“Non è perché le cose sono difficili che non osiamo, ma è perché non osiamo che sono difficili”
Lucio Anneo Seneca
‘Nella castità, nella scienza, nella longanimità, nella soavità, nello Spirito Santo, nella carità non falsa, nella parola di verità, nella potenza di Dio’
San Paolo
Oggi il Cielo festeggia l’arrivo di Don Gallo, uomo diretto e senza preamboli, cristiano vero e duro e prete in prima linea, sempre dalla parte dei più umili ed afflitti.
Sigaro, basco, voce roca, rugginosa, magnetica e profonda, sempre in rotta di collisione contro i poteri forti, col cardinale Siri che nel 1970 lo licenziò perché troppo di sinistra, levandogli la parrocchia, ma non certo i fedeli.
Tra questi, Fabrizio De Andrè, ma soprattutto gente umile ed abbandonata, per la quale non è mai stato restio a “sporcarsi le mani” in politica, sostendo Doria e Vendola, mentre avrebbe visto bene Berlusconi “in Africa”.
Quando, in occasione dei suoi 70 anni, gli fu conferito un premio per la persona più impegnata nella solidarietà in Liguria, la premiazione si trasformò in una festa, anche perché cadeva in occasione del suo compleanno, essendo di luglio ed essendo luglio del segno del cancro, schivo e sensibile, duro nella apparenza e tenerissimo all’interno.
Al G8 di Genova, nel 2001, si spese moltissimo. Incontrò Manu Chao per organizzare il concerto del musicista-icona dell’epoca, vide l’attacco immotivato dei carabinieri al corteo dei Disobbedienti di Casarini: “Una vera imboscata”, dirà a caldo pochi giorni dopo, e “Carlo muore”. Anche lui, di fronte alla “caccia all’uomo” in piazza e “al vergognoso termine della Diaz”, prova in quei giorni lo spiazzamento di chi ha “tutt’ora tanti amici nelle forze dell’ordine”.
Era un uomo arcigno quando era nella sede della Comunità al Porto, nella sua Genova, serio e severo contro le ingiustizie del mondo.
Ma era anche un uomo allegro e molto sorridente: a Sanremo, invitato qualche anno fa con lui da un gruppo di donne a parlare di laicità e diritti riproduttivi, si accalorò tanto da quasi bestemmiare, cosa che qualche volta gli capitava, perché a volta, diceva, non si capisce in che modo misterioso Dio operi nel mondo.
La chiesa che lui ha sempre sognato ha anticipato di vari decenni quella di Papa francesco, una chiesa “non separata dagli altri, che non sia sempre pronta a condannare, ma sia solidale, compagna, a fianco dei bisogni delle donne e degli uomini”.
Promotore fin da giovanissimo della “pedagogia della fiducia e della libertà”, dopo un periodo tra i salesiani, nel 1964 lascia la congregazione fondata da san Giovanni Bosco ed entra a far parte del presbiterio della sua arcidiocesi di Genova.
Ma anche questa realtà gli sta a dir poco stretta e decide di fondare la Comunità di San Benedetto al Porto, quella che diventerà la sua famiglia, impegnandosi sempre per la pace e per il recupero degli emarginati, con battaglie che non sono mai piaciute alle gerarchie ecclesiastiche, che, sommessamente lo considerano un Che Ghevara con la tonaca, ma altrettanto pericoloso e rivoluzionario.
Nell’aprile del 2008 aderisce idealmente al V2-Day di Beppe Grillo e nel 2009 partecipa al Genova Pride lamentando le incertezze della Chiesa cattolica nei confronti degli omosessuali.
Nel suo libro-testamento, non fa sconti a nessuno e scrive delle lobby del Vaticano iniziando da quella fortissima di Comunione e Liberazione, proseguento con una requisitoria nei confronti dell’Opus Dei, dei Legionari di Cristo e della Comunitàdi S. Egidio e ancora contro “una lobby omosessuale molto forte: un gruppo di vescovi che nasconde la propria omosessualità e la sublima non nella castità bensì nella ricerca del potere; cercano di allungare la catena che li unisce creando altri vescovi omosessuali”.
Con la sua dipartita il mondo spirituale è più angusto, poiché è stato, come pochi altri (Carlo Mnaria Martini, soprattutto), un uomo che con la sua vita, le parole e le azioni, ci ha fatto una chiesa diversa da scandali e Vatileaks, “un cantiere aperto, con un mutato rapporto primato-episcopato, episcopato-presbiterato-chierici-laici”, come ha detto di recente Papa Bergoglio che certo oggi è molto affranto perché sa che uno dei guerrieri più forti è tornato a riposarsi nella Casa del Padre.
Don Gallo, il cui grande cuore ha cessato di battere che liberare lo spirito nella tarda serata di ieri, mentre un vento furioso batteva contro il suo porto, a Geneva, ancora pieno dei lutti della tragedia recente, è stato, come lui stesso dicevba, un prete “con un piede sulla strada e uno in chiesa”, amico di Dario Fo, De Andrè, Celentano, Paoli, Grillo, Vasco Rossi, Subsonica, Ligabue, Gino Strada, icona della sinistra, uno degli artefici dell’elezione del sindaco di Genova Marco Doria, sempe dalla parte dei disperati.
Ha scritto “L’Inganno Droga”, “Il Fiore Pungente”, “Il Prete da Marciapiede”, “Il cantico dei drogati”, “Angelicamente Anarchico”, “Io cammino con gli ultimi”, “Così in terra come in cielo”, ma, soprattutto, con la sua vita, un capolavoro di impegno umano e spirituale.
Vivere nello Spirito, camminare secondo lo Spirito, essere sostenuti dalla sua forza vivificante e trasformante, tutto questo contava agli occhi dei benedettini, padri del monachesimo medievale d’Occidente, molto più di ogni discussione o distinzione.
Guglielmo di Saint Thierry, confidente e biografo di san Bernardo, ddice che l’ultima tappa del cammino spirituale consiste, proprio nel passaggio dalla scienza alla sapienza delle cose divine, sentite e conosciute come Cristo conosce il Padre, nell’amore, e in un amore sostanziale che è interamente lo Spirito Santo.
Tutto questo ha messo in pratica Don Gallo, prete partigiano dalla parte degli esclusi, che adesso vive nella completezza perfetta della luce.
Carlo Di Stanislao
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