E’ durato 45 minuti ed è stato applaudito più volte il discorso di Enrico Letta al Parlamento, con sguardi cupi e gesti eloquenti da parte di tutta l’assemblea all’indirizzo dell’unico polemico: il deputato 5 Stelle Andrea Colletti, che si rivolge direttamente a a lui e gli dice ingiurioso: “Presidente Letta, visto il ministro dell’Interno scelto – o che gli è stato imposto – questo sembra il governo della trattativa stato-mafia, il governo del bavaglio alla magistratura”, concludendo: “E inutile mettere facce nuove quando sulla parete c’è la muffa. La soluzione è rimuoverla non passarci sopra una mano di vernice. Questo siete voi: una mano di vernice su un muro rovinato dalla muffa”.
A parte ciò, Letta ha toccato con stile scarno ed efficace i temi più cruciali di questo difficile momento: la diminuzione delle tasse, l’azzeramento delle tasse per chi assume, la sburocratizzazione, l’idea di un fisco amico che ridisegna Equitalia non nella sua funzione ma nella modalità d’agire ed ha incassato il plauso tanto di Alfano che di Bersani, con Guglielmo Epifani, additato tra i possibili reggenti o segretari del Pd, che si dice convinto “dall’idea di Letta di partire andando a Bruxelles, a Parigi e a Berlino, perchè tre quarti dei punti del suo programmasi possono fare solo se troviamo risorse e se in Europa si allenti nei confronti dell’Italia quella politica di solo rigore che sta provocando probelmi enormi all’economia, quindi è giusto andare lì e rafforzare quel fronte”, mentre Pippo Civati, uno degli esponenti della cosiddetta aerea del ‘dissenso’ ì, rimane fermo sulle sue posizioni di “disagio” che comunque non ha intenti “frondisti”.
Il discorso è stato già consegnato a Pietro Grasso, presidente del Senato e domani in quell’aula non sarà di nuovo pronunciato, con procedura di voto più veloce dato anche il minor numero di deputati che siedono a Palazzo Madama.
Nel suo discorso il neo-premier ha infilato tutti i temi cruciali di questo momento: stop al pagamento della rata Imu di giugno; impegno alla “moralizzazione della vita pubblica” e “lotta alla corruzione”, perché “la giustizia nel suo complesso deve essere per i cittadini”; eliminazione, come primo atto del governo “dello stipendio dei ministri parlamentari in aggiunta all’indennità”; riforma del sistema di finanziamento dei partiti con riduzione dei costi della politica che diventa “un dovere di credibilità”; stop alla burocratizzazione “opprimente”; lotta alla evasione coniugata con “con un fisco amico dei cittadini senza che la parola Equitalia debba provocare dei brividi quando viene evocata”; lavoro per giovani e donne; risoluzione del problema esodati; reddito minimo per le famiglie bisognose con figli; abolizione delle provincie; federalismo fiscale e, naturalmente, riforma elettorale.
“E’ il lavoro la priorità del Governo”, ha detto il primo ministro che ha aggiunto che questa priorità è necessaria ”per uscire dall’incubo dell’impoverimento”.
“Non bastano gli incentivi monetari – ha sottolineato – bisogna ridurre le restrizioni ai contratti a termine, aiuteremo le imprese ad assumere giovani a tempo indeterminato in una politica generale di riduzione del costo del lavoro”.
Bisogna fare anche di più “sull’occupazione femminile”, perché i fatti ci dicono che siamo lontani “dagli obiettivi europei e “non siamo ancora un Paese delle pari opportunità”.
Il suo governo, poi, scommette anche sullo sport e sull’attività’ fisica come strumento di progresso del paese, con l’Italia chiamata a “valorizzare il proprio grande patrimonio sportivo”, anche perché “la pratica dello sport significa prevenzione contro le malattie, lotta all’obesità’, formazione a stili di vita sani e leali e al rispetto delle regole”.
Si è dato un tempo di 18 mesi per tutte questi obbiettivi e le necessarie riforme Letta, che ha paragonato se stesso e tutti i parlamentari a Davide contro Golia, richiamando in tutti la necessità di crederci, perché altrimenti il Paese va in rovina.
Ma ha anche ventilato la possibilità di una manovra aggiuntiva e non da poco, di 10-15 miliardi, senza dire da dove verranno e facendo temere ancora per le nostre tasche.
Oggi Il Messaggero ci ricorda che la cassa integrazione in deroga fa registrare un più 14% rispetto a febbraio e sta divorando come un insaziabile mostro i fondi per quella ordinaria e straordinaria, sicché, non trovando immediatamente un miliardo di risorse, si rischiano altri 500.000 posti di lavoro.
I mancati introiti Imu sulla prima casa e i due miliardi in meno all’anno per la bocciatura della Corte costituzionale a nuovi ticket sanitari, sono elementi di forte possibilità per il varo, anche per quest’anno, di una nuova manovra, per coprire una serie di spese, dalla cassa integrazione alle missioni militari all’estero.
L’altro ieri la versione definitiva del Def ci ha mostrato una situazione decisamente meno rosea delle anticipazioni. Nel testo si prospetta chiaramente il ricorso a nuovi interventi che variano di intensità a seconda che l’Imu venga confermata o venga abolita e nello specifico, per mantenere il pareggio di bilancio strutturale, si parla di manovre per 20 miliardi nel triennio 2015-2017 se l’attuale imposizione sulla casa viene confermata, se invece salta come fa prevedere il discorso di Letta, le manovre schizzano a 60 miliardi. Tutto questo senza tener conto delle griglie imposte dal fiscal compact che ci impone di ridurre il debito pubblico di un ventesimo all’anno a partire dal 2015.
Ci sono poi le incognite, segnalate da Andrea Camanzi su Repubblica, legate al’adozione all’ultimo minuti del provvedimento d’urgenza sul rimborso dei debiti della pubblica amministrazione, provvedimento segnatamente espansivo da parte di un governo che si è caratterizzato per il rigore della sua politica economica e di bilancio; approvato lo scorso 8 aprile, che oltre a richiedere miglioramenti puntuali, chiama il neoeletto Parlamento ad una singolare responsabilità nella fase di conversione e impegna il governo appena designato a indicare da subito le misure da adottare per onorare i debiti scaduti e sostenere la crescita nel rispetto dei margini negoziali con la Ue.
Si comprendono così i “caveat” e i distinguo dello stesso governo dimissionario al momento dell’approvazione del provvedimento e si capisce, altresì, il bisogno che ha sentito il Ragioniere generale dello Stato di fare una pubblica difesa del proprio operato, della propria indipendenza e neutralità politica e della missione di tipo quasi notarile della Ragioneria. Inoltre, la costituzione di una nuova piattaforma elettronica per la certificazione dei crediti, anche di quelli commerciali, quando non si accompagna all’obbligo di incrociare i dati da acquisire con quelli dei contratti pubblici dai quali tali crediti traggono origine, né di mutuare il sistema anagrafico in uso per questi ultimi, non rende più credibile ed operativo il processo ed anzi è una mancanza che impedisce l’interoperabilità delle banche dati e priva di utili strumenti le azioni di controllo e vigilanza sugli atti presupposti dei singoli provvedimenti di spesa.
Nel suo discorso programmatico Enrico Letta ha ringraziato il Presidente Napolitano che “nell’emergenza ci ha concesso un’ultima opportunità ed ha chiesto di “parlare il linguaggio della verità”. Ma allora, per creare occupazione ed insieme cancellare l’Imu, per aiutare il lavoro ed i giovani, ma ridurre la pressione fiscale, dove si troveranno i soldi?
Secondo la Bibbia, il pastore Davide – “fulvo di capelli e di bell’aspetto” – era figlio di un efraitita da Betlemme di Giuda di nome Iesse ed entrò a servizio di Saul, come citarista per rallegrarne l’umore, depresso a causa di uno spirito negativo. Poi, unto segretamente dal profeta Samuele, portò pace e prosperità nel suo Paese. Speriamo che pensando a questo Enrico Letta lo abbia richiamato nella sua metafora di chiusura, anche perché, lui profondamente cristiano, sa bene che il secondo libro di Samuele, lo presenta come un uomo dalla personalità indubbiamente eccezionale, fortunato conquistatore, astuto politico, sapiente organizzatore dello stato, equo amministratore della giustizia, uomo religioso e di sincera pietà. E speriamo si chiuda qui e non come la storia biblica in cui del piccolo pastore, divenuto potentissimo re, con il drammatico “impiccio” di Betsabea e l’assassinio di Uria, causò ogni sorta di disgrazia al suo popolo e alla sua stessa famiglia, e le conseguenti disgrazie dell’intero suo popolo della sua famiglia, con protagonisti attivi e negativi gli stessi suoi figli, con la violenza fatta da Amnon alla sorellastra Tamar e la rivolta di Assalonne.
Carlo Di Stanislao
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