Se anche a Stoccolma, una delle capitali più belle del mondo, costruita su 14 isole collegate da 57 ponti, capitale scintillante di uno stato fra i più probi e attenti al mondo, ora brucia sotto la furia di centinaia di gioovani disoccupati di provenienza extracomunitaria, è evidente che la situazione è fuori controllo.
Da quattro notti di fila, nella perriferia della capitale svedese, in una nazione che è esempio di giustizia sociale, di tolleranza e di integrazione, torme di giovani hanno dato fuoco alle auto, appiccato incendi e attaccato con lanci di pietre polizia e vigili del fuoco.
C’è già chi ricorda rivolta del 2005 nelle banlieue francesi, che con tre settimane costituiscono la sommassa più importante in Franciae in Europa dal maggio del 1968.
I motivi che determinarono lo scoppio delle violenze dei giovani proletari nella periferia parigina e nelle altre città francesi , vanno ricercati nelle loro drammatiche condizioni sociali, condizioni comuni a tutti i paesi d’Europa, sopratto dopo il 2008, con un peggioramento progressivo nelle condizioni di lavoro e di vita della classe lavoratrice mondiale
Le violenze in Svezia sono iniziate domenica, nel corso di una protesta a Husby contro l’uccisione per mano della polizia di un 69enne armato di un machete, avvenuta il 13 maggio nello stesso sobborgo. E sono molti i giornali svedesi che ora scrivono sche gli scontri rappresentano un gigantesco fallimento delle politiche del governo, che ha facilitato la nascita di ghetti nelle periferie.
Il partito anti-immigrati, i Democratici in Svezia, è salito al terzo posto nei sondaggi in vista delle elezioni del prossimo anno, riflettendo il disagio causato dalla presenza degli immigrati tra molti elettori. Circa il 15% della popolazione è nata all’estero, la percentuale più alta nei paesi nordici.
Il premier svedese Fredrik Reinfeldt, ha lanciato un appello con cui ha chiesto a “tutti di prendersi la responsabilita’ di riportare la calma”, ma anche ammesso la necessita’ di restringere i tempi di integrazione dei nuovi arrivati , mentre il partito anti-immigrazione Democratici svedesi continua a sostenere l’”irresponsabile” linea seguita dal governo su questa materia.
Da tempo in molti denunciano la preoccupatwente crescita dei partiti di destra in tutta l’unione e soprattutto nei paesi scandinavi, come in quelli della’Est europeo. In Novergia il partito progressista di estrema destra è il primo partito di opposizione del paese con il 23 per cento di voti, la le idee xenofobe sono molto più diffuse nella confinante Svezia, primo paese in Europa per tasso di immigrazione, incentivata dalle condizioni molto favorevoli agli immigrati del welfare svedese che garantisce il diritto a una pensione di disoccupazione agli immigrati regolari. Molti cittadini, soprattutto i disoccupati, iniziano a non digerire più questo sistema, e alcuni di loro a confluire nei movimenti razzisti estremi, che però sono relativamente poco presenti in parlamento.
Soprattutto si è sottovlutato il fiorire di una nuova e radicale ideologia di destra, nella convinzione che la destra si fosse ammansita, con idee sempre più tiepide, confuse e superate, come accaduto in Italia con la “riforma” Fini che sappiamo a che cosa ha portato.
Ma non è così e nonostante i richiami di intellettuali come Veneziani che speravono in tentativi pacati e dialettici per “Tentare una strategia di conquista civile e culturale delle posizioni chiave, o quantomeno una presenza bilanciata, che apra alle culture plurali “; la destra si è inasprita in tutto il continenente, arroccata rabbiosamente su posizione violente e reazionarie che pare facciano ampio proselitismo fra giovani e disoccupati.
Come scrive oggi Il Sole 24 Ore, se la Svezia è fra le prime economie industrializzate per numero di rifugiati e primo paese in rapporto alla popolazione, tradizionalmente icona della giustizia sociale e i di integrazione., ore tre notti teribili sembrano mettere tutto in discussione.
Le centinaia di giovani immigrati turchi, somali, siriani delle periferie di Stoccolma che incendiano auto ed edifici pubblici e lanciano sassi contro un commissariato di polizia sono un sintomo inquietante., un sintomo dell’esasperazione di gruppi etnici che fanno sempre più fatica a entrare nel mercato del lavoro (tra la popolazione immigrata il tasso di disoccupazione è quasi il triplo di quello dei nativi svedesi) e che vedono allontanarsi il sogno di un’esistenza migliore.
Perché dopo decenni di ridimensionamento del welfare state, la diseguaglianza, come attesta l’Ocse, corre anche in Svezia ed ora la lunga crisi europea impone il suo prezzo anche ad una economia con un grande passato, ma ora con una crescita lenta.
Ora urge una riflessione che è la stessa che non è stata fatto dopo le banlieue di otto anni fa. Mentre fino agli anni settanta il proletariato era concentrato nella grande fabbrica e la sua componente principale era costituita dalla classe operaia, negli ultimi decenni questo quadro, sotto la spinta della crisi economica e delle risposte date a questa crisi dalla borghesia, è profondamente mutato. La ristrutturazione del capitale ridimensionando le fabbriche nelle quali si trovavano fianco a fianco decine di migliaia di lavoratori ha ridotto di conseguenza le grandi concentrazioni operaie. Si è notevolmente ridotto il settore della classe operaia, almeno nelle aree del capitalismo avanzato, mentre sono emersi nuovi settori del proletariato sparsi sul territorio e che non hanno più come punto di riferimento, dove maturare la coscienza di classe ed esprimere il conflitto sociale, la grande fabbrica. La rivolta della periferia parigina e svedese sono l’espressione del conflitto sociale di un settore del proletariato che in questi ultimi anni è cresciuto enormemente soprattutto tra le nuove generazioni.
E se Se in passato lo scontro di classe vedeva come unico protagonista la classe operaia e la fabbrica, oggi, proprio in seguito alle modifiche nella composizione sociale, le nuove generazioni di proletari manifestano il conflitto sociale direttamente sul territorio e fuori da quelle fabbriche. Se prima il conflitto sociale partiva all’interno della fabbrica su un terreno economico-sindacale, per poi svilupparsi in rarissimi casi anche sul piano politico, oggi settori importanti del proletariato esprimono un conflitto sociale dalle connotazione diverse, in quanto non avviene sul terreno economico-sindacale ma si pone immediatamente e potenzialmente su un terreno politico.
Carlo Di Stanislao
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