Nell’Universo l’ordine regna sovrano nell’apparente caos. E le “corone” astrali reali abbondano più di quanto si osservi e si creda sulla Terra. Il telescopio danese dell’Osservatorio Eso di La Silla in Cile, con i suoi 1.54 metri di diametro, ha catturato una suggestiva immagine dell’oggetto NGC 6559 che dimostra chiaramente come regni l’ordine quando si formano astri all’interno di una nube interstellare. NGC 6559 è una nube di gas e polveri distante circa 5mila anni luce dalla Terra, nella costellazione del Sagittario. La regione incandescente è un oggetto relativamente piccolo, esteso pochi anni luce rispetto al centinaio di anni luce e più della sua famosa vicina, la Nebulosa Laguna (Messier 8). Anche se solitamente trascurata a favore della sua ragguardevole cugina, NGC 6559 ha un ruolo di primo piano nella nuova fotografia diramata dagli astronomi europei dell’Eso. Il gas nelle nubi di NGC 6559, per la maggior parte Idrogeno, è la materia prima per costruire le stelle. Quando una regione all’interno della nebulosa raccoglie abbastanza materia che si aggrega attorno a quella Oscura, inizia a collassare sotto il peso della propria gravità. Il centro della nube diventa sempre più denso e caldo, finché inizia la fusione termonucleare. È nata una nuova stella nel firmamento. Gli atomi di Idrogeno si combinano per formare atomi di Elio, liberando quell’energia termonucleare gravitazionale che fa brillare l’astro. Queste stelle giovani, calde e brillanti appena nate dalla nebulosa, forniscono energia all’Idrogeno gassoso ancora presente nella nebulosa. Sono astri di tipo spettrale O e B, con temperature tra i 10mila e i 60mila gradi Kelvin, che irradiano enormi quantità di luce ultravioletta in grado di ionizzare gli atomi di Idrogeno. Il gas riemette energia producendo le nubi rossastre incandescenti e filiformi che si vedono al centro dell’immagine della nebulosa “a emissione”. Ma NGC 6559 non è fatta solo di Idrogeno. Contiene anche particelle solide di polvere, formate da elementi più pesanti come il Carbonio, il Ferro, il Silicio: i mattoni della vita. La macchia bluastra vicina alla nebulosa a emissione rossa, mostra la luce delle stelle di recente formazione: fotoni che vengono diffusi e riflessi in diverse direzioni dalle particelle microscopiche della nebulosa. Ecco perché questi oggetti di solito appaiono di colore blu: a causa della diffusione che è più efficiente nelle lunghezze d’onda della luce più corte. È il fenomeno meglio noto agli addetti ai lavori come “scattering di Rayleigh”, dal nome del fisico britannico Lord Rayleigh: avviene quando la luce è diffusa da particelle di materia molto più piccole della lunghezza d’onda fotonica. Il fenomeno è molto più efficace per lunghezze d’onda corte, cioè nella parte blu dello spettro visibile, e il risultato è perciò una luce azzurra diffusa. È lo stesso meccanismo che spiega il colore azzurro del cielo terrestre diurno senza nubi. Nelle regioni in cui è molto densa, la polvere blocca completamente la luce che proviene dal fondo, come nel caso delle macchie scure isolate e delle bande sinuose nella parte in basso a sinistra e in basso a destra nell’immagine. Per guardare attraverso le nubi quello che sta dietro, gli astronomi devono osservare la nebulosa in una banda di lunghezze d’onda più lunga, che non viene assorbita. La Via Lattea, la nostra Galassia, riempie lo sfondo dell’immagine con innumerevoli stelle giallastre, più antiche. Alcune appaiono più deboli e più rosse a causa delle polveri di NGC 6559. L’immagine accattivante di formazione stellare è stata ottenuta dalla “Danish Faint Object Spectrograph and Camera” dell’Eso, accoppiata al telescopio nazionale in uso a La Silla dal 1979, recentemente ristrutturato per convertirlo in uno strumento a controllo remoto davvero all’avanguardia. In Cile si lavora alacremente anche nella caccia all’Energia Oscura. Una collaborazione internazionale ha appena varato il Progetto “Dark Energy Detectives”(http://darkenergydetectives.org) in grado di analizzare le immagini astronomiche al computer grazie alla più potente camera digitale costruita al Fermilab (Illinois, Usa) e montata sul Blanco Telescope del Cerro Tololo Inter-American Observatory in Cile. La “Dark Energy Survey” è un progetto quinquennale per mappare il cielo australe, con una risoluzione senza precedenti, alla ricerca della reale natura dell’antigravitazionale Energia Oscura nell’Universo, ritenuta dagli scienziati la principale responsabile dell’espansione accelerata del Cosmo. È possibile seguire la ricerca in tempo reale su Twitter e su Facebook. Grazie ai suoi quattro metri di diametro, il Blanco Telescope al Cerro Tololo è in grado di catturare fotoni davvero lontani nello spaziotempo, fino a 8 miliardi di anni luce dalla Terra, e di immortalarli in foto di ineguagliabile bellezza. Ogni Lunedì della settimana, dal prossimo mese di Settembre 2013, una nuova foto verrà pubblicata dai ricercatori sul blog “Dark Energy Detectives” con la relativa spiegazione dell’oggetto e della ricerca condotta dalle montagne del Cile grazie alla “Dark Energy Camera”. Gli scienziati effettueranno l’esplorazione profonda di una porzione del cielo australe tra i mesi di Settembre e Febbraio di ogni anno. Sempre al lavoro sulla Materia e sull’Energia oscure, è la collaborazione ALPHA al Cern di Ginevra come si legge in un articolo appena pubblicato sul “Nature Communications” che descrive la prima analisi diretta di come l’Antimateria interagisca con la gravità. Roba da Star Trek (www.startrekmovie.com/). Ma è tutto vero. Sappiamo che l’esperimento ALPHA è il primo ad aver intrappolato 500 atomi di Anti-idrogeno in un forte campo magnetico per mille secondi. Come al solito di voleva fare altro: l’obiettivo principale di ALPHA non era lo studio della gravità. Ma gli scienziati del Cern hanno scoperto quali rapporti intercorrano tra l’Antimateria e i suoi effetti gravitazionali. “L’apparato ALPHA può intrappolare atomi di Anti-idrogeno che noi possiamo intenzionalmente rilasciare – dichiara Jeffrey Hangst della Aarhus University, portavoce di ALPHA – così abbiamo usato il nostro sensore di annichilazione per osservare eventuali effetti gravitazionali del rilascio di questi anti-Atomi”. Tema assai caro a Star Trek e Ritorno al Futuro. Le attuali teorie prevedono che gli atomi di Idrogeno ed Anti-idrogeno abbiano la stessa massa e debbano interagire allo stesso modo con la forza di gravità. Quindi, al rilascio di questi atomi, gli effetti gravitazionali dovrebbero essere identici. L’anomalia osservata durante il rilascio dell’Anti-idrogeno sembra porre una serie sconcertante di limitazioni a quelle teorie. I ricercatori stanno controllando i dati: potrebbe trattarsi della prima osservazione sperimentale diretta degli effetti gravitazionali dell’Antimateria sulla Terra. Servono più informazioni. L’esperimento deve essere potenziato, come ammette lo stesso Hangst che promette nuove sensazionali rilevazioni dal 2014 quando la quantità di Anti-idrogeno prodotta al Cern sarà sensibilmente maggiore. Le implicazioni scientifiche e tecnologiche di ogni ordine e grado sono semplicemente considerevoli. Anche secondo Joel Fajans, un ricercatore di ALPHA alla Berkeley University della California, potremmo essere di fronte a una rivoluzione copernicana della nostra visione dell’Universo: capire come lavorano l’Antimateria, la Materia e la Gravità, unitamente all’Energia Oscura, è di capitale importanza per tutti. L’esperimento ALPHA sarà di nuovo operativo nel 2014: la nuova trappola di Antimateria, chiamata ALPHA-2, sarà molto più all’avanguardia: il Cern intende potenziare l’esperimento con altri due progetti, AEgIS e GBAR, in fase di costruzione: saranno in grado di misurare gli effetti della gravità sull’Anti-idrogeno. Nel frattempo si è conclusa la missione spaziale Herschel dell’Esa dedicata all’osservazione dell’Universo nell’infrarosso. Dallo studio delle stelle in formazione alla scoperta di acqua in sistemi planetari extrasolari, è lunghissima la serie di successi ottenuti dalla missione europea, nella quale fondamentale è stato il contributo scientifico e tecnologico italiano. Dopo quasi quattro anni di osservazioni, il Telescopio Spaziale Herschel dell’Agenzia Spaziale Europea ha infatti esaurito la scorta di Elio superfluido, indispensabile per il raffreddamento degli strumenti scientifici di bordo e per il loro corretto funzionamento. La contenuta evaporazione dell’Elio ha consentito di osservare il cielo per alcuni mesi in più rispetto a quanto stabilito dalle più rosee previsioni, superando le 22mila ore complessive di osservazioni. Ovvero più del 10 percento di quanto inizialmente programmato. L’inaspettato traguardo è solo un altro dei molteplici successi della missione divenuta una pietra miliare dell’Astrofisica europea del terzo millennio. I dati di Herschel offriranno lavoro per decenni. Successi in cui l’Italia ha avuto un ruolo determinate. Attraverso un supporto importante dell’Agenzia Spaziale Italiana, il nostro Belpaese dei cervelli ha partecipato alla costruzione di tutti e tre gli strumenti a bordo del satellite, fornendo contributi tecnologici d’avanguardia che hanno visto coinvolti alcuni centri di ricerca dell’Istituto Nazionale di Astrofisica e due tra le industrie italiane aerospaziali più importanti, la Carlo Gavazzi Space S.p.A., attuale Compagnia Generale dello Spazio, e la Galieleo Avionica, attuale Selex Galileo S.p.A.. “L’alto livello scientifico e tecnologico del contributo italiano alla missione è basato sull’esperienza maturata nella partecipazione a precedenti missioni spaziali per l’astronomia infrarossa, esperienza poi continuamente arricchita con l’impegno quotidiano che ricercatori e tecnici hanno dedicato a Herschel – rivela Elisabetta Tommasi dell’Unità Osservazione dell’Universo dell’Agenzia Spaziale Italiana – l’ASI ha seguito e supportato costantemente questo cammino che ha portato alla costituzione di un grande capitale da mantenere e potenziare in prospettiva futura”. L’Istituto di Astrofisica e Planetologia Spaziali (IAPS) di Roma dell’INAF ha fornito i sistemi software di controllo dei tre strumenti di bordo. L’INAF-Osservatorio Astrofisico di Arcetri, l’INAF-Osservatorio Astronomico di Trieste e il dipartimento di Astronomia dell’Università di Padova hanno collaborato fornendo personale altamente qualificato per i centri di controllo degli strumenti, seguendo la missione sin dalle prime fasi di assemblaggio a Terra fino agli ultimi giorni di operazione, contribuendo all’aggiornamento e miglioramento continuo delle procedure di calibrazione. “La comunità italiana ha partecipato con entusiasmo alla missione, contribuendo significativamente sia alla realizzazione degli strumenti sia alla definizione ed all’analisi scientifica dei più importanti programmi osservativi – fa notare Anna Maria Di Giorgio dell’INAF-IAPS, responsabile delle attività scientifiche italiane per la missione Herschel – è quindi con grande emozione che abbiamo accolto la notizia dell’esaurimento della riserva di Elio a bordo e della conclusione della fase operativa. Oggi si chiude un pezzo importante della nostra vita, intendo quella di tutti noi che abbiamo lavorato per oltre 15 anni alla missione ed ai suoi “Key project” scientifici. Ma c’è ancora così tanto da fare per lo sfruttamento dei dati che non possiamo permetterci di sederci sugli allori!”. Molta è l’attesa per i risultati scientifici che potranno ancora arrivare dalle future analisi dell’enorme mole di informazioni raccolta, grazie alle quali è già stata scoperta l’esistenza di onnipresenti strutture filamentose nelle regioni di formazione stellare contenute all’interno delle grandi nubi molecolari della nostra Galassia, esplorate con una risoluzione spaziale senza precedenti. I filamenti osservati svolgono un ruolo chiave nel processo di formazione delle stelle. Le bellissime immagini di Herschel, così ricche di dettagli, online sul sito dell’Esa, mostrano come alcune nubi abbiano sviluppato filamenti così densi che stanno collassando sotto l’effetto della loro stessa gravità ed aprono di fatto un nuovo capitolo sulla comprensione dei meccanismi della formazione stellare galattica. Lo studio spettroscopico nell’infrarosso con Herschel dei sistemi stellari in formazione ha permesso di osservare per la prima volta strutture ancora in fase di contrazione gravitazionale. Il Telescopio Spaziale Herschel ha rivelato in alcune di esse una quantità di vapor d’acqua sufficiente a riempire più di 2000 volte tutti gli oceani della Terra. Questa scoperta è stata ottenuta all’interno di un altro dei grandi progetti scientifici della missione: il rilevamento della presenza di tracce d’acqua aliena, una molecola cruciale per la vita, a partire dalle nubi di formazione stellare sino alla sua osservazione nei dischi protoplanetari che circondano le stelle appena formate. Ma l’alta sensibilità degli strumenti a bordo di Herschel ha permesso anche di osservare la formazione di stelle nelle altre galassie, partendo da quelle relativamente vicine, come Andromeda, fino a galassie situate a miliardi di anni luce dalla Terra. Si è scoperto che molte tra quelle più distanti, ben oltre i 10 miliardi di anni luce, hanno un tasso di formazione stellare elevatissimo, producendo centinaia di migliaia di stelle all’anno. Herschel è stato il più grande Osservatorio astronomico orbitante mai costruito dall’uomo. Il suo telescopio ha uno specchio primario del diametro di 3.5 metri, pari a una volta e mezzo il diametro del Telescopio Spaziale Hubble, progettato per operare nell’intervallo spettrale che va dal lontano infrarosso al sub-millimetrico, una banda di radiazione inaccessibile ai telescopi terrestri. Herschel continuerà le comunicazioni con la Terra per qualche tempo, permettendo agli ingegneri dell’Esa di condurre tutta una serie di test tecnici soltanto alla fine dei quali il satellite verrà spedito verso una orbita stabile di parcheggio intorno al Sole, simile a quella di un asteroide o di una cometa. Per diventare un’autentica reliquia spaziale della civiltà umana sulla Terra.
© Nicola Facciolini
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