Il giornalismo ai tempi dei 5 euro netti

Essere giornalista mi pareva una grande e importante funzione e secondo me lo sarebbe ancora se si riuscisse a fare del vero giornalismo. Ma il problema è che tutto si è inquinato. La vicinanza al potere, la necessità della protezione del potere hanno creato una situazione che non è più quella di un tempo, in […]

Essere giornalista mi pareva una grande e importante funzione e secondo me lo sarebbe ancora se si riuscisse a fare del vero giornalismo. Ma il problema è che tutto si è inquinato. La vicinanza al potere, la necessità della protezione del potere hanno creato una situazione che non è più quella di un tempo, in cui la forza del giornalismo era la sua indipendenza. Sai, un’indipendenza anche economica. Tiziano Terzani, ‘La fine è il mio inizio’

La prima volta che ho intervistato un precario non ci ho pensato, la seconda nemmeno. Come sempre ho cercato di ascoltare la sua storia con la massima comprensione possibile, per poter entrare nei meandri della condizione lavorativa ed esistenziale del nostro tempo e narrarla. E’ questo in fondo il ruolo del giornalista: leggere la realtà, sentire sulla propria pelle quello che lo circonda e per questo avere il privilegio di raccontarlo.

Era l’autunno del 2011 quando ho affrontato per la prima volta la condizione degli esodati. La loro è una storia drammatica, in cui l’umiliazione scava su un’esistenza di lavoratori che oggi hanno 50 – 60 anni e che hanno vissuto per una vita intera con altri diritti ed altre promesse. Per loro il lavoro è diventato il simbolo di una promessa non mantenuta, per noi ventenni e trentenni le promesse non ci sono mai state. Sono stati gli esodati a farmi capire, a me giovane giornalista, che ero precaria, sottopagata, sfruttata.

Facciamo tutti i giorni interviste e raccontiamo storie di precariato e sfruttamento sul lavoro e mentre le facciamo sale dentro di noi un sentimento di rabbia mista a sconforto. Il giornalista è l’unica categoria sociale la cui precarietà non è notiziabile. Noi le notizie le facciamo per gli altri, le nostre storie devono rimanere a casa, soprattutto se si vuole fare il giornalista e continuare a lavorare con o senza contratto, con o senza dignità, per 5 euro netti.

Come un pacchetto di sigarette, come una pizza margherita, come il regalo della nonna al nipotino: tanto valgono i nostri articoli. Incidere su un foglio pensieri e fatti, narrare storie e documentare il presente vale 5 euro netti. Lo hanno raccontato da protagonisti per la prima volta i giornalisti precari e freelance d’Abruzzo della rete 5euronetti, che ha organizzato sabato scorso a Pescara il primo incontro pubblico del movimento: “Corto circuito. Politica e informazione, equilibri precari – Cosa non funziona, perché cambiare e in che modo intervenire”.

Il confronto al Palazzo della Provincia a Pescara ha permesso ai giornalisti di ascoltare le posizioni del mondo politico, che non ha mai affrontato veramente la questione dell’informazione e di quelli che un politico dell’ultim’ora come Beppe Grillo ha definito “servi”, cioè i precari dell’informazione.

Erano presenti tutti gli schieramenti politici locali: Paola Pelino per il Pdl, Gianni Melilla per Sel, Giulio Sottanelli di Scelta Civica, Gianluca Vacca del Movimento 5 Stelle e Antonio Castricone del Pd in sostituzione dell’assente Giovanni Legnini che ora nella veste di sottosegretario all’Editoria sarà il destinatario naturale delle richieste avanzate sabato dal movimento 5euronetti. Anello di congiunzione del dibattito è stato il giornalista precario Stefano Buda, in rappresentanza di 5euronetti. Presenti anche il Presidente dell’Ordine Nazionale dei giornalisti Enzo Iacopino e il Presidente dell’Ordine regionale Stefano Pallotta.

Al neo sottosegretario Legnini il movimento 5euronetti insieme ad altre realtà di giornalisti precari d’Italia ha inviato una lettera: “Stop a sfruttamento incontrollato e selvaggio” per richiedere una presa di posizione netta di questo governo sulla condizione insostenibile del giornalismo precario attraverso la convocazione urgente della Commissione per l’equo compenso e la concreta applicazione della 233/2012 sui giornalisti lavoratori autonomi. Ed infine l’appello al sottosegretario è anche ad assumere e a far propria la Carta di Firenze, che sancisce alcuni principi come la pari dignità tra colleghi e il diritto a non essere discriminati o sfruttati.

5euronetti ha dimostrato di avere le idee chiare presentando una piattaforma programmatica per una riforma della professione giornalistica. Quattro i punti fondamentali della piattaforma. Rendere obbligatoria l’assunzione dei giornalisti negli uffici stampa pubblici con contratti di tipo giornalistico. Riformare la legge sull’equo compenso introducendo il concetto di “minimo salariale”. Se la legge non va avanti nel suo iter anche la politica ha le sue responsabilità. “Gli editori sono fuggiti, li dovete costringere a sedersi al tavolo”: ha tuonato Pallotta rivolgendosi ai politici presenti. Altro punto della piattaforma è quello che chiede per gli aspiranti giornalisti di formarsi in università di giornalismo gestite dallo Stato e non dall’Ordine come avviene adesso con le Scuole di Giornalismo, che costituiscono in sostanza una selezione di classe considerato l’alto costo che hanno. “Per quindici anni ci avete detto no, l’università te la scordi”, ha ricordato ancora il Presidente dell’Ordine regionale Stefano Pallotta alla politica presente nel Palazzo della Provincia. E infine abolizione dell’elenco dei pubblicisti e la cancellazione dall’albo di chi non esercita la professione. Sulle posizioni di 5euronetti molti tra politici e giornalisti hanno espresso un sostanziale appoggio con alcuni distinguo, ma sulla necessità di cambiare lo status quo sono stati tutti d’accordo.

Ancora una volta si è parlato del conflitto di interessi di Silvio Berlusconi che come un cancro uccide il sistema mediatico nazionale, ma anche di tanti e diversi altri conflitti che uccidono il giornalismo. “Abbiamo bisogno di una RAI sganciata dalla presenza dei partiti”, ha spiegato Sottanelli di Scelta Civica.

La voce dei giornalisti per la prima volta è passata anche attraverso i numeri. Oggi in Italia più della metà dei giornalisti non ha un contratto di assunzione stabile e riceve compensi irrisori. Dai 2 ai 5 euro è il compenso medio percepito da freelance e collaboratori esterni, ma sempre più spesso anche da coloro che sono considerati “integrati”, coloro che lavorano come dipendenti. Lavorare gratuitamente o lavorare in nero, lavorare dietro promesse di contratti che non arriveranno mai: questo deve aspettarsi chi oggi si illude di fare addirittura il cane da guardia del potere. Il 75% dei freelance guadagna in media meno di dieci mila euro lordi l’anno, e il 62% meno di cinque mila. “Siamo una categoria ricattabile, senza tutele, senza diritti, completamente disarmati”: ha detto Stefano Buda di 5euronetti – “La verità è che a questa classe politica fino ad ora ha fatto comodo avere una classe di giornalisti ricattabile”, ha aggiunto Buda.

Viviamo nel paradosso per cui il ruolo del giornalista non è denunciare le ingiustizie, a partire dalle proprie, ma è quello di subirle. Come può un giornalista essere libero, non ricattabile, denunciare le storture della società se è il primo ad esserne vittima? “I giornalisti oggi non sono in grado di fare un’informazione sana in queste condizioni”: ha ricordato il Presidente dell’Ordine nazionale Enzo Iacopino.

Il giornalista oggi in Italia non viene formato a dire sempre e comunque la verità, compito per cui dovrebbe essere pagato e riconosciuto socialmente come antidoto all’ingiustizia, ma viene educato all’omertà, alla censura o autocensura, al “tengo famiglia”.

Lisa D’Ignazio

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