Torno sempre con grande gioia nella mia Città: Martina Franca.
Ero qui anche il 29 ottobre 1989. Quella domenica, a Martina, con immensa gioia ho visto Papa Giovanni Paolo II percorrere a bordo della Papamobile la nostra piazza principale: “Lo Stradone”.
Il Papa è salito sul palco; aveva al suo fianco il vescovo Salvatore De Giorgi. Ripropongo il suo speciale incoraggiamento e il suo prezioso augurio.
“Popolo diletto di Martina Franca, le espressioni originali di religiosità popolare e di impegno sociale, che caratterizzano la vostra storia, vi stimolino in questa stagione ad una nuova semina, ovunque sia possibile: nelle associazioni di culto e nei luoghi di formazione, nell’apostolato della carità, nelle confraternite e nelle altre organizzazioni.
Aziende agricole e botteghe artigianali, ditte tessili e imprese edili, espressioni del lavoro commerciale e delle attività culturali, artistiche e sportive di questo popolo tenace di Martina Franca, possiate voi tutte proseguire verso nuovi traguardi di convivenza civica e di progresso sociale e spirituale. Vi animi l’amore alla vostra terra e all’unità delle vostre famiglie, vi orientino l’insegnamento della Chiesa e il richiamo della santità cristiana”. (Cfr. Giovanni Paolo II, Discorso agli agricoltori e agli artigiani, 29 ottobre 1989).
Commenterò tra poco l’incoraggiamento e l’augurio del Papa. Per il momento mi piace evidenziare che la lastra in pietra incisa con lo scalpello, sotto l’Arco di Santo Stefano, che ricorda la visita del Papa, è opera di mio zio Tonino.
La devozione alla Madonna
Torno sempre con grande gioia nella Chiesa del Carmine.
Qui mia madre ha ricevuto il sacramento del battesimo e il sacramento della cresima.
Qui mia nonna materna recitava il rosario e un Pater, Ave, Gloria a San Simone Stock.
Qui, tra due giorni, ringrazierò la Madonna di un grande dono: i novant’anni di mio padre.
Sulla devozione alla Madonna del Carmine potrei dilungarmi, pur consapevole di quanto diceva San Bernardo di Chiaravalle “De Maria nunquam satis” (su Maria non si dirà mai abbastanza).
La mia devozione alla Madonna del Carmine risale a tanti anni fa e mio padre ne fu testimone.
Dovete sapere che da mio padre “non ho mai preso botte”.
Mai, nemmeno quando, prendendo la rincorsa, riuscii ad aggrapparmi alla macchina da cucire (papà di mestiere faceva il sarto) che, sollecitata dal mio peso, precipitò sul pavimento . . . . e si ruppe.
Mai, nemmeno quando un altro giorno feci qualcosa che lo indusse ad afferrarmi, a mettermi seduto su una sedia e ad allargare le braccia per far partire due scappellotti. Mi ricordo perfettamente la scena. Lanciai un urlo: “Madonna mia del Carmine” e la feci franca anche quella volta.
LO SCAPOLARE DELLA MADONNA DEL CARMINE
Perché mi trovo qui questa sera? Perché il 16 luglio 2012 sono stato nominato confratello onorario dell’Arciconfraternita del Carmine. E di ciò ringrazierò sempre don Michele Castellana e Paolo Miola, rispettivamente, padre spirituale e priore dell’Arciconfraternita del Carmine.
Mia madre mi chiedeva cosa avrei ricevuto. Come tutte le madri confidava che al proprio figlio venisse dato qualcosa di importante. Mi chiedeva: “Ti assegneranno un loculo”? . . . .”Ma no”, dicevo io, “non credo proprio”. Io pensavo di ricevere il corredo di un confratello: il camice bianco . . . .ma non me l’hanno dato, la mozzetta. . . .ma non me l’hanno data, il cappuccio. . . .ma non me l’hanno dato, il cingolo. . . .ma non me l’hanno dato, il cappello. . . .ma non me l’hanno dato, il bastone. . . . ma non me l’hanno dato.
Afferma don Michele Castellana nella prefazione al Libro “L’Arciconfraternita del Carmine di Martina Franca” Nuova Editrice Apulia, novembre 2012,:
“Sono tante le generazioni che si sono succedute nei trecento anni dell’Arciconfraternita. Quante persone, quanti volti, quante presenze, quanti confratelli, quante consorelle, quante esperienze: tutti hanno contribuito alla crescita dell’Arciconfraternita. Solo il Signore sa. Lui li conosce ad uno ad uno.
Noi nel presente riceviamo il frutto del loro lavoro, della loro fedeltà alla Chiesa e all’Arciconfraternita. È un cammino di fede, di spiritualità e di testimonianza: è un patrimonio molto prezioso.
Cosa lega noi a questa moltitudine che ci ha preceduto? Una cosa sola: la devozione alla Vergine del Carmine”.
Il segno distintivo della devozione alla Madonna del Carmine, dal 16 luglio 1251 (sono passati 8 secoli), è l’abitino, o Scapolare. Senza dubbio alcuno, la componente più preziosa del corredo di un confratello e di una consorella. Come dice in versi il mio amico Benvenuto Messia:
“I fratille d’u Carmene sŏ bunaridde
e prŏprie tŭtte se mĕttene a Petidde”.
L’ho ricevuto qui, il mio abitino, il 16 luglio 2012.
Questa sera, primo maggio 2013, questo luogo benedetto accoglie lo Scapolare del Carmine indossato da Papa Giovanni Paolo II.
“Per i Membri della Famiglia carmelitana Maria, la Vergine, Madre di Dio e degli uomini, non è solo un modello da imitare, ma anche una dolce presenza di Madre e Sorella in cui confidare”. Questa meravigliosa considerazione e le successive sono di Papa Giovanni Paolo II.
“Questa intensa vita mariana, che si esprime in preghiera fiduciosa, in entusiastica lode e in diligente imitazione, conduce a comprendere come la forma più genuina della devozione alla Vergine Santissima, espressa dall’umile segno dello Scapolare, sia la consacrazione al suo Cuore Immacolato. È così che nel cuore si realizza una crescente comunione e familiarità con la Vergine Santa, quale nuova maniera di vivere per Dio e di continuare qui in terra l’amore del Figlio Gesù a sua madre Maria.
Nel segno dello Scapolare si evidenza una sintesi efficace di spiritualità mariana, che alimenta la devozione dei credenti, rendendoli sensibili alla presenza amorosa della Vergine Madre nella loro vita.
Lo Scapolare è essenzialmente un abito. Chi lo riceve viene aggregato o associato in un grado più o meno intimo all’Ordine del Carmelo, dedicato al servizio della Madonna per il bene di tutta la Chiesa.
Chi riveste lo Scapolare viene introdotto nella terra del Carmelo, per mangiarne i frutti e i prodotti, e sperimenta la presenza dolce e materna di Maria, nell’impegno quotidiano di rivestirsi interiormente di Gesù Cristo e di manifestarlo vivente in sé per il bene della Chiesa e di tutta l’umanità.
Due, quindi, sono le verità evocate nel segno dello Scapolare: da una parte, la protezione continua della Vergine Santissima, non solo lungo il cammino della vita, ma anche nel momento del transito verso la pienezza della gloria eterna; dall’altra, la consapevolezza che la devozione verso di Lei non può limitarsi a preghiere ed ossequi in suo onore in alcune circostanze, ma deve costituire un abito, cioè un indirizzo permanente della propria condotta cristiana, intessuta di preghiera e di vita interiore, mediante la frequente pratica dei Sacramenti ed il concreto esercizio delle opere di misericordia spirituale e corporale.
In questo modo lo Scapolare diventa segno di alleanza e di comunione reciproca tra Maria e i fedeli: traduce in maniera concreta la consegna che Gesù, sulla croce, fece a Giovanni, e in lui a tutti noi, della Madre sua, e l’affidamento dell’apostolo prediletto e di noi a Lei, costituita nostra Madre spirituale.
Di questa spiritualità mariana, che plasma interiormente le persone e le configura a Cristo, sono uno splendido esempio le testimonianze di santità e di sapienza di tanti Santi e Sante del Carmelo, tutti cresciuti all’ombra e sotto la tutela della Madre”.
Conclude Papa Giovanni Paolo II: “Anch’io porto sul mio cuore, da tanto tempo, lo Scapolare del Carmine”. . . .Anch’io sperimento continuamente la protezione della Madre celeste. (Cfr. Giovanni Paolo II, Lettera per i 750 anni dello Scapolare, 25 marzo 2001).
LO SCAPOLARE DEL CARMINE DI PAPA GIOVANNI PAOLO II
Karol Wojtyla ricevette lo Scapolare del Carmine all’età di 10 anni. Per l’amore che nutriva verso la Madre celeste, non se ne volle mai separare durante la sua vita terrena, nemmeno in sala operatoria dopo l’attentato del 13 maggio 1981.
L’attentato . . . . come dice in versi Padre Lucio Maria Zappatore:
“È stato l’Abbitino benedetto
la prima garza, quella ch’ha fermato
er sangue che scoreva giù dar petto
quer giorno che successe l’attentato”.
Quale segno di consacrazione al Cuore Immacolato di Maria, indossava lo scapolare anche quando intraprese il suo viaggio verso la vita eterna.
Alla Vergine Santissima, Stella del mare e Fiore del Carmelo, Papa Giovanni Paolo II ha affidato. . . . nientemeno . . . . che il terzo millennio.
Il terzo millennio . . . . Papa Giovanni Paolo II ha affidato alle confraternite una missione per il terzo millennio.
“Rinnovarsi affinché, legate alle loro migliori tradizioni, possano rispondere adeguatamente alle esigenze di fede di uomini e donne del terzo millennio. Per compiere tale missione è necessario che si riconoscano come fraterne comunità cristiane, segno del mistero che è la Chiesa. Dove si coltiva un’intensa vita liturgica e apostolica, non ridotta soltanto alle date per la processione, ma prolungata a tutto l’anno, in spirito di conversione e di penitenza, di preghiera e di pubblica testimonianza della fede, dove sia frequente l’avvicinarsi dei confratelli ai Sacramenti della Riconciliazione e dell’Eucarestia e ciò si attui sempre in comunione affettiva ed effettiva con i loro Vescovi, guide del popolo di Dio”. Conclude Papa Giovanni Paolo II: “In tale modo, la pietà popolare cattolica si tramuta in adeguato strumento di evangelizzazione”. (Cfr. Giovanni Paolo II, Lettera a Monsignor Carlos Amigo Vallejo, Arcivescovo di Siviglia, 21 settembre 1998).
PRIMO MAGGIO DI SPERANZA E PREGHIERA
La pietà popolare cattolica. . . . queste parole aumentano in maniera significativa la loro valenza il giorno del primo maggio di un anno, il 2013, in cui il lavoro non c’è per tantissimi giovani e non c’è più per tanti uomini e donne. È un anno brutto; anche coloro che un lavoro ce l’hanno e coloro che danno lavoro sono assillati da tante ansie quotidiane:
il salario, lo stipendio, la cassa integrazione, l’indennità di disoccupazione, la pensione . . . .che non bastano,
i clienti che non pagano,
i debiti che aumentano,
i bilanci che chiudono di nuovo in rosso,
le banche restie a concedere credito,
l’incertezza del futuro,
la paura di non farcela,
la solitudine interiore,
l’usura dei rapporti,
l’instabilità degli affetti,
l’educazione difficile dei figli,
la sopportazione dei genitori anziani,
l’incomunicabilità perfino con le persone più care,
la frammentazione assurda del tempo,
la stanchezza da stress,
la passione, malsana e morbosa, per i fatti di cronaca nera,
il capogiro delle tentazioni,
la condanna al presente, senza profondità di memoria e di futuro.
Una domanda difficile . . . .come ne veniamo fuori? il venerabile Servo di Dio Pugliese, che fu nominato vescovo da Papa Giovanni Paolo II, don Tonino Bello, perviene alla risposta ragionando sul comportamento di Maria.
Dice Maria: “Eccomi, sono la serva del Signore: avvenga di me quello che hai detto”. Subito dopo l’Evangelista Luca annota che Maria si mette in viaggio per andare a trovare Elisabetta.
Dopo aver detto “Eccomi, sono la serva del Signore”, Maria va a mettersi al servizio di sua cugina, della gente. Va a fare la serva del popolo, la serva del fratello, la serva della sorella.
Va a fare la serva degli altri: la serva del mondo. Perché? . . . .
Perché, spiega don Tonino Bello, non basta essere serva del Signore, bisogna mettersi anche al servizio dei fratelli.
Perché non ha significato mettersi soltanto al servizio del Signore, senza sperimentare poi un versante concreto di servizio nei confronti del fratello che ti sta accanto, che ti passa vicino con i suoi problemi.
Come pure non ha significato mettersi al servizio dei fratelli (degli emigrati, dei poveri, dei tossici, dei malati di Aids, dei malati terminali, degli spastici . . . .) se il nostro cuore è staccato da Dio: faremmo soltanto filantropismo, saremmo buoni, saremmo generosi . . . .ma non credenti.
Ecco perché dobbiamo invocare Maria come serva di Dio e serva del mondo, perché partecipi pure a noi questa sua incredibile qualità: ci faccia diventare più servi di Dio e più seguaci del Vangelo.
Un’altra domanda difficile: come si configurano il confratello e la consorella? Per dare una risposta a tale domanda ho bisogno di aiuto. L’aiuto lo chiedo a un grande devoto della Madonna, a un prossimo Santo, il Beato Giovanni Paolo II.
Non penso di sbagliare affermando che il confratello o la consorella, che indossa lo Scapolare del Carmine, è testimone di Cristo. Non abbiate paura, ripete ancora una volta, a voce alta, Papa Giovanni Paolo II.
Non abbiate paura: confratello e consorella abbraccino chi è solo, dandogli compagnia.
Non abbiate paura: confratello e consorella abbraccino il disprezzato, ridandogli la figliolanza divina.
Non abbiate paura: confratello e consorella abbraccino il disperato, ridandogli la speranza.
Non abbiate paura: confratello e consorella scorgano chi si è fermato lungo la strada e gli diano una mano per riprendere il viaggio.
Chi, adesso, è fermo lungo la strada, incapace di proseguire il cammino da solo?
Quando penso a qualcuno fermo lungo la strada. . . . penso ai ragazzi, oggi mortificati da un’istruzione in certi casi inadeguata, da un mercato del lavoro che li respinge o li discrimina, da un’organizzazione produttiva che troppo spesso non premia il merito, non valorizza le capacità.
E chi sono i ragazzi? . . .Sono il futuro dell’umanità. . . .adesso!
È mio profondo convincimento che dobbiamo fare di tutto, dobbiamo fare di più, per stimolare in tutti, nei ragazzi in particolare, una creatività più fresca, una fantasia più liberante e la gioia turbinosa dell’iniziativa. Dobbiamo farlo nel nome della solidarietà: un valore indissolubilmente legato all’esistenza stessa delle confraternite.
Ripeto la prima delle domande difficili: come ne veniamo fuori . . . . da un mondo in cui gli antichi valori sono andati giù, in cui il mare ha inghiottito le boe, sicure e galleggianti, cui attraccavamo le imbarcazioni in pericolo? La risposta, secondo don Tonino Bello, è che non basta più enunciare la speranza: occorre organizzarla, . . . . pagando un caro prezzo. E pregando.
Sottoscrivo, sottoscrivo, sottoscrivo.
Occorre organizzare la speranza. . . .come si fa? Avendo presente ciò che diceva un grande compositore e direttore d’orchestra, Gustav Mahler: “Tradizione non è culto delle ceneri, ma custodia del fuoco”.
Dove voglio arrivare? Voglio arrivare a dire, ad esempio, che i giovani che aprono una gelateria a Martina. . . . a Milano….a San Paolo del Brasile, rifacendosi alle nostre tradizioni, non possono e non debbono chiamarla “gelateria”, “bar”, “caffè”,….bensì “sorbetteria martinese”. È la forza della propria storia, del proprio gusto artistico e dei valori culturali che rende unico un prodotto! Mi piace ricordare che Papa Giovanni Paolo, nel discorso del 29 ottobre 1989 prima menzionato, ha richiamato l’attenzione sulla “cultura delle botteghe”. E allora, forza e coraggio, facciamo una nuova semina di spirito imprenditoriale che:
rivitalizzi le botteghe;
riporti in vita l’arte della pietra, l’arte del ferro, l’arte della creta, l’arte del legno, l’arte del ricamo;
rilanci il capocollo di Martina Franca, il vino bianco di Martina Franca, il capo spalla di Martina Franca.
Facciamo una nuova semina di spirito imprenditoriale che contrasti la condanna al presente, senza profondità di memoria e di futuro.
Occorre pregare. . . .Affermava un grande Amico, in terra e in cielo di Papa Giovanni Paolo II, Padre Pio: “La preghiera è l’effusione del nostro cuore in quello di Dio. . . .Quando è fatta bene, commuove il Cuore Divino e lo invita sempre più a esaudirci. Cerchiamo di effondere tutto l’animo nostro quando ci mettiamo a pregare Iddio. Egli rimane avvinto dalle nostre preghiere per poterci venire in aiuto”.
Nel 1962, l’allora Vescovo Karol Wojtyla chiese, tramite lettera, a Padre Pio di rivolgere una preghiera per una madre di quarant’anni affinché Dio, per intercessione della Beatissima Vergine, mostrasse misericordia a lei e alla sua famiglia. Padre Pio pregò, pregò tanto, per quella mamma ed il Vescovo gli scrisse un’altra lettera, questa volta di ringraziamento per l’avvenuta guarigione.
E allora preghiamo la Madonna del Carmine, oggi, primo maggio:
il giorno che vede tante madri e molti padri piangere per il presente e il futuro dei propri figli;
il giorno in cui, due anni fa, Papa Giovanni Paolo II venne proclamato Beato;
il giorno in cui ricorre la festa di San Giuseppe lavoratore;
il giorno che segna l’inizio del mese di maggio, il mese di Maria.
La preghiera alla Madonna è di don Tonino Bello.
“Santa Maria,
Vergine del mattino, donaci la gioia di intuire,
pur tra le tante foschie dell’aurora,
le speranze del giorno nuovo.
Ispiraci parole di coraggio.
Non farci tremare la voce quando,
a dispetto di tante cattiverie e di tanti peccati
che invecchiano il mondo,
osiamo annunciare che verranno tempi migliori.
Non permettere
che sulle nostre labbra il lamento prevalga mai sullo stupore,
che lo sconforto sovrasti l’operosità,
che lo scetticismo schiacci l’entusiasmo,
e che la pesantezza del passato
ci impedisca di far credito sul futuro.
Aiutaci a scommettere con più audacia sui giovani.
Santa Maria, Vergine della notte,
non ci lasciare soli nella notte a salmodiare le nostre paure.
Anzi, se nei momenti dell’oscurità ti metterai vicino a noi
e ci sussurrerai che anche tu,
Vergine dell’avvento,
stai aspettando la luce,
le sorgenti del pianto si disseccheranno sul nostro volto.
E sveglieremo insieme l’aurora.
Così sia”.
Francesco Lenoci
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