“Preghiamo per tanti cristiani nel mondo che ancora soffrono persecuzione e violenza. Che Dio dia loro il coraggio della fedeltà”(Papa Francesco). Chi sono i Beati Antonio Primaldo e gli 812 Compagni Martiri di Otranto (www.comune.otranto.le.it/), le religiose Laura Montoya e María Guadalupe García Zavala, proclamati Santi da Papa Francesco in Piazza San Pietro, Domenica 12 Maggio 2013, all’inizio della Santa Messa? Furono e sono cristiani veri, carne di Cristo. Non supereroi ultraterreni della Marvel. Sono esseri umani cristiani normali che hanno vissuto Cristo pienamente nella loro carne, senza superare l’umanità ma vivendola pienamente nella fede. Questi primi 815 Santi canonizzati da Papa Francesco e proclamati tali da Papa Benedetto XVI, l’11 Febbraio scorso, offrono straordinarie testimonianze di amore e di vita autenticamente cristiana nella prospettiva della Vita Eterna in Cristo dopo la breve esistenza sulla Terra. “Sono luminosi esempi di fedeltà a Cristo – dichiara Papa Bergoglio – e ci esortano ad annunciarlo con la parola e con la vita, testimoniando l’amore di Dio con il nostro amore, con la nostra carità verso tutti”. La Parola di Dio invita alla fedeltà a Cristo, anche fino al martirio. Una pagina di “suprema testimonianza del Vangelo – insegna Papa Francesco – è stata vissuta nel 1480 da 813 persone, sopravvissute all’assedio e all’invasione di Otranto da parte degli Ottomani e poi decapitate perché si rifiutarono di rinnegare la propria fede”. Il 13 Agosto 1480 circa 800 otrantini, guidati e sostenuti da Antonio Pezzulla, denominato Primaldo, vengono decapitati sul Colle della Minerva. Il 14 Agosto 1485 è il primo anno in cui la ricorrenza del martirio è comunitariamente celebrata in Otranto. Tra 17 Giugno e il 22 Settembre 1539 si celebra il processo (“Informo”), presieduto dal Vescovo Antonio de Beccaris con la deposizione di dieci testimoni oculari sopravvissuti. Nel 1721 i Martiri vengono dichiarati Patroni principali della Città di Otranto e dell’Arcidiocesi. Il 14 Dicembre 1771 la Congregazione dei Riti, dopo regolare processo canonico e per decisione del Papa Clemente XIV, emana il Decreto di conferma del culto da tempo immemorabile (beatificazione equipollente) tributato ai Martiri di Otranto. Il 5 Ottobre 1980 il pellegrinaggio apostolico ad Otranto del Papa Beato Giovanni Paolo II, nella ricorrenza del quinto centenario del martirio, riaccende le speranze dei fedeli. Il 27 Maggio 1994 con il Decreto della Congregazione delle Cause dei Santi si riconosce la validità dell’Inchiesta Diocesana sulla storicità del martirio, tenuta dal 16 Febbraio 1991 al 21 Marzo 1993. Il 6 Luglio 2007 il Santo Padre Benedetto XVI dispone che la Congregazione delle Cause dei Santi pubblichi il Decreto sul martirio. Il 27 Maggio 2011 la Congregazione delle Cause dei Santi con Decreto riconosce la validità dell’Inchiesta diocesana (27 Luglio 2010 – 16 Aprile 2011) su una guarigione ritenuta miracolosa riguardante Sr. Francesca Levote, delle Sorelle Povere di Santa Chiara del Monastero di Otranto. Il 20 Dicembre 2012, Papa Benedetto XVI autorizza la Congregazione delle Cause dei Santi a pubblicare il Decreto sul Miracolo, nel quale si riconosce la guarigione prodigiosa “rapida, completa e duratura” della Religiosa Clarissa operata dal Signore per intercessione dei Beati Martiri Antonio Primaldo e Compagni, da “cancro endometrioide dell’ovaio con progressione metastatica (IV stadio) e grave complicazione dello stato generale”. L’11 Febbraio 2013, nel corso del Concistoro Ordinario Pubblico il Santo Padre Benedetto XVI decreta che “i Beati Antonio Primaldo e Compagni, Martiri, siano iscritti nell’Albo dei Santi di Domenica 12 Maggio 2013”. Un “momento storico e di raccolta per la nostra Comunità idruntina e per la Diocesi tutta” – rivela il Sindaco Luciano Cariddi – la canonizzazione dei nostri Santi Martiri Antonio Primaldo e Compagni rappresenta per noi un’immensa gioia. Si riconosce il particolare valore a livello civico ed ecclesiale dell’eroismo dimostrato dai Martiri di Otranto in quel lontano 1480. Un gesto che contrassegnava i valori civici e religiosi che costituivano il carattere identitario della Comunità chiamata ad un impegno immane per amore di patria e per profonda fede. In qualche modo quell’esperienza credo abbia segnato questi luoghi e la nostra gente, tramandando un sentimento comune che ci appartiene rendendoci più aperti, più comprensivi e più solidali con quanti, nei secoli, sono giunti nella nostra terra. Oggi voglio ringraziare a nome di tutta la Comunità il nostro Vescovo Mons. Donato Negro, grati per le preghiere che non ha mai fatto mancare affinché si giungesse a tale riconoscimento ufficiale da parte della Chiesa. L’auspicio è che la canonizzazione dei nostri Martiri possa servire a rendere ancor più consapevoli noi tutti dell’importante testimonianza che la nostra Città deve continuare a rappresentare”. Una Comunità in cammino alla volta di Roma. Otrantini e fedeli di tutta la Diocesi, nonché il Sindaco Cariddi, hanno partecipato alla cerimonia solenne di canonizzazione. Il Beato Giovanni Paolo II, il 5 Ottobre del 1980, in occasione della sua visita alla Città nel V centenario del sacrificio degli Ottocento, pronunciò le seguenti parole: “Il Martirio è una grande prova dell’uomo, la prova della dignità dell’uomo al cospetto di Dio stesso”. Dove gli 813 Martiri di Otranto trovarono la forza per rimanere fedeli? “Proprio nella fede – spiega il Santo Padre – che fa vedere oltre i limiti del nostro sguardo umano, oltre il confine della vita terrena, fa contemplare «i cieli aperti» come dice santo Stefano e il Cristo vivo alla destra del Padre. Cari amici, conserviamo la fede che abbiamo ricevuto e che è il nostro vero tesoro, rinnoviamo la nostra fedeltà al Signore, anche in mezzo agli ostacoli e alle incomprensioni; Dio non ci farà mai mancare forza e serenità. Mentre veneriamo i Martiri di Otranto, chiediamo a Dio di sostenere tanti cristiani che, proprio in questi tempi e in tante parti del mondo, adesso, ancora soffrono violenze, e dia loro il coraggio della fedeltà e di rispondere al male col bene”. Papa Bergoglio confermando “la bellezza di portare Cristo e il suo Vangelo a tutti”, ha ricordato l’opera di evangelizzazione in Colombia, nella prima metà del Novecento, di Santa Laura Montoya, “prima come insegnante e poi come madre spirituale degli indigeni. Le sue figlie spirituali oggi portano il Vangelo nei luoghi più reconditi e sono una sorta di avanguardia della Chiesa: esta primera santa nacida en la hermosa tierra colombiana. Questa prima Santa nata nella bella terra colombiana ci insegna ad essere generosi con Dio, a non vivere la fede da soli, come se fosse possibile vivere la fede in modo isolato, ma a comunicarla, a portare la gioia del Vangelo con la parola e la testimonianza di vita in ogni ambiente in cui ci troviamo. Ci insegna a vedere il volto di Gesù riflesso nell’altro, a vincere indifferenza e individualismo, che corrode le comunità cristiane e corrode il nostro cuore, e ci insegna ad accogliere tutti senza pregiudizi, senza discriminazioni, senza reticenza, con autentico amore, donando loro il meglio di noi stessi e soprattutto condividendo con loro ciò che abbiamo di più prezioso, che non sono le nostre opere o le nostre organizzazioni, no, ciò che di più prezioso abbiamo è Cristo e il suo Vangelo”. Papa Francesco ha esortato ad essere testimoni della carità, virtù senza la quale anche “il martirio e la missione perdono il loro sapore cristiano”. Testimone di questa sublime forma di amore – insegna il Pontefice – è stata Santa María Guadalupe García Zavala, nata in Messico nel 1878, che ha rinunciato ad una vita comoda. Quanto male comporta la vita comoda, l’agiatezza. L’imborghesimento del cuore ci paralizza. Madre Lupita ha rinunciato ad una vita comoda per seguire la chiamata di Gesù e servire gli ammalati e gli abbandonati: Y esto se llama tocar la carne de Cristo. E questo significa toccare la carne di Cristo. I poveri, gli abbandonati, i malati, gli emarginati sono la carne di Cristo. E Madre Lupita toccava la carne de Cristo e ci insegnava a non vergognarci, a non avere paura a non provare ripugnanza nel toccare la carne di Cristo. Questa nuova Santa messicana ci invita ad amare come Gesù ci ha amato, e questo comporta non chiudersi in se stessi, nei propri problemi, nelle proprie idee, nei propri interessi, in questo piccolo mondo che ci fa così tanto male, ma uscire e andare incontro a chi ha bisogno di attenzione, di comprensione, di aiuto, per portagli la calorosa vicinanza dell’amore di Dio, attraverso gesti di delicatezza e di affetto sincero e di amore”. I Santi “proclamati oggi – rivela Papa Francesco – suscitano anche domande alla nostra vita cristiana: come io sono fedele a Cristo? Portiamo con noi questa domanda, per pensarla durante la giornata: come io sono fedele a Cristo? Sono capace di ‘far vedere’ la mia fede con rispetto, ma anche con coraggio? Sono attento agli altri, mi accorgo di chi è nel bisogno, vedo in tutti fratelli e sorelle da amare? Chiediamo per intercessione della Beata Vergine Maria e dei nuovi Santi – ha concluso il Papa – che il Signore riempia la nostra vita con la gioia del suo amore”. Dopo la Santa Messa per le 815 canonizzazioni, Papa Francesco ha presieduto la preghiera mariana del Regina Coeli, rivolgendo i suoi auguri a Italia, Messico e Colombia, Paesi di provenienza dei nuovi santi, e lanciando un appello per la difesa della vita fin dal concepimento. È questo il senso dell’ennesimo bagno di folla in piazza San Pietro, dell’entusiasmo e dell’affetto crescenti per Papa Bergoglio che al termine del Regina Coeli nella jeep bianca è arrivato fino in Via della Conciliazione per salutare gli oltre 80mila fedeli e baciare con paterna tenerezza i tanti bambini che i genitori gli porgevano per farli benedire. Prima di rientrare in Vaticano, Papa Francesco è sceso dal veicolo per abbracciare numerosi disabili. La carne di Cristo in terra. In occasione della preghiera mariana, il primo pensiero del Pontefice è stato per l’Italia. “I Martiri di Otranto aiutino il caro popolo italiano a guardare con speranza al futuro, confidando nella vicinanza di Dio che mai abbandona, anche nei momenti difficili”. Papa Bergoglio ha pregato affinché “per intercessione di Madre Laura Montoya, il Signore conceda un nuovo impulso missionario ed evangelizzatore alla Chiesa” colombiana e perché “ispirati all’esempio di concordia e riconciliazione di questa nuova santa, gli amati figli della Colombia continuino a lavorare per la pace e il giusto sviluppo della loro patria. Nelle mani di Santa Guadalupe García Zavala” il Papa ha posto “tutti i poveri, i malati e coloro che li assistono”. Papa Francesco ha raccomandato “alla sua intercessione la nobile Nazione messicana, perché bandita ogni violenza e insicurezza, avanzi sempre di più sulla via della solidarietà e della convivenza fraterna”. Il Pontefice ha ricordato che Sabato 11 Maggio 2013, a Roma, è stato proclamato beato il sacerdote Luigi Novarese, fondatore del Centro volontari della Sofferenza e dei Silenziosi Operai della Croce. “Mi unisco al rendimento di grazie per questo prete esemplare, che ha saputo rinnovare la pastorale dei malati rendendoli soggetti attivi nella Chiesa”. Papa Bergoglio ha salutato anche i partecipanti alla “Marcia per la vita” che ha avuto luogo Domenica mattina a Roma, invitando “a mantenere viva l’attenzione di tutti sul tema così importante del rispetto per la vita umana sin dal momento del suo concepimento: a questo proposito, mi piace ricordare anche la raccolta di firme che oggi si tiene in molte parrocchie italiane, al fine di sostenere l’iniziativa europea ‘Uno di noi’, per garantire protezione giuridica all’embrione, tutelando ogni essere umano sin dal primo istante della sua esistenza. Un momento particolare per coloro che hanno a cuore la difesa della sacralità della vita umana sarà la ‘Giornata dell’Evangelium Vitae’, che avrà luogo qui in Vaticano, nel contesto dell’Anno della fede, il 15 e 16 Giugno prossimo”. Allora, chi è il vero cristiano? “Il cristiano è un uomo e una donna di gioia” – sottolinea da Papa Francesco nella Messa alla Casa Santa Marta, affermando che “la gioia del cristiano non è l’allegria che viene da motivi congiunturali, ma è un dono del Signore che riempie dentro. Il cristiano sia un testimone della vera gioia, quella che dà Gesù”. Il Papa pone l’accento sull’atteggiamento gioioso dei discepoli tra l’Ascensione e la Pentecoste. “Il cristiano è un uomo e una donna di gioia. Questo ci insegna Gesù, ci insegna la Chiesa, in questo tempo in maniera special”. Che cos’è questa gioia? “È l’allegria? No: non è lo stesso – spiega il Santo Padre – l’allegria è buona, eh? Rallegrarsi è buono. Ma la gioia è di più, è un’altra cosa. È una cosa che non viene dai motivi congiunturali, dai motivi del momento: è una cosa più profonda. È un dono. L’allegria, se noi vogliamo viverla tutti i momenti, alla fine si trasforma in leggerezza, superficialità, e anche ci porta a quello stato di mancanza di saggezza cristiana, ci fa un po’ scemi – avverte il Santo Padre – ingenui. No? Tutto è allegria. No. La gioia è un’altra cosa. La gioia è un dono del Signore. Ci riempie da dentro. È come una unzione dello Spirito. E questa gioia è nella sicurezza che Gesù è con noi e con il Padre”. L’uomo e la donna gioiosi, non sono più esposti. Papa Bergoglio afferma che “l’uomo gioioso è un uomo sicuro. Sicuro che Gesù è con noi, che Gesù è con il Padre. Ma questa gioia possiamo imbottigliarla un po’, per averla sempre con noi? No, perché se noi vogliamo avere questa gioia soltanto per noi alla fine si ammala e il nostro cuore diviene un po’ stropicciato, e la nostra faccia non trasmette quella gioia grande ma quella nostalgia, quella malinconia che non è sana. Alcune volte questi cristiani malinconici – dichiara Papa Francesco – hanno più una faccia da peperoncini all’aceto” piuttosto che quella “di gioiosi” dalla “vita bella. La gioia non può diventare ferma: deve andare. La gioia è una virtù pellegrina. È un dono che cammina sulla strada della vita, cammina con Gesù: predicare, annunziare Gesù, la gioia, allunga e allarga la strada. È proprio una virtù dei grandi, di quei grandi che sono al di sopra delle pochezze, che sono al di sopra di queste piccolezze umane, che non si lasciano coinvolgere in quelle piccole cose interne della comunità, della Chiesa: guardano sempre all’orizzonte”. Il traguardo del vero cristiano è la Vita Eterna. È il senso delle Beatitudini. La gioia è “pellegrina”, insegna Papa Bergoglio. “Il cristiano canta con la gioia, e cammina, e porta questa gioia” che è una virtù del cammino, anzi più che una virtù è un dono. “È il dono che ci porta alla virtù della magnanimità. Il cristiano è magnanimo, non può essere pusillanime: è magnanimo. E proprio la magnanimità è la virtù del respiro, è la virtù di andare sempre avanti, ma con quello spirito pieno dello Spirito Santo. È una grazia – spiega Papa Francesco – che dobbiamo chiedere al Signore, la gioia. In questi giorni in modo speciale, perché la Chiesa ci invita a chiedere la gioia e anche il desiderio: quello che porta avanti la vita del cristiano è il desiderio. Quanto più grande è il tuo desiderio, tanto più grande verrà la gioia. Il cristiano è un uomo, è una donna di desiderio: sempre desiderare di più nella strada della vita. Chiediamo al Signore questa grazia, questo dono dello Spirito: la gioia cristiana. Lontana dalla tristezza, lontana dall’allegria semplice” che “è un’altra cosa. È una grazia da chiedere”. Come? Con “la vera preghiera” che “ci fa uscire da noi stessi e ci apre al Padre e ai fratelli più bisognosi”, poichè Gesù dice:“Se chiederete qualcosa al Padre nel mio nome, Egli ve la darà”. Per il Santo Padre “c’è qualcosa di nuovo, qui, qualcosa che cambia: è una novità nella preghiera. Il Padre ci darà tutto, ma sempre nel nome di Gesù”. Il Signore ascende al Padre, entra “nel Santuario del cielo”, apre le porte e le lascia aperte perché “Lui stesso è la porta” e “intercede per noi”, “fino alla fine del mondo”, come un sacerdote. “Lui prega per noi davanti al Padre. A me è sempre piaciuto, questo – ricorda Papa Bergoglio – Gesù, nella sua Resurrezione, ha avuto un corpo bellissimo: le piaghe della flagellazione, delle spine, sono sparite, tutte. I lividi dei colpi, sono spariti. Ma Lui ha voluto avere sempre le piaghe, e le piaghe sono precisamente la sua preghiera di intercessione al Padre:‘Ma…guarda…questo Ti chiede nel nome mio, guarda!’. Questa è la novità che Gesù ci dice. Ci dice questa novità: avere fiducia nella sua Passione, avere fiducia nella sua Vittoria sulla morte, avere fiducia nelle sue Piaghe. Lui è il sacerdote e questo è il sacrificio: le sue piaghe. E questo ci da fiducia, eh?, ci da il coraggio di pregare”. Se tante volte “ci annoiamo nella preghiera” è perché non preghiamo bene. “La preghiera non è chiedere questo o quello – osserva il Santo Padre – ma è l’intercessione di Gesù che davanti al Padre gli fa vedere le sue piaghe: la preghiera verso il Padre in nome di Gesù ci fa uscire da noi stessi; la preghiera che ci annoia è sempre dentro noi stessi, come un pensiero che va e viene. Ma la vera preghiera è uscire da noi stessi verso il Padre in nome di Gesù, è un esodo da noi stessi”. Come “possiamo riconoscere le piaghe di Gesù in cielo? – si chiede il Papa – “Dov’è la scuola dove s’impara a conoscere le piaghe di Gesù, queste piaghe sacerdotali, di intercessione? C’è un altro esodo da noi stessi verso le piaghe dei nostri fratelli e delle nostre sorelle bisognosi: se noi non riusciamo ad uscire da noi stessi verso il fratello bisognoso, verso il malato, l’ignorante, il povero, lo sfruttato, se noi non riusciamo a fare questa uscita da noi stessi verso quelle piaghe, non impareremo mai la libertà che ci porta nell’altra uscita da noi stessi, verso le piaghe di Gesù. Ci sono due uscite da noi stessi: una verso le piaghe di Gesù, l’altra verso le piaghe dei nostri fratelli e sorelle. Questa è la strada che Gesù vuole nella nostra preghiera. Questo è il nuovo modo di pregare – rivela Papa Bergoglio – con la fiducia, il coraggio che ci dà sapere che Gesù è davanti al Padre facendogli vedere le sue piaghe, ma anche con l’umiltà di quelli che vanno a conoscere, a trovare le piaghe di Gesù nei suoi fratelli bisognosi” che “portano ancora la Croce e ancora non hanno vinto, come ha vinto Gesù”. Pace e misericordia per la Chiesa e per il mondo, è l’intenzione che Papa Francesco ha affidato alla Madonna nella mattina di Mercoledì 8 Maggio, festa di Nostra Signora di Luján. Proprio davanti alla piccola statua della patrona dell’Argentina, eccezionalmente collocata accanto alla cattedra in piazza San Pietro, Papa Bergoglio ha sostato in preghiera, deponendo ai piedi della Vergine un omaggio floreale. Il Santo Padre non ha mancato di ricordare la ricorrenza della tradizionale Supplica alla Madonna del Santo Rosario, scritta dal terziario domenicano Bartolo Longo, che si recita nella Basilica di Pompei, in tutte le chiese d’Italia e del mondo, l’8 Maggio e la prima Domenica di Ottobre. Alla presenza della grande folla di fedeli provenienti da diversi Paesi della Terra, Papa Francesco ha dedicato la sua catechesi allo Spirito Santo, mostrandoLo come “un’acqua viva, zampillante e fresca, capace di dissetare” il desiderio profondo di luce, di bellezza, di amore e di pace che scuote l’uomo. Lo Spirito Santo è Colui che ci dice che Dio è amore, che ci aspetta, che ci ama come un vero papà. Egli ci insegna a guardare con gli occhi di Cristo, a vivere la vita come l’ha vissuta Cristo, a comprendere la vita come l’ha compresa Cristo”. Dichiara il Santo Padre:“Cari fratelli e sorelle, buongiorno! Il tempo pasquale che con gioia stiamo vivendo, guidati dalla liturgia della Chiesa, è per eccellenza il tempo dello Spirito Santo donato «senza misura» (cfr Gv 3,34) da Gesù crocifisso e risorto. Questo tempo di grazia si conclude con la festa della Pentecoste, in cui la Chiesa rivive l’effusione dello Spirito su Maria e gli Apostoli raccolti in preghiera nel Cenacolo. Ma chi è lo Spirito Santo? Nel Credo noi professiamo con fede: «Credo nello Spirito Santo che è Signore e dà la vita». La prima verità a cui aderiamo nel Credo è che lo Spirito Santo è Kýrios, Signore. Ciò significa che Egli è veramente Dio come lo sono il Padre e il Figlio, oggetto, da parte nostra, dello stesso atto di adorazione e di glorificazione che rivolgiamo al Padre e al Figlio. Lo Spirito Santo, infatti, è la terza Persona della Santissima Trinità; è il grande dono del Cristo Risorto che apre la nostra mente e il nostro cuore alla fede in Gesù come il Figlio inviato dal Padre e che ci guida all’amicizia, alla comunione con Dio. Ma vorrei soffermarmi soprattutto sul fatto che lo Spirito Santo è la sorgente inesauribile della vita di Dio in noi. L’uomo di tutti i tempi e di tutti i luoghi desidera una vita piena e bella, giusta e buona, una vita che non sia minacciata dalla morte, ma che possa maturare e crescere fino alla sua pienezza. L’uomo è come un viandante che, attraversando i deserti della vita, ha sete di un’acqua viva, zampillante e fresca, capace di dissetare in profondità il suo desiderio profondo di luce, di amore, di bellezza e di pace. Tutti sentiamo questo desiderio! E Gesù ci dona quest’acqua viva: essa è lo Spirito Santo, che procede dal Padre e che Gesù riversa nei nostri cuori. «Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza», ci dice Gesù (Gv 10,10). Gesù promette alla Samaritana di donare un’“acqua viva”, con sovrabbondanza e per sempre, a tutti coloro che lo riconoscono come il Figlio inviato dal Padre per salvarci (cfr Gv 4, 5-26; 3,17). Gesù è venuto a donarci quest’“acqua viva” che è lo Spirito Santo, perché la nostra vita sia guidata da Dio, sia animata da Dio, sia nutrita da Dio. Quando noi diciamo che il cristiano è un uomo spirituale intendiamo proprio questo: il cristiano è una persona che pensa e agisce secondo Dio, secondo lo Spirito Santo. Ma mi faccio una domanda: e noi, pensiamo secondo Dio? Agiamo secondo Dio? O ci lasciamo guidare da tante altre cose che non sono propriamente Dio? Ciascuno di noi deve rispondere a questo nel profondo del suo cuore. A questo punto possiamo chiederci: perché quest’acqua può dissetarci sino in fondo? Noi sappiamo che l’acqua è essenziale per la vita; senz’acqua si muore; essa disseta, lava, rende feconda la terra. Nella Lettera ai Romani troviamo questa espressione: «L’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato» (5,5). L’“acqua viva”, lo Spirito Santo, Dono del Risorto che prende dimora in noi, ci purifica, ci illumina, ci rinnova, ci trasforma perché ci rende partecipi della vita stessa di Dio che è Amore. Per questo, l’Apostolo Paolo afferma che la vita del cristiano è animata dallo Spirito e dai suoi frutti, che sono «amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé» (Gal 5,22-23). Lo Spirito Santo ci introduce nella vita divina come “figli nel Figlio Unigenito”. In un altro passo della Lettera ai Romani, che abbiamo ricordato più volte, san Paolo lo sintetizza con queste parole: «Tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, questi sono figli di Dio. E voi… avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo “Abbà! Padre!”. Lo Spirito stesso, insieme al nostro spirito, attesta che siamo figli di Dio. E se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se davvero prendiamo parte alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria» (8,14-17). Questo è il dono prezioso che lo Spirito Santo porta nei nostri cuori: la vita stessa di Dio, vita di veri figli, un rapporto di confidenza, di libertà e di fiducia nell’amore e nella misericordia di Dio, che ha come effetto anche uno sguardo nuovo verso gli altri, vicini e lontani, visti sempre come fratelli e sorelle in Gesù da rispettare e da amare. Lo Spirito Santo ci insegna a guardare con gli occhi di Cristo, a vivere la vita come l’ha vissuta Cristo, a comprendere la vita come l’ha compresa Cristo. Ecco perché l’acqua viva che è lo Spirito Santo disseta la nostra vita, perché ci dice che siamo amati da Dio come figli, che possiamo amare Dio come suoi figli e che con la sua grazia possiamo vivere da figli di Dio, come Gesù. E noi, ascoltiamo lo Spirito Santo? Cosa ci dice lo Spirito Santo? Dice: Dio ti ama. Ci dice questo. Dio ti ama, Dio ti vuole bene. Noi amiamo veramente Dio e gli altri, come Gesù? Lasciamoci guidare dallo Spirito Santo, lasciamo che Lui ci parli al cuore e ci dica questo: che Dio è amore, che Dio ci aspetta, che Dio è il Padre, ci ama come vero Papà, ci ama veramente e questo lo dice soltanto lo Spirito Santo al cuore. Sentiamo lo Spirito Santo, ascoltiamo lo Spirito Santo e andiamo avanti per questa strada dell’amore, della misericordia e del perdono. Grazie”. Papa Francesco ha voluto ribadire il suo messaggio:“ricordatevi, dobbiamo ascoltare lo Spirito Santo che è dentro di noi, sentirlo. Cosa ci dice? Che Dio è buono, che Dio è padre, che Dio ci ama, che Dio ci perdona sempre. Ascoltiamo lo Spirito Santo”. Il Pontefice aveva incontrato poco prima, nell’Aula Paolo VI, le religiose partecipanti all’Assemblea plenaria dell’Unione internazionale superiore generali, alle quali aveva raccomandato di basare la loro missione su tre direttrici precise:«centralità di Cristo e del suo vangelo; autorità come servizio d’amore; “sentire” in e con la Madre Chiesa». E, a proposito di “maternità della Chiesa”, Papa Francesco ricorda che «la consacrata è madre, deve essere madre e non “zitella”». E, parlando di quegli uomini e donne di Chiesa “che sono carrieristi, arrampicatori”, Papa Bergoglio li ha definiti persone “che fanno un danno grande alla Chiesa”. Ottocentotredici eroi che hanno fatto di un piccolo paese, Otranto, in Puglia, un grande centro cristiano nel Mediterraneo e in Europa. Di un piccolo esercito, una grande Compagnia sorretta dall’amore per la propria fede in Cristo Signore. Dall’amore per l’unico Dio che, infine, li ha salvati per salvare ciascuno di noi dopo 533 anni. Un evento storico che, grazie al Governatore Draghi, l’euromoneta dovrebbe coraggiosamente immortalare per sempre.
© Nicola Facciolini
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