Il professore di Diritto dei consumatori presso la facoltà di Economia dell’Università di Cassino, Stefano Cherti, ha rilasciato ad Agenparl un’intervista in merito ai fondi sanitari integrativi partendo dal fatto essenziale che il sistema sanitario rischia di essere non più sostenibile. Concetto espresso a fine mandato anche dall’ex premier Monti e intorno al quale si sta sviluppando un piano di finanziamento extrapubblico di fondi provenienti da soggetti privati riconosciuti dal ministero della Salute. Ma vediamo nel dettaglio di cosa si tratta. “Il sistema, purtroppo ancora poco sviluppato in Italia, dei fondi sanitari integrativi raccoglie soggetti privati, riconosciuti dal ministero della Salute, che garantiscono, senza scopo di lucro, ai propri iscritti rimborsi e sussidi per le spese sanitarie sostenute in caso di malattia o infortunio, sia avvalendosi di strutture del servizio sanitario nazionale, sia di centri sanitari privati (cliniche, case di cura). Per riprendere una terminologia già adoperata in tema di previdenza, si tratta, o meglio si tratterebbe, – precisa Cherti di valorizzare e investire su questo ‘secondo pilastro’ della sanità, potenziando, sulla scia di quanto realizzato per i fondi pensioni, questa ulteriore modalità di incremento dell’offerta del sistema sanitario considerato nel suo complesso. In particolare, per sostenere da subito il Ssn, si potrebbero promuovere convenzionamenti diretti tra i fondi sanitari e le aziende ospedaliere per gli interventi chirurgici e le prestazioni ambulatoriali effettuati in regime di intramoenia; ciò permetterebbe al fondo di rimborsare direttamente all’azienda ospedaliera il costo delle prestazioni a favore del cittadino, sgravandolo in tutto o in parte dall’onere della spesa, implementando allo stesso tempo l’attività e il fatturato della struttura sanitaria pubblica”.
Può spiegare meglio quali sarebbero effettivamente i risparmi e i vantaggi concreti per l’amministrazione pubblica?
“Troppo spesso in Italia si sono presentate all’opinione pubblica riforme ‘a costo 0’ che alla fine si sono rivelate un salasso, come opere pubbliche importanti che all’inizio dovevano costare un top e gli ospedali ne sono uno degli esempio più lampanti, ma che hanno triplicato il costo inizialmente preventivato. Per i fondi sanitari integrativi le cose stanno diversamente per almeno due ordini di motivi: ne accenno due, ma ve ne sarebbero di più. Un primo, si tratta di realtà che già operano, non di progetti che sono belli a vedersi sulla carta, ma sui quali al massimo bisogna riporre fiducia. Inoltre, i dati ci dimostrano che la spesa sanitaria out of pocket, cioè quella sostenuta interamente dai cittadini. Perché la prestazione non è esigibile presso le strutture del Ssn, ad es., a causa di liste d’attesa non coerenti col bisogno sanitario dell’ammalato ammonta a 30 miliardi di euro all’anno. In considerazione del fatto che i fondi riescono a tradurre in prestazioni fino al 90 per cento dei contributi che vengono loro versati, è immediato immaginare che attraverso la contrattazione collettiva nazionale si possa convogliare questa spesa out of pocket, facendola ricadere sui fondi stessi, con evidenti vantaggi per gli assistiti. Inoltre, attraverso una regolamentazione equilibrata, si potrebbero istituire dei canali supplementari di accesso al Ssn per i fondi sanitari. Ad esempio: liste d’attesa per le prestazioni ticket e alle liste d’attesa per le prestazioni in intramoenia, si aggiungerebbe il canale per gli assistiti dai fondi sanitari, in modo da ottimizzare l’utilizzo delle apparecchiature, che ovviamente verrebbero adoperate e spesate per un numero maggiore di ore al giorno.
Può spiegare meglio come avviene questo importante passaggio.Attraverso quale meccanismo la contrattazione collettiva può rappresentare uno strumento per incrementare l’assistenza sanitaria?
“I fondi sanitari di natura contrattuale nascono per volontà delle parti (sindacati e associazioni dei datori di lavoro) che sottoscrivono i contratti collettivi nazionali di lavoro. Il valore di tale previsione contrattuale è nella tutela dei lavoratori, intesa non solo come salvaguardia del loro stato di salute, ma anche come risposta ai bisogni socio-sanitari di tutto il nucleo familiare, dalla salute dei figli all’assistenza in caso di non autosufficienza. è noto, infatti, che un caso di grave invalidità derivante da malattia o infortunio possa divenire un “evento catastrofale” nel bilancio economico di una famiglia. Il meccanismo premiale sin’ora utilizzato, che dev’essere senza dubbio mantenuto o ampliato, consiste nella deducibilità dei contributi versati dal datore di lavoro e dai lavoratori”.
In concreto, e visto il periodo, un punto da inserire ed esaminare nell’agenda del neo ministro della Salute?
“Non credo che il ministro Lorenzin abbia bisogno di consigli: è sempre stata molto determinata nelle sue scelte sin dai suoi esordi in politica (mi permetto di dirlo perché conosco la sua attività politica dell’attuale ministro da molti anni). Tuttavia, è innegabile che per quanto quello della Salute sia un ministero vasto e complesso, oggi ancora di più, visto che una parte delle competenze sanitarie sono di esclusiva spettanza delle regioni, una riflessione equilibrata sul tema dei fondi sanitari gioverebbe molto al c.d. ‘sistema paese’. Come ho cercato di dimostrare, considerata la situazione attuale, lo Stato ha tutto da guadagnare da una riorganizzazione del sistema sanitario che valorizzi il ruolo di questi soggetti istituzionalizzandoli quali ‘secondo pilastro della sanità’, al pari di quanto è successo una decina d’anni fa con i fondi pensione. Inoltre, proprio l’esperienza dei fondi pensione è preziosissima per partire ‘con il piede giusto’: al contrario di questi ultimi, bisogna tener conto delle diverse realtà sanitarie territoriali in cui i fondi già operano ed è necessario valorizzarne l’autonomia gestionale nell’individuazione delle prestazioni sanitarie effettivamente necessarie alle differenti categorie di lavoratori assistite (in altri termini, ci vorrebbe una legislazione che riconoscesse piena autonomia gestionale ai fondi, nella misura dei risultati di anno in anno conseguiti). Dulcis in fundo, se è vero che i fondi rimborsano l’assistito solo dietro presentazione di idonea documentazione fiscale, è evidente che questo strumento rappresenta un mezzo indiretto, ma efficace, di lotta all’evasione”.
Ci sono altri punti di forza su cui porre l’attenzione?
“Oltre alle già citate prestazioni erogate a supporto del Ssn, dall’assistenza alla non autosufficienza, a quella odontoiatrica. Un punto di forza è sicuramente legato all’attività ‘non a scopo di lucro’ che i fondi realizzano. Quest’aspetto, tutt’altro che marginale, deve essere valorizzato e incentivato, considerata, soprattutto, la congiuntura attuale. Da una parte, si deve garantire l’assistenza al nucleo familiare del lavoratore e la prosecuzione anche dopo il termine del rapporto di lavoro, quando cioè il lavoratore è più esposto ai rischi sanitari a causa dell’età; dall’altra, sarebbe utile individuare forme di intervento legate al territorio prevedendo delle sinergie con le strutture sanitarie e socio-sanitarie del territorio stesso (apertura al cofinanziamento di progetti di ricerca, ovvero al sovvenzionamento di corsi di formazione del personale paramedico). Ancora, sarebbe opportuno indirizzare una parte delle prestazioni dei fondi in favore di campagne di promozione per il miglioramento degli stili di vita della popolazione (contro il fumo, ovvero contro l’obesità, ad es. incoraggiando i fondi a rimborsare le terapie dietologiche); come pure campagne volte ad incentivare di anno in anno le vaccinazioni ritenute più utili dall’Iss. ( aldri-Agenparl)
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