Alma ha scoperto strane galassie primordiali a tempo da record: il potente radiotelescopio dell’ESO, il protagonista assoluto della caccia alla Supermateria ed alla Superenergia primordiali, segna un decisivo passi in avanti nella soluzione del più intricato mistero dell’Universo, per la comprensione delle origini bio-chimiche dell’Uomo sulla Terra e nel Cosmo. Gli astronomi dell’Osservatorio europeo australe, grazie al nuovo super-radiotelescopio Atacama Large Millimeter/submillimeter Array, hanno individuato l’ubicazione di più di 100 galassie tra le più feconde di formazione stellare (circa mille masse solari l’anno) e le più strane nel violento Universo primordiale. Alma è così potente che, in sole poche ore, ha catturato nei suoi sensori super-freddi (prossimi allo Zero Assoluto) tanti antichissimi fotoni nelle immagini di queste galassie quanti ne erano stati ottenuti da telescopi simili in tutto il mondo nell’arco di più di un decennio. La fase più feconda di nascita di stelle nell’Universo primitivo, molto più piccolo dell’attuale, ha avuto luogo in piccole galassie lontane che contenevano molta polvere cosmica. Questi sistemi stellari sono fondamentali per comprendere la formazione delle galassie, delle stelle, dei pianeti alieni e la loro evoluzione nel corso della storia del Cosmo. Ma la polvere le oscura e rende difficile la loro identificazione con i telescopi ottici. Per trovarle, gli astronomi dell’Eso devono usare telescopi che osservano la luce a lunghezze d’onda maggiori, intorno al millimetro, grazie alla potenza delle antenne di Alma, la “madre” di tutti i radiotelescopi, installate a 5mila metri di quota sul Chajnantor Plateau cileno. “Gli astronomi hanno atteso dati come questi per più di un decennio – rivela Jacqueline Hodge del Max-Planck-Institut für Astronomie (Germania), prima autrice dell’articolo “An ALMA Survey of Submillimeter Galaxies in the Extended Chandra Deep Field South: Source Catalog and Multiplicity”, di J. Hodge et al., pubblicato dalla rivista “Astrophysical Journal” – Alma è così potente che sta rivoluzionando il modo di osservare queste galassie, anche se il telescopio non era ancora completo quando sono state effettuate le osservazioni”. Precisamente dal 18 Ottobre al 3 Novembre 2011, come parte del Progetto Ciclo Zero, prima del totale dispiegamento delle 66 antenne di Alma, inaugurate il 13 Marzo 2013, lo stesso giorno dell’elezione di Papa Francesco, il primo Sommo Pontefice gesuita argentino. La miglior mappa finora realizzata per questi lontani sistemi stellari polverosi è stata ottenuta con il telescopio Atacama Pathfinder Experiment (Apex) gestito dall’Eso, che ha osservato un pezzetto di cielo della dimensione della Luna piena e trovato 126 galassie di questo tipo. Le osservazioni sono state compiute in una regione celeste della costellazione australe della Fornace, chiamata Chandra Deep Field South (Campo Profondo Australe di Chandra), approfonditamente studiata da molti telescopi sia da terra sia dallo spazio. Le nuove osservazioni di Alma, alla frequenza di 344 GHz, estendono quelle profonde ad alta risoluzione di questa regione nella frequenza millimetrica/sub-millimetrica dello spettro e le integrano perfettamente. Un assaggio di quel che Alma ci offrirà nell’immediato futuro, sono le foto pubblicate dall’Eso. Nelle immagini del telescopio Apex ogni zona di formazione stellare appare come una macchia indistinta, così grande da coprire più di una galassia nelle immagini più nitide effettuate ad altre lunghezze d’onda. Senza sapere esattamente quali galassie stanno producendo stelle, gli astronomi avevano alcune difficoltà ad interpretare la formazione stellare nell’Universo primordiale. Capire come evolvono questi sistemi ancestrali è fondamentale non soltanto per comprendere la natura della Supermateria e della Superenergia (oggi definite “materia ed energia oscure”) ma anche per capire quale sarà il nostro futuro nel Cosmo dove la vita di Esseri intelligenti, più o meno come l’Uomo, potrebbe essere molto più diffusa ed antica di quanto si sia oggi propensi a credere qui sulla Terra. La Scienza valuta le prove fisiche cosmologiche. Identificare la galassia giusta richiede osservazioni a più alta risoluzione con un telescopio più grande. Apex ha una sola antenna parabolica da 12 metri di diametro, mentre i telescopi come Alma usano molte più antenne simili a quella di Apex ma sparpagliate su grandi distanze, nella regione più secca del pianeta. I segnali di tutte le antenne di Alma vengono combinati e l’effetto è quello di un unico radiotelescopio gigante grande come l’intera schiera di antenne. L’equipe di astronomi dell’Eso ha usato Alma per osservare le galassie della mappa di Apex durante la prima fase di osservazioni scientifiche, utilizzando meno di un quarto del totale di 66 antenne di Alma, distribuite su distanze fino a 125 metri. Alma ha impiegato appena due minuti su ogni galassia per identificarle all’interno di una regione molto piccola, più di 200 volte minore delle grandi macchie di Apex e con una sensibilità tre volte maggiore. Alma è tanto più sensibile degli altri telescopi del suo genere che in sole poche ore ha raddoppiato il numero totale di osservazioni di questo tipo. Non solo il team di astronomi dell’Eso ha identificato senza ambiguità quale galassia conteneva regioni attive di formazione stellare ma in circa la metà dei casi ha scoperto che più galassie erano confuse in una sola macchia nelle osservazioni precedenti. La vista acuta di Alma, come quella di un’aquila che ghermisce la sua presa, ha permesso di distinguere le singole galassie primordiali con una risoluzione senza precedenti e senza pari. “Pensavamo che le più brillanti tra queste galassie formassero stelle mille volte più vigorosamente della nostra Galassia, la Via Lattea – fa notare Alexander Karim della Durham University (Regno Unito), uno dei membri dell’equipe Eso e primo autore di un secondo articolo sullo stesso argomento – il che le poneva a rischio di frantumarsi. Le immagini di Alma rivelano la presenza di galassie multiple, più piccole, che formano stelle a tassi in qualche modo più ragionevoli”. I risultati di Alma costituiscono il primo catalogo statisticamente affidabile di formazione stellare in galassie polverose nell’Universo primordiale e forniscono un fondamento indispensabile per ulteriori indagini sulle proprietà di queste galassie a diverse lunghezze d’onda, senza rischio di erronea interpretazione a causa dell’apparente confusione nelle vecchie immagini galattiche. Nonostante la vista acuta di Alma e la sua sensibilità, telescopi come Apex continuano ad avere un ruolo importante. “Apex può coprire una vasta area di cielo più in fretta di Alma – spiega Ian Smail della Durham University (Regno Unito), coautore del nuovo articolo – e perciò è ideale per scoprire queste galassie. Quando sappiamo dove guardare possiamo usare Alma per identificarle esattamente”. L’esperimento Apex è frutto di una collaborazione tra l’Istituto Max Planck Institut für Radioastronomie al 50 percento, l’Osservatorio spaziale di Onsala al 23 percento e l’European Southern Observatory al 27 percento. Un articolo parallelo, dal titolo “An ALMA survey of submillimetre galaxies in the Extended Chandra Deep Field South: High resolution 870 μm source counts”, sulla molteplicità delle sorgenti, di A. Karim et al., è pubblicato dalla rivista della Oxford University Press, il “Monthly Notices of the Royal Astronomical Society”. L’equipe è composta da: J. A. Hodge (Max-Planck-Institut für Astronomie Heidelberg, Germania [MPIA]), A. Karim (Institute for Computational Cosmology, Durham University, Regno Unito), I. Smail (Durham), A. M. Swinbank (Durham), F. Walter (MPIA), A. D. Biggs (ESO), R. J. Ivison (UKATC and Institute for Astronomy, University of Edinburgh, Edinburgh, Regno Unito), A. Weiss (Max–Planck Institut für Radioastronomie, Bonn, Germania), D. M. Alexander (Durham), F. Bertoldi (Argelander–Institute of Astronomy, Bonn University, Germania), W. N. Brandt (Institute for Gravitation and the Cosmos & Department of Astronomy & Astrophysics, Pennsylvania State University, University Park, USA), S. C. Chapman (Institute of Astronomy, University of Cambridge, Regno Unito; Department of Physics and Atmospheric Science, Dalhousie University, Halifax, Regno Unito), K. E. K. Coppin (McGill University, Montreal, Canada), P. Cox (IRAM, Saint–Martin d’Héres, Francia), A. L. R. Danielson (Durham), H. Dannerbauer (University of Vienna, Austria), C. De Breuck (ESO), R. Decarli (MPIA), A. C. Edge (Durham), T. R. Greve (University College London, Regno Unito), K. K. Knudsen (Department of Earth and Space Sciences, Chalmers University of Technology, Onsala Space Observatory, Onsala, Svezia), K. M. Menten (Max-Planck-Institut für Radioastronomie, Bonn, Germania), H.–W. Rix (MPIA), E. Schinnerer (MPIA), J. M. Simpson (Durham), J. L. Wardlow (Department of Physics & Astronomy, University of California, Irvine, USA) and P. van der Werf (Leiden Observatory, Olanda). Alma è in grado di esplorare direttamente queste lontane, piccole, antiche galassie, analizzandone l’esatta composizione di polveri e gas, individuando gli elementi chimici primordiali presenti, per svelare l’esatta struttura dell’Universo. Per capire che cos’è la Materia Oscura gravitazionale e l’Energia Oscura anti-gravitazionale, occorre integrare le ricerche e le scoperte degli scienziati. Il team dell’esperimento “Cryiogenic Dark Matter Search” in Minnesota (Usa) riporta tre eventi anomali che potrebbero essere legati a particelle di Materia Oscura. Ma la confidenza statistica è giudicata ancora troppo bassa. Molti esperimenti cercano le elusive particelle WIMPs, tra cui l’esperimento italiano Xenon al Laboratorio Nazionale del Gran Sasso dell’Infn. Quella annunciata dai ricercatori dell’esperimento CDMS-II, che cerca Materia Oscura grazie ai suoi rivelatori raffreddati quasi allo Zero Assoluto e posti sottoterra, in un’ex miniera del Minnesota, è solo una possibile “detection” di una particella per il momento ignota. E non è la prima. Già nel 2010 dalla stessa esperienza erano arrivati due “eventi” sospetti che però si erano rivelati indistinguibili dal rumore di fondo. Perché il problema, quando si studiano eventi così elusivi e rari, ammesso che esistano realmente in Natura, è l’essere sicuri di non essere incappati in una fluttuazione casuale del fondo cosmico. Ossia, che quel segnale anomalo non sia dovuto a una collisione tra particelle tradizionali e che però, per qualche motivo, produce valori diversi dal solito. Al Meeting del 13 Aprile 2013 dell’American Physical Society di Denver (Usa), Kevin Mc Carthy e i suoi colleghi hanno illustrato tre eventi registrati dai loro rivelatori al silicio, con le caratteristiche che ci si potrebbe aspettare come conseguenza di collisioni tra particelle ordinarie e WIMPs (Weakly Interactive Massive Particles), le presunte “anomalie” che dovrebbero comporre la Materia Oscura (effettivamente esiste e permea l’Universo con un buon 24 percento del Tutto, aggregando la materia luminosa nella piccola e grande scala). Il semplice rumore di fondo avrebbe voluto non più di 0,7 eventi di quel tipo nel set di dati. Lo studio è anche pubblicato su “Arxiv”. Nei termini usati dai fisici, siamo a un livello di confidenza statistica di 3 sigma, ben al di sotto dei 5 sigma richiesti per parlare di scoperta e premio Nobel. Quel che è più interessante è che, se i dati raccolti da CDMS fossero buoni, indicherebbero una massa delle WIMPs di soli 8,6 GigaElettronVolt, molto più bassa di quanto la maggior parte dei fisici si aspetta. Quindi è un piccolo ma importante passo verso la soluzione del mistero. La corsa alla scoperta della Materia Oscura resta quanto mai aperta e vede in gara oltre a CDMS anche gli esperimenti Lux in South Dakota (Usa) e le esperienze Xenon e Dama al Laboratorio Nazionale del Gran Sasso. Ma anche lassù nello spazio, a 400 Km di quota, agganciato alla Stazione Spaziale Internazionale, lo spettrometro AMS, che solo pochi giorni fa ha trovato i suoi primi “indizi” di Materia Oscura, promette grandi sorprese. Come rivela uno studio pubblicato su “Physical Review Letters” con i risultati dei primi 18 mesi di lavoro di AMS, il cacciatore di Antimateria ha misurato come il rapporto tra positroni ed elettroni cambia al variare dell’energia, un possibile indizio dell’azione della Materia Oscura. I dati di AMS sono più precisi di quelli degli esperimenti Pamela e Fermi, ma è presto per dire se nascondano nuovi fenomeni fisici. Secondo Roberto Battiston dell’Infn, “è una misura di precisione senza precedenti del rapporto tra positroni ed elettroni nei raggi cosmici”. Il positrone è l’antiparticella dell’elettrone, prevista dal fisico Paul Dirac nel 1929 e scoperto da Carl Anderson nel 1932. “Nei raggi cosmici i positroni sono presenti a livello di parti per mille – spiega Battiston – e la loro presenza è spiegata come conseguenza delle interazioni dei raggi cosmici primari con il materiale interstellare. In assenza di altri meccanismi di produzione di positroni la frazione di positroni sugli elettroni (circa il 10 percento a 1 GeV) dovrebbe scendere al crescere dell’energia”. Negli ultimi 20 anni c’è stato molto interesse da parte della comunità scientifica nei riguardi del modo in cui il rapporto tra positroni ed elettroni cambia con l’energia. “Essendo i positroni una componente rara dei raggi cosmici, la loro frazione percentuale è molto sensibile a fenomeni di cosiddetta Nuova Fisica”. Cioè, legati alla Materia Oscura, alla Supersimmetria ed a tutto quanto non rientra nell’attuale Modello Standard della fisica delle particelle,confermato dalla scoperta del Bosone di Higgs al Cern di Ginevra e dall’ennesima scommessa persa dal fisico Stephen Hawking (cf. “Il Grande Disegno”).“Nel corso degli ultimi 20 anni si è stabilito con sempre maggiore evidenza che al di sopra di 10 GeV il rapporto tra positroni ed elettroni comincia a crescere in modo marcato, indizio della presenza di una Nuova Fisica in grado di produrre un significativo eccesso di positroni rispetto ai meccanismi convenzionali”. La misura di AMS-02 per la prima volta copre, con i dati di un singolo esperimento e con una precisione molto migliore che nel passato, l’intervallo di energia tra 0.5 GeV e 350 GeV e mette in evidenza come la frazione anomala di positroni cresca senza interruzione da 10 a 250 GeV. “Ma il ritmo a cui questa frazione anomala di positroni cresce si riduce di 10 volte tra 10 e 250 GeV. Questo comportamento non è spiegabile con la sola produzione secondaria di positroni nelle collisioni dei raggi cosmici ordinari, ed è una indicazione del fatto che il nuovo processo fisico che causa la crescita dei positroni raggiunge un valore limite oltre il quale questa frazione rimane costante o addirittura può iniziare a scendere”. Quanto al comportamento al di sopra di 250 GeV, “diverrà più chiaro una volta che AMS-02 avrà accumulato più statistica, cosa che permetterà anche un miglioramento dell’errore sistematico”. Per quanto riguarda la dipendenza dall’energia della frazione anomala di positroni tra 10 e 350 GeV, “la grande precisione dei dati di AMS-02, con una calibrazione energetica accurata al 2 percento, permette di affermare che non ci sono strutture fini in questo intervallo di energie. Anche la misura dell’anisotropia di questo nuovo fenomeno non mostra anisotropie apprezzabili con una precisione del 3.6 percento”. I dati presentati sono derivati dall’analisi di più di 25 miliardi di eventi, che rappresentano circa l’8 percento dei dati che AMS raccoglierà nel corso di una missione sulla ISS che potrà estendersi per circa 20 anni. “L’osservazione che la frazione dei positroni cresce con l’energia è stata riportata da altri esperimenti in precedenza, in particolare da Pamela e Fermi. La precisione di AMS-02 e l’alta statistica disponibile forniscono una misura di precisione dell’andamento della frazione di positroni che si distingue chiaramente da quelle precedenti. L’esperimento AMS-02 ha caratteristiche uniche per risoluzione, statistica accumulata e intervallo di energia per potere fornire informazioni accurate relativamente al nuovo fenomeno osservato. La precisione di AMS permetterà in futuro di capire se la nuova sorgente di positroni è l’effetto di una o più pulsar che immettono plasma di alta energia nello spazio interstellare o se si tratti invece delle tracce dell’annichilazione di particelle di Materia Oscura, il tipo di materia invisibile di cui è composto circa il 24 percento del nostro Universo”. Lo Spettrometro Magnetico Alpha (AMS-02) è uno strumento sviluppato da una collaborazione internazionale, sponsorizzata dal Dipartimento dell’Energia Americano e comprendente istituzioni in Cina, Finlandia, Francia, Germania, Italia, Portogallo, Spagna, Svizzera, Stati Uniti e Taiwan. In particolare i rivelatori di particelle che compongono AMS-02 sono stati realizzati in Europa, il magnete permanente è stato realizzato in Cina e l’elettronica qualificata per lo spazio è stata realizzata a Taiwan. L’integrazione dell’esperimento è stata realizzata al Cern di Ginevra, i test di qualifica spaziale sono stati realizzati all’Esa-Estec (Norwijk) ed all’Infn-Serms (Terni). L’Italia con l’Infn e l’Asi ha partecipato alla realizzazione di AMS-02 fin dalle prime fasi: i ricercatori italiani, complessivamente circa 50 persone, delle Sezioni Infn (Dipartimenti di Fisica di Bologna, Milano Bicocca, Perugia, Pisa, Roma e Trento) hanno avuto la responsabilità della realizzazione dei principali strumenti per l’identificazione delle particelle nello spazio (il Tracciatore al Silicio, il sistema di Tempo di Volo, il Calorimetro Elettromagnetico, il Rivelatore ad Anelli Cerenkov e i Tracciatori Stellari), del trasferimento dei dati, della calibrazione dello strumento nonché di parti importanti dell’analisi dati.
Nicola Facciolini
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