Risalgono a qualche giorno fa le insidiose parole della Deputata PDL Dorina Bianchi, che con un tiro mancino degno della più becera politica, ha preteso in pochi minuti di tracciare i perversi confini del diritto ad un’ esistenza dignitosa, sentendosi in cuor suo un po’ Romolo, un po’ Dio e classificando l’assoluta ed irrinunciabile rilevanza della vita umana.
“I diritti dei gay non sono una priorità, inciderebbero gravosamente sul wellfare del Paese e porrebbero in secondo piano altri diritti inviolabili: quelli delle donne”.
On. Dorina Bianchi
Queste le parole della signora, in preda ad un’evidente stato di misticismo che deve averle fatto perdere per un attimo la cognizione dello spazio e del tempo, portandola a confondere Montecitorio con la “rosa” del paradiso dantesco, di cui lei farà parte a pieno titolo.
Erano i giorni “caldi” dell’ assassinio femminicida della povera Fabiana Luzzi, martoriata e poi bruciata dal suo fidanzato. Erano giorni di appelli alla responsabilità morale, ma anche di dignità e di decenza per le categorie sociali più “deboli” e la Bianchi ha usato toni inaccettabili e grotteschi per definire una situazione di tale urgenza.
Ieri, giusto il tempo di ingoiare l’ennesimo boccone amaro, un ragazzino presumibilmente omosessuale è “volato” dalla finestra ed ora lotta per la vita. È un giovane romeno, un coetaneo della povera Fabiana, studia e vive nella capitale e proprio a scuola ha tentato di farla finita: proprio in quel luogo che anziché simboleggiare la tolleranza, l’accoglienza, la forza dirompente ed assoluta della cultura, per l’ennesima volta si è rivelato l’antro degli orrori e della violenza morale da parte di chi dovrebbe farti crescere, spingendoti alla vita e non oltre un davanzale.
Ciò che in tutto questo marasma di contingenze fa crescere forte la rabbia è il sentore di vedersi calati dall’alto (dalla Bianchi e simili) in una spiacevolissima “guerra tra poveri”, enfatizzata al punto di delineare in modo perverso una scala gerarchica tra i diritti inviolabili degli individui, come se i nostri parlamentari, divisi funzionalmente in commissioni (e pagati profumatamente), non abbiano il tempo necessario per lavorare contemporaneamente su più disegni di legge, decreti e quant’altro, al punto di vedersi costretti a delineare cosa sia o meno degno di essere normato.
Questa è follia istituzionale, siamo in guerra civile, diamo adito alla barbarie: siamo cani aizzati gli uni contro gli altri, ci chiamino donne, lavoratori, omosessuali, transessuali, extracomunitari e ci contendiamo la soluzione alle nostre sofferenze come cavernicoli, sperando che il più martoriato, quello che morirà della morte più terribile, riesca un giorno ad ottenere il diritto a vivere la propria esistenza.
I nostri parlamentari no, loro si concedono di usare “due pesi e due misure” quando modificano i Regolamenti di Camera e Senato, ampliandoli con norme che permettano il riconoscimento delle coppie di fatto appartenenti esclusivamente alla loro classe sociale.
I comuni mortali non sono contemplati: per loro cappi, finestre, benzina, sangue, morte, brioches.
Se il problema appartiene ai comuni mortali, si può giocare a fare i moralisti, a negare l’aborto, l’eutanasia, le cure con le staminali e quant’altro nel nome di non si sa quale ratio legis.
Un embrione per il parlamentare italiano “medio” vale di più della vita tangibile e definita di un adolescente disconosciuto dallo Stato, in barba ai valori della Costituzione Repubblicana; chiediamo almeno di essere tutelati in quanto ex embrioni!
Prendiamo ad esempio la Francia di ieri e sogniamo che un giorno siano gli omofobi a dover scappare di fronte ai fumogeni della polizia, non i gay, le donne ed i disabili a dover uscire di casa non sapendo se vi torneranno tagliati a pezzetti per mano delle bestie.
Non cediamo, esigiamo di poter vivere.
Leonardo Dongiovanni
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