“Non arrabbiarti se non puoi cambiare gli altri per farli come vorresti che fossero, dal momento che non puoi farlo neanche con te stesso”
Tommaso da Kempis
Sarà anche stato il gesto di un folle sconsiderato, ma dipinge il clima di ansia rabbiosa e di livore feroce che serpeggiano da tempo nella società.
Hanno scritto Scabini e Rossi nel 2000, che le relazioni soddisfano i più profondi bisogni umani di affiliazione, ma sono anche la fonte di alcune tra le più dolorose ferite. Quando le offese prendono vita, emozioni negative come la rabbia e il risentimento sono reazioni piuttosto comuni che creano una potenziale rottura della relazione stessa. A creare ulteriore disagio è l’esigenza naturale di rispondere, attraverso la vendetta, all’offesa subita, per riparare al diritto oltraggiato. Questo sentimento di vendetta può degenerare in rancore: non è più la semplice riparazione di un diritto violato che viene ricercata, ma il male che, in cambio del torto subito, si può arrecare all’offensore. Il rancore è una passione che, aggiunto alla sofferenza per l’offesa subita, ne accentua il carattere alienante.
Luigi Preiti, 49 anni, disoccupato, ha fatto fuoco con l’intento, ha detto, di uccidere un politico qualsiasi ed ha invece ferito due carabinieri (uno è grave, con lesioni midollari ed una figlia di 23 anni angosciata, dopo la morte della madre due mesi fa) ed una donna incinta.
Luigi Preiti è un uomo disperato, alienato, che ha perso anche la speranza estrema, quella del perdono.
Ha scritto per Ansa Alessandro Logrosino che capita talora che i politici diventino bersaglio di una rabbia più indistinta della piazza, di rancori e frustrazioni private, di figure borderline se non proprio psicolabili.
A parte i casi di scuola di Reagan e di Pim Fortuyn, leader olandese di un movimento liberale anti-islamico e gay dichiarato che il 6 maggio 2002 venne assassinato in piena campagna elettorale a Hilversum da un giovane ‘cane sciolto’; da noi, di recente, vi è la vicenda che il 13 dicembre 2009 vide vittima a Milano Silvio Berlusconi, centrato al viso da una statuetta, un Duomo in miniatura, scagliata contro di lui da Massimo Tartaglia.
Recentissima è infine l’aggressione violenta subita nel dicembre scorso in uno stadio di Atene – sullo sfondo della devastante crisi e delle tensioni collettive che investono la Grecia – da Dimitris Stratoulis, deputato del partito di sinistra Syriza. E’ l’intervallo della partita quando tre energumeni lo circondano al grido di ‘Adesso ti ammazziamo’ e, inneggiando al partito filo-nazista Alba Dorata, lo tempestano di calci e pugni.
Come ha detto alla fine dell’800 la filosofa inglese Joanna North : “Per perdonare, dobbiamo superare il risentimento, non negandoci il diritto di provare quel risentimento, ma sforzandoci di vedere il colpevole con compassione, benevolenza ed amore, pur sapendo che egli ha volontariamente abbandonato il suo diritto su di essi”.
Luigi Preiti è il frutto di un fallimento, non solo politico ma generazionale. Bisogna ormai prendere atto, come ha scritto l’ex deputato Ds Piero Di Siena, che la situazione attuale è anche il frutto del fallimento di una generazione, la generazione a cui appartengo che ha dimostrato – se si fa un bilancio onesto e veritiero – di non essere stata all’altezza dei cambiamento epocali da cui, a partire dal ’68 per passare dal crollo del comunismo e per arrivare alla crisi sistemica attuale che sta mutando un assetto plurisecolare del mondo, è stata investita.
Dobbiamo riconoscere che non ce l’abbiamo fatta, perché troppo a lungo abbiamo cercato di interpretare le grandi istanze di cambiamento di cui pure eravamo portatori entro le categorie di un secolo che troppo rapidamente stava andando a finire, e perché successivamente cedendo a un malinteso senso del realismo siamo stati succubi delle ideologie delle classi dominanti. E’ così che una generazione ha perso autorevolezza e rischia di non avere nessuna credibilità quando, come ha tentato Bersani con Grillo, bisogna porre un argine alla crisi della democrazia che scaturisce dalle insanabili contraddizioni che hanno investito economia e società.
Ora tutti, anche Berlusconi, parlano della necessità di silenziare il clima di odio che un bipolarismo feroce e senza regole ha disseminato nel Paese, un Paese che trema di rabbia ed incertezza mentre, dalle 11 di oggi, si voterà la fiducia al nuovo governo, prima alla Camera e poi (alle 15), al senato, secondo modalità stabile dai vari capigruppo. Un governo che ha molti appare come l’ultima spiaggia per una Nazione senza futuro che si vede spremuta ed abbonda nota da coloro che invece avrebbero dovuto guidarla.
Secondo le indiscrezioni il presidente del Consiglio terrà un discorso di ampio respiro per spiegare le ragioni di un esecutivo di larghe intese, sostenuto da Pd, Pel e Scelta Civica, soffermandosi nel dettaglio sulle proposte programmatiche: interventi sulla crisi economica e sulla crisi della politica (dalla riforma della legge elettorale alla fine del bicameralismo), azione nell’ambito dell’Unione europea per contribuire a ripensare le politiche per la crescita e non solo per l’austerità.
Due, invece, le opzioni al vaglio circa l’IMU: una rimodulazione o l’abolizione della stessa.
Il sì di Pd, Pdl e Scelta Civica è scontato ma Silvio Berlusconi alza il prezzo e chiede al premier precise garanzie sul varo della Convenzione per le riforme, con l’obiettivo di incassare il presidenzialismo, sull’accettazione del programma economico del Pdl, a cominciare da un fisco “leggero” e, soprattutto, sull’abolizione dell’Imu. La richiesta viene formalizzata da Renato Brunetta con un’intervista a Repubblica. “O ci sarà questo preciso impegno da parte del presidente del consiglio, o non voteremo la fiducia” avverte il “falco” del Pdl, con un messaggio che non è da sottovalutare perché adesso c’è una parte importante del Pdl che non condivide l’appoggio al governo e ne prevede una fine rapida.
Ma Berlusconi, che ieri ha tenuto un vertice a palazzo Grazioli con i neo ministri, ha spiegato che questo non è il momento giusto per tirare la corda. Certo, tutto dipende da quel che oggi dirà Letta. Il rischio di un’imboscata non viene solo dal partito del Cavaliere ma anche da una parte del Pd, che chiede riforme mai realizzate e misure in grado di garantire nuova occupazione. Rosy Bindi ha fatto sapere che voterà la fiducia pur mantenendo “tutte le riserve” sulle larghe intese mentre i gruppi del Pd di Camera e Senato si riuniranno questa mattina per discutere la linea in vista del voto. Ed anche i dissidenti del Pd, che per ora hanno sottoscritto solo una tregua armatia, costituiscono un pericolo al “patto di sangue” richiesto da Napolitano. “Accordiamo la fiducia a questo governo assumendoci le nostre responsabilità di eletti”, hanno scritto in un documento i deputati che in direzione avevano espresso perplessità su un governo con il Pdl: Laura Puppato, Sandra Zampa, Sandro Gozi e Pippo Civati.
Ma proprio quest’ultimo conferma tutti i dubbi fa sapere di non aver firmato nessun documento: Le mie perplessità sul governo Letta rimangono e prenderò una decisione sulla fiducia solo dopo averne discusso con il resto dei colleghi del Pd.
Intanto si prospettato tutt’alto che cali nei costi della politica, con Angelino Alfano, neo-presidente degli interni, che nel suo primo discorso ufficiale dopo la sparatoria davanti a Palazzo Chigi, ha fatto capire che, , sarà intensificato il servizio di scorte per i ministri e le più alte cariche istituzionali ed ha inoltre raccomandato i colleghi durante la relazione al Consiglio dei ministri a “non avere remore a utilizzare le macchine di servizio e farsi proteggere dalla scorta”.
Ben altre le parole del presidente della Camera Laura Boldrini, che ieri sera, ha visitato il brigadiere ferito e la sua famiglia al policlinico Umberto I. “La politica deve tornare a dare risposte concrete ai bisogni delle persone e all’emergenza sociale”, ha detto, “perché la crisi trasforma una vittima in carnefice, come l’uomo che ha sparato oggi e questo ci deve mettere in allarme”.
E anche il cardinale Bagnasco ha detto che quanto accaduto davanti a Palazzo Chigi è un fatto tragico “ed è un grande monito per il mondo della politica”.
Tornando alla mia generazione di falliti, come ha dichiarato lo psichiatra Pietropolli di recente su La Stampa, quello che è avvenuto è il passaggio dal complesso di Edipo, fondato sul conflitto con il Padre castratore, a quello di Narciso, che cerca invece la realizzazione del proprio sé. Gli adulti non hanno detto ai giovani, come accadeva nelle generazioni precedenti, che dovevano versare il loro sangue per la Patria, che dovevano aver fede nelle ideologie, che dovevano sacrificarsi in vista di mete lontane come il socialismo in terra. I ragazzi hanno creduto a queste parole, e hanno capito che, in fondo, era davvero meglio così rispetto al destino dei loro nonni. Oggi in cima ai valori personali, e di gruppo, sta la realizzazione di se stessi, con in mente un potere accuditivo, attento alla realizzazione della loro felicità. Per questo, quando vedono che ciò non accade, rispondono non con la rivolta o con la lotta frontale, bensì con il disprezzo e il disinteresse, fanno di tutto per richiamare il potere ai suoi doveri, lo considerano un disertore rispetto al suo compito primario. Reagiscono con il sarcasmo, con la presa in giro.
Mentre quelli meno giovani possono anche giungere a sparare. Comunque, le nuove generazioni che hanno l’idea di realizzare il proprio sogno creativo in forma festosa, in rapporto con un potere che appare non in grado di organizzare la loro felicità, anche in ambito politico, anche loro possono divenire un “corpo” pericoloso, soprattutto perché vecchi schemi di ragionamento non comprendono idee di questo tipo. C’è un salto di generazioni che va colmato, altrimenti saranno guai seri. Si va verso un conflitto, non di tipo ribellistico, come nel passato, ma di disprezzo e incomprensione reciproca. Espressioni come “morti che camminano”, “morti che parlano”, dicono benissimo la considerazione di queste generazioni nutrono nei confronti dei vecchi, politici e non.
Carlo Di Stanislao
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