Oggi essere celiaci può non essere più un grave problema sia medico sia sociale. La celiachia viene riconosciuta e conosciuta e la ricerca ci aiuta per una malattia “sociale” che desta comunque preoccupazione. Un italiano su cento non potrebbe mangiare pasta, pane, pizza, biscotti. Insomma tutti gli alimenti che contengono glutine, prodotti ad esempio con le farine di grano, orzo o segale. Pena svariate patologie, dal malassorbimento dovuto all’abbassamento dei villi intestinali fino a scompensi del sistema immunitario. Sono 122mila i casi accertati ogni anno, ma sono 600mila i “sommersi”. Ci si nasce, celiaci, ma ci si diventa, anche.
I ricercatori dell’Istituto Gaslini in occasione dei 75 anni di attività dell’Ospedale, in collaborazione con l’Università di Verona hanno sviluppato un test che nei soggetti geneticamente predisposti permette la diagnosi precoce di celiachia e può aiutare a diagnosticare i casi a sintomatologia atipica o silente. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista Immunologic Research dal professor Antonio Puccetti ricercatore del Laboratorio di Immunologia Clinica e Sperimentale dell’Istituto Giannina Gaslini di Genova, in collaborazione con il professore Claudio Lunardi e la dottoressa Giovanna Zanoni dell’Università di Verona
C’è una nuova, potenziale spia che potrebbe aiutare a svelare precocemente la celiachia, superando le attuali difficoltà nel riconoscimento della malattia. Il test, da eseguire esclusivamente nei soggetti geneticamente predisposti a sviluppare la malattia (la sola predisposizione genetica non basta per ammalarsi), permette la diagnosi precoce di celiachia e può aiutare a diagnosticare i casi in cui i sintomi sono particolarmente sfumati o la patologia non da’ alcun segno della sua presenza. La chiave per riconoscere la malattia si chiama VP7, ed è una proteina che stimola la produzione di anticorpi specifici in seguito all’infezione da Rotavirus. Questi anticorpi vengono infatti prodotti solamente nelle persone affette da celiachia e non nei soggetti sani. Con un semplice esame del sangue, quindi, si pu sperare di individuare la patologia, ben prima che i normali esami come la rilevazione della transglutaminasi risultino positivi.
I ricercatori hanno dimostrato che nel sangue di 350 bambini esaminati erano presenti anticorpi diretti contro la proteina VP7 del Rotavirus, che comparivano anche dieci anni prima dell’insorgenza della malattia. “Durante lo studio, solo i bambini che si ammalavano di celiachia presentavano anticorpi diretti contro la proteina Vp7 del rotavirus – spiega Puccetti – Abbiamo osservato che gli anticorpi anti-Vp7 comparivano diverso tempo prima dell’esordio della malattia e prima degli anticorpi anti-transglutaminasi che vengono utilizzati per la diagnosi della celiachia. Abbiamo quindi messo a punto un test semplice e di facile esecuzione per prevedere l’insorgenza della malattia celiaca nei soggetti geneticamente predisposti . Questo test si basa sulla determinazione nel siero di anticorpi diretti contro la proteina VP7 del Rotavirus, positivo prima dell’esordio della malattia e prima della comparsa degli anticorpi anti-transglutaminasi. Il test realizzato al Gaslini si può eseguire con una semplice analisi del sangue, al momento disponibile solo presso il nostro laboratorio di ricerca, ma potrebbe diventare in tempi brevi un kit diagnostico commerciale Il test infatti stato messo a punto in un formato che facilmente adattabile anche a scopi commerciali”.
“La diagnosi di celiachia oggi disponibile si basa sulla presenza nel sangue di particolari anticorpi diretti contro un enzima (Transglutaminasi) che agisce sul glutine, e su una biopsia eseguita con gastroscopia – spiega Lorenzo Moretta, direttore scientifico dell’Istituto Gaslini – Questo studio rappresenta quindi un importante passo avanti per una diagnosi precoce di celiachia e può essere particolarmente utile in caso di celiachia con sintomatologia atipica extraintestinale o nei casi di celiachia silente. Ricordiamo che la celiachia una patologia subdola, che può portare danni notevoli a un organismo in accrescimento, pertanto una diagnosi precoce di particolare rilevanza . Per sviluppare la celiachia un paziente deve avere uno o l’altro degli antigeni di istocompatibilità DQ2 e DQ8 e in sostanza deve avere un back ground genetico. Ma questi antigeni di istocompatibilità sono presenti nel 30% della popolazione: nessun celiaco sfugge a questa regola. Questi alleli sono posseduti i un rapporto pari a 1 su 3 della popolazione mentre l’incidenza della celiachia è pari a 1 su 100/150, dipende dalle etnie – prosegue il Prof.Moretta – Poi ci vuole una causa scatenante ad esempio un’infezione da Rotavirus, che provocano gastroenteriti acute che interessano l’apparato digerente”.
Il significato della scoperta è importantissimo: i ricercatori hanno visto che gli individui che avevano sviluppato la celiachia avevano nel sangue anticorpi contro una proteina denominata VP7 del Rotavirus. Questi anticorpi oltre a vedere il Rotavirus riescono a vedere anche le cellule della parete intestinale e a danneggiarle. “Un anticorpo – chiarisce il Prof.Moretta – crea dei danni alle cellule e questi anticorpi cross reagivano nei confronti di queste cellule e di conseguenza si verrebbe a perdere l’effetto barriera dell’intestino quindi alimenti come lo stesso glutine posso passare e far partire una reazione dell’organismo contro il glutine”.
Dinanzi a questo scenario passato ora l’importanza della scoperta attuale grazie allo studio su 350 piccoli pazienti pediatrici negli ultimi sei anni, si è visto che in alcuni di questi bambini laddove si manifestasse la celiachia in presenza di uno dei due antigeni di istocompatibilità, solo una trentina avevano sviluppato la malattia celiaca. I prelievi in serie hanno messo in evidenza che ben prima prima di sviluppare la malattia tra i 6 e i 120 mesi comparivano questi anticorpi suddetti contro Rotavirus. Questo risultato ci permette di dire che possiamo predire l’insorgenza della celiachia con largo anticipo e essere pronti a prendere le dovute misure appena coscienti dell’insorgenza della celiachia stessa.
La celiachia è una malattia infiammatoria cronica dell’intestino tenue, dovuta a una intolleranza al glutine (una proteina contenuta in alcuni cereali: frumento, farro, orzo, segale, avena) assunto attraverso la dieta. La celiachia una malattia a predisposizione genetica, ci significa che alcune persone alla nascita hanno i geni che favoriscono la comparsa del disturbo. Chi ha i geni predisponenti (HLA DQ2/DQ8) non detto che si ammali per forza, infatti, non si tratta di una malattia genetica, dove la trasmissione di un gene alterato fa nascere bambini con la malattia, mentre l’assenza di questi geni preclude la possibilit di contrarre la patologia. Secondo l’Associazione Italiana Celiachia, i celiaci italiani potrebbero essere 600.000, ma si arriva a una diagnosi solo in un caso ogni 7 persone affette da celiachia. Nel 2011, il ministero della salute ha diagnosticato 135.800 casi di celiachia in Italia, con un incremento annuo del 19%. E’ una patologia a predisposizione genetica che per il momento si cura solo con la dieta, eliminando il glutine.
Da un punto di vista economico ad oggi, il cibo senza glutine è assai costoso, e sono poche le realtà interessate alla produzione di cibo ad hoc. I prodotti gluten-free sono considerati alimenti dietoterapeutici e come tali sono sovvenzionati dallo Stato, che provvede a erogarne un quantitativo mensile gratis tramite il Servizio Sanitario nazionale e il circuito farmaceutico. Un unicum in Europa, a eccezione di Malta e Grecia, che ha mandato letteralmente in panne il mercato. Le farmacie valgono i quattro quinti del valore totale, e per le loro casse passano 180 milioni di euro all’anno, con una crescita costante dal 2% all’8% sull’anno precedente. E poi c’è il business delle false diagnosi, che grazie a test più o meno efficaci (diversi ad esempio dalla canonica ricerca degli anticorpi anti-transglutaminasi nel sangue, o dalla gastroscopia) avrebbe sfornato finora circa 3 milioni di nuovi celiaci non validati scientificamente, che investono in alimenti speciali 35 milioni l’anno.
E’ anche per frenare le false diagnosi che Società scientifiche sia gastroenterologiche che immunologiche , fra queste in particolare la SIAIC – sottolinea Donatella Macchia consigliera della Siaic Società Italiana Allergologia e Immunologia – oltre all’Associazione Italiana Celiaci (AIC) con il gruppo di specialisti che da diversi anni coordina il board scientifico, collaborano al fine di formare ed informare sui test validati da effettuare nel sospetto di reazione al grano. Nel caso poi in particolare delle reazioni allergiche al grano, tutt’altra malattia rispetto alla celiachia, sono da effettuare test presso gli specialisti allergologi che si avvalgono anche di esami molto specifici quali i test in diagnostica molecolare per la ricerca dell’allergia al glutine,esami che si eseguono su un semplice prelievo di sangue ma la cui interpretazione appunto è compito dell’allergologo, unitamente ai test cutanei (prick test). Per gli allergici al grano non è prevista l’esenzione per l’utilizzo di prodotti alimentari che ugualmente devono essere a base di farine senza glutine, come quelle per il celiaco.
Il ministero della Salute, nel 2006, ha fissato un contributo di sostegno alimentare per i celiaci diagnosticati con certezza che ammonta a 140 euro per gli uomini, 99 per le donne e a cifre minori per i bambini (ma alcune Regioni lo integrano per garantire la parità tra i sessi). Il punto però è che così il cliente finale non è il celiaco, ma lo Stato. E il risultato è una strana domanda “anelastica” rispetto ai prezzi: all’aumentare del numero delle diagnosi, e quindi dei consumatori celiaci, il prezzo dei prodotti invece di diminuire addirittura sale. Con buona pace delle leggi del mercato e della libera concorrenza: per quale motivo il produttore dovrebbe voler sgonfiare i prezzi se il consumatore finale non è minimamente interessato a risparmiare?
Il celiaco bada al palato, lo Stato paga, e i produttori incassano. Un chilo di pasta costa in media 10 euro, il pane anche 12 euro, per non parlare dei biscotti che arrivano a 20 euro al chilo, un pacco da 10 merendine si può pagarlo fino a 8 euro. Tanto che i prodotti freschi, fatti al momento nei pochi laboratori dedicati che hanno fiutato le potenzialità del settore, sono addirittura più convenienti. E i ristoratori si sono adeguati. Sono oltre 2000 quelli segnalati sul sito dell’Associazione Italiana Celiachia (AIC) , e il gluten-free è sbarcato anche negli Autogrill. Il ragionamento è semplice: per ogni cliente celiaco c’è sempre almeno un accompagnatore che può indifferentemente assumere alimenti con o senza glutine, ed ecco che la “malattia sociale” diventa un banale moltiplicatore micro-economico.
La produzione speciale costa. Il regolamento CE 41 del 2009, in vigore dall’inizio del 2012, prevede che le aziende possano immettere liberamente sul mercato prodotti senza glutine, anche non inseriti nel Registro nazionale dei prodotti dietetici, ma che contengano una quantità di glutine non superiore a 20 milligrammi al chilo, garantendo al contempo l’assenza di ingredienti derivati dai cereali col glutine. C’è, dunque, il prezzo elevato delle materie prime ma anche la prevenzione dai rischi di contaminazione crociata: bisogna organizzare una filiera produttiva “pulita” ed effettuare controlli in tutte le fasi, dalla lavorazione al trasporto. E poi ci sono le certificazioni e la burocrazia.
Il giro d’affari del gluten-free nella grande distribuzione supera i 15 milioni di euro ed è cresciuto di più del 25% in un solo anno. Un boom vero e proprio, scoppiato anche a dispetto della ricerca che da anni prova a sviluppare un vaccino , che , poiché la celiachia è malattia immunologica, è possibile ipotizzare ed al quale appunto stanno lavorando alcuni gruppi di ricercatori . Sarebbe la cura definitiva, per la malattia, e anche per il suo mercato “malato”.
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