La cronaca ci manda segnali gravissimi: si uccide sempre di più ed in modo sempre più insensato e feroce.
Sembra di essere in un film o in un videogioco o dentro un incubo che inghiotte e asfissia. Si uccide perché si hanno delle tare che la società è in grado di portare alla luce o si uccide perché la vita ha perso ogni valore.
Era un giovane ingegnere di Potenza, a passeggio in un parco di Monaco di Baviera in compagnia della fidanzata, anche lei potentina, dopo una giornata di lavoro, lontano dagli affanni.
Non immaginava che la morte lo attendeva in quel luogo, che due anni fa lo aveva accolto e gli aveva dato lavoro, con la forma di un fuori di testa, un balordo, che prima ha insultato la ragazza sputandogli addosso e poi, quando lui è intervenuto lo ha accoltellato.
Non riusciamo ad abituarci ad un mondo così, dove puoi morire per mano di un folle, solo perché hai cercato di non farti insultare, solo perché, magari, la tua faccia, il tuo sorriso, l’avere una ragazza al tuo fianco, dispiace a qualcuno.
Morti violente, in vari luoghi ed in vari modi, mentre attorno la gente si ferma solo un istante e poi passa oltre, anestetizzata da spettacoli orridi e giornalieri.
Un ragazzo si getta dalla finestra e la fa finita con la vita a 16 anni, la stessa età di una ragazzina, bruciata viva dal fidanzato geloso.
Il giovane ucciso a Monaco si chiamava Domenico Lorusso, trent’anni, figlio di Giuseppe, morto anni fa per un incidente stradale,vittima di un balordo che la polizia tedesca sta cercando, ucciso davanti agli occhi della fidanzata, mentre passeggiavano dopo cena, in pieno centro, a Erhardtstraße, nei pressi di Corneliusbrücke, nel cuore di Monaco.
Il 18 maggio, in pieno centro, a La Spezia, un marocchino trentacinquenne e’ stato ferito a coltellate al torace, al volto e alla testa da un connazionale nel corso di un litigio e sette giorni prima Adam Mada Kabobo, di 31 anni, ha ucciso due uomini a picconate e ne feriti altri cinque, in via Montegrivola, a Milano.
Oggi, a Roma, un sedicenne si è ucciso, gettandosi da una finestra della propria scuola, perché era gay e non si sentiva accettato neanche in famiglia.
Ed i Gay Center scrive che occorre più rispetto delle differenze, una educazione che va inserita nei piani formativi obbligatori e integrata con percorsi che coinvolgano concretamente le famiglie in un cammino di maturazione nell’accoglienza.
Certo tutto questo è importante ma non basta, come non bastano i percorsi di formazione per i cittadini di altre nazionalità, che siano orientati ad un nuovo concetto di cittadinanza, inclusivo e accogliente, come già avviene in altri Paesi europei.
Ieri pomeriggio, nella sala Ademollo della Provincia di Lucca, si è svolto un convegno intitolato: “La paura dietro la porta”, organizzato per esaminare la violenza che ogni giorno circonda le nostre vite e condiziona i nostri comportamenti, scatenando paura e disagio.
Si è parlato di bullismo, devianza giovanile, violenza contro donne e minori e si è dovuto riconoscere che, di la dai proclami, poco si è fatto in tal senso.
Stamani, alle 10,30, al cine teatro Aurora di Belvedere, in provincia di Siracusa, è stato presentato “Rosa”, un docu-film di 18 minuti, diretto da Alfio D’Agata, prodotto da Giuseppe Cottone, che ha scritto anche il soggetto e con protagonista Silvana Fallisi, che narra di una donna che da piccola subisce violenza dal padre e che, una volta diventata sposa e madre, teme che lo stesso crudele destino possa toccare alla propria figlia.
E lunedì prossimo, nella vicina Palermo, nel teatro dell’Istituto Regina Margherita, in piazzetta SS. Salvatore, un incontro moderato Gisella Cangemi, intitolato “Voci nel silenzio – donne contro la violenza di genere”, curato e condotto dal sostituto procuratore Alessia Sinatra e dalle operatrici del centro antiviolenza Le Onde onlus, con la mostra fotografica “Curricula no vitae” di Marina Galici e chiuso con il reading “Frammenti d’amore tra logos e melos” a cura di Nuni Imborgia e Stefania Zappalà.
Tre giorni fa, con 545 voti su 545, la Camera ha approvato il ddl che contrasta ogni forma di violenza sulle donne e che ora passa al Senato, divento la quinta nazione a ratificare la Convenzione di Istanbul, dopo Montenegro, Albania, Turchia e Portogallo., una carta con 81 articoli che in premessa dice che: “il raggiungimento dell’uguaglianza di genere de jure e de facto è un elemento chiave per prevenire la violenza contro le donne” e che “la violenza contro le donne è una manifestazione dei rapporti di forza storicamente diseguali tra i sessi, che hanno portato alla dominazione sulle donne e alla discriminazione nei loro confronti da parte degli uomini e impedito la loro piena emancipazione”.
Francesco Alberoni, discutendo del serpeggiare crescente della violenza nelle nostre società, scriveva sul Corriere, due anni fa, che preoccupante è soprattutto l’incattivirsi dei rapporti interumani, come si vede negli stadi, dove bande di teppisti si scontrano, incendiano e danneggiano tutto quello che capita e nella guerriglia organizzata delle frange anarcomarxiste del movimento antiglobal.
Come si vede anche negli automobilisti che sembrano presi da raptus, nelle imprese dove è enormemente aumentata la competizione reciproca, una competizione che, soprattutto in quelle pubbliche o di grande dimensione, assume spesso caratteristiche violente, con formazione di gruppi, coalizioni, alleanze, cordate, assalti al potere.
Così sono ammessi tradimenti e inganni, fatti che un tempo avrebbero suscitato riprovazione e condanna, mentre adesso vengono considerate debolezze e ingenuità tutte le virtù tradizionali e si ammirano solo gli egoismi, l’ arricchimento e le sopraffazioni, perché sono scomparsi (o fatti scomparire) i grandi meccanismi sociali che scaricavano l’ aggressività all’esterno.
Concludeva Alberoni, citando David Riesman, che anni fa aveva annunciato la scomparsa dell’ uomo autodiretto, che trova l’orientamento in se stesso nei suoi principi, nei suoi valori morali e il trionfo dell’ uomo eterodiretto che segue le correnti sociali; che invece questa strada ci sta conducendo alla lotta di tutti contro tutti, a una vita arida e infelice, da cui non vi è via d’uscita, qui come altrove, se non si ritrova la rotta verso la capacità individuale di autogoverno morale.
Molti anni fa (era il 1981), fummo colpiti dal ritmo notturno e sincopato di “Strade vilente” di Michael Mann, basato sul bel romanzo “The Home Invaders” di Frank Hohimer, colpiti soprattutto dal complesso personaggio di James Caan, che riece ad uscire dalla spirale della violenza recuperando i suoi personali valori morali.
Quel film uscì in sordina, appena un mese prima di “ 1997:Fuga da New York”, l’altro capolavoro che avrebbe più di tutti plasmato e influenzato l’itinerario estetico ed espressivo del cinema degli anni’80, e non solo, entrambi animati da una profonda sostanza pessimistica circa il futuro della umanità, sempre più incline e votata alla violenza.
James Caan ha dichiarato tempo fa, che il ruolo di Frank Honimer e il suo monologo in tavola calda con Tuesday Weld/ Jessie (preparatorio e “gestatorio” di quello sempre ad un tavolo di ristorante, tutto campi e controcampi, famosissimo e “definitivo”, fra Neil McCuley/Robert De Niro e Vincent Hanna/Al Pacino in “Heat – La Sfida” di quattordici anni dopo), è la cosa migliore per chi voglia comprendere come uscire da una spirale di violenza.
E in quel dialogo, in fondo, come ha detto Alberoni, il segreto sta nella rinuncia e nella autodeterminazione morale.
Invece, la sparatoria di Palazzo Chigi, l’accusa da parte di Beppe Grillo di un presunto golpe (in occasione dell’elezione di Napolitano), ci portano a pensare che l’autoregolamentazione è stata estromessa da una società sempre più brutale, attraversata da un dilagante imbarbarimento del quale ci si accorge anche nella vita quotidiana con la normale percezione di uomini della strada, tralasciando anche i fatti più eclatanti.
Le numerose fratture latenti in società che da tempo si sono distinte per individualismo e per incapacità di considerare il prossimo e la collettività come qualcosa di prioritario ed irrinunciabile, si manifestano a tutti i livelli,: dagli scandali della mala-politica che si susseguono da un ventennio fino al semplice “non voler vedere” un automobilista in panne a bordo strada, con un meccanismo perverso che ha fatto sì che la crisi economica si è riversata anche e soprattutto in una crisi sociale, alla radice di una generalizzata violenza che va ben al di là del singolo fatto di sangue.
Contro la violenza l’autogoverno morale
La cronaca ci manda segnali gravissimi: si uccide sempre di più ed in modo sempre più insensato e feroce. Sembra di essere in un film o in un videogioco o dentro un incubo che inghiotte e asfissia. Si uccide perché si hanno delle tare che la società è in grado di portare alla luce o […]
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