L’America è ancora una volta scossa da fatti preoccupanti e luttuosi e dopo Boston deve fare i conti con una lettera alla rìcina indirizzate al presidente Barack Obama e a tre senatori e con una violenta esplosione verificatasi in una fabbrica di fertilizzanti a West, paesino con 2.800 abitanti che dista poco piu’ di un’ora di macchina da Dallas, con, accertati sin’ora, due morti e cento feriti, ma con grande preoccupazione per la nube tossica che si è formata a seguito della deflagrazione che pare essere accidentale.
Il responsabile dell’Hillcrest Baptist Medical Center di Waco, Glenn Robinson, dove sono stati ricoverati i ferirti, ha detto alla CNN che 38 sono in gravi condizioni, mentre Anita Foster, portavoce della Croce Rossa del Texsas, ha riferito si sta lavorando insieme alle squadre di emergenza per trovare zone di riparo ai residenti evacuati.
Curiosamente anche nel 2001, 10 giorni dopo l’attentato dell’11 settembre, un’esplosione in un impianto chimico di Tolosa, in Francia, uccise 31 persone.
Ed anche il quel caso, ad esplodere fu un serbatoio contenente 300 tonnellate di nitrato di ammonio utilizzato sia nei fertilizzanti che negli esplosivi.
L’esplosione di West si e’ verificata poco prima delle 20 locali ed e’ stata talmente violenta da essere stata sentita fino a Waxahachie che si trova a 70 chilometri di distanza. L’incendio, che pare essere sotto controllo, minaccia comunque altri serbatoi con principi estremamente tossici e pericolosi.
E mentre l’America rischia di piombare nel peggiore dei suoi incubi dopo le bombe di Boston l’attentato al Presidente ed una esplosione che mette in forte dubbio la sicurezza dei suoi impianti, la sentenza della prima sezione penale della Cassazione, che ha disposto per un nuovo processo d’appello, genera nuovi inquietanti dubbi sull’omicidio di Chiara Poggi, avvenuto il 13 agosto 2007 a Garlasco e fa rimpiobare in un incubo mai sopito l’ex-fidanzato Alberto Stasi, che dovrà nuovamente provare la sua innocenza.
La difesa aveva insistito per la definitiva assoluzione, invece la suprema corte ha sposato in pieno la tesi del procuratore generale Roberto Aniello, che aveva chiesto l’annullamento della sentenza di secondo grado ed un nuovo processo a Stasi.
E dubbi ulteriori e diffusi vengono sul pronostico del redivivo Bossi che, parlando con i giornalisti alla Camera, si dice convinto che Franco Marini possa farcela già alla prima votazione.
Una prospettiva azzardata poiché, per i primi tre scrutini, è prevista una maggioranza pari ai due terzi del totale dei “grandi elettori”, che complessivamente sono 1.007: 630 deputati, 319 senatori e 58 delegati delle Regioni (tre per ciascuna, con l’eccezione della Valle d’Aosta che ne ha uno soltanto).
Sull’ex sindacalista ed ex democristiano, passato dalla Margherita al Pd, non eletto in Abruzzo, regione dove è nato, a S. Pio della Camere, vicino L’Aquila, apertamente non amato da Renzi, che ha detto che non lo voteranno quelli che la pensano come lui, potrebbero convergere i voti del Pd, del Pdl, di Scelta Civica e della Lega Nord, che proprio in mattinata ha deciso di votarlo già dal primo scrutinio, rinunciando alla candidatura “di bandiera” di Manuela Del Lago.
Decisamente distante la posizione di Sinistra e Libertà che ha ufficializzato la rottura con l’alleato e annunciato che farà convergere i propri consensi su Stefano Rodotà, lanciato ieri dal Movimento 5 Stelle, dopo la rinuncia della giornalista Milena Gabanelli e del fondatore di Emergency Gino Strada.
Segretario generale della Cisl, presidente del Senato, ministro del Lavoro, segretario del Partito Popolare, parlamentare europeo, Franco Marini è nato il 9 aprile 1933. Iscritto alla Democrazia Cristiana dal 1950, attivo in Azione Cattolica e nelle Acli, con il periodo degli studi universitari, fino alla laurea in Giurisprudenza, trascorso lavorando in un ufficio contratti e vertenze della Cisl. Una formazione preziosa, che gli vale l’attenzione di Giulio Pastore, fondatore e primo segretario del sindacato di ispirazione cattolica, che lo inserisce nell’ufficio studi del ministero per il Mezzogiorno.
Viene presentato dalla Dc alle elezione del 1992 e risulta il più votato in campo nazionale, divenendo segretario del neo-fondato Partito Popolare nel 1997, giuda che lascia due anni dopo e dopo aver resistito alle lusinghe di Prodi di confluenza nell’Ulivo, divenendo europarlamentare.
Eletto senatore il 29 aprile 2006, Marini diventa presidente dell’Aula di Palazzo Madama e durante il mandato, viene spesso indicato come possibile successore di Prodi, soprattutto durante i giorni difficili del governo ulivista, alla guida di un possibile governo tecnico. Alla caduta di Prodi, nel gennaio 2008 Napolitano effettivamente conferisce un mandato esplorativo a Marini, “impegno gravoso”, nelle parole dell’ex sindacalista, che si conclude in quattro giorni di vane consultazioni alla ricerca di una maggioranza a sostegno di un governo in grado, tra le altre cose, di varare la riforma elettorale.
Ora la sua eventuale elezione, potrebbe aprire la strada alla idea di Bersani di un governo di minoranza o maggioranza ristretta, che, comunque, possa trovare il tacito assenso o la non belligeranza di Pdl, Scelta Civica e Lega.
Insomma Bersani ha giocato la carte dei cosiddetti “3 cattolici”, facendo scegliere al Pdl fra Marini, Sergio Mattarella e Pierluigi Castagnetti ed eliminando il molto sgradito Prodi, deciso di no chiudere col Pdl, anche se i recenti sondaggi dicono che solo il 2% degli elettori di sinistra sono disposti a tollerare una formula di governo che in qualche modo coinvolga il Pd; risultato tombale che fa fare macchine indietro al possibilista Renzi che, ora astutamente alle “Invasioni barbariche” dice che lui ha sempre sostenuto (ma non è vero) che bisognava tornare a votare.
Per cui, nei giorni scorsi, era circolata l’idea di un immediato cambiamento di rotta, con appoggio di Sel e lista Civica, con cui il Pd arriverebbe al 52%- 53% e dunque tale, anche se di poco, per governare, di un “governicchio” che avrebbe visto leader Mario Monti, per rimettere all’angolo il Centro Destra e accontentare la Germania, tranquillizzando i mercati.
E tanto per rendere ancora più dubbioso il nostro animo, resta il ricordo di Silvio Berlusconi, che a fine marzo, a Piazza del Popolo, felice di esibirsi nel luogo più sexy di Roma, fra due cupole mammellonate e procaci, applaudito dalle sue fedelissime sempre sorridenti e presenti, la Prestigiacomo e Anna Grazia Calabra e dalla solita folla di figuranti prezzolati; ha detto che c’è comunque una possibilità di intesa col Pd.
Da giovane Marini è stato nel corpo degli Alpini e da allora non è mai mancato ai loro raduni. Lì ha imparato la tenacia nei momenti difficili e la capacità di farcela nelle spire dei calvari.
Forse per questo c’è la farà, ma speriamo che anche dopo riesca a raddrizzare una situazione senza scampo ed indirizzare la formazione di un vero governo.
C’è chi dice che solo i padani e non la gente del Sud può dare buoni alpini. La storia ci dice che non è vero e Francesco Marini, accendendo il toscano o più raramente la pipa, potrebbe dimostrare che un lupo della Marsica può vincere come gli alpini per tenacia per sfinimento e può anche essere l’uomo giusto, un mediatore instancabile e scaltro, uno che non dimentica e che, per giunta, è iscritto da tempo al club dei “sordi selettivi “, quelli che a volte non sentono davvero, ma più spesso solo ciò che non vogliono sentire, pragmatico e dunque assai duttile, capace di immergersi e riemergere quando meno ce lo si aspetta, fiero oppositore della formazione del Pd a scapito del partito Popolare, ma pronto poi a saltare sul carro della fusione, diventato uno dei maggiorenti più capaci di mediazione e di suggerimenti al gruppo dirigente, specie nelle battaglie congressuali.
La sua arma principale è la pazienza ed anche la mediazione, ma non fine a se stessa, armata di buone maniere e di senso sacro della ospitalità, che lo ha da sempre portato, nei momenti più tormentati, nelle trattative più tortuose, ad invitare il suo interlocutore a pranzo, sempre in quello stesso ristorante che affaccia su piazza Ungheria, dove fanno la carne alla brace, per poi percorrere sottobraccio (“così, per digerire”) le poche centinaia di metri di via Lima, fino ad arrivare a casa sua, con nel soggiorno, i vecchi e rassicuranti mobili di legno, con nascosta dietro uno sportello, la grappa: quella buona, che scorre lisca fin dentro lo stomaco e predispone alla stretta di mano conclusiva.
Marini non piace a Renzi dicevamo e fra le cose che gli rimprovera c’è il fatto che non conosce affatto l’inglese. Ancora una volta il “rottamatore” si dimostra poco informato perché ignora che il giovane Marini, andò, grazie ad una borsa di studio che gli assegnò l’allora ministero deal Guerra, a studiare legge in America, per laurearsi in giurisprudenza all’università di Harvard, dove se non padroneggi la lingua non ti consentono neanche di accedere ai corsi.
Carlo Di Stanislao
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