Secondo una ricerca di Fipe-Confcommercio, il taglio del 9,6% al carrello della spesa da parte delle famiglie italiane corrisponde ad oltre 12,4 miliardi di euro bruciati in cinque anni. E non si tratta di sola crisi economica. Se a questa è dovuta la maggiore attenzione degli acquisti alimentari in chiave anti spreco, una buona parte della contrazione degli acquisti è dovuta alla perdita di valore del cibo che viene via, via considerato sempre più alla stregua di una materia prima da acquistare al prezzo più basso.
Infatti, guardando più indietro nel tempo, la ricerca mostra come gli stili alimentari abbiano fatto variare i consumi anche nel periodo antecedente la crisi. Pane e cereali, prodotti dolciari e bevande andavano assumendo più peso nel paniere a scapito delle proteine, ovverosia: carne, pesce (fresco e surgelato), latte, formaggi e uova. Un cambiamento determinato, secondo la ricerca, dall’aumentare del numero degli spuntini a cui ha corrisposto una graduale riduzione della portata dei pasti principali, tanto che alla loro preparazione (in casa) non viene dedicata più di un’ora. Se questo comportamento ha contribuito a produrre un aumento del consumo alimentare fuori casa fino agli anni 2000, con la crisi c’è stato un rallentamento brusco del trend di crescita fino ad invertirne il segno nel 2012. Tenere il livello registrato nel 2013 sarebbe già da considerare un ottimo risultato.
In un confronto europeo nel periodo 2007-2011, si può invece rilevare che l’Italia si caratterizza per una contrazione (6,3%) dei consumi domestici e per un lieve aumento (0,5%) di quelli extra-domestici. Fatto è che due italiani su dieci, per un totale di 12 milioni, pranzano abitualmente fuori casa, distribuendosi fra bar, mense, ristoranti o anche sul posto di lavoro con pranzo portato da casa (percentuale più alta, dopo le mense) o acquistato nei negozi di vicinato. Non sorprenderà dunque che nel corso degli anni il pranzo sia considerato un po’ meno il pasto principale a beneficio della cena salita dal 21,4 al 23,4%. Uomini e soprattutto donne (non così per gli adolescenti) danno sempre più importanza alla colazione del mattino.
Gli italiani si definiscono buongustai (77,8%), prediligono le specialità gastronomiche della loro regione (69,1%) e ritengono di spendere molto per il cibo (53,3%). Continuano a nutrirsi fondamentalmente di pane, pasta, riso, carni bianche e frutta (anche se in lieve calo rispetto al 2006), mentre il formaggio resta l’alimento meno scelto. Eppure il tasso di obesità risulta in crescita di oltre il 26% negli ultimi dieci anni; in sovrappeso sono ben sei milioni di italiani fra adulti e bambini. Gli stili alimentari meno salutari sono statisticamente quelli degli uomini; degli occupati; degli abitanti dei grandi centri e di quelli che vivono nel Centro Nord. Le lavoratrici donne, invece, sono più attente agli stili alimentari salutistici per un maggiore carico familiare; per le caratteristiche diverse dei lavori e per una maggiore attenzione e sensibilità ad aspetti relativi alla salute. Il rapporto con la bilancia diventa sempre più difficile. Il 31,5% delle persone dai 18 anni in su dichiara di non pesarsi mai e solo il 27,1% lo fa almeno una volta all’anno. A controllare poco il peso sono più gli uomini che le donne, i lavoratori autonomi e più i meridionali rispetto ai settentrionali.
Consumi e usi alimentari al tempo della crisi
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