Il motivo per cui Marchionne porta il domicilio fiscale di Fiat a Londra sono le tasse che da noi superano il 30%, con un valore di 500-600 milioni, mentre in Inghilterra risparmierà un buon 10%.
Oltre al danno erariale vi è un danno sulla occupazione, con già 19.000 lavoratori in pericolo, ma la stampa tende a difendere l’operazione come legittima, dimenticandosi gli aiuti ricevuti anche di recente da Marchionne, con grossi esborsi da parte statale.
Naturalmente Fiat si difende e scrive un comunicato stampa in cui dichiara che: gli “articoli usciti sui media e dichiarazioni di alcuni politici e sindacalisti italiani– possono aver ingenerato l’idea che, dopo la fusione delle attività di Fiat Industrial e di Cnh, il domicilio fiscale della nuova società sarà trasferito dall’Italia alla Gran Bretagna, con notevole danno per il fisco del nostro Paese. Si tratta di dichiarazioni e valutazioni completamente false. Bisognerebbe infatti ricordare che da molti anni Cnh Global Nv ha la sede legale in Olanda. In Italia invece, come negli altri paesi, hanno sede le società nazionali che svolgono attività in ogni singola nazione e che continueranno a pagare le tasse dove operano. L’affermazione che l’Italia perderebbe più di 500 milioni di tasse è quindi assolutamente falsa”.
Il fatto è che anche il Financial Times la vede come i giornali italiani e scrive che questo diFiat è di fatto l’ultimo colpo all’Italia, dove il nuovo governo di coalizione di Enrico Letta sta cercando di arrestare il deflusso di investimenti” dopo quasi due anni di recessione.
Approfitta del nuovo eclatante sviluppo del progetto Marchionne Guido Barilla, che attacca Confindustria per chiederle che torni a fare gli interessi dei produttori e non anche delle aziende di servizio.
Per andare con ordine, la società Fiat che produce camion, trattori e bus sposterà la sede in Gran Bretagna e si chiamerà DutchCo, frutto della fusione tra Fiat Industrial e la filiale americana Cnh.
Questo, come ha scritto Nino Sunseri su Libero mercoledì 22 maggio, comporterà una perdita di 536 milioni per imposte sul reddito e 28 milioni come Irap, per un totale di circa 600 milioni l’anno.
Insomma, una scelta di convenienza, perché in Italia la Fiat paga il 36%, la Gran Bretagna invece ha avviato un programma di tagli che porterà l’aliquota sulle imprese dal 30% del 2007 al 20% nel 2015. Insomma, una fuga da un regime fiscale asfissiante.
Quanto a Barilla, in un’intervista al quotidiano La Stampa, si scaglia contro Confindustria e dice: “così com’è oggi l’organizzazione non funziona: era nata per sostenere le imprese di prodotto che questo fosse l’auto, la pasta o i tessuti; adesso invece è diventata rappresentante anche di interessi contrastanti, come quelli delle aziende di servizi alle imprese e dalle utilities inciampando in un continuo e concreto conflitto di interesse”.
Ciò che è certo è che mentre il titolo Fiat vola in alto, ancora una volta Piazza Affari è in profondo rosso, con un meno 3% alle 10.30 e il comparto bancario che registra le perdite maggiori.
Dalle comunicazioni di Internal Dealing diffuse da Borsa Italiana si apprende che il 14 maggio il numero uno del gruppo del Lingotto, Sergio Marchionne, ha venduto 240mila azioni della società a un prezzo unitario di 4,954 euro. Il manager ha incassato circa 1,19 milioni di euro. Lo stesso Marchionne nelle sedute del 14 e 15 maggio ha venduto 240mila azioni di Fiat Industrial (+1,68% a 9,09 euro) a prezzi compresi tra gli 8,7997 euro e gli 8,814 euro per azione, incassando oltre 2,11 milioni di euro. Negli stessi giorni il manager ha acquistato 100mila azioni della statunitense CNH, a prezzi com presi tra i 42,678685 dollari e i 43,089901 dollari, per un esborso complessivo di quasi 4,3 milioni di dollari. Intanto, Mediobanca ha ritoccato al rialzo il prezzo obiettivo su Fiat Industrial, portandolo dal 10,2 euro a 10,4 euro, con giudizio “Outperform” da parte degli esperti ed apprensioni forti da parte di chi sa che le sorti d’Italia dipendono anche dal colosso di Torino.
Intanto, oggi, il ministro dello Sviluppo Flavio Zanonato, ha di aver avuto unna telefonata con l’Ad di Fiat, nel corso della quale lo ha invitato a mantenere la sua azienda in Italia come industria nazionale. Il che equivale a smentire i toni rassicuranti di Fiat e a gettare ombre sinistre sul Paese, già in crisi e sulla intera operazione.
Ricordiamo che è Marchionne che ha ispirato la vergognosa raccolta firme contro il rientro di 145 lavoratori iscritti Fiom, decretato in due sedi di giudizio dal tribunale di Roma che ha riconosciuto l’evidente comportamento discriminatorio nei confronti degli iscritti ai metalmeccanici Cgil, decidendo al contempo di licenziare 19 lavoratori n forza nello stabilimento Ffat di pomigliano per far posto agli altri, con un atto indecoroso ed un insulto alla dignità di un paese che Fiat sta abbandonando progressivamente e che serve esclusivamente a rinfocolare la guerra tra poveri, in un paese distratto, colpevolmente ripiegato su se stesso, con una politica e un sindacato assenti o complici di un amministratore delegato dispotico quanto scarsamente produttivo che approfittato della nuova propaganda di regime sui grandi investimenti Fiat e su ennesime promesse che altro non sono che la stessa merce spacciata più volte, per aprire i licenziamenti, continua ad operare nel modo più cinico e sconsiderato.
In due paginette memorabili del Manifesto del Partito Comunista, Marx ed Engels, hanno spiegato alla perfezione quel che succede durante tutte le crisi capitalistiche. La società borghese appare da quattro anni come il mago che ha evocato gli spiriti degli inferi e non riesce più a dominarli. Dal 2008 a oggi la società possiede troppo commercio, troppe merci, troppi capitali, troppe industrie e ahimè troppi lavoratori. In sintesi, con l’epidemia della sovrapproduzione è scoppiata la crisi. Una crisi di cui Marchionne con la sua politica, è paradigma ed emblema.
L’intensificazione dello sfruttamento dei vecchi mercati unita alla loro saturazione, implica che per superare la crisi sia necessario, sempre per Marx ed Engels, anche trovare nuovi sbocchi aprendosi la strada verso nuovi mercati. Ecco che casca a fagiolo l’accordo Fiat-Chrysler, lo sbarco in America della Fabbrica Italiana Automobili Torino.
Ma il problema è che il piano Marchionne non porta al socialismo, ma lo usa per una idea di sopravvivenza estrema del capitalismo, che, pur di sopravvivere, si riempie delle teorie socialiste, facendone l’uso che crede.
In definitiva, mentre Fabbrica Italia è stato rimesso nel cassetto, il progetto Marchionne continua come prima, riformulato per i soliti gonzi. Nell’attuale produzione della Fiat, Marchionne si è assicurato un più alto valore aggiunto per ogni operaio, cioè un maggior valore tolto dallo sfruttamento bestiale degli operai. Il suo ideale è ancora lontano, ma finché potrà scaricare sullo Stato o sulla strada i suoi esuberi, potrà galleggiare guadagnando pur sempre qualcosa anche in tempi di crisi, nell’attesa di guadagnare da far schifo quando verranno, se verranno, tempi migliori. E se non verranno pazienza, lui avrà fatto il massimo nelle condizioni date e si sarà preparato un “posto” in altri luoghi.
Carlo Di Stanislao
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