“Il prossimo 25 maggio avrà luogo a Palermo, il Rito di Beatificazione del Servo di Dio don Giuseppe Puglisi, sacerdote palermitano martire, ucciso dalla mafia in odio alla fede il 15 settembre 1993. Questo evento gioioso ci fa guardare ad un autentico testimone della fede e dà una connotazione particolarmente significativa all’Anno della fede che le nostre Chiese particolari stanno vivendo ricordando il 50° anniversario di inizio del Concilio Vaticano II e il 20° della pubblicazione del Catechismo della Chiesa Cattolica”.
Inizia così il messaggio dei Vescovi della Sicilia per la prossima Beatificazione di don Pino Puglisi, che così ancora annota: “Quella di don Pino Puglisi è la vicenda di un sacerdote totalmente conformato a Cristo che visse il suo ministero presbiterale come servizio a Dio e all’uomo. Reso forte da una intensa vita spirituale, fatta di ascolto della Parola di Dio, di preghiera, di riferimento costante all’Eucaristia che celebrava quotidianamente, egli attuò un apostolato di promozione umana avendo come riferimento costante l’annuncio del Vangelo. Promosse un’azione educativa che contribuiva al cambiamento della mentalità e della visione della vita, favorendo la maturazione della fede del popolo a lui affidato. Svolse instancabilmente il suo ministero sacerdotale per l’edificazione del Regno di Dio richiamando tutti alla conversione, al pentimento e all’incontro con la tenerezza di Dio Padre. Per questo volle che il Centro di accoglienza parrocchiale da Lui fondato fosse chiamato “Padre Nostro”. La sua mitezza e la sua incessante azione missionaria, evangelicamente ispirata, si scontrò con una logica di vita opposta alla fede, quella dei mafiosi i quali ostacolarono la sua azione pastorale, con intimidazioni, minacce e percosse fino a giungere alla sua eliminazione fisica, in odio alla fede […]”.
La vita sacerdotale di don Pino Puglisi fu scelta totale verso i più deboli, gli indifesi e i poveri, in un tempo in cui le povertà vecchie e nuove aumentano. Specie ora, nel tempo che viviamo, la povertà è un problema drammatico. Ma non c’è solo l’aumento delle povertà! C’è evangelicamente da capire cosa significa quest’aumento di poveri per noi, discepoli di Cristo. Perché i poveri per noi sono visita del Signore e “segno dei tempi”. Essi peraltro ci raggiungono non da soli, ma circondati – loro e noi – da «un nugolo di testimoni» che ci aiutano a capire cosa lo Spirito chiede alla sua Chiesa nel suo continuo rinnovare la Pentecoste.
I poveri, ma anche i giovani, la gente – come continua a dirci con un messaggio ancora attuale, don Giuseppe Dossetti – non chiedono solo aiuto ma anzitutto «hanno sete di Chiesa». Spesso senza saperlo, altre volte chiedendo e non trovando. E noi? Dovremmo fare soprattutto questo: «offrire il Vangelo e tutta la sua virtù». Allora i poveri avranno speranza, i giovani troveranno un senso per la loro vita e la capacità di lottare per un futuro migliore, la gente potrà rialzare la testa e ritrovare una cittadinanza attiva.
Appena qualcuno offre il Vangelo, questo accade! Lo mostra il consenso attorno a papa Francesco, ma lo mostrano anche tante testimonianze silenziose tra le quali si colloca ed ora emerge – anche grazie al riconoscimento del martirio in “odium fidei” e la beatificazione – la testimonianza della vita, del ministero presbiterale e della morte di don Pino Puglisi. Che ci aiuta, non solo a “capire”, ma che anzitutto ci “traccia la via”. Diventa allora importante seguirne l’esempio.
Diventa importante salire con lui sul monte delle beatitudini, e da lì guardare la “folla” non come massa anonima ma come persone concrete che ci sono affidate. Parroci e parrocchie dobbiamo sentire anzitutto questa responsabilità, che in questi anni abbiamo capito si può incarnare attraverso il gesto evangelico della visita e le “sentinelle” con cui non lasciare nessuno senza attenzione (i centri di aiuto riguardano solo una parte dei poveri).
Don Puglisi è stato nel Centro vocazionale, a Godrano come a Brancaccio, capace di discernimento e di presenza accogliente verso tutti, attenta al fondo della vita, con quella che una volta si diceva “cura pastorale” e che, dopo il Concilio e il Sinodo, possiamo dire come il nostro “collocarci tra i poveri e tra la gente”, nelle “periferie” – ama dire papa Francesco, necessario sfondo per ascoltare le beatitudini. E comprendere, per noi e per tutti, la vera felicità. Il secondo passaggio è avvicinarsi a Gesù. Don Puglisi lo dice con chiarezza in una sua pagina di diario: «determinante è stato per me il fatto che Gesù non restasse una persona generica». Determinante per noi è ascoltare Gesù da discepoli, credere nelle vie che Lui ci propone.
Questo ci insegna ancora oggi Don Puglisi, che è di tutti e riguarda tutti. Non si legano infatti a lui particolari riflessioni pastorali o teologiche o movimenti, congregazioni religiose e nemmeno iniziative (lo stesso centro Padre Nostro si capisce bene solo dentro una vita parrocchiale). Al nuovo beato si legano uno stile, una passione, una fede autentica. E quindi, “ritrovandolo” possiamo rinvigorire la nostra testimonianza e offrire a tutti il lievito del Vangelo. Allora si rinnova la Pentecoste, si attua il Concilio e il Vangelo viene riscoperto «in tutta la sua virtù»!
Maurilio Assenza
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