di ferro, durato oltre 51 settimane, con la National Union of Mineworkers, ancora oggi brucia. Siamo negli Anni Ottanta: l’ente minerario nazionale, la National Coal Board, annuncia un piano “lacrime e sangue” di chiusura dei pozzi, con un taglio della produzione di 4 milioni di tonnellate. Nello smantellamento, alla fine, saranno coinvolti 165mila lavoratori. I sindacati non ci stanno e decidono di andare al muro contro muro. Lo sciopero contro la chiusura delle miniere di carbone nello Yorkshire del Sud, nella Scozia, nel Galles e nel Nottinghamshire dura circa un anno. La Lady di Ferro non indietraggia di un millimetro. “Mai la democrazia parlamentare si piegherà al governo della folla – spiega la Thatcher in un discorso in Parlamento del Luglio 1984 – i minatori sindacalizzati sono il nemico interno”. Alla fine vince lei: il 3 Marzo 1985 il sindacato non riesce a fermare il piano di chiusure e con una maggioranza risicata (98 sì contro 91 no) decide la fine dello sciopero. I minatori riprendono il lavoro. Il Regno Unito abbandona così l’intera industria siderurgica. In Gran Bretagna inizia l’era liberale conservatrice. Perché, allora, la morte di Margaret Thatcher domina i media non solo britannici ma di tutto il mondo? Thatcher è la “Lady di Ferro che ha cambiato la Gran Bretagna”, titola il Financial Times. È “l’indomabile leader che ha trasformato la politica del Regno Unito e ha esportato nel mondo i suoi potenti ideali di mercato”. Non mancano le dichiarazioni infelici. Tra le reazioni riferite dal Financial Times, tra le molte di elogio alla sua leadership, spicca la “scarsa simpatia” espressa da David Hopper, segretario dei minatori di Durham: “Ha distrutto la nostra comunità, i nostri villaggi e la nostra gente. È un grande giorno per tutti i minatori. Immagino che avremo una controdimostrazione al funerale”. Lady Thatcher affrontò i minatori e vinse. “Combattente per la libertà”, la definisce l’Economist. È “la lady che ha cambiato il mondo”. La Bbc fa scorrere le foto della “baronessa Thatcher” e ricorda che è stata la prima donna a diventare Primo Ministro del Regno Unito. Tra i numerosi servizi sul sito web dell’emittente britannica, la video-intervista al premier David Cameron che ne loda il coraggio: “Non solo ha guidato il nostro Paese, ha salvato il nostro Paese”. In evidenza, la “guerra di Thatcher: le Falkland”, la sua premiership “plasmata dall’Irlanda” e “le baruffe con l’Europa” o, meglio, con la burocrazia europea elefantiaca. “Il mondo rende tributo a Thatcher”, titola in apertura il Times. Un altro titolo sottolinea che avrà un funerale “stile Diana”, sicuramente dello stesso status della Regina madre e della principessa dei cuori, Diana. L’ex ministro conservatore Michael Portillo racconta i suoi ricordi personali e gli aneddoti di quando ha lavorato insieme alla Thatcher. L’opinionista del Times, Matthew Parris, ricorda “la Thatcher che ha conosciuto e rammenta che chi lavorava per lei la considerava un capo fantastico”. La foto della baronessa Thatcher, già anziana, che saluta sorridente con la mano, quasi a dire addio al mondo, apre il Telegraph. La Thatcher viene ricordata come “l’eccezionale leader in tempo di pace del XX secolo”, “il più grande politico della sua generazione”. Insomma, “tutti le devono rispetto, ha cambiato la Gran Bretagna in meglio. Ci fosse qualcuno come lei a guidarci ora” – afferma Lord Tebbit. Vale anche per l’Italia. L’Independent sottolinea che la Lady di Ferro è stata la prima donna Primo Ministro. Ha vinto tre elezioni, ha guidato il governo dal 1979 al 1990 e ha plasmato la politica britannica per una generazione. “Eroina e figura odiata – l’indifferenza non era un’opzione”. Un titolo sottolinea che ha salvato l’economia britannica “ma a un costo sociale troppo alto”. Un altro la definisce il Primo Ministro britannico più dominante da Winston Churchill. Un altro ancora si domanda quanto abbia fatto per le donne britanniche. Sicuramente Margaret Tathcher è stata fonte di ispirazione per media, cinema, musica britannica e mondiale, anche grazie al suo essere diretta, schietta, poco diplomatica, padrona della sintesi e della frase ad effetto, ideale per i titoli dei giornali. Iniziò con poca preveggenza, nel 1973, da ministro dell’Istruzione quando disse alla Bbc:“Non credo che vedrò mai una donna prima ministro nella mia vita”. Concetto già espresso nel 1969: “Nessuna donna del mio tempo diventerà primo ministro o segretario agli Esteri. Non occuperemo mai le posizioni al top e in ogni caso io non le vorrei perché significherebbe dedicarvi il 100 per cento”. Poi governò il Regno Unito, nutrendo i media con le sue parole che impressero forza alla sua ascesi: “Non conosco nessuno che abbia raggiunto i vertici senza duro lavoro. Questa è l’unica ricetta che conosco. Non ci può essere libertà se non c’è libertà economica. Penso che se mi attaccano sul piano personale, non hanno argomenti politici a sinistra. Posso fidarmi del fatto che mio marito non si addormenta in pubblico, di solito applaude nei momenti giusti. Le persone della mia estrazione sociale hanno bisogno di licei classici per competere con i bambini di famiglie privilegiate come Shirley Williams e Anthony Wedgwood Benn (visconte per 50 anni parlamentare del Partito laburista, NdA). Dove c’è discordia porteremo armonia. Dove errore, la verità. Dove il dubbio, la fede. E dove c’è disuguaglianza, porteremo speranza. Per una donna che conosce i problemi di gestire una casa è sicuramente più semplice portare avanti un Paese. La mia non è una politica del consenso ma del convincimento. A coloro che aspettano col fiato sospeso la catastrofe tanto auspicata dai media, cioè la marcia indietro, posso solo dire una cosa: non si torna indietro se non si vuole”. La signora non si volta. Non ha alcuna intenzione di fare marcia indietro sulla liberalizzazione dell’economia. “The lady is not for turning” diventò il motto di colei che i media chiameranno più o meno affettuosamente Maggie, come due giornalisti britannici poi americani, Christopher Hitchens e la direttrice di Newsweek Tina Brown su Twitter. Altri pensieri della Thatcher passeranno alla storia: “Non mi dà alcun fastidio se i miei ministri parlano, purché facciano quello che dico io. Nessun si ricorderebbe del Buon Samaritano se lui avesse avuto solo buone intenzioni: lui aveva anche soldi. Amo discutere. Mi piace il dibattito e non mi aspetto che tutti siano là seduti a darmi ragione: non è quello il loro dovere. Rivoglio i miei soldi! Nelle loro espressioni un sorriso traditore. Probabilmente è stata la cosa peggiore di tutte (1983, riferito ai colleghi di governo che le avevano consigliato di ritirarsi, NdA). Abbiamo dovuto combattere il nemico fuori dalle Falkland. Ma dobbiamo essere sempre vigili sul nemico all’interno che è molto più difficile da combattere e molto più pericoloso per la libertà (sciopero dei minatori e scontro con la categoria negli anni 1984-85, NdA). La società non esiste: esistono individui, uomini, donne e famiglie (1987). Non abbiamo ridotto con successo i confini dello stato britannico per vederli governati con un superstato europeo che esercita un nuovo dominio da Bruxelles (1988, fu la sua bandiera dell’euroscetticismo, NdA). È un vecchio mondo divertente (27 Novembre 1990, alla sua ultima riunione di gabinetto, NdA). Continuo a combattere, combatto per vincere (Novembre 1990, dopo aver perso voti nel suo partito che la costringono a un secondo round per la leadership Tory. Si dimetterà il giorno dopo, NdA). Casa è dove si va quando non si ha niente di meglio da fare”(Maggio 1991, sei mesi dopo aver lasciato Downing Street, NdA). L’ultima immagine pubblica della Thatcher ha il profilo e il nome della grande attrice Meryl Streep straordinaria interprete del film “Iron Lady” che ripropose al mondo, quando la Terra stava già per dimenticarle, le incredibili gesta del più straordinario Primo Ministro della storia britannica dal dopoguerra ad oggi. Margaret Thatcher è stato un Premier divenuto sostantivo maiuscolo grazie a una Dottrina Politica fatta in casa che ha scolpito l’economia e la vita sociale nel Regno Unito della regina Elisabetta. Il film “The Iron Lady”, con tutti i suoi limiti, strappò il velo del silenzio accelerando il giudizio della storia e facendo riemergere nel dibattito della crisi economica e politica europea di oggi l’incommensurabile “lascito” di questa donna straordinaria, Margaret Thatcher, che avrebbe meritato in un universo alternativo la Presidenza degli Stati Uniti d’Europa per almeno tre mandati. L’Inghilterra di oggi, tuttavia, non sembra più scolpita a sua immagine e somiglianza. Sembra aver dimenticato la silhouette morale e intellettuale di una fervente metodista, figlia di un droghiere di Grantham nel Lincolnshire. Al padre la giovane Margaret Roberts ha sempre riconosciuto il merito di averla educata secondo i principi di una vita ad alto tasso di moralità, oltre le trincee del “politically correct”, sfidando la volontà dei più per affermare quella del singolo. Queste convinzioni la portarono a misurarsi, sul piano del confronto sociale, con le potenti Trade Unions della Londra anni Settanta-Ottanta, prologo al durissimo scontro con i minatori di Arthur Scargill. Molti giustamente fanno risalire proprio a quel drammatico braccio di ferro, declinato con il Big Bang della “deregulation” nella City di Londra e la “vendita” dello Stato ai privati, i tre pilastri della rivoluzione thatcheriana. In Italia, i politicanti da sempre preferiscono l’inciucio e non la giusta battaglia! Le privatizzazioni avrebbero dovuto trasformare e di fatto trasformarono un mondo di iscritti al sindacato in un mondo di piccoli azionisti mutando la geografia dell’elettorato Tory capace di conquistare le classi medie e medio basse deluse dalla lunga notte laburista progressista di fine Anni Settanta. L’apertura della City alle nuove regole accelerò la trasformazione di una società frenata da una manifattura (oggi così tanto osannata dalle sinistre-destre in Italia come l’ultima “spiaggia” della nostra economia decandente!) che non riusciva a mantenere in vita un Paese ad altissimo tasso di servizi. Oggi solo quelli finanziari rappresentano il 10 per cento dell’economia nazionale. Un salto che, all’epoca, parve significare modernizzazione, ma che è considerato oggi la vera ragione della crisi economica britannica eccessivamente sbilanciata verso l’industria del “banking”. Le colpe, più che alla signora Premier, vanno sicuramente imputate ai successori che, in piena amnesia intellettuale, poco fecero per sviluppare la Dottrina Thatcher, soprattutto sul piano sociale, industriale, scientifico e tecnologico. Il resto nella sua lunga vita politica lo fece la fortuna, il cervello e il carattere. Ne sanno qualcosa i partner europei piegati dallo “sventolar di borsetta” che accompagnò la battaglia per i rimborsi britannici dal budget comunitario. Eventi-chiave di una vita spesa in trincea, illuminata dalle regole semplici insegnatele da dietro il bancone di Grantham da un fedele droghiere convinto assertore della forza dell’individuo contro il dominio dello Stato e dell’ideologia. Margaret Thatcher ha cambiato più di tutti il suo Paese e ha cambiato l’idea stessa dello Stato e dei partiti che fino ad allora era prevalente nel mondo occidentale. Diciamolo chiaro e tondo come va detto: la Thatcher ha ridotto la partitocrazia burocratica palaziale britannica a niente! Come nessun altro ha inteso modificare alla radice il patto fiscale tra i cittadini e ha dato forma politica e dignità istituzionale alla ribellione anti-tasse trasformandola in una vera e propria dottrina economica diventata addirittura senso comune. È partita dalla sua testa la nuova corrente di pensiero economico e sociale che solo in un secondo momento diventerà anche la dottrina applicata da Ronald Reagan e identificata dalla vulgata comune come “Reaganomics”. In una prima fase Margaret Thatcher interpretò bene il pensiero comune antiburocrazia e ciò le valse una straordinaria popolarità. Ma in un secondo momento, oggi va detto con la franchezza e serenità di analisi, i suoi successori aumentarono le disparità tra ricchi e poveri. Oggi non si può non notare come la matrice innovativa delle idee thatcheriane si sia andata a far benedire scontrandosi con le nuove ideologie della globalizzazione del consumismo, a dir poco drastiche e più devastanti del materialismo storico marxista, che hanno finito con lo svuotare la carica di innovazione di quelle stesse politiche e, grazie ai vari compromessi, hanno creato le condizioni per l’esplosione della più drammatica crisi finanziaria ed economica del dopoguerra. Oggi, quindi, diventa legittimo domandarsi se questi disastrosi risultati siano stati prodotti dalla Thatcher e dalle sue idee ovvero dai suoi interpreti europei e italiani un po’ mediocri e poco lungimiranti. A chi le chiedeva della sua politica, Margaret raccontava di suo padre, Alderman Alfred Roberts. Un uomo integerrimo delle Midlands, gran lavoratore che lo Stato lasciava lavorare senza soffocare (tutto il contrario di quel che accade oggi in Italia dove gli artigiani sono considerati i “nemici” del fisco e dello stato burocratico palaziale!), che si faceva il segno della croce con le stesse mani affilate con cui si dava da fare nella sua drogheria e con cui sfogliava per ore i libri della biblioteca locale. Un autentico “self made man” britannico di contea, con la passione della politica, che dopo anni di studio e lavoro era diventato predicatore laico metodista, proprietario di due drogherie e sindaco di Grantham. “Era convinto che la vita fosse una questione di carattere, e che il carattere si formi con la fatica quotidiana”, diceva di lui la figlia, Margaret Hilda Roberts. Dal padre aveva ereditato la convinzione che la vita esigesse una disciplina: “Mi ha insegnato che prima devi stabilire in cosa credere e poi devi metterlo in pratica. Nelle cose che contano il compromesso non è accettabile”. Un imperativo che Alderman seguiva in ogni sua declinazione, anche a costo di arruolarsi come volontario per combattere nella Seconda Guerra Mondiale. Grazie a Dio, sarà rifiutato dall’esercito, per via del “visus” carente. Durante il conflitto Margaret aveva lasciato la casa paterna in mattoncini rossi, dove era nata, alla volta di Oxford, dove avrebbe studiato Chimica e sarebbe finita per diventare presidente dell’Associazione dei conservatori dell’università. Nel 1945 era tornata a casa, innamorata delle materie plastiche e convinta che la politica sarebbe stata la sua strada. A Grantham, Margaret aveva accettato un lavoro nell’industria alimentare, alla J. Lyons & Co., dove testava gelati e farciture delle torte in attesa di essere candidata in una circoscrizione elettorale per il Parlamento. Le era stata data un’occasione, in una roccaforte laburista nel sud-est dell’Inghilterra, ma aveva perso. La sera in cui accettò ufficialmente l’incarico, conobbe Denis Thatcher, un ricco imprenditore che portava avanti l’azienda di vernici di famiglia. Si erano piaciuti subito, ma la scintilla del loro amore non sarà ricordata tra le più romantiche: “A lui interessavano le vernici, a me le materie plastiche”, ricorda Margaret nelle sue memorie. Da donna sposata, era andata a vivere in una bella casa di Chelsea, quartiere glamour di Londra, dove era riuscita a studiare per diventare avvocato mentre accudiva i suoi due figli, i gemelli Mark e Carole. Siamo nella metà degli Anni Cinquanta. Maggie cerca di scrollarsi di dosso l’aria da ragazza della classe media delle Midlands prendendo lezioni di dizione e lasciando la chiesa metodista per abbracciare la fede anglicana. Un guardaroba nuovo da “tory lady” e, nel 1959, l’elezione al Parlamento, grazie ai voti di Finchley, una circoscrizione piccolo-borghese con forte presenza ebraica, che lei avrebbe rappresentato fino al 1992, anno della consacrazione alla Camera dei Lord. Nel 1965 l’allora cancelliere dello Scacchiere ombra, il leader dell’alla sinistra dei conservatori Ian Macleod, aveva scelto Margaret come suo vice, aprendole una strada che l’avrebbe portata a dirigere il ministero della Pubblica istruzione, nel 1970, con il governo Heath. Deve al suo primo incarico ministeriale il nomignolo di “Maggie Thatcher, Milk Snatcher” (scippatrice del latte), per via dell’abolizione della distribuzione gratuita delle bottigliette di latte nelle scuole elementari. La crisi petrolifera del 1973 e l’ostilità dei sindacati a ogni politica voluta dal governo avevano imposto al timido governo Heath numerose umiliazioni, fino alla sconfitta netta del Febbraio 1974. Margaret Thatcher era destinata a monetizzare anche questa delusione politica: aveva capito che essere esitanti non paga e, in cerca di nuove idee, si era messa a rileggere la letteratura liberista che aveva sfiorato senza troppo entusiasmo negli anni dell’Accademia. Verso la fine del governo Heath, l’amico Sir Keith Joseph, detto “mad monk” (monaco pazzo), aveva scoperto Milton Friedman e i Chicago Boys: ne era rimasto folgorato, tanto da fondare un “think tank” che ne annunciasse il verbo antikeynesiano, il “Centre for Policy Studies”. Capito “moderati” di centrodestra italiani fintamente “conservatori”? L’ex ministro Thatcher ne era stata subito entusiasta e si era arruolata nella guerra contro il “big government”. Così, nella Primavera del 1974, era nata la nuova Destra britannica. Questa frangia mercatista, in aperta polemica con la tradizionale linea dei conservatori, era finita per apparire la sola possibilità per svecchiare un partito umiliato e confuso. E così l’impresentabile “middle-class lady” delle Midlands, con l’appoggio dell’eccentrico Sir Keith Joseph, era riuscita a conquistare la leadership dei Tory. Cinque anni dopo, nel 1979, l’outsider Margaret Thatcher vince le elezioni ed entra al Numero 10 di Downing Street come Primo Ministro della Gran Bretagna. Era arrivato il momento di mettere in pratica su scala nazionale la tanto amata “lezione” di Edmund Burke, secondo cui la politica è “filosofia in azione”. Non inutile chiacchiericcio italiota sul “da farsi senza fare” per manifesta impotenza politica, intellettuale, etica e morale, “nascosta” al Popolo sovrano sotto le mentite spoglie della difesa delle “libertà libertine” di pochi. Invece, nel Regno Unito il pensiero del nuovo Premier era chiaro e lineare, ma l’amministrazione laburista, prima di lasciare l’incarico, aveva accordato aumenti salariali ai dipendenti pubblici e i fondi andavano rastrellati in un Paese con tassi d’interesse attorno al 16 per cento e un’inflazione che prometteva di salire al 20 per cento a causa della crisi petrolifera. La “fede” della nuova Destra conservatrice, già in minoranza all’interno dell’esecutivo, doveva vedersela contro il monopolio delle industrie statali e dei sindacati. Per Margaret Thatcher la cosa non era un problema: “Pensare a quanto lavorava mio padre, sempre senza sosta, mi riempiva di disprezzo non solo per gli operai che scioperavano inutilmente, ma anche per gli impiegati e i manager statali che si alzavano dalla scrivania, spensierati, alle cinque”. Come avrebbe detto sei anni più tardi al Congresso americano, “le guerre nascono quando un aggressore ritiene di potere raggiungere i propri obiettivi a un prezzo accettabile”, e per Margaret, come per il droghiere di Grantham, il conto presentato dalle proprie convinzioni non poteva che essere sempre accettabile. Aveva dichiarato guerra all’asfittica burocrazia palaziale che stava uccidendo le imprese e gli individui, come oggi accade in Italia. Era nata la Lady di Ferro. Lo schieramento scelto dal primo governo della Thatcher per la battaglia del secolo, era in perfetta antitesi con il “credo” keynesiano, ma sconfessare il pensiero concorrente su tutta la linea non era bastato a creare posti di lavoro. Il panorama restava tormentato come la Desolazione di Smaug e il primo anno di governo vedeva già il Premier come “il capo ribelle di un governo costituito”, come diceva lei. Il suono dei tamburi dei nemici giovava quantomeno alla retorica della Lady di Ferro che non perdeva occasione per ribadire la sua linea antistatalista secondo cui “non dovremmo aspettarci che lo stato appaia come una fatina bizzarra a ogni battesimo, come un compagno loquace a ogni passo del cammino della vita e come uno sconosciuto in lutto a ogni funerale”. Il Regno Unito, sfinito dai sacrifici imposti dal governo, aveva manifestato la sua insofferenza nei sondaggi che davano la popolarità del Primo Ministro al 23 per cento, il risultato più basso mai raggiunto nella storia del Paese. Almeno finché le truppe argentine, il 2 Aprile 1982, non avevano invaso le Isole Falkland, due sassi freddi e inospitali all’inizio del mondo australe, in coda all’America del Sud. Cumuli di pietre inerti, a ottomila miglia dalla Gran Bretagna, abitati da una manciata di cittadini inglesi, di orche e pinguini, che all’improvviso si svegliarono nell’abbraccio di uno stato dittatoriale alla vigilia del 150esimo anniversario della conquista britannica. L’Italia che avrebbe fatto che qualcuno avesse conquistato Pantelleria o le Egadi il 17 Marzo 2011? “Se mettessi tutti i fattori in un computer” – aveva ammesso la Lady di Ferro – il computer mi direbbe di non farlo. Ma noi siamo gente di fede”. Dopo dieci settimane di scontri, gli argentini si erano arresi, la giunta militare di Buenos Aires era crollata e “una signora della middle class il cui accento finto gela il cuore e stordisce l’immaginazione” (secondo la definizione data da Anthony Burgess, autore di “Arancia meccanica”) si preparava a un enorme successo nelle elezioni del 1983. Il secondo mandato era stato inaugurato da un altro conflitto, con il sindacato dei minatori, guidato dal marxista Arthur Scargill. Lo sciopero, iniziato nel Marzo 1984, era concepito per decapitare la filosofia thatcheriana. Toccare l’industria mineraria, le cui perdite si moltiplicavano su scale intollerabili, era costato il governo a Heat dieci anni prima. I “compagni” di tutta Europa si erano mobilitati per sostenere a tutti i costi (anche con scioperi studenteschi) la protesta dei minatori inglesi, per cui si era attivata una rete di finanziamenti che si era allargata fino all’Afghanistan sovietico passando per la Libia di Gheddafi. Ma nel giro di un anno le ostilità erano evaporate, lasciando la strada libera alle privatizzazioni a cascata progettate dal governo britannico Thatcher: venduti porti e scali aerei, smantellato il monopolio sulle risorse con la creazione di British Telecom, British Gas, British Rail, British Coal e cosi via. Sul fronte interno, il governo doveva fare i conti anche con il terrorismo. La sera del 12 Ottobre 1984, mentre Margaret Thatcher stava ripassando il discorso che avrebbe tenuto l’indomani al congresso annuale del partito, una bomba aveva distrutto il bagno della sua suite, al Grand Hotel di Brighton. Lei, illesa, si era cambiata i vestiti e aveva scelto di attenersi all’agenda degli incontri preventivata, con una freddezza e un rigore che le avevano garantito un sostegno popolare senza precedenti. In carica per la terza volta, dopo la vittoria del 1987, la Lady di Ferro aveva iniziato ad arroccarsi sulle sue parole d’ordine, tra cui l’ostilità nei confronti della Comunità dei burocrati europei, dietro a cui vedeva le mire tedesche per riprendere il controllo sul vecchio continente! Isolata, soprattutto tra i suoi, la Thatcher si era impuntata sul dispotismo fino a togliere il ministero degli Esteri a Geoffrey Howe, alleato fedele, troppo tenero verso la futura moneta unica europea. Il 20 Novembre 1990 la Lady di Ferro, sempre più all’origine di fratture all’interno del Partito conservatore, aveva strappato la vittoria nelle elezioni per la “leadership Tory” per soli quattro voti. Due giorni dopo, a sessantacinque anni, annunciava al suo esecutivo che avrebbe rinunciato a candidarsi per il doveroso ballottaggio. Dopo undici anni, avrebbe guardato Downing Street allontanarsi dai vetri di una Daimler scura. Negli ultimi anni una serie di piccoli infarti l’avevano privata della memoria a breve termine. Margaret Thatcher non cercava il consenso perchè sapeva di avere sempre ragione. “A conviction politician”, si definiva, un Primo Ministro che aveva le idee chiare e in quella lucida chiarezza intellettuale la parola compromesso necessariamente avrebbe avuto poco senso. È così che la Thatcher ha creato una leadership e un Partito conservatore che ancora oggi sono senza eguali. Non perché fosse la leadership di una donna “figlia” delle pari opportunità. Ma perché la stessa Thatcher fu una rivoluzione naturalmente attesa e voluta dal popolo britannico: ancora oggi tra le signore della politica a contendersi il titolo di Lady di Ferro europea, con la sua eredità di tailleur, perle e ideologia, vince Angela Merkel per necessità più che per virtù. Ma quella di Margaret Thatcher fu una rivoluzione per virtù. Non fu scelta in quanto donna. Queste sono necessità dell’oggi italiota che “sposa” le diversità e le novità dettate dalla mancanza di idee e leader riconoscibili o dall’ossessione “politically correct” delle quote rosa con la loro presunta modernità e capacità. Certo, non è che l’elemento femminile non fosse stato curato: i “guru” britannici Tory le resero la voce meno stridula, i capelli meno “old fashion”, il portamento più imperioso e le insegnarono a non gesticolare, a non proferire di continuo intercalari indecenti, come fanno oggi i politicanti (quasi fossero “cloni”) in Italia, del tipo: “detto questo, detto ciò”! Ma piuttosto a usare braccia e mani per dare ritmo e forza alle sue parole sempre diverse e nuove. Ma nessuno riuscì a toccarle borsette e cappellini, così come nessuno le ha mai fatto cambiare idea sulle questioni più importanti. C’erano valori non negoziabili, nel “look” e nel pensiero della Thatcher, che l’hanno resa unica e inimitabile. Non cercava l’applauso come fanno i politici, non cercava i complimenti come fanno le donne. Nel 1980 quando tutti le chiedevano un “U-turn”, un’inversione nella sua politica economica liberale, lei rispose alla conferenza di Partito: “You turn if you want to. The lady’s not for turning”. Cioè, “certe cose le signore non le fanno, non mi volto perché qualcuno me lo chiede”. Meritata “standing ovation” di cinque minuti. La Thatcher poi se ne infischiava di tutto, delle chiacchiere soprattutto, i consiglieri le dicevano di stare attenta, con quell’atteggiamento si stava perdendo gli inglesi e gli alleati conservatori, ma lei non faceva una piega e rispondeva: “Dicano quello che vogliono, basta che facciano quello che dico io”. Lo “Spectator”, storico magazine conservatore che sostenne la Thatcher fin da subito, ha ripubblicato l’editoriale firmato da Patrick Cosgrave il 23 Gennaio del 1975. “È davvero una buona idea eleggere una donna – scriveva il direttore del magazine, meglio noto come “The Makon”, il mostriciattolo verde contro cui si batte l’eroe dei fumetti Dan Dare – può una donna vincere queste elezioni? Non ha esperienza in ruoli importanti, è una dura ma si sgretola facilmente, è troppo ‘Dresden-like’. Non sembra nemmeno eccezionale, ma tanto non lo è nessuno”. È chiaro che la Thatcher non si era ancora mostrata per quella che era, nessuno si sarebbe sognato, qualche anno dopo, di dire che era una donna facile da piegare: allora portava ancora addosso le ferite delle sconfitte – la prima, soprattutto, quella che non si scorda mai, quella per il seggio da parlamentare a Dartmouth, iniziata con gli uomini che fingevano di ascoltarla e la liquidivano rapidi: cosa fai, parli pure? Va’ di là con le signore. La prima sconfitta fu quella però che le fece conoscere Denis, il marito sposato nel 1951, il padre fedele, l’uomo che l’accompagnava dappertutto, la consigliava e la criticava. L’uomo che l’ha tenuta con i piedi per terra, la sua fortuna. “Iron Lady”, il film in cui la Thatcher è interpretata da una Meryl Streep da Oscar, è la storia di questo matrimonio intrecciato con la politica britannica degli undici anni e mezzo a Downing Street. Nel film la Thatcher è ormai anziana. Denis è morto (scomparso nel 2003, dopo 52 anni di matrimonio) ma lei gli prepara l’uovo alla coque la mattina, sfugge alle badanti ed esce a comprargli il “Times”, scopre che il latte è aumentato di molto, torna e gli dice, con rammarico, che lei una volta li conosceva tutti, i prezzi. Anzi, era la sua forza. Lui annuisce, iniziano i “flashback”, tutto il mondo visto con gli occhi lucidi di una signora anziana che non sa accettare che suo marito non c’è più. Margaret sa però che, se non vuole fare la figura della vecchietta depressa, deve cacciare Denis: i suoi vestiti vanno buttati, la sua radio spenta, il suo uovo lasciato in frigo. Quando finalmente Margaret decide che l’ora della separazione è arrivata, ci ripensa, gli dice di non andare via: “ti ho detto di non andare via, non ancora”, tirando fuori la voce del comando: “non voglio stare da sola”, ammette. Lui si volta soltanto un attimo: “Non ti preoccupare, amore, starai bene da sola. Ci sei sempre stata”. Non è sempre stata sola, nella sua rivoluzione, la Thatcher. È sua l’economia britannica che faticosamente si è ripresa per regalare ai Laburisti negli Anni ‘90 quel benessere che ha determinato l’altra “rivoluzione” blairiana. Senza la Thatcher non ci sarebbe stata la sinistra progressista inglese, non ci sarebbe stato un politico furbo e cinico come Peter Mandelson, architetto della vittoria di Tony Blair, a dire nel 2001: “Siamo tutti thatcheriani, ora”. Chi avrebbe osato proferire tanto in Italia, in un altro universo senza la crisi e i suicidi? Non è sempre stata sola, la Thatcher. È sempre stata convinta, al costo di far disperare la sua famiglia e di perdere il consenso interno al suo Partito: tutte le storie di successo finiscono sempre con il tradimento di chi ti è più vicino. I consigli dei ministri, raccontano, erano diventati dei campi di battaglia. Lei chiedeva obbedienza e gli altri le riservavano battutine poi consacrate dalla pungente satira “british” tanto cara al nostro magico Crozza. Hanno vinto loro, ma solo dopo averci provato tante volte. Con lo sguardo fiero e il viso mai triste, nel 1990 la Thatcher lasciò Downing Street. I Conservatori oggi, in pieno compromesso con i liberali libertari, non sanno che farsene dell’eredità della Thatcher: se la rivendicano e la rifuggono, perché s’affidano più al consenso del presente che alle idee, per assicurare il futuro dei giovani inglesi in una Europa unita degli Stati e fondata più sulla Politica che sulla finanza di una moneta, bisognerà “scongelare” la Dottrina della Thatcher per farne una Politica autenticamente europea. Lei avrebbe voluto combattere ancora, non ha mai perdonato il tradimento dei suoi, né poteva accettare la condanna finale, quella che manda in frantumi in un colpo solo i tomi sulle donne che vogliono avere tutto, carriera, famiglia, popolarità e compagnia: “La casa è dove torni quando non hai niente di meglio da fare”, diceva Margaret. Si oppose con ogni mezzo all’Europa dei banchieri, battendosi contro la moneta unica e il processo di integrazione. Si dichiarò contraria al Trattato di Maastricht, dicendo che non l’avrebbe mai firmato. Celebre rimase una sua frase pronunciata il 30 Ottobre 1990 alla Camera dei Comuni: “Il Presidente della Commissione, Mister Delors, ha detto in una conferenza stampa l’altro giorno che vorrebbe che il Parlamento europeo fosse il corpo democratico della Comunità, ha voluto che la Commissione sia l’esecutivo e vorrebbe che il Consiglio dei ministri fosse il Senato. No! No! No!”. Questa famosa dichiarazione, sulla riunione del Consiglio europeo a Roma, originariamente pensato per discutere l’Uruguay Round sull’accordo generale riguardo alle tariffe doganali e sul commercio, è rimasta fraintesa per troppo tempo. Scelsero di parlare delle basi per l’Unione monetaria europea e il meccanismo di cambio. La Thatcher espresse la sua opinione abbastanza chiaramente. A ragione, vista la crisi economica e i suicidi in Italia. Senza l’Europa politica si muore tutti! Grazie, Margaret! Che ha contribuito a ringiovanire l’economia della Gran Bretagna diventata una delle più grandi potenze economiche con Stati Uniti e Giappone. Per i suoi detrattori, invece, la Thatcher attuò solo una spietata macelleria sociale, aumentando le diseguaglianze e colpendo soprattutto i più poveri. La Lady di Ferro sicuramente lasciò sul campo una lunga scia di problemi sociali che i suoi avversari seppero alimentare spietatamente, ma permise al Regno Unito di modernizzarsi. Privatizzò la British Airways, il colosso energetico della British Gas, la principale azienda di telecomunicazioni, la British Telecommunication, e la British Steel, la più importante industria produttrice di acciaio. Le riforme della Lady di Ferro consentirono al governo laburista di Tony Blair di far crescere il Regno Unito, molto di più dei Paesi del Vecchio Continente. Più tardi, pur continuando a tenere a distanza i laburisti, avversari per tutta la sua lunga vita politica, elogiò senza esitazioni il loro giovane leader riformista Tony Blair. Il declino della Lady di Ferro ebbe inizio nel 1989 mentre cominciava a crollare il mondo comunista. La caduta di Margaret fu “merito” di Margaret. Solo lei poteva cadere in quel modo. Avvenne dopo uno sciopero a cui parteciparono più di 18 milioni di persone e, nel Novembre 1990, alle elezioni per la carica di leader del Partito Conservatore, a sorpresa la Thatcher non raggiunse la maggioranza richiesta. Preso atto dell’amara sconfitta, lasciò Downing Street. Certo ora è facile spargere lacrime per rimpiangerla. Quanti finti “conservatori moderati”! Ma se fosse stata qui in Italia, l’avrebbero spedita a morire su Marte. Chi fosse e che cosa fosse la sua Politica, solo in pochissimi l’hanno capita. I quattro gatti “liberali moderati” italioti l’hanno capita? Non lo crediamo affatto. Ci fosse stata una Thatcher, fosse per caso comparsa sul territorio nazionale, come ammesso da ben più illustri colleghi, le avrebbero fatto le scarpette! Altro che “fare la fine di Bettino Craxi”! Dagli appunti privati del leader socialista italiano, emerge quanto scrisse sulla Lady di Ferro: “Ha restituito vitalità e prospettiva a un’economia che languiva e a un Paese un po’ opacizzato, conservatore e nazionalista”. In Italia il novantanove per cento dei “conservatori” celebra la Thatcher solo per retorica, per convenzione: in realtà la maggior parte non l’ha mai capita. Sapeva sfidare l’opposizione per imporre le sue idee. Aveva operato una scelta politica precisa, con un suo prezzo, per riscattare un’economia morta. E la resuscitò. I sindacati proteggano i lavoratori, ma le Trade Union erano ormai un ostacolo allo sviluppo dell’economia. E quando si arriva a questo punto ci vuole qualcuno che dica: la ricreazione è finita, ora dobbiamo salvare l’economia. In Italia le cose non funzionano esattamente allo stesso modo. Per una ragione semplice e storica: non siamo britannici. Non abbiamo fatto nascere il Partito conservatore, il liberalismo puro, attraverso le “guerre” di religione. Neppure dopo tutto il sangue versato! È da lì che Hobbes, Locke e tutto il pensiero liberale si è sviluppato: dal coraggioso confronto di posizioni antitetiche. Non dall’inciucio che nessuno condanna. La Thatcher ha trasferito quelle idee sul piano politico, senza paura di spaccare il Paese. In una Democrazia vera, dividersi è fondamentale. Dividersi. Non frammentarsi, non disintegrarsi. Dividersi in due Partiti. Quanto basta per rappresentare e governare pienamente per il popolo, con il popolo e dal popolo. In Italia non abbiamo mai avuto neanche una riforma degna di questo futuro democratico. Solo una controriforma. Da noi attaccavano Craxi che era molto meno riformista della Thatcher. Da noi fare riforme, anche di sinistra, è impossibile: siamo un Paese legato alle corporazioni, alle massonerie, alle consorterie: tutta gente che non vuole le riforme alla Thatcher. È una tragedia nazionale! Certo, se Dio ci facesse dono di un Premier come lei, tutti le farebbero la guerra e la farebbero morire, dopo averla criticata in ogni modo, perché dicevano che era di Destra. In Italia, appena uno è liberale gli dicono che è di destra. Ma non è così. Il liberalismo in Italia non è mai arrivato, semmai travestito da libertinaggio, nel senso che non è mai arrivata la cultura liberale: solo una via di mezzo fra solidarismo cattolico e collettivismo marxista. Un orribile pasticcio italiota che sta suicidando una nazione intera. Anche a Blair è stato rinfacciato di essere un erede della Thatcher, senza però stracciargli le vesti. Non si è mai persa questa ostilità, residuato bellico e ideologico post-comunista. Ma in Gran Bretagna è stato possibile che al potere salisse un uomo come Blair, un riformista laburista. Uno che ha capito che il Paese doveva svegliarsi. In Italia siamo alla frutta macedonia. Alla Thatcher non si perdona la guerra delle Falkland?
Ma quella fu una guerra della grande tradizione imperiale britannica che in Italia neppure potremmo lontanamente concepire se non travestita nei panni della guerra “umanitaria” da un miliardo di euro l’anno (Libia, Irak, Afghanistan ed altrove). Il colonialismo inglese ha portato nel mondo la sua cultura politica liberale. In America e in India. La guerra delle Falkland è stata una manifestazione di questa idea, peraltro dopo l’invasione argentina. Tutta la cultura politica nazionale italiana non è concepita per capire ed attuare la Thatcher: per lei la Politica era competizione, conflitto, che poi “è il modo – diceva Einaudi – in cui avviene il progresso in democrazia”. Da noi, invece, si tirano fuori subito altre parole: dialogo, inciucio, compromesso, large intese, senza soluzione di continuità. E si lascia morire tutto e tutti così sa sempre. Perché è impossibile smacchiare il gattopardo! Mentre gli imprenditori e i disoccupati si tolgono la vita. Nessuno oggi in Italia vuol capire per davvero la Thatcher. Forse, a parte i “quattro gatti liberali” che però non vogliono fondare il Partito conservatore. Per restituire dignità al Partito democratico e per governare nella democrazia dell’alternanza. Il Pci e tutta la generalità degli intellettuali si opponevano alla Lady di Ferro. Del resto la nostra è la peggiore “intellighenzia” della Terra, incolta, ideologica, non empirica, che guarda non ai fatti, ma alle nuvole, mentre i giovani (il futuro) fuggono per sempre all’estero. Per fondare il Partito conservatore in Italia, bisogna gettare alle ortiche i giornali pieni di retorica colta e conformista. Perché dei riformisti si fa l’elogio da morti. Ma da vivi li si vuole morti! Defunti come gli operai con le cui budella, si predicava un tempo nel Belpaese, si sarebbero strozzati i padroni. Altro che Assemblea Costituente! Quando nel 1979 i britannici scelsero Margaret Thatcher, l’Unione Sovietica iniziava la sua occupazione dell’Afghanistan, sempre per i soliti motivi. La Fiat licenziava 61 operai per violenze in fabbrica e i sindacati confederali proclamavano uno sciopero di protesta. Khomeini cacciava, nel consenso generale, lo Scià di Persia. In Italia scoppiavano gli scandali dell’Eni Petromin e Mario Tanassi si faceva quattro mesi in galera. La chimica privata dei Rovelli e dei Monti saltava. A Milano veniva ucciso Giorgio Ambrosoli. Quando muore una grande personalità si cerca sempre di dimostrare l’attualità del suo pensiero e delle sue gesta. Oggi la Dottrina Thatcher è più che mai ancora attuale. Mancano i “leader” conservatori in Italia. Se c’è una grande Lezione che ancora non abbiamo imparato e da cui discende gran parte della politica della Lady di Ferro è il cosiddetto “individualismo metodologico” che rifiuta l’inciucio. È una cosa seria per la sopravvivenza degli Italiani. Non dei partiti. Non della burocrazia palaziale. Da abbattere senza se e senza ma. Per salvare le imprese, il lavoro e il futuro dei giovani e dei nascituri italiani. “Non esiste una cosa come la società. La vita è un arazzo di uomini e donne, la gente e la bellezza di questo arazzo e la qualità della nostra vita dipendono da quanta responsabilità ognuno di noi è disposto ad assumersi su noi stessi e quanto ognuno di noi è pronto a voltarsi e aiutare con i nostri sforzi coloro che sono sfortunati”. Questa è Margaret Thatcher. Non esistono i sindacati, non esiste la politica, non esiste la società. Ci sono gli individui, che alimentano questi “universali” capisaldi. È la forza del pensiero politico liberale. Lo Stato è necessario, ma attenzione a divinizzarlo. Diceva la Lady di Ferro: “Chi scala l’Everest lo fa per suo sommo ed egoistico piacere ed orgoglio, anche se arrivato in cima è la bandiera inglese che issa”. Rispetto degli individui e del senso dello Stato, ma senza idolatria. Le sue epiche e coraggiose battaglie contro i sindacati dei minatori sono solo la più eclatante testimonianza di questo modo di pensare e agire, che in Italia ancora oggi è inconcepibile. Mentre perdiamo la nostra indipendenza e la nostra libertà che il 25 Aprile 2013 celebriamo nella retorica! Patriottica o patriottarda? La Thatcher incarnava il bene supremo del suo popolo in contrapposizione alle organizzazioni sclerotizzate che presumevano di rappresentarlo. Il futuro Partito conservatore dovrà sbarazzarsi dell’incredibile peso che continua ad avere in Italia il cosiddetto “metodo concertativo”, per intendere e rappresentare nelle Istituzioni e nella vita pubblica territoriale la portata della Rrivoluzione liberale che è del tutto mancata nel Belpaese negli ultimi 20 anni. “È per il sano interesse del macellaio che la vostra fettina di carne fresca è di buona qualità”, afferma Smith che, più o meno, la pensava come la Thatcher. In Italia, invece, siamo ancora alla rincorsa di concetti alti e ben portati che poi alla fine nascondono il nulla, il suicidio di massa degno della fortezza di Masada. Hayek ebbe il coraggio di raccontare il “miraggio della giustizia sociale”. La Lady di Ferro passerà alla storia per la forza di averne fatto una pratica politica, una Dottrina. Quando nel 1990 gli “inglesi” decisero di sfiduciare la Thatcher, una parte del mondo era cambiata grazie a lei e Ronald Reagan. Certo l’Europa aveva guardato da un’altra parte, in attesa. Pochi mesi dopo l’elezione della coppia liberale, i francesi pensarono bene di scegliere il primo presidente della Repubblica socialista, Mitterrand. L’Unione Sovietica, l’impero del male era stato sconfitto. Era rinata la santa Madre Russia ortodossa, la Terza Roma, che oggi difende il Cristianesimo e la Famiglia Naturale fondata sul Matrimonio di un uomo e di una donna. Gli americani avevano lanciato l’operazione “Tempesta nel deserto” in risposta all’occupazione irachena di Saddam Hussein del Kuwait. La piccola Lira era rientrata, per un soffio, nello Sme e il presidente della Bundesbank, Karl Otto Poehl, proponeva, pensando all’Italia, l’Europa monetaria a due velocità. Ci offendemmo e definimmo il governatore “l’ultima espressione del militarismo prussiano”. Ci furono i Mondiali di calico vinti dalla Germania in Italia. E la chimica passò dai Gardini-Ferruzzi all’Eni. Occhetto mollò il Pci per il Pds, nelle università arrivò la Pantera e dal Quirinale Cossiga iniziò a picconare. Un’operazione mai compiuta fino in fondo. La Lady di Ferro proclamò il suo triplo No a quella “Europa dei burocrati”, della moneta unica senza politica. Un No a subordinare le scelte nazionali a quelle di funzionari europei non eletti dal popolo. Un No a Maastricht ed alla costruzione dell’euro senza futuro. Difficile non trovare qualche spunto di attualità negli argomenti della grande Signora Thatcher di 23 anni fa. La figlia del droghiere, diventata Baronessa, smontò l’euromoneta con lucidità. Dal femminismo all’ambientalismo, dal anticomunismo all’antifascismo. È stata straordinaria non tanto per quello che ha fatto, ma per il coraggio di dire ciò che non andava detto. Un coraggio assente in Italia. Nelle librerie di sinistra, a Whitechapel, al mercatino di Brixton, vendevano il poster copiato da “Via col Vento”: Reagan era Rett Butler e teneva in braccio la Thatcher-Rossella O’Hara: sullo sfondo non bruciava Atlanta come nel kolossal di Hollywood, bruciava la Gran Bretagna. Come oggi brucia l’Italia. Gli intellettuali progressisti non capirono mai né il Presidente americano né la Primo Ministro britannico, l’unica donna al Numero 10 di Downing Street nella storia ad aver incantato i musei con i libri, le statue di cera, i dischi, i film, le opere teatrali, i quadri dedicati alla Baroness Thatcher. Nessun politico italiano, tranne Giulio Andreotti, ha mai ottenuto tanto. Il regista Ken Loach e il drammaturgo Pinter caricano la propria opera di animosità contro la signora che il principe Filippo definiva “la figlia del droghiere”. Aristocratici e intellettuali detestavano insieme le virtù borghesi della futura Baroness “prim”: rigida, inflessibile, composta con la borsetta in grembo. Una “band” culto del rock, i Clash, vivono la musica antagonizzando la Thatcher. Lo storico album “Sandinista” è la romantica ballata contro le sue riforme. Il cantante francese Sechan la voleva “ghigliottinare”. I metallari Iron Maiden la ritraggono cadavere in una copertina all’epoca degli LP. I Full Monty si spogliano contro Thatcher e contro di lei sciopera nel 1984, insieme agli altri minatori, il papà di Billy Elliot, nel film del 2000 di Stephen Daldry, poi diventato musical. Il ragazzino Billy Elliot non vuole altro che danzare, non si emoziona ai riti ruvidi della classe operaia, non si scalda ai picchetti degli scioperanti: vuole solo ballare, fuori dalla massa, un individuo, singolo. Così, paradossalmente, Billy Elliot diventa, l’inno al sogno di Margaret Thatcher, un mondo non più composto da masse, ma da persone, individui, dove lo Stato non conta tutto e l’individuo ogni cosa. Fino alle degenerazioni etiche e morali anti-giuridiche nella Gran Bretagna del XXI. Quel che Bersani, Renzi e compagni sindacalisti, unitamente ai professori dei mancati “colleges” italiani non sanno vedere, è che l’economia post-industriale va nella direzione intravista da Reagan e Thatcher: gli elettori non votano più come masse indistinte ma come persone collegate alla Rete, che si adattano, presto, al nuovo corso. Il miglior omaggio alla Thatcher viene oggi da sconosciuti nuovi giovani veri futuri leader che cambiano la cultura degli avversari, “egemonia” secondo la geniale definizione di Gramsci: ex ragazzi delle librerie underground che neppure possono neppure immaginare dove porterà in Italia la loro “rivoluzione” purchè illuminata dal timore di DIO. Come Clinton che pentito del suo “tradimento” coniugale e dal suo spergiuro pubblico, non muterà la strada di Reagan, così Tony Blair si guarda bene dal ribaltare la strategia della Thatcher per garantisce il record di governo al Partito laburista. Perché la Thatcher le suona a tutti in Europa e nel mondo: anche alla cultura conservatrice. “Io non faccio marcia indietro”, dice la Lady di Ferro gelida a chi, nel Partito, la invita a moderare toni e fare compromessi. Capito? Girata pagina in America e Gran Bretagna, l’opposizione potrà temperare gli eccessi e ridistribuire ricchezza: in Italia, in Europa, è mancata questa alternanza vera, nessuno ha il coraggio di impopolari riforme radicali, non cresciamo da una generazione e siamo sul viale del tramonto giuridico e religioso. I sovietici, su un giornale popolare, la insultarono come Lady di Ferro. Lei ne fece il suo nome di battaglia, innescando la caduta della dittatura militare a Buenos Aires, riconquistando il Regno Unito, compresa solo da pochi intellettuali, a sinistra: il saggista Christopher Hitchens a Londra e l’economista Federico Caffè in Italia. Che occorra battersi contro la prepotenza dei tiranni è lezione che lei stessa illustra nel 1990 a un esitante Presidente Bush padre, prima della “fase uno” nella Guerra nel Golfo. È sempre lei ad aprire a Gorbaciov, “possiamo fare affari”, chiudendo la Guerra Fredda, ammutolendo i critici di ieri e di oggi: i nipotini dei nonni che ascoltavano i Clash e avevano il poster con “Thatcher Dracula” sul letto le hanno affibbiato su Twitter assurde responsabilità per la crisi finanziaria 2008 e la disoccupazione dilagante in Europa! Furono però Clinton e Rubin, due democratici, a cancellare il Glass Steagall Act del 1932, il grande freno alla corsa delle banche. Non la Thatcher. Ma chi potrà mai vincere oggi la cultura dei vari Boy George, Pink Floy e Iron Maiden? Lady Thatcher l’ha fatto, a Londra, nel mondo, in politica e cultura. Quando la Netwon Compton la invitò in Italia per la traduzione delle sue memorie, disse appena sottovoce: “È molto bello parlare di libertà qui con voi in Italia, perché non appena libererete la vostra economia dalla burocrazia e dai sussidi nessuno saprà competere in Europa con il vostro talento”. Nel film “The Iron Lady” del 2011, diretto da Phyllida Lloyd, il tutto è visto attraverso gli occhi della donna che, ormai ottantenne, vive con nostalgia i momenti del suo passato, specie quelli trascorsi al fianco del marito Denis. Nonostante passato e presente si fondino nella sua testa in maniera inestricabile, Margaret non cede alle preoccupazioni della figlia e dei suoi collaboratori, consapevole del fatto che, nonostante l’importanza degli eventi trascorsi, anche la sua vita presente rimane degna di essere vissuta fino in fondo. Margaret Thatcher “terrorizzava” gli inglesi che rispettano coloro di cui hanno paura. Ma il “terrore” su base legale, in uno stato di diritto non dittatoriale, può essere un sentimento eccitante. Il film su un’epoca sepolta, gli Anni Ottanta, celebra una donna che ha cambiato tutto. Il Regno Unito ha imparato a lavorare, a guadagnare, a mangiare, a viaggiare, a guardare all’Europa come dovrebbe fare oggi l’Italia. Londra era un musical con tante comparse: Eastenders, rampolli reali, yuppies, vecchi cronisti, pacifisti, pachistani, punk per puristi, punk per turisti e una sola protagonista: Maggie. È cambiato tutto per merito suo. Anche se ormai non abita più qui su questa povera Terra. È stato scritto e detto molto sull’eredità politica, economica, finanziaria, strategica e filosofica di Margaret Hilda Roberts Thatcher. Meno sul cambiamento antropologico che ha attivato. Fino agli Anni Ottanta, “money” era una parolaccia in Gran Bretagna. La ricchezza si doveva intuire, non vedere. Avere, non conquistare. Usare, non sfoggiare. Da 23 anni gli inglesi parlano di soldi più dei brianzoli. Fanno pagare tutto a tutti, possibilmente in anticipo. Ma hanno conquistato i mercati, anche su Internet. Qualcuno sostiene che questo è declino etico. Dipende. Per altri è soltanto cambiamento: “The great transformer”, titola il Financial Times. È così. Gli Anni Ottanta sono stati per il Regno Unito gli anni di Margaret Thatcher, come gli anni Sessanta furono gli anni dei Beatles. La signora di Grantham, come i giovanotti di Liverpool, ha segnato la storia britannica ed europea in modo indelebile. Nessuno potrà mai dimenticarla. E chi lo farà se ne assumerà pienamente le responsabilità. Anche qui in Italia tra i cosiddetti “conservatori moderati per mancanza di idee” in salsa italiota. Margaret Thatcher ha lasciato Downing Street nel 1990. Chi ricorda la “fine” dei nostri primi ministri? La scia della Thatcher è più lunga. Continua con John Major, il suo figlioccio politico, e Tony Blair, il suo ectoplasma ideologico. Ma l’azione del laburista è stata di pura cosmesi. Quella di Maggie, invece, chirurgica e genetica. Margaret Thatcher, a differenza di Silvio Berlusconi, aveva la capacità di far perdere il senno agli avversari ed ai colleghi di partito. A differenza di Berlusconi, aveva una vita privata regolare, una parola sola, una famiglia sola, il coraggio di prendere decisioni impopolari, idee originali, rispetto per le Istituzioni, una coerenza che sconfinava nella cocciutaggine. Mai nessun attacco ai giudici. Mai appellativi aggressivi ai poteri ed ai funzionari dello Stato. Il totale dei soprannomi in uso contro di lei, invece, secondo un calcolo approssimativo, sono ventitré. Una donna che lascia il segno. Dopo sei anni di Harold Wilson non c’era il wilsonismo, ma solo più di confusion. Dopo quattro anni di Edward Heath nessuno parlava di heathismo, ma dell’ultimo tentativo di un governo conservatore di puntellare un Paese decadente. Dopo tre mesi di Margaret Thatcher si era già insediato il Thatcherismo che le sopravvive ancora oggi, senza di lei, checchè manifestino sconcerto i suoi detrattori. Maggie è diventato ormai un Prodotto Conservatore da esportazione, buono non soltanto per gli arabeschi dei commentatori stranieri, ma per chi vuol salvare l’Italia dall’apocalisse di una guerra civile senza fine. A Londra la Thatcher è già un prodotto tradizionale, pronto ad essere confezionato per turisti e musei in tutte le salse. Nessuno batte gli inglesi, fin dai tempi della battaglia di Trafalgar, nel marketing della propria storia gloriosa. Soltanto Margaret Thatcher ha avuto il coraggio di dire alla nazione quello cui mai alcun primo ministro aveva osato accennare. Innanzitutto, che la Gran Bretagna aveva vinto la seconda guerra mondiale, ma era come se l’avesse perduta. Come l’Italia. Nel 1945, povera e stremata, aveva smesso di essere una grande Potenza. A quel tempo doveva diventare qualcos’altro. Con i suoi metodi da educatrice magica, la signora Thatcher ha costretto il Paese a guardare in faccia la realtà. Inconcepibile nel Belpaese. La signora ha insegnato ai sudditi di Sua Maestà che non è vergognoso, per uno dei più grandi imperi della storia, competere con la Corea del Sud. Che, per un operaio, volersi comprare la casa non è un’infamia borghese, ma una scelta di buon senso. Che aver battuto i nazi-fascisti (operazione soltanto retorica in Italia) per venir poi sconfitti dai sindacati non è soltanto folle, ma ridicolo. Ecco perché oggi Roma, fondata secondo la tradizione il 21 Aprile del 753 a.C. da Romolo che tracciò sul Palatino il “solco sacro” con cui definiva la futura Urbe, è quello che è sotto gli occhi di tutti. Mentre Londra è una città diventata adulta: il merito è anche della Thatcher. Non di Mary Poppins. Ma di una Leader che non ballava, ma incedeva: non cantava, ma proclamava e, soprattutto, quello che diceva, caso raro in politica, era sempre ciò che credeva. Non svolazzava con un ombrello che avrebbe usato per convincere gli avversari della bontà delle proprie idee. I Laburisti ci misero un po’ a capire che la signora non si accontentava di sconfiggerli a ripetizione, ma intendeva istruirli. I Conservatori non si capacitavano di aver scelto come Leader un personaggio del genere, e invocavano Disraeli e la sua visione di una “società caritatevole”. I giovani britannici, in maggioranza a sinistra, la odiavano come una “orrenda donna” che oggi ha permesso loro di essere i protagonisti del mondo. Non era orrenda. Era la “tromba” del giudizio politico mai suonata in Italia per gli italiani “sentinelle” dell’Europa. Ma suonata nelle orecchie di una nazione gemella, figlia dei Cesari, come la Gran Bretagna che dormiva da troppi anni. E chi viene svegliato in questo modo non è mai riconoscente. Ma, a distanza di tempo, non ci possono essere più dubbi tra i nipotini di quei detrattori: la “tromba” di Maggie Thatcher suonerà ancora per la Pace nel mondo che è più libero e prospero anche grazie a lei. La filastrocca è nota. Se gli inglesi non fossero ghiotti di “chicken breast”, Anthony Fisher non avrebbe fatto i soldi. Se non avesse fatto i soldi, non avrebbe potuto fondare l’Institute of Economic Affairs. Senza il quale, Arthur Seldon e Ralph Harris non avrebbero organizzato i seminari regolarmente frequentati, negli Anni Settanta, da Margaret Thatcher, giovane e promettente leader di un disastrato Partito conservatore. Senza i valori, i princìpi e le idee di libero mercato che lì venivano predicati, forse la Thatcher non sarebbe mai stata né la Signora di Ferro né la più grande rivoluzionaria conservatrice di tutti i tempi che arriva a Downing Street come un ciclone. Il Regno Unito, all’inizio degli Anni Ottanta, era il malato come l’Italia di oggi. Un Paese dove, diceva lei, le imprese private erano controllate dal settore pubblico e quelle pubbliche da nessuno. Un Paese dove tutto il dibattito girava attorno a quali scelte dovessero essere compiute per pianificare bene. Un Paese dove la Destra conservatrice non voleva smontare l’infernale macchina statale: chiedeva la fiducia degli elettori per mettere “the good chaps” nella cabina di regia. In questo Paese disastrato come l’Italia del 2013, la Thatcher porta l’ingenuità, la freschezza e la determinazione di chi oppone un gentile ma fermo “thanks, but no thanks”. Lei opera il “miracolo” e scrive una delle pagine più importanti ed epiche d’Europa. L’idea che lo Stato potesse essere sostituito dai privati, il monopolio dalla competizione, pura “eresia” ancora oggi nell’Italia del (post?) ventennio berlusconiano, prima di lei era peggio che politicamente impossibile. Appariva il vezzo intellettualoide di individui isolati e strani. In Gran Bretagna, quelle idee non camminavano su solide gambe filosofiche, come negli Stati Uniti dei Chicago boys. Nel Regno Unito la fiaccola della libertà economica la custodiva un gruppo di economisti “austriaci” ancora più lontani dall’ortodossia: Michael Beesley, Stephen Littlechild, Colin Robinson, Eileen Marshall, George Yarrow, Ian Byatt e gli altri artefici della “deregulation” erano tutti figli di Hayek. Il quale aveva ricevuto il Nobel nel 1974 ma l’aveva avuto da “outsider” geniale. Dunque, l’Accademia remava contro la Thatcher. Nel Marzo 1981 alcune centinaia tra i più prestigiosi economisti britannici firmarono un manifesto anti-Thatcher. La risposta migliore sta nel titolo di un libro pubblicato 25 anni dopo da Philip Booth:“I 364 economisti avevano tutti torto?”. Un altro economista inglese, Dieter Helm, scrive: “Prese la preferenza per le soluzioni di mercato da Friedman; una visione più tollerante del monopolio da Schumpeter, secondo cui i profitti di monopolio avrebbero fornito gli incentivi agli imprenditori ed erano tipicamente transitori; e il desiderio di una forte cornice per i diritti di proprietà da Hayek. Queste visioni vennero rafforzate da un approccio molto più critico ai fallimenti del governo e i costi della regolamentazione, che in ultima analisi derivava da Popper, e furono molto influenzate dal lavoro di Mises sull’informazione”. La Thatcher politica eclettica si lascia convincere da alcuni economisti eccentrici e trasforma il loro pensiero in una piattaforma politica. Contro ogni logica, lei vince. La vittoria sta tutta nei numeri, testimonianza viva del perché oggi i veri Conservatori non possono non dirsi “Thatcheriani”, e nello choc lessicale e politico di “una rivoluzione in attesa di scatenarsi – come la descrive Helm – improvvisamente, un istituto di nicchia che produceva paper interessanti divenne il mainstream”. Insomma, per dirla con un’espressione cara ai “guru”, la Thatcher prese la fantascienza e la trasformò in normalità quotidiana. Politicamente, coniò delle parole nuove: privatizzazioni, deregolamentazione, concorrenza. Cambiò l’economia, il ruolo dello Stato, il modo di pensare e comportarsi di tutti. La libertà di scelta divenne ovvia. Uno Stato onnipotente, che nel 1980 spendeva il 47 per cento del Pil, dimagrì fino al 39 per cento. I sindacati persero 5 milioni di iscritti su 13. L’aliquota marginale dell’imposta sul reddito, che nel 1979 era dell’80 per cento, nell’arco del decennio arrivò al 40 per cento. Quella più bassa, scese dal 33 al 25 per cento. La conseguente espansione economica, dovuta alla filosofia offertista del cancelliere dello Scacchiere, prese il suo nome: “Lawson Boom”. In Italia chi avrebbero potuto fare tanto? Oggi le riforme della Thatcher definiscono l’identità della Gran Bretagna. Tony Blair le ha reso omaggio, come Bersani ha fatto con alcuni illustri sconosciuti: “La Gran Bretagna aveva bisogno di quelle riforme. Una conseguenza non dell’ideologia ma del cambiamento economico e sociale”. Per paradosso, la più euroscettica dei Leader ha pure istruito all’Unione Europea il modello di Stato regolatore federale che, con tutte le sue approssimazioni, è lo strumento della nostra integrazione economica, fiscale e politica. Grazie Maggie! Quante cose ha fatto, questa grande donna orgogliosa. Quale tempesta ha scatenato contro i burocrati al di là della Manica perchè potesse sorgere finalmente una Europa nuova. Gli Stati Uniti d’Europa. Prima di vincere tre Oscar e di calarsi nel ruolo di un grandioso Abraham Lincoln, il celebre attore britannico Daniel Day-Lewis si aggirava con la cresta bionda da punk e il giubbotto a scacchi in “My Beautiful Laundrette” di Stephen Frears. Non aveva un lavoro, né fisso né saltuario: viveva di sussidi, in una casa fatiscente; lo sfrattavano scaraventandogli il materasso e le suppellettili giù dalla finestra. Pochi isolati più in là, l’immigrato pachistano Omar inaugurava la sua lavanderia a gettone. Felice e soddisfatto della piccola impresa, pronto a seguire le ricette liberiste di Margaret Thatcher e a votarla! Nel film che nel 1985 segna la rinascita del cinema britannico, liquidato qualche anno prima dal regista François Truffaut come “una contraddizione in termini”, il gioco delle parti non è quello che ci si aspetta: gli immigrati faticano e guadagnano, gli inglesi rimpiangono le sicurezze del welfare. Basta per sopportare tutti i film e i romanzi anti-Thatcher a venire, frutto di una lunga stagione europea e mondiale dove la “figlia del droghiere” diventata Premier è ritratta come il diavolo che mette in ginocchio i minatori, bombarda gli argentini e toglie il latte mattutino ai bambini delle scuole. Come professavano i “figli di papà”, cioè gli attuali “conservatori berlusconiani” in giacca e cravatta, oggi in Parlamento senza meriti politici, che nei licei degli Anni Ottanta sfoggiavano le loro vesti di “sinistra fascista” in assurdi vituperi contro la Thatcher che valevano uno “sciopero” di classe! Non si può neppure dare la colpa a uno sceneggiatore con simpatie thatcheriane: Hanif Kureishi, anglo-pachistano, aveva capito l’andazzo meglio degli altri, accecati dalla rabbia e felici di aver trovato un nemico da mettere alla berlina. Ultima tappa, “The Iron Lady” di Phillyda Lloyd: una “character assassination” che insiste sull’Alzheimer e inquadra la Thatcher mentre sciacqua le tazzine! Punita, sbeffeggiata, messa in ridicolo dagli europei. Ma resiste e compare dappertutto. Nel romanzo di Jonathan Coe “La famiglia Winshaw” dove le malefatte di un nucleo familiare conservatore che distrugge la buona tv, si arricchisce con allevamenti intensivi, intrallazzi politici e finanziari. Nel romanzo di Philip Hensher “Kitchen Venom” dove la Lady di Ferro viene descritta così: “Sembrava che a ogni passo dovesse spegnere un mozzicone di sigaretta. Camminava come chi è convinto di avere sempre ragione”. Mentre Martin Amis metteva mano a “Money”, romanzo che considera la ricchezza il male del mondo, il padre Kingsley Amis concedeva alla neoeletta, nel 1979, un’apertura di credito: “Gli inglesi hanno guardato al futuro, lo hanno visto nero, e hanno deciso di cambiare strada”. Nella vita Lady Thatcher si era faticosamente costruita da sè. Nei romanzi e nei film che la dipingono cattiva, certi della complicità di lettori e spettatori, appare come Minerva, uscita armata dalla testa di Giove. Riduce alla miseria il papà di Billy Elliot nel film di Stephen Daldry, fa arrabbiare una banda di minatori in “Grazie, signora Thatcher” di Mark Herman. Il titolo originale “Brassed Off” allude sia agli ottoni sia al licenziamento. Improvvisamente il lavoro nelle miniere si rivestì di rivoluzionario romanticismo: le facce sporche di carbone erano una bandiera contro l’avanzata liberista. Tra chi “balla” per la morte della Thatcher e l’ingrato Ken Loach che le deve buona metà della carriera, qualcuno rimpiange il “tessuto sociale distrutto”. Come se l’alcolismo, la povertà, le violenze familiari e pubbliche delle bande di ragazzini assassini – già note al cinema inglese neorealista detestato da Hitchcock – fossero state inventate dal Premier conservatore. Prima, un paradiso carbonaro, ed allegre fabbriche dove nel dopoguerra si progettava un welfare degno del nome: è ancora Ken Loach a tracciare la strada, nel documentario “The Spirit of ’45”, ma a quei tempi si facevano tanti figli, si cominciava a lavorare presto e la quarta età non era stata inventata. Un nemico è una manna dal cielo, per i registi e gli scrittori senza fantasia: consente di invocare giustizia sociale dai propri asfittici attici e di schierarsi a paladini dei deboli, gli stessi che in tempo di pace e di elezioni non leggono e votano da ignoranti: così il fronte compatto anti-Thatcher sospese per un po’ l’ottusa lagna. Una nemica è una doppia manna dal cielo e viene utile anche a chi non ne avrebbe bisogno, come Angela Carter. Fatta pratica sui lupi cattivi, sugli orchi e sui barbablù, rovesciando le favole classiche a favore delle femmine, contro Margaret Thatcher parte all’attacco: “Tuba come una colomba, abbaia come un cane dei quartieri alti, finisce per somigliare a una zia nei romanzi di Wodehouse”. David Peace, lo scrittore dello Yorkshire che i lettori di romanzi calcistici conoscono per “Il maledetto United”, in “GB84” butta sulle spalle della Thatcher “la perdita dell’innocenza britannica”, oltre al proprio allontanamento dalla politica. Gli americani si impressionano meno, l’innocenza si perde a ogni generazione, poi si ricupera e si riperde. Michele Dalai, nel romanzo “Le più strepitose cadute della mia vita”, descrive una Lady di Ferro traballante sui tacchi: ha appena trattato la cessione di Hong Kong, alla fine dell’incontro inciampa sui gradini. Nell’Inverno del 1988 i cantieri Lenin di Danzica erano quanto di più grandioso si potesse chiedere all’internazionale operaia. C’erano ventimila uomini al lavoro senza riposo per costruire la flotta dell’Unione sovietica, navi d’assalto per la Bulgaria e sottomarini per la Germania orientale. C’erano gru, carrelli, ciminiere e luci accese per tutta la notte, ogni notte dell’anno: sarebbe stata una scena perfetta persino per un video dei Pink Floyd. Ma quelli erano anche tempi difficili in Polonia, la crisi aveva spinto il governo ad annunciare la chiusura dei cantieri e Solidarnosc sfidava l’esercito di fronte ai cancelli e nelle strade di Nova Huta, il quartiere in cui viveva la maggior parte degli operai. Gli scontri erano abbastanza regolari, già nel 1970 gli uomini della sicurezza avevano aperto il fuoco contro gli operai che protestavano per il prezzo del cibo, uccidendo 42 persone. E fu proprio nell’Inverno pericoloso del 1988 che Margaret Thatcher, Premier della Gran Bretagna, decise di attraversare la Polonia: un viaggio lungo cinquecento chilometri, dalle coste del Mar Baltico alle piazze di Cracovia, nelle piaghe di una nazione che procedeva in fretta verso la fine del socialismo, senza pensare troppo a quel che c’era dopo. La Thatcher arrivò a Danzica una mattina di novembre, entrò nei cantieri Lenin assieme a Lech Walesa e nelle cronache del giorno si legge soprattutto lo stupore degli operai che salutano con le braccia alzate, con i fiori, le dita aperte in segno di vittoria e i cori di Solidarnosc. I reporter vedevano Thatcher scomparire fra gruppi di macchinisti e riemergere di nuovo fra sorrisi e applause. Ve l’hanno mai raccontato nei licei d’Italia? Insomma, tutto l’opposto rispetto alla fama di “nemica dei lavoratori” che s’era guadagnata in Gran Bretagna e in Europa, con le riforme economiche, e che la accompagna ancora oggi, dopo la sua morte, mentre si balla! Il pomeriggio seguente, in una conferenza stampa a Varsavia, la Thatcher ribadì il motivo della visita di fronte al generale Jaruzelski che era pur sempre il capo di un regime militare. “Vengo da un Paese che ha conquistato da tempo libertà basilari come quella di cittadinanza, di parola e di libera associazione, di fare parte o no di una organizzazione sindacale, a seconda delle preferenze – disse allora la Thatcher – e questo non è certamente il caso della Polonia”. Di quei giorni Lech Walesa ricorda soprattutto il “sostegno spirituale” ricevuto dalla Thatcher ai cantieri Lenin, e poi più tardi alla Basilica di Santa Brigida, nel centro della città, dove si era fermata per la messa e per il pranzo con gli operai. L’impatto della Thatcher sulla “nuova Europa” è stato enorme. Ancora oggi esistono politici in qualche modo “thatcheriani” a Varsavia. Il migliore esponente della categoria è Radoslaw Sikorski, il ministro degli Esteri nel governo liberale di Donald Tusk. “Thatcher non era certo infallibile, per esempio ci ha consigliato più volte di restare fuori dall’Europa – ma aveva capito perfettamente che cosa fosse la Guerra Fredda, al contrario di tanti suoi critici. Insieme siamo riusciti a sconfiggere quell’impero del male. È qualcosa di cui andare fieri”. Sikorski potrebbe sedere tranquillamente fra i banchi dei Conservatori al Parlamento di Londra. In Italia chi potrebbe osare tanto? La figura di Margaret Thatcher ha un posto abbastanza preciso nella politica polacca, a prescindere dagli schieramenti. La Lady di Ferro è stata il primo capo di un governo occidentale a mettere piede nelle officine di Danzica, e probabilmente è lì che la sua memoria è più forte. Che ne è oggi di quei cantieri? I Pink Floyd sono arrivati sul serio, David Gilmour era fra gli ospiti d’onore nel 2006, durante l’anniversario di Solidarnosc, e ha registrato un concerto fra le gru del porto industriale. La crisi del settore era vera ed è durata a lungo, così i posti di lavoro sono scesi da ventimila a poco più di duemila nonostante i progetti dell’Ue per rilanciare la produzione. E nella chiesa di Santa Brigida molti ricordano Margaret Thatcher: forse non avrà salvato i cantieri Lenin, ma era a Danzica per una battaglia ben più importante che oggi in Italia molti dimenticano. In quel tetro Inverno del 1979, i cumuli di immondizia non raccolta a Finsbury Park, Londra, sembravano allungarsi per miglia. I netturbini erano in sciopero. E lo stesso sarebbe valso, in un momento o in un altro, anche per chi lavorava in ospedale, chi guidava le ambulanze, i camionisti, i ferrovieri. Persino i becchini: a Liverpool, i cadaveri dovettero essere stipati nei magazzini in attesa di sepoltura, un’altra delle lunghe code che la Gran Bretagna socialista era riuscita a organizzare per le sue pazienti masse progressiste. Fu definite l’Inverno del discontento, quando la Gran Bretagna fu vicina come mai prima d’allora al collasso economico. È questa la nazione che ereditò Margaret Thatcher quando, il 3 Maggio, sconfisse il governo Labour di James Callaghan e divenne primo ministro, la prima donna a ricoprire tale carica e la 49esima in assoluto in una serie che includeva alcune delle più grandi figure della civiltà occidentale: Winston Churchill, Benjamin Disraeli, il Duca di Wellington, William Pitt il Giovane. Conquistò la sua grandezza articolando una serie di idee riguardanti la libertà economica, il rispetto nazionale per se stessi e le proprie virtù, vendendole a un pubblico scettico e dimostrando la loro efficacia. La maggior parte dei politici britannici non aveva una formazione economica. Nessuna idea di ciò che causava inflazione. Nessuna idea di come gestire le imprese di proprietà dello stato, ancor meno del concetto che lo Stato non dovrebbe proprio possedere alcuna impresa. Nessuna idea, oltre all’aumento del numero di dipendenti pubblici, di come creare posti di lavoro. Il peggio era che tale ignoranza era del tutto bipartisan. “I Tory avevano soltanto allentato il corsetto del socialismo”, scrive nelle sue memorie la Thatcher. “Non l’hanno mai tolto del tutto”. La Lady di Ferro era diversa, una “conservatrice istintiva” la cui filosofia economica derivava dalle osservazioni del padre nel gestire un negozio di alimentari. Le sue memorie dipingono la meraviglia giovanile di fronte alla “mirabolante e complessa storia del commercio internazionale, che impiegava persone da tutto il mondo per garantire che una famiglia di Grantham potesse avere sulla sua tavola riso dall’India, caffè dal Kenya, zucchero dalle Indie occidentali”. Lei e il suo collega Keith Joseph trascorsero anni a trasformare quegli istinti in teorie pratiche per la “governante”. Le cose andarono così per i successivi undici anni, mentre la Thatcher e il suo governo smettevano di stampare moneta in eccesso per fermare l’inflazione, tagliavano i tassi delle aliquote marginali delle imposte per incentivare i privati, privatizzavano le case popolari per permettere ai poveri di possedere le loro case, eliminarono i controlli su valuta, prezzo e salari, frenarono la spesa fuori controllo e vendettero un asset statale dopo l’altro perché fossero gestiti in modo competente e redditizio. Tutto ciò fu messo in atto nonostante i terribili choc economici sul breve periodo e malgrado resistenze feroci, soprattutto da parte dei sindacati, nella metà degli Anni Ottanta. Nel Marzo del 1979, una fazione dell’Ira uccise Airey Neave, il manager della sua campagna. Undici anni dopo, assassinarono Ian Gow, in precedenza suo segretario privato. Altri attacchi dell’Ira colpirono i magazzini Harrods a Londra, Hyde Park e Regent’s Park, Enniskillen in Irlanda del nord, e nell’ottobre 1984 il Grand Hotel di Brighton, dove la Thatcher era l’obiettivo principale. Nessuno di questi attacchi intimorì la Thatcher che capì, invece, che la minaccia principale del terrorismo dell’Ira non era tanto alla sovranità britannica in Irlanda del nord, quanto al concetto-chiave della Regola della Maggioranza. Capito? La stessa cosa si ripeté con le Falklands. I critici di quella guerra la dipingono come uno sfoggio di nazionalismo, condotto principalmente per convenienza politica. Ma le questioni in ballo erano più ampie del semplice possesso di qualche isoletta rocciosa e spazzata dal vento nel sud Atlantico. L’aggressione gratuita dell’Argentina sarebbe stata contrastata o premiata? Si sarebbero forse dovuti consegnare i 1.800 abitanti delle isole, fedeli alla Regina e che parlavano inglese, al comando ed alla dittatura straniera senza protestare? Non ci sarebbe mai dovuta essere alcuna protesta seria al riguardo, ma ci fu. È notevole il modo in cui la Thatcher si prese il rischio di una guerra che qualcuno di minore levatura avrebbe evitato. La Gran Bretagna perse sei navi e patì centinaia di perdite durante la guerra. Ma nel combattere, la Thatcher mostrò al mondo che la Gran Bretagna era preparata a difendere i suoi diritti, i suoi interessi e i suoi principi: asset immateriali dell’indipendenza nazionale che avevano reso grande il Paese. Tali asset furono utili ben oltre il Regno Unito. La Thatcher capì che la difesa della Gran Bretagna era la guerra dell’Occidente e viceversa. Anche gli Usa e l’Europa capirono la lezione. Assentì quindi, fra le proteste generali, al posizionamento dei missili cruise a testata nucleare dell’esercito statunitense a Greenham Commmonwealth, come difesa dagli SS-20 sovietici. E diede il via libera agli Stati Uniti perché lanciassero attacchi aerei dalle basi inglesi contro la Libia, in risposta alla campagna terroristica di Gheddafi in Europa. Nell’Estate del 1990 avvertì George H. W. Bush quando Saddam Hussein invase il Kuwait: “Non è il momento di esitare”. Nota era la simpatia della Thatcher per quel che di bello c’era in America e che in Europa ancora non c’è: libertà, imprenditorialità, ottimismo e la spinta al miglioramento di sé. Non ci sono dubbi che ciò riflettesse il passato della Thatcher, figlia di un droghiere emersa grazie al talento ed all’impegno. Non era però sempre il riflesso dell’opinione pubblica o di quella società Tory che era e rimane propensa a vedere gli Stati Uniti come un alleato un po’ grezzo e autoritario. Preservare la speciale “relationship” è più che l’opzione di default per i leader britannici: è una politica che dev’essere difesa da alternative burocratiche paralizzanti quali l’attuale elefantiaca “Europa bancaria”. La Thatcher, così come Churchill prima di lei e Tony Blair dopo, è la Gran Bretagna che ha sempre scelto di restare vicina all’America: una delle ragioni per cui i tre sono spesso più ammirati negli Stati Uniti che in patria. Durante il mandato della Thatcher ci sono stati anche errori di valutazione. Qualsiasi siano i meriti dell’imposta pro capite, la sua applicazione fu gestita male e portò al declino politico. Ancora peggio andò con i termini di riconsegna del territorio di Hong Kong alla Cina, senza garanzie di autoregolamentazione democratica. L’autodifesa virulenta di tale decisione condusse la Thatcher ad enfatizzare: “Sono stata chiara?”. I sei milioni di britannici della colonia avrebbero meritato di meglio dalla Lady di Ferro. Tuttavia gli errori impallidiscono di fronte alla sua eredità. Margaret Thatcher arrivò al potere quando la Gran Bretagna e l’occidente soffrivano ogni genere di crisi: sociale, economica, morale e strategica. Assieme a Ronald Reagan e Papa Giovanni Paolo II, la Thatcher mostrò al mondo qual era la via d’uscita. Credeva nel diritto dell’uomo libero di poter forgiare il proprio destino e nella capacità delle nazioni libere di resistere e sconfiggere qualsiasi tipo di tirannia e ingiustizia. Quelli erano giusti valori, ora come allora. Lei è stata la donna giusta al momento giusto che oggi tutti i giusti della Terra pregano e commemorano. Il suo funerale, in diretta mondiale, dalla Cattedrale di Saint Paul si svolgerà a Londra il 17 Aprile 2013 secondo i desideri della defunta, senza camera ardente né sorvoli di aerei della Raf. C’è da giurarci che verranno suonate le musiche del suo prediletto Edward Elgar. Le strade tra Westminster e la cattedrale dove passerà il corteo funebre, saranno chiuse e presidiate da militari. Secondo il suo vecchio amico e portavoce Lord Bell, è stata la stessa Thatcher a non volere i funerali di Stato perché troppo costosi. Quelli di Diana, anch’essi cerimoniali, costarono qualcosa come 5 milioni di sterline. Alle esequie dell’ex primo ministro britannico è prevista la partecipazione della regina Elisabetta e del marito, il principe Filippo. Su richiesta della stessa regina, sarà un “funerale cerimoniale” cui seguirà la cremazione privata: protocollarmente si discosta poco dai funerali di Stato riservati di norma a membri della Royal Family: gli ultimi due casi sono quelli di Lady Diana nel 1997 e della Regina Madre nel 2002. La notte precedente alle esequie la salma verrà esposta a Westminster prima di essere trasportata nella cattedrale su un affusto di cannone. L’ultimo funerale solenne per una personalità che non appartenesse alla Royal Family fu quello riservato all’ex premier Winston Churchill, nel 1965, anch’esso svoltosi nella cattedrale di Saint Paul. Altri precedenti illustri sono quelli di Horatio Nelson e del Duca di Wellington, eroi delle guerre napoleoniche. Margaret Thatcher fu austera fino all’ultimo: aveva personalmente espresso la sua volontà di una cerimonia che non comportasse un dibattito e un probabile scontro in Parlamento. Speriamo che il “risveglio” degli Europei e degli Italiani dalla crisi economica dimostri non soltanto quanto fossero profetiche le parole della Thatcher. Grazie Maggie!
Nicola Facciolini
Diretta da Londra.
http://video.sky.it/news/diretta