La speranza per l’Italia ha il nome di Giorgio Napolitano, un uomo di grandi capacità e grande senso dello stato che, comunque, ha 87 anni e negli ultimi quattro ha dovuto spendersi molto fra crisi di governo ed internazionali, per tenere in rotta una nave, la nostra Nazione, che scarrocciava da tutte le parti.
Ha accettato per dovere Napolitano, salutato con entusiasmo da tutti i leader d’Europa e da Obama, che guardano al nostro andamento economico e sociale con affanno e soprattutto non si fidano di politici litigiosi e puntigliosi che sembrano bambini impegnati in un gioco, mentre il Paese arretra, disperatamente.
Dalla’ultimo sconquasso esce spezzato il Pd, ridotto peggio che ai tempi di Occhetto, con Bersani che si dimette e la Bindi che lo segue e con il rischio che la “fusione a freddo” mai davvero riuscita, ora esploda in una atomizzazione di partiti.
Grida al golpe e minaccia la marcia su Roma Beppe Grillo, poi ci ripensa e giunge lemme in camper, convoca una conferenza stampa e parla di un “golpettino furbo” perché non lo appoggia neanche Rodotà e si limita ha gridare chela nostra democrazia “è ridotta al lumicino” e che “c’è stato uno scambio per salvare Berlusconi ed in Monte dei Paschi”, facendo intendere con quest’ultimo, tutta la sinistra.
Dissenso lo esprime Vendola ed il suo Sel, ma intanto se il Pd apre al Pdl ed a Listi Civica raggiungente in 52-53% anche al Senato e può governare.
E già circolano, anche se Napolitano ancora non parla e lo farà solo martedì, i nomi dei possibili candidati premier: Giuliano Amato e Enrico Letta, con una preferenza per il primo che Napolitano avrebbe voluto come suo successore al Quirinale.
Ex tesoriere di Craxi e prelevatore notturno dai nostri conti correnti nel’92, Amato non è certo “il nuovo” e non è neanche troppo gradito alla gente che ormai sa che, fra accumuli vari, percepisce 32.000 euro di pensione al mese.
Ed anche lo schema di cui parla Il Corriere, con Amato primo ministro e vicepresidenti Enrico Letta e Alfano, sembra solo un modo per tenere tutti buoni per fare almeno la tanto attesa riforma elettorale e tornare di corsa a votare con sistemi migliori.
Napolitano non ha intenzione di perdere tempo e vuole sfruttare la forza che gli viene da una disponibilità da lui concessa solo a determinate condizioni, per realizzare a breve un governo di scopo, che porti a termine un programma minimo, fatto di riforme, che andrebbe a coincidere con quello scritto dai dieci “saggi”, opportunamente integrato.
Non per niente, pare, che potrebbe venire la richiesta di una conferma di Annamaria Cancellieri agli Interni e di Enzo Moavero Milanesi alle Politiche comunitarie, con D’Alema (rispuntato fuori come ogni volta che il Pd va sotto) agli Esteri ed un coinvolgimento anche di Quagliariello.
Naturalmente topica resta l’assegnazione del ministero dell’Economia. Tra i nomi graditi a Napolitano e al Pd c’è da sempre Fabrizio Saccomanni, direttore generale di Banca d’Italia e poi bisognerà capire, attendendo il suo discorso previsto per le 17 di domani se il presidente ex e neo eletto, potrà o meno attingere alla riserva dei “saggi” non provenienti dai partiti: Salvatore Rossi (Banca d’Italia), Enrico Giovannini (Istat) e Giovanni Pitruzzella (Antitrust) o anche l’ex presidente della Corte costituzionale Valerio Onida.
“Potete immaginare come io abbia accolto con animo grato la fiducia espressa liberamente sul mio nome dalla grande maggioranza dei componenti l’Assemblea dei parlamentari e dei delegati regionali e come abbia egualmente accolto la fiducia con cui tanti cittadini hanno ansiosamente atteso una positiva conclusione della prova cruciale e difficile dell’elezione del presidente della Repubblica”, ha detto Napolitano dopo la rielezione e subito aggiunto: “Auspico che nelle prossime settimane tutti sapranno onorare i loro doveri”, facendo intendere ai partiti che il tempo dei giuochini è ormai finito.
Obama ha detto di ammirare il gesto di Napolitano e Barroso ed Aznar espresso la loro gioia. Ma ancora più significativo ciò che ha detto il segretario di Stato Usa Kerry, che commentando la notizia ha dichiarato che ora, grazie al vecchio neo-presidente, l’Italia potrà sperare in “un governo stabile”.
Scrive Repubblica che per l’accettazione della “croce” (così l’ha chiamata) di nuovo sulle sue spalle, Napolitano abbia detto perentorio ai capi dei due principali partiti: “Adesso la situazione è cambiata rispetto a un mese fa. E questa volta non voglio sentire dei no ma soltanto dei sì”.
Uno dei governatori regionali, appena sceso dal Quirinale, in Transatlantico, ha confermato, ieri, che Napolitano ha chiesto a Pd e Pdl di dar vita a un governo “che duri almeno tre anni”, guidato appunto da Giuliano Amato.
Il programma “dei cento giorni” è quello elaborato dai dieci saggi bipartisan. E ci saranno esponenti di vertice dei partiti per garantire la tranquilla navigazione del governo in Parlamento.
Ma, scrive sempre su Repubblica il sempre attento Francesco Bei, se Amato è la scelta principale per palazzo Chigi, Napolitano sta riflettendo ovviamente su un piano di riserva. Da politico navigato è consapevole delle spinte centrifughe dentro il Pd, spaccato in due sull’ipotesi della grande coalizione, e teme che il nome del Dottor Sottile possa provocare una vera crisi di rigetto tale da mettere a repentaglio l’intera operazione. Tanto che i vertici del Pd per tutto il giorno si sono affannati a chiarire che “non esiste nessun governo di larghe intese”, ma viene riconfermata soltanto la disponibilità a un esecutivo di scopo “con un programma limitato”. Una cautela giustificata dai rumors su una imminente scissione nel partito. Nei corridoi del Parlamento si parla infatti di un gruppo di fuoriusciti democratici che dovrebbe costituirsi alla vigilia del voto di fiducia proprio per opporsi alle larghe intese e poi dar vita, insieme a Vendola e Barca, alla “nuova sinistra riformista”.
E per capire bene la dimensione del caos interno al partito di maggioranza relativa, basta dire che ieri sera il portavoce nazionale, Andrea Orlando, proprio nella giornata in cui Grillo ha definito “un golpe” la rielezione di Napolitano, ha clamorosamente riaperto al M5S: “I grillini dicevano che Bersani era l’ostacolo alla possibilità di ragionare su una loro presenza nella maggioranza di governo. Ora che Bersani non c’è più – ha dichiarato a “In Onda” – ci dicano se sono disponibili a dare un governo a questo Paese”.
Ma Napolitano vigila scrupoloso e attento e dall’alto del Colle, stavolta, non intende farsi”menare per il naso”.
L’espressione, antichissima e “in uso” anche tra i Greci e i Romani, proviene dal mondo agricolo, per l’esattezza dall’usanza di condurre i buoi tenendoli per un anello infilato nelle narici.
Ma, come si vede, di anelli Napolitano non reca, da nessuna parte.
Carlo Di Stanislao
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