Papa Francesco, l’Amore, la Libertà e la Misericordia di Dio

“Dio è Misericordia, come una madre con i figli”(Papa Francesco). Non si può fare la macedonia con i Comandamenti di DIO. Se “con la cultura dello scarto – scrive Papa Francesco – la vita umana non è più sentita come valore primario da rispettare e tutelare”, allora pare ragionevole pensare che, alla luce dei tragici […]

“Dio è Misericordia, come una madre con i figli”(Papa Francesco). Non si può fare la macedonia con i Comandamenti di DIO. Se “con la cultura dello scarto – scrive Papa Francesco – la vita umana non è più sentita come valore primario da rispettare e tutelare”, allora pare ragionevole pensare che, alla luce dei tragici effetti del relativismo etico dominante contro la Vita e l’Amore dell’Altissimo per ciascuna persona nell’Universo (cf. film The Tree of Life di Terrence Malick, Usa 2011), la nostra civiltà sia finita in guai molto seri. Perché alla fede in DIO, nella vita e nello sviluppo umano della persona fin dal concepimento, non ci sono alternative razionali. Pena l’estinzione di massa. Tant’è che della crisi antropologica dell’Uomo negli Anni Dieci del XXI Secolo risente sia l’economia sia l’etica sia la tecnologia sia la morale sia la salute del pianeta Terra. Lo prova l’aumento esponenziale delle emissioni di anidride carbonica in atmosfera, anche attraverso l’inquinamento termico prodotto dai jet e dai personal computer. Un’offesa all’Altissimo ed ai Nascituri. La CO2 è un gas serra che riscalda la Terra. Nutre le piante che si moltiplicano producendo umidità e precipitazioni abbondanti. Ma gli effetti sono ben più devastanti sul medio periodo con la desertificazione e la glaciazione di intere regioni. Senza contare le alluvioni distruttive causate dall’immediato disgelo delle calotte polari che produrranno un consistente innalzamento del livello medio dei mari e degli oceani. Al Congresso Eucaristico Nazionale tedesco di Colonia (Köln, 5-9 Giugno 2013) il cardinale Walter Kasper, presidente emerito del Pontifico Consiglio per l’Unità dei Cristiani, sotto il motto “Signore, da chi andremo?”(Gv 6,68), ha inaugurato la giornata con una catechesi nella quale il porporato ha sottolineato che le crisi, come quella che la Chiesa Cattolica sta vivendo in questo momento storico, non sono “niente di nuovo per la Chiesa” e che conseguentemente non sia “corretto dar loro eccessivo peso, pur senza minimizzare gli atteggiamenti sbagliati”. Una delle intenzioni del Congresso è quello di rassicurare. “Si condivide, non si è isolati, si appartiene a una grande comunità, si percepisce un’atmosfera positiva, e questo fa sì che poi il Congresso ingeneri una funzione di irradiazione verso l’esterno, verso le parrocchie, nella società”. Questo perché ci si possa chiedere: a che punto ci troviamo, in questo momento, in quanto Chiesa? “Non vogliamo tornare indietro, ma in questo momento chiediamo un approfondimento. Questo è il senso del Congresso eucaristico. L’approfondimento di quello che, grazie al Concilio, abbiamo già raggiunto”. Nella sua catechesi, il card. Kasper mette in guardia dal sopravvalutare le crisi nell’ambito della Chiesa, perché queste ci sono sempre state. “Una crisi porta insicurezza: molti sacerdoti sono più insicuri, ce ne sono di meno, le stesse comunità sono insicure perché non ricevono più un sacerdote e spesso vengono unificate. In questi casi, uno dei compiti del Congresso eucaristico è di rincuorare: si va avanti, in modo nuovo, non si può semplicemente tornare indietro. Si va avanti con le parrocchie, ci sono degli aspetti positivi. Tutto questo va spiegato”. Ma, per arrivare al cuore della questione, secondo il porporato, bisogna anche chiedersi: dove altro potremmo andare? “Dov’è l’alternativa? Io credo che nella nostra società non ci siano vere alternative alla fede cristiana. Noi rispettiamo chiunque non condivida la nostra fede, anche se, con una certa fiducia, diciamo: noi abbiamo parole di vita, non sono parole nostre, ma le parole di Cristo”. L’atmosfera è sorprendentemente positiva. “In genere si dice che i tedeschi si lamentino sempre. Invece, qui colgo un’atmosfera molto positiva. Questo potrebbe dipendere anche dal “colore” locale, tipico di Colonia: i suoi abitanti sono persone gioiose, aperte. Ma ho l’impressione che in questo momento l’atmosfera stia tanto cambiando anche a livello globale. Forse contribuisce anche l’elezione del nuovo Papa: anche a Roma c’è un clima completamente diverso e questo fa bene”. Quanto durerà? “Chi lo sa. Ma io ho l’impressione che tutto questo sia più profondo, che non sia soltanto l’interesse superficiale per un Papa nuovo, ma sembra che quasi la gente pensi: sì, facciamo un passo verso il futuro. Non sarà sempre facile, ma l’atmosfera è positiva e questo aiuta ad andare avanti. È vero, la Germania in ambito europeo è un Paese importante, ma è vero anche che non dobbiamo prenderci troppo sul serio. Siamo soltanto una piccola percentuale nell’ambito della Chiesa universale – rivela il card. Kasper – e la Chiesa universale si trova per tre quarti, quindi nella sua parte maggiore, nell’emisfero meridionale della Terra. Ora, abbiamo anche il Papa che viene da questo emisfero: lì hanno un’agenda diversa, con questioni diverse, ma anche entusiasmi e impulsi diversi. Però, si prende atto del fatto, e anche con gratitudine, che anche nell’ambito della Chiesa tedesca ci si sta impegnando per superare una crisi in senso positivo. Ma non dobbiamo neanche sopravvalutarci, pensando che siamo l’ombelico del mondo: perché semplicemente non è più così”. Il Cuore di Cristo “non è un simbolo immaginario, perché l’amore di Gesù è la vita che resuscita dalla morte”. Cosi Papa Francesco all’Angelus di Domenica 9 Giugno 2013 in piazza San Pietro, affollatissima di fedeli di tutto il mondo. Il “Sacro Cuore di Gesù è la massima espressione umana dell’amore divino” – osserva Papa Bergoglio, ricordando che tutto “il mese di Giugno è tradizionalmente dedicato a questa festa” celebrata nella Chiesa universale Venerdì 7 Giugno. “La pietà popolare – rivela il Santo Padre – valorizza molto i simboli e il Cuore di Gesù è il simbolo per eccellenza della Misericordia di Dio; ma non è un simbolo immaginario, è un simbolo reale, che rappresenta il centro, la fonte da cui è sgorgata la salvezza per l’umanità intera”. Diversi insegnamenti evangelici dicono che “dal Cuore di Gesù scaturisce per tutti gli uomini il perdono e la vita. Ma la Misericordia di Gesù non è solo un sentimento, è una forza che dà vita, che risuscita l’Uomo!”. Cosi come documenta l’evangelista Luca, nell’episodio della vedova di Nain, il villaggio della Galilea dove Gesù con i suoi discepoli arriva nel momento in cui si svolge il funerale del figlio unico della donna vedova, che “viene resuscitato dal Signore preso da grande compassione per lei”, Papa Francesco spiega che “questa compassione è l’amore di Dio per l’Uomo, è la Misericordia, cioè l’atteggiamento di Dio a contatto con la miseria umana, con la nostra indigenza, la nostra sofferenza, la nostra angoscia. Il termine biblico ‘compassione’ richiama le viscere materne: la madre, infatti, prova una reazione tutta sua di fronte al dolore dei figli. Così ci ama Dio, dice la Scrittura”. Qual è il frutto di questo amore, di questa Misericordia? “È la vita! La Misericordia di Dio dà vita all’Uomo – sottolinea Papa Bergoglio – il Signore ci guarda sempre con misericordia; non dimentichiamolo, ci guarda sempre con misericordia, ci attende con misericordia. Non abbiamo timore di avvicinarci a Lui! Ha un Cuore misericordioso! Se Gli mostriamo le nostre ferite interiori, i nostri peccati, Egli sempre ci perdona”. Papa Francesco invoca la protezione della Madonna. “Il suo Cuore Immacolato, Cuore di Madre, ha condiviso al massimo la ‘compassione’ di Dio, specialmente nell’ora della passione e della morte di Gesù. Ci aiuti Maria ad essere miti, umili e misericordiosi con i nostri fratelli”. Papa Francesco rende omaggio alle due religiose, madre Sofia e madre Margherita Lucia, beatificate Domenica 9 Giugno 2013 in Polonia. “Con la Chiesa che è in Cracovia rendiamo grazie al Signore!”. Si tratta di madre Sofia Czeska Maciejowska, fondatrice della Congregazione delle Vergini della Presentazione della Beata Vergine Maria, e di madre Margherita Lucia Szewczyk, fondatrice della Congregazione delle Figlie della Beata Maria Vergine Addolorata. Due secoli separano le nuove beate in Cielo: Madre Sofia, vissuta nel 17.mo Secolo, polacca, istruita, sposata e poi vedova giovanissima; e suor Margherita, ucraina di nascita, che nell’Ottocento elesse la Polonia come terra della sua missione. Le due religiose fecero dono di sé con amore sacrificale, fondato su una fede robusta, nutrita con un costante accostamento all’Eucaristia ed alla preghiera. Le loro sono congregazioni di spiritualità mariana. Madre Sofia si dedicava alle ragazze povere ed orfane, seguendo la sua personale regola di “istruzione e formazione” per prepararle alla vita. Il suo strumento preferito era la Parola di Dio che va custodita nel proprio cuore facendo in modo che questo sia pronto a riceverla. Va custodita con lo stupore e la gioia di Maria Santissima che fece suoi, a tal punto da trasmettere alle consorelle il motto “Gloria a Dio e a sua Madre”. Madre Sofia scelse il mistero della Presentazione al tempio come modello della sua vita personale e come patrona della sua opera. Madre Margherita scelse di occuparsi dei bambini negli orfanotrofi, degli anziani nei ricoveri e dei malati negli ospedali. La riconoscevano per la bontà del suo cuore, la sua accoglienza materna verso gli altri e la sua gioia tutta francescana, che affondavano le radici in una fede solida, perché senza fede è impossibile piacere a Dio. Come figlia spirituale di San Francesco d’Assisi sapeva che in questo mondo Gesù si rende visibile in primo luogo nel Santissimo Sacramento del Suo Corpo e del Suo Sangue. Erano continue le visite al Tabernacolo, convinta che se si volevano molte grazie si dovevano fare molte visite a Gesù Eucaristico. Ed è il servizio gratuito e l’orientamento al bene l’insegnamento fondamentale che le due beate lasciano al mondo ed a tutti noi, compresi gli “economisti” della crisi globale! I Santi fanno tanto bene non solo alla Chiesa ma anche alla società ed alle scienze. L’eredità che le due beate lasciano a tutti, infatti, è di operare il bene e farlo talmente bene da creare ricchezza spirituale e personale. Alle loro figlie spirituali, Madre Sofia e Madre Margherita Lucia lasciano non solo la beatitudine evangelica di un apprezzato apostolato verso i bisognosi, ma anche l’assicurazione che il carisma delle loro congregazioni porti alla santità. Quindi il saluto di Papa Francesco a tutti i fedeli in piazza e nel mondo. “Grazie! Oggi non dimentichiamo l’Amore di Dio, l’Amore di Gesù: Lui ci guarda, ci ama e ci aspetta. È tutto Cuore e tutta Misericordia. Andiamo con fiducia a Gesù, Lui ci perdona sempre”. Perché i Dieci Comandamenti non sono “limitazioni alla libertà” ma un “SI all’Amore”. Questo è il cuore del videomessaggio di Papa Bergoglio trasmesso in piazza Duomo a Milano, nell’ambito dell’iniziativa “10 Piazze per 10 Comandamenti”. L’evento, organizzato dal Rinnovamento nello Spirito Santo in collaborazione con il Pontificio Consiglio per la Nuova Evangelizzazione e la Conferenza Episcopale Italiana, nella tappa milanese si è concentrato sul terzo comandamento: “Ricordati di santificare le feste”. L’iniziativa, che richiama l’importanza di permettere alle famiglie di vivere assieme la Domenica, vuole essere un momento di dialogo fra realtà diverse. “La parola Comandamento non è di moda – rivela il Santo Padre – anzi all’uomo di oggi richiama qualcosa di negativo, la volontà di qualcuno che impone limiti”. Da questa costatazione il Papa vuol mostrare che in realtà mentre la storia anche recente è segnata da “tirannie” e da logiche che hanno oppresso cercando il potere e il profitto, “i Dieci comandamenti vengono da un Dio che ci creati per amore: diamo fiducia a Dio! Fidiamoci di Lui! I Dieci Comandamenti ci indicano una strada da percorrere e costituiscono anche una sorta di codice etico per la costruzione di società giuste, a misura dell’Uomo. Quante povertà morali e materiali – osserva Papa Francesco – derivano dal rifiuto di Dio e dal mettere al suo posto tanti idoli!”. Il Santo Padre invita a lasciarsi guidare da queste Dieci Parole che indicano invece “una strada di libertà” che trova pienezza nella legge dello Spirito scritta non su tavole di pietra, ma nel cuore. “Vengono infatti date al Popolo di Israele sul Monte Sinai. E dunque dopo la liberazione dall’Egitto come percorso per rimanere liberi, un percorso – rivela Papa Bergoglio – che è inciso nel cuore dell’Uomo, come una Legge morale universale: non dobbiamo vedere i Dieci Comandamenti come limitazioni alla libertà, no, non è questo, ma dobbiamo vederli come indicazioni per la libertà. Non sono limitazioni, ma indicazioni per la libertà! Essi ci insegnano ad evitare la schiavitù a cui ci riducono i tanti idoli che noi stessi ci costruiamo, l’abbiamo sperimentato tante volte nella storia e lo sperimentiamo anche oggi. I Dieci Comandamenti – spiega il Pontefice – ci insegnano a vivere il rispetto per le persone, vincendo l’avidità di potere, di possesso, di denaro, ad essere onesti e sinceri nei nostri rapporti, a custodire l’intera creazione ed a nutrire il nostro pianeta di ideali alti, nobili, spirituali”. Fondamentalmente i Dieci Comandamenti sono “una legge d’amore”. E “mentre Mosè è salito sul Monte per ricevere da Dio le tavole della Legge – osserva Papa Francesco – Gesù compie il percorso opposto, cioè scende nella nostra umanità per indicarci il senso profondo di queste Dieci Parole: Ama il Signore con tutto il cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e il prossimo come te stesso”. Ama DIO, ama la Vita, ama l’Amore. “Il Comandamento dell’Amore è quello che porta in se tutti i comandamenti, il cui cuore, infatti, sta proprio nell’Amore che viene da Dio e che dà senso alla vita, che ci fa vivere non da schiavi, ma da veri figli, che anima tutte le relazioni: con Dio, con noi stessi – spesso lo dimentichiamo – e con gli altri. La vera libertà – insegna Papa Bergoglio – non è seguire il nostro egoismo, le nostre cieche passioni, ma è quella di amare, di scegliere ciò che è bene in ogni situazione: i Dieci Comandamenti non sono un inno al “no”, sono sul SI. Un sì a Dio, il sì all’Amore, e poiché io dico di sì all’Amore, dico no al non Amore, ma il no è una conseguenza di quel sì che viene da Dio e ci fa amare. Riscopriamo e viviamo le Dieci Parole di Dio! Diciamo sì a queste Dieci Vie d’Amore perfezionate da Cristo per difendere l’Uomo e guidarlo alla vera libertà! La Parola di Dio, quella che solo all’ascolto provoca stupore, va custodita gelosamente nel profondo del cuore”. Papa Francesco pone l’accento proprio sullo stupore che colse quanti ascoltavano il dodicenne Gesù nel Tempio davanti ai dottori che lo interrogavano, come racconta il Vangelo di Luca (2, 41-51). Così come stupiti rimasero Giuseppe e Maria nel trovare Gesù che cercavano da tre giorni. “I dottori erano pieni di stupore – nota il Pontefice – e Giuseppe e Maria al vedere Gesù restarono stupiti. Il primo effetto della Parola di Dio è, dunque, quello di stupire, poiché in essa ritroviamo il senso del divino. E poi ci dà gioia. Ma lo stupore è più che la gioia. È un momento nel quale la Parola di Dio viene seminata nel nostro cuore. Tuttavia non si deve vivere lo stupore solo nel momento in cui viene suscitato dalla Parola: è qualcosa da portare con sé per tutta la vita, in una custodia. Bisogna custodire la Parola di Dio, e questo lo dice il Vangelo: sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore”. Custodire la Parola di Dio è “un’espressione che – osserva Papa Bergoglio – nei racconti evangelici si incontra spesso: anche nella notte della nascita di Gesù, dopo la visita dei pastori, Maria è meravigliata”. Dalla potenza dell’Altissimo. Papa Francesco riflette sul significato del “custodire” la Parola di Dio e si domanda: “Io ricevo la Parola, poi prendo una bottiglia, metto la Parola nella bottiglia e la custodisco? Custodire la Parola di Dio vuol dire aprire il nostro cuore a quella Parola, come la terra si apre per ricevere il seme. La Parola di Dio è seme e viene seminata. E Gesù ci ha detto cosa succede con il seme. Alcuni cadono lungo il cammino e vengono gli uccelli e li mangiano, e questo accade quando la Parola non è custodita. Significa che certi cuori non sanno riceverla. Accade anche che altri semi cadono in una terra con tante pietre e il seme non riesce a far radici e muore, cioè quando non siamo capaci di questa custodia perché non siamo costanti; e quando viene una tribolazione ce ne dimentichiamo. La Parola cade anche in una terra non preparata dove ci sono le spine, e alla fine muore perché non è custodita”. Ma cosa sono le spine? “Lo dice Gesù stesso: l’attaccamento alle ricchezze, i vizi, tutte queste cose. Custodire la Parola di Dio è riceverla nel nostro cuore, ma è necessario preparare il nostro cuore per riceverla. Meditare sempre su cosa ci dice questa Parola oggi, guardando a quello che succede nella vita. È quello ha fatto Maria durante la fuga in Egitto e alle nozze di Cana, quando s’interrogava sul significato di questi avvenimenti”. Ecco l’impegno per i cristiani: accogliere la Parola di Dio e pensare a cosa significa oggi. “Questo – rivela il Santo Padre – è un lavoro spirituale grande. Giovanni Paolo II diceva che Maria aveva, per questo lavoro, una particolare fatica nel suo cuore. Aveva il cuore affaticato. Ma questo non è un affanno, è un lavoro: cercare cosa significa la Parola in questo momento; cosa mi vuol dire il Signore in questo momento. Insomma, leggere la vita con la Parola di Dio: questo significa custodire”. Significa anche fare memoria. “La memoria – spiega il Pontefice – è una custodia della Parola di Dio, ci aiuta a custodirla, a ricordare tutto quello che il Signore ha fatto nella mia vita, tutte le meraviglie della salvezza”. Come noi oggi custodiamo la Parola di Dio? Come conserviamo questo stupore facendo in modo che gli uccelli non mangino i “semi” e i “vizi” non li soffochino? “Ci farà del bene chiedercelo – afferma Papa Francesco – proprio alla luce delle cose che accadono nella vita; vi esorto a custodire la Parola con la nostra memoria, e anche custodirla con la nostra speranza. Chiediamo al Signore la grazia di ricevere la Parola di Dio e custodirla, e anche la grazia di avere un cuore affaticato in questa custodia”. C’è poi la “scienza della carezza” che si manifesta nei due pilastri dell’Amore di DIO: la vicinanza e la tenerezza. “Gesù conosce bene questa bella scienza”- rivela Papa Francesco celebrando, Venerdì 7 Giugno 2013, la Santa Messa della solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù, nella cappella della Domus Sanctae Marthae. Riferendosi alle letture del giorno tratte dal libro del profeta Ezechiele (34, 11-16), dalla lettera di San Paolo ai Romani (5, 5-11) e dal Vangelo da Luca (15, 3-7) il Santo Padre definisce la solennità del Sacro Cuore di Gesù come la “Festa dell’Amore: Gesù ha voluto mostrarci il Suo Cuore, come il Cuore che ha amato tanto. Perciò oggi facciamo questa commemorazione. Soprattutto dell’Amore di Dio. Dio ci ha amato, ci ha amato tanto. Penso a quello che sant’Ignazio ci diceva. Ci ha indicato due criteri sull’amore. Primo: l’amore si manifesta più nelle opere che nelle parole. Secondo: l’amore sta più nel dare che nel ricevere”. Sono i due criteri di cui “Paolo nella seconda lettura ci dice: quando eravamo ancora deboli Gesù, nel tempo stabilito, morì per gli empi. Gesù ci ha amato non con le parole ma con le opere, con la Sua vita. E ci ha dato, ci ha donato senza ricevere niente da noi. Questi due criteri sono come i Pilastri del vero Amore: le opere e il darsi”. Papa Bergoglio spiegando il senso di questi due criteri, nota che il darsi di Gesù è ben reso dalla figura del buon samaritano. “Oggi la liturgia ci fa vedere l’amore di Dio nella figura del pastore. Nel cantico responsoriale abbiamo detto quel bel salmo [22]: Il Signore è il mio pastore. Il Signore si manifesta al suo popolo anche come pastore”. Ma, si domanda il Pontefice, “come fa il pastore il Signore? Il Signore ci dice tante cose, ma io mi fermerò solo a due. La prima è nel libro del profeta Ezechiele: Ecco io stesso cercherò le mie pecore, le passerò in rassegna. Passare in rassegna vuol dire che le conosce tutte, ma con il loro nome. Passare in rassegna. E Gesù ci dice lo stesso: Io conosco le mie pecorelle. Quel conoscere a una a una, con il loro nome. Così ci conosce Dio: non ci conosce in gruppo, ma uno a uno. Perché l’amore non è un amore astratto, o generale per tutti; è un amore per ognuno. E così ci ama Dio”. Tutto questo si traduce in vicinanza. “Dio si è fatto vicino a noi. Ricordiamo quel bel pezzo del Deuteronomio – osserva Papa Francesco – quell’amorevole rimprovero: Quale popolo ha avuto un Dio tanto vicino come voi? Un Dio che si fa vicino per amore e cammina con il Suo popolo”. Nell’Arca dell’Alleanza e nel Tempio. “E questo camminare arriva a un punto inimmaginabile: mai si potrebbe pensare che lo stesso Signore si fa uno di noi e cammina con noi, e rimane con noi, rimane nella Sua Chiesa, rimane nell’eucaristia, rimane nella Sua Parola, rimane nei poveri e rimane con noi camminando. Questa è la vicinanza. Il pastore vicino al suo gregge, alle sue pecorelle che conosce una per una”. Il Santo Padre soffermandosi sull’altro atteggiamento dell’amore di Dio, nota che “ne parlano sia il profeta Ezechiele, ma anche il Vangelo: Andrò in cerca della pecora perduta e ricondurrò all’ovile quella smarrita, fascerò quella ferita e curerò quella malata, avrò cura della grassa e della forte, le pascerò con giustizia, tenerezza. Il Signore ci ama con tenerezza. Il Signore sa quella bella scienza delle carezze. La tenerezza di Dio: non ci ama a parole; lui si avvicina e nel suo starci vicini ci dà il Suo Amore con tutta la tenerezza possibile. Vicinanza e tenerezza sono le due maniere dell’amore del Signore, che si fa vicino e dà tutto il Suo amore anche nelle cose più piccole con tenerezza”. Si tratta di “un amore forte perché vicinanza e tenerezza ci fanno vedere la forza dell’amore di Dio. Anche il nostro amore – ce lo dice il Signore: Amate voi come io vi ho amato – deve farsi vicino al prossimo e tenero come si è fatto quello del buon samaritano, o come quello nella parabola che oggi la Chiesa ci presenta nel Vangelo”. Ma noi come possiamo ridare al Signore “tante cose belle, tanto amore, questa vicinanza, questa tenerezza? Certamente possiamo dire: Sì, amandolo, possiamo diventare vicini a Lui, teneri con Lui. Sì, questo è vero, ma non è la cosa più importante. Può sembrare un’eresia – osserva Papa Bergoglio – ma è la verità più grande: più difficile che amare Dio è lasciarci amare da Lui! È questo il modo per ridare a Lui tanto amore: aprire il cuore e lasciarci amare. Lasciare che Lui si faccia vicino a noi e sentirlo vicino. Lasciare che Lui si faccia tenero, ci accarezzi. Questo è tanto difficile: lasciarci amare da lui. E questo è forse quello che dobbiamo chiedere oggi nella messa: Signore io voglio amarTi ma insegnami la difficile scienza, la difficile abitudine di lasciarmi amare da Te, di sentirti vicino e di sentirti tenero”. Il cuore aperto alla magnanimità orientata in Cristo, la ricerca di nuove forme di educazione non convenzionali, le sfide in politica per i cristiani, la povertà che avvicina a Gesù. Sono questi i temi principali al centro dell’incontro di Papa Francesco, nell’Aula Paolo VI in Vaticano, con circa 8mila studenti delle Scuole dei Gesuiti in Italia e in Albania. Tanto l’affetto e la gioia dei ragazzi che hanno sollecitato il Papa con le loro domande. Papa Bergoglio, rompendo ogni schema, avvia un dialogo diretto con i giovani. “Ho preparato questo per dirvi…Ma sono cinque pagine! Un po’ noioso…Facciamo una cosa: io farò un piccolo riassunto e poi consegnerò questo, per iscritto, al padre provinciale, lo darò anche al padre Lombardi, perché tutti voi lo abbiate per iscritto. E poi, c’è la possibilità che alcuni di voi facciano una domanda, e possiamo fare un piccolo dialogo. Ci piace questo, o no? Sì? Bene. Andiamo su questa strada”. Il Santo Padre rompe ogni schema davanti all’affetto, agli applausi, alle risate. Prima di iniziare a dialogare con i ragazzi, parla della “magnanimità” che apre il cuore e forma la persona. “Noi dobbiamo essere magnanimi, con il cuore grande, senza paura. Scommettere sempre sui grandi ideali. Ma anche magnanimità con le cose piccole, con le cose quotidiane. Il cuore largo, il cuore grande. E questa magnanimità è importante trovarla con Gesù, nella contemplazione di Gesù. Gesù è quello che ci apre le finestre all’orizzonte. Magnanimità significa camminare con Gesù, con il cuore attento a quello che Gesù ci dice”. Agli educatori e ai genitori Papa Francesco ribadisce la centralità della libertà, la necessità di bilanciare quei passi che definisce “tra la sicurezza e la zona di rischio” e li incoraggia a cercare “nuove forme di educazione non convenzionali, secondo la necessità di luoghi, tempi e persone”. Poi le domande dei ragazzi, il primo di nome Francesco: “Io cerco di essere fedele. Però, ho delle difficoltà. Ti volevo chiedere qualche parola per sostenermi in questa crescita e sostenere tutti i ragazzi come me”. Il Papa nota che “camminare è proprio l’arte di guardare l’orizzonte, pensare dove io voglio andare ma anche sopportare la stanchezza del cammino e restare fedele a questo”. Papa Francesco invita a non avere “paura dei fallimenti, non avere paura delle cadute: nell’arte di camminare, quello che importa non è di non cadere, ma di non rimanere caduti. Alzarsi presto, subito, e continuare ad andare. E questo è bello: questo è lavorare tutti i giorni, questo è camminare umanamente. Ma è brutto camminare da soli: brutto e noioso. Camminare in comunità con gli amici, con quelli che ci vogliono bene, questo ci aiuta ad arrivare proprio alla meta a cui noi dobbiamo giungere”. La piccola Sofia chiede a Papa Francesco se vede ancora gli amici. “Ma, io sono Papa da due mesi e mezzo…I miei amici sono a 14 ore di aereo da qui, sono lontani. Ma voglio dirti una cosa: sono venuti tre di loro a trovarmi e a salutarmi, e li vedo e mi scrivono e voglio loro tanto bene. Non si può vivere senza amici”. In un’atmosfera divertita Teresa domanda: “Ma volevi fare il Papa?”. Il Pontefice risponde con una domanda: “Ma, tu sai che cosa significa che una persona non voglia tanto bene a se stessa? Una persona che vuole, che ha voglia di fare il Papa, non vuole bene a se stessa, eh?, Dio non lo benedice, eh? No, io non ho voluto fare il Papa…Mi piaceva la missionarietà dei Gesuiti”. Ecco il perché della scelta vocazionale del Santo Padre. Poi, incalzato sulla decisione di vivere a Santa Marta in Vaticano, Papa Francesco rivela: “Ma, credo che non è soltanto una cosa di ricchezza. Per me è un problema di personalità…Io ho necessità di vivere fra la gente, e se io vivessi solo, forse un po’ isolato, non mi farebbe bene. Ma questa domanda me l’ha fatta un professore: ‘Ma perché lei non va ad abitare là?’. Io ho risposto: ‘Ma, mi senta, professore: per motivi psichiatrici’, eh? Perché, ma…è la mia personalità”. Papa Francesco ribadisce che “la povertà nel mondo è uno scandalo, un grido in un mondo dove ci sono tante ricchezze, tante risorse per tutti. Non si può capire come ci siano tanti bambini affamati, tanti bambini senza educazione, tanti poveri. Tutti noi dobbiamo pensare se possiamo diventare un po’ più poveri per assomigliare meglio a Gesù”. I ragazzi chiedono al Papa se sia stato difficile seguire la vocazione, lasciare tutto e tutti. “Ci sono difficoltà. Ma è tanto bello seguire Gesù – osserva Papa Francesco – andare sulla strada di Gesù, che tu poi bilanci e vai avanti. E poi arrivano momenti più belli. Ma nessuno deve pensare che nella vita non ci saranno le difficoltà. Anche io vorrei fare una domanda, adesso: come pensate voi di andare avanti con le difficoltà? Non è facile! Ma dobbiamo andare avanti con forza e con fiducia nel Signore: con il Signore, tutto si può”. Il Santo Padre incoraggia i giovani e, parlando delle difficoltà che vive il mondo, torna a sottolineare che “la crisi che in questo momento stiamo vivendo è una crisi della persona perché oggi non conta la persona, ma contano i soldi, conta il denaro”. È quindi necessario “liberarci di queste strutture economiche e sociali che ci schiavizzano”. Il sorriso dei ragazzi esplode quando il Papa, rispondendo alla curiosità di Francesco, spiega che non è mai stato in Sicilia, “per ora”, ma che conosce la “bellissima regione grazie al film Kaos ispirato a quattro racconti di Pirandello”. Quindi sollecitato sul compito dei cristiani in politica, Papa Bergoglio rivela che “è un dovere lavorare per il bene comune: coinvolgersi nella politica è un obbligo, per un cristiano. Noi cristiani non possiamo giocare da Pilato, lavarci le mani: non possiamo. Dobbiamo immischiarci nella politica, perché la politica è una delle forme più alte della carità, perché cerca il bene comune. E i laici cristiani devono lavorare in politica. Lei mi dirà: ‘Ma, non è facile’. Ma neppure facile è diventare prete. Non ci sono cose facili, nella vita: non è facile. La politica è troppo sporca, ma io mi domando: è sporca, perché? Perché i cristiani non si sono immischiati con lo spirito evangelico? È facile dire:‘la colpa è di quello’. Ma io, cosa faccio? Ma, è un dovere! Lavorare per il bene comune, è un dovere di un cristiano! E tante volte la strada per lavorare è la politica”. Papa Francesco parla direttamente ai giovani e, sollecitato più volte sui mali della società, alza lo sguardo sul cuore dell’Uomo. “Non lasciatevi rubare la speranza. Per favore: non lasciatevela rubare. E chi ti ruba la speranza? Lo spirito del mondo, le ricchezze, lo spirito della vanità, la superbia, l’orgoglio, tutte queste cose ti rubano la speranza. Dove trovo la speranza? In Gesù povero: Gesù che si è fatto povero per noi. E tu hai parlato di povertà. La povertà ci chiama a seminare speranza”. Papa Bergoglio con forza rimarca la centralità dell’esperienza. “Non si può parlare di povertà, di povertà astratta: quella non esiste! La povertà è la carne di Gesù povero, in quel bambino che ha fame, in quello che è ammalato, in quelle strutture sociali che sono ingiuste. Andate, guardate laggiù la carne di Gesù. Ma non lasciatevi rubare la speranza dal benessere, dallo spirito del benessere che alla fine ti porta a diventare un niente nella vita! Il giovane deve scommettere su alti ideali: questo è il consiglio. Ma la speranza dove la trovo? Nella carne di Gesù sofferente e nella vera povertà. C’è un collegamento tra i due. Dobbiamo essere tutti un po’ più poveri perché se tutte le persone si ponessero il problema, se tutti diventassimo un po’ più poveri per assomigliare a Gesù maestro povero,  molti problemi potrebbero trovare soluzione. La povertà è infatti uno scandalo, un grido. Soprattutto  in un mondo dove ci sono tante ricchezze e risorse, eppure non si capisce  perché non si riesce a far mangiare tutti. Anche per questo ho rinunciato a qualche ricchezza”. Il Santo Padre spiega così le sue scelte da Papa, confessando ai giovani di aver scelto di non abitare nel Palazzo Apostolico “non per virtù personale ma perché io amo stare in mezzo alla gente e stare solo non mi farebbe bene”. L’incontro si è così trasformato in un botta e riposta improvvisato, schietto, senza filtri. Un dialogo che non era previsto dal protocollo. Papa Francesco ha invitato i giovani ad avvicinarsi liberamente al microfono per fargli le domande. “Sono a disposizione”. E lo hanno fatto in dieci tra giovani, bambini e un professore. Gli argomenti sono stati tanti: dalle curiosità personali alle domande esistenziali. Ricorrenti le curiosità sulla “instabilità del futuro” visto con gli occhi dei più giovani. Il Santo Padre, non nascondendo le difficoltà che certamente troveranno lungo la via, fa capire l’importanza di “sapersi rialzare senza aver paura dei fallimenti e delle cadute. L’arte del camminare implica la capacità di sopportare la stanchezza. Ma è un’arte che sarebbe brutto e noioso praticare da soli: è meglio camminare nell’ambito di una comunità, con gli amici. Questo stile di vita – afferma Papa Bergoglio rispondendo a  Monica e Antonella – porta ad abbracciare una vocazione precisa”. Nel suo caso, la scelta di divenire gesuita. A spingerlo, confida il Pontefice, è stata “la missionari età”, il desiderio di “uscire fuori dal proprio contesto” per andare ad annunciare Gesù Cristo. E il “desiderio personale” di Papa Bergoglio era “partire per il Giappone”. Invece è diventato Papa. È stata dedicata alla Giornata Mondiale dell’Ambiente, la catechesi di Papa Francesco all’Udienza generale di Mercoledì 5 Giugno 2013. “Un evento – osserva il Santo Padre – promosso dalle Nazioni Unite, occasione per lanciare un forte richiamo alla necessità di eliminare gli sprechi e la distruzione di alimenti. Quando parliamo di ambiente, del Creato, il mio pensiero va alle prime pagine della Bibbia, al Libro della Genesi, dove si afferma che Dio pose l’uomo e la donna sulla Terra perché la coltivassero e la custodissero (cfr 2,15). E mi sorgono le domande: Che cosa vuol dire coltivare e custodire la terra? Noi stiamo veramente coltivando e custodendo il Creato? Oppure lo stiamo sfruttando e trascurando? Il verbo “coltivare” mi richiama alla mente la cura che l’agricoltore ha per la sua terra perché dia frutto ed esso sia condiviso: quanta attenzione, passione e dedizione! Coltivare e custodire il Creato – insegna Papa Bergoglio – è un’indicazione di Dio data non solo all’inizio della storia, ma a ciascuno di noi; è parte del Suo progetto; vuol dire far crescere il mondo con responsabilità, trasformarlo perché sia un giardino, un luogo abitabile per tutti. Benedetto XVI ha ricordato più volte che questo compito affidatoci da Dio Creatore richiede di cogliere il ritmo e la logica della Creazione. Noi invece siamo spesso guidati dalla superbia del dominare, del possedere, del manipolare, dello sfruttare; no, non la “custodiamo”, non la rispettiamo, non la consideriamo come un dono gratuito di cui avere cura. Stiamo perdendo l’atteggiamento dello stupore, della contemplazione, dell’ascolto della Creazione; e così non riusciamo più a leggervi quello che Benedetto XVI chiama “il ritmo della storia di amore di Dio con l’Uomo”. Perché avviene questo? Perché pensiamo e viviamo in modo orizzontale, ci siamo allontanati da Dio, non leggiamo i suoi segni”. Che ci sono tutti nei Cieli e sulla Terra. “Ma il ‘coltivare e custodire’ – rivela Papa Francesco – non comprende solo il rapporto tra noi e l’ambiente, tra l’Uomo e il Creato, riguarda anche i rapporti umani. I Papi hanno parlato di ecologia umana, strettamente legata all’ecologia ambientale. Noi stiamo vivendo un momento di crisi; lo vediamo nell’ambiente, ma soprattutto lo vediamo nell’Uomo. La persona umana è in pericolo, ma questo è certo, eh! La persona umana oggi è in pericolo! Ecco l’urgenza dell’ecologia umana! E il pericolo è grave perché la causa del problema non è superficiale, ma profonda: non è solo una questione di economia, ma di etica e di antropologia. La Chiesa lo ha sottolineato più volte; e molti dicono: sì, è giusto, è vero, ma il sistema continua come prima, perché ciò che domina sono le dinamiche di un’economia e di una finanza carenti di etica”. Il Papa, a braccio, ha poi aggiunto che “quello che comanda oggi non è l’Uomo, è il denaro: il denaro, i soldi comandano! Dio, Nostro Padre, ci ha dato il compito di custodire la terra, no i soldi, gli uomini e le donne! Noi abbiamo questo compito! Così uomini e donne vengono sacrificati agli idoli del profitto e del consumo: è la “cultura dello scarto”. Se si rompe un computer è una tragedia, ma la povertà, i bisogni, i drammi di tante persone finiscono per entrare nella normalità. Se una notte di inverno, qui vicino, in via Ottaviano, muore una persona, quella non è notizia. Se in tante parti del mondo ci sono bambini che non hanno da mangiare, quella non è notizia. Sembra normale! Non può essere questo! E queste cose entrano nella normalità: che alcune persone senza tetto muoiano di freddo per la strada, non è notizia. Al contrario di questo, per esempio, un abbassamento di 10 punti nelle Borse di alcune città, costituisce una tragedia. Quello che muore non è notizia, ma se calano 10 punti le Borse è una tragedia. Così le persone vengono ‘scartate’. Noi, le persone, veniamo scartati, come se fossimo rifiuti – osserva Papa Bergoglio – questa “cultura dello scarto” tende a diventare mentalità comune, che contagia tutti. La vita umana, la persona non sono più sentite come valore primario da rispettare e tutelare, specie se è povera o disabile, se non serve ancora – come il nascituro –, o non serve più – come l’anziano. Questa cultura dello scarto ci ha resi insensibili anche agli sprechi e agli scarti alimentari, che sono ancora più deprecabili quando in ogni parte del mondo, purtroppo, molte persone e famiglie soffrono fame e malnutrizione. Una volta i nostri nonni erano molto attenti a non gettare nulla del cibo avanzato. Il consumismo ci ha indotti ad abituarci al superfluo e allo spreco quotidiano di cibo, al quale talvolta non siamo più in grado di dare il giusto valore, che va ben al di là dei meri parametri economici. Ricordiamo bene, però, che il cibo che si butta via è come se fosse rubato dalla mensa di chi è povero, di chi ha fame! Invito tutti a riflettere sul problema della perdita e dello spreco del cibo per individuare vie e modi che, affrontando seriamente tale problematica, siano veicolo di solidarietà e di condivisione con i più bisognosi. Pochi giorni fa, nella Festa del Corpus Domini – sottolinea Papa Francesco – abbiamo letto il racconto del miracolo dei pani: Gesù dà da mangiare alla folla con cinque pani e due pesci. E la conclusione del brano è importante: “Tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi avanzati: dodici ceste”(Lc 9,17). Gesù chiede ai discepoli che nulla vada perduto: niente scarti! E c’è questo fatto delle dodici ceste: perché dodici? Che cosa significa? Dodici è il numero delle tribù d’Israele, rappresenta simbolicamente tutto il popolo. E questo ci dice che quando il cibo viene condiviso in modo equo, con solidarietà, nessuno è privo del necessario, ogni comunità può andare incontro ai bisogni dei più poveri. Ecologia umana ed ecologia ambientale camminano insieme. Vorrei allora che prendessimo tutti il serio impegno di rispettare e custodire il Creato, di essere attenti ad ogni persona, di contrastare la cultura dello spreco e dello scarto, per promuovere una cultura della solidarietà e dell’incontro. Grazie!”. Ciascuno di noi vive di piccole o grandi idolatrie, ma “la strada che porta a DIO passa per un amore esclusivo a Lui come ci ha insegnato Gesù” – afferma Papa Francesco nella Messa a Casa Santa Marta. “Quando lo scriba avvicina Gesù per chiedergli quale sia, secondo Lui, il primo di tutti i comandamenti è probabile che la sua intenzione non fosse tanto innocente”. Il Santo Padre valuta il comportamento dell’uomo che nel racconto evangelico si rivolge a Cristo dando l’impressione di “metterlo alla prova, se non proprio di farlo cadere nella trappola. E quando – alla citazione biblica di Gesù: Ascolta, Israele. Il Signore è nostro Dio, è l’unico Signore – lo scriba replica approvando”. Papa Bergoglio richiama l’attenzione sul commento di Cristo: “Non sei lontano dal Regno di Dio”. In sostanza, “con quel “non sei lontano” Gesù ha voluto dire allo scriba: “Tu sai bene la teoria”, ma “ancora ti manca una distanza dal Regno di Dio”, cioè devi camminare per trasformare in “realtà questo comandamento, giacché la confessione di Dio si fa nel cammino della vita, non basta dire: ‘Ma io credo in Dio, Dio è l’unico Dio’. Va tutto bene, ma come vivi tu questo nella strada della vita? Perché noi possiamo dire: ‘Il Signore è l’unico Dio, soltanto, non ce n’è un altro’, ma vivere come se Lui non fosse l’unico Dio ed avere altre divinità a nostra disposizione. C’è il pericolo dell’idolatria che è portata a noi con lo spirito del mondo. E Gesù, in questo, era chiaro: lo spirito del mondo, no. E chiede al Padre che ci difenda dallo spirito del mondo, Gesù, nell’Ultima Cena, perché lo spirito del mondo ci porta all’idolatria” che “è sottile, tutti noi abbiamo i nostri idoli nascosti e la strada della vita per arrivare, per non essere lontano dal Regno di Dio comporta lo scoprire gli idoli nascosti. Un comportamento rintracciabile già nella Bibbia – rivela il Papa – nell’episodio in cui Rachele, moglie di Giacobbe, finge di non avere con sé gli idoli che invece ha portato via dalla casa di suo padre e nascosto dietro la sua cavalcatura. Anche noi – confessa Papa Francesco – li abbiamo nascosti in una cavalcatura nostra. Ma dobbiamo cercarli e dobbiamo distruggerli, perché per seguire Dio l’unica strada è quella di un amore fondato sulla fedeltà. E la fedeltà ci chiede di cacciare via gli idoli, di scoprirli: sono nascosti nella nostra personalità, nel nostro modo di vivere. Ma questi idoli nascosti fanno che noi non siamo fedeli nell’amore. L’Apostolo Giacomo, quando dice: ‘Chi è amico del mondo, è nemico di Dio’, incomincia dicendo:’Adulteri!’. Ci rimprovera, ma con quell’aggettivo: adulteri”. Perché? “Perché chi è ‘amico’ del mondo è un idolatra, non è fedele all’amore di Dio! La strada per non essere lontano, per avanzare, per andare avanti nel Regno di Dio, è una strada di fedeltà che assomiglia a quella dell’amore nuziale. Pur con le piccole o non tanto piccole idolatrie che abbiamo, com’è possibile – si chiede Papa Bergoglio – non essere fedeli a un amore tanto grande? Per farlo, occorre confidare in Cristo, che è fedeltà piena e che ci ama tanto. Possiamo chiedere oggi a Gesù: Signore, tu sei tanto buono, insegnami questa strada per essere ogni giorno meno lontano dal Regno di Dio, questa strada per cacciare via tutti gli idoli. È difficile, ma dobbiamo incominciare. Gli idoli nascosti nelle tante cavalcature, che noi abbiamo nella nostra personalità, nel modo di vivere: cacciare via l’idolo della mondanità, che ci porta a diventare nemici di Dio. Chiediamo questa grazia a Gesù, oggi”. Il Santo Padre, nel messaggio inviato in occasione del Congresso Eucaristico Nazionale della Germania, dichiara che “l’evento si inserisce nella lunga tradizione di venerazione dell’Eucaristia presente in codesta città, una tra le prime a celebrare, a partire dal XIII Secolo, la Festa del Corpus Domini con processioni del Santissimo Sacramento, e sede di un Congresso Eucaristico Mondiale nel 1909. Pertanto invio volentieri da Roma il Cardinale Paul Josef Cordes come mio Inviato Speciale per manifestare la mia viva comunione spirituale con i cattolici tedeschi, e per esprimere la comunione universale della Chiesa. Il Padre celeste doni a tutti i partecipanti abbondanti frutti di grazia dalla venerazione del Cristo eucaristico. «Signore, da chi andremo?». Con tale domanda, davanti all’incomprensione di molti ascoltatori di Gesù, che vorrebbero approfittare egoisticamente di Lui, san Pietro si fa portavoce dei seguaci fedeli. I discepoli non si fermano nell’appagamento mondano di coloro che si sono saziati (cfr Gv 6,26) e che, tuttavia, si danno da fare per il cibo che non dura (cfr Gv 6,27). Certamente anche Pietro conosce la fame; per lungo tempo non aveva trovato il cibo che l’avesse potuto saziare. Poi entrò in relazione con l’uomo di Nazaret. Lo seguì. Ora egli conosce il suo Maestro non solo per sentito dire. Nei rapporti quotidiani con Lui è cresciuta una fiducia senza riserve. Questa è la fede in Gesù; e non senza ragione Pietro si aspetta dal Signore l’auspicata vita in abbondanza (cfr Gv 10,10). «Signore, da chi andremo?». Anche noi, membri della Chiesa di oggi, ci poniamo questa domanda. Anche se essa è forse più titubante nella nostra bocca che sulle labbra di Pietro, la nostra risposta, come quella dell’Apostolo, può essere solo la persona di Gesù. Certo, Egli visse duemila anni fa. Tuttavia noi possiamo incontrarLo nel nostro tempo quando ascoltiamo la sua Parola e siamo a Lui vicini, in modo unico, nell’Eucaristia. Il Concilio Vaticano II la chiama “azione sacra per eccellenza, e nessun’altra azione della Chiesa ne uguaglia l’efficacia allo stesso titolo e allo stesso grado” (Cost. Sacrosanctum Concilium, 7). Che la Santa Messa non cada per noi in una routine superficiale! Che attingiamo sempre di più alla sua profondità! È proprio essa ad inserirci nell’immensa opera di salvezza di Cristo, ad affinare la nostra vista spirituale per il suo amore: per la sua “profezia in atto” con cui, nel Cenacolo, diede inizio al dono di Sé sulla Croce; per la sua vittoria irrevocabile sul peccato e sulla morte, che annunciamo con fierezza e in modo festoso. “Bisogna imparare a vivere la Santa Messa” disse un giorno il Beato Giovanni Paolo II ai giovani in un Seminario romano che lo interrogarono sul raccoglimento profondo con cui celebrava (Visita al Pontificio Collegio Germanico Ungarico, 18 Ottobre 1981). “Imparare a vivere la Santa Messa”! A questo ci aiuta, ci introduce, il sostare in adorazione davanti al Signore eucaristico nel tabernacolo e il ricevere il Sacramento della Riconciliazione. «Signore, da chi andremo?». Tale domanda si pongono, infine, alcuni contemporanei, che – lucidamente o con oscuro presentimento – sono ancora in ricerca del Padre di Gesù Cristo. A loro il Redentore vuole venire incontro attraverso di noi, che, grazie al Battesimo, siamo diventati i Suoi fratelli e sorelle, e che, nell’Eucaristia, abbiamo ricevuto la forza di portare insieme a Lui la Sua missione di salvezza. Con la nostra vita e con le nostre parole dobbiamo annunciare a loro ciò che abbiamo riconosciuto insieme a Pietro e agli Apostoli: «Signore, tu hai parole di vita eterna» (Gv 6,68). La nostra testimonianza li infiammerà come noi siamo stati infiammati da Cristo. Noi tutti, vescovi, sacerdoti, diaconi, religiosi e laici abbiamo l’impegno di portare Dio al mondo e il mondo a Dio. Incontrare Cristo, affidarsi a Cristo, annunciare Cristo – sono i pilastri della nostra fede che si concentrano, sempre di nuovo, nel punto focale dell’Eucaristia. La celebrazione del Congresso Eucaristico, durante quest’Anno della fede, annuncia con rinnovata gioia e certezza: il Signore della Chiesa vive in essa. Con il mio cordiale saluto imparto di cuore a tutti voi la Benedizione Apostolica”. La “vera libertà nasce dall’aprire la porta del cuore al Signore – sottolinea Papa Francesco nella Messa alla Casa Santa Marta – la salvezza è vivere nella consolazione dello Spirito Santo, non nella consolazione dello spirito del mondo”. Cos’è la consolazione per un cristiano? “San Paolo, all’inizio della seconda Lettera ai Corinzi – osserva Papa Francesco – utilizza numerose volte la parola consolazione. L’Apostolo delle Genti parla ai cristiani giovani nella fede, persone che hanno incominciato da poco la strada di Gesù. Anche se non erano tutti perseguitati. Erano persone normali, ma avevano trovato Gesù. Proprio questo è un cambiamento di vita tale che era necessaria una forza speciale di Dio e questa forza è la consolazione. La consolazione – rivela Papa Bergoglio – è la presenza di Dio nel nostro cuore. Ma perché il Signore sia nel nostro cuore, è necessario aprire la porta, è necessaria la nostra conversione. La salvezza è questo: vivere nella consolazione dello Spirito Santo, non vivere nella consolazione dello spirito del mondo. No, quella non è salvezza, quello è peccato. La salvezza è andare avanti e aprire il cuore, perché venga questa consolazione dello Spirito Santo, che è la salvezza. Ma non si può negoziare un po’ di qua e un po’ di là? Fare un po’ una macedonia, diciamo, no? Un po’ di Spirito Santo, un po’ di spirito del mondo. No! Una cosa o l’altra. Il Signore lo dice chiaramente: “Non si possono servire due padroni: o si serve il Signore o si serve lo spirito del mondo”. Non si possono “mischiare”. Ecco allora che, quando siamo aperti allo Spirito del Signore – osserva il Santo Padre – possiamo capire la “nuova legge che il Signore ci porta”: le Beatitudini, di cui narra il Vangelo odierno. Queste Beatitudini si capiscono se uno ha il cuore aperto, si capiscono dalla consolazione dello Spirito Santo, mentre non si possono capire con l’intelligenza umana soltanto”. Il Discorso della Montagna affascina il cristiano ma anche chi vuole convertirsi. “Sono i nuovi comandamenti – spiega Papa Francesco – ma se noi non abbiamo il cuore aperto allo Spirito Santo, sembreranno sciocchezze. ‘Ma, guarda, essere poveri, essere miti, essere misericordiosi non sembra una cosa che ci porti al successo’. Se non abbiamo il cuore aperto e se non abbiamo gustato quella consolazione dello Spirito Santo, che è la salvezza, non si capisce. Questa è la legge per quelli che sono stati salvati e hanno aperto il loro cuore alla salvezza. Questa è la legge dei liberi, con quella libertà dello Spirito Santo.
Uno può regolare la sua vita, sistemarla su un elenco di comandamenti o procedimenti, un elenco meramente umano”. Come negli ordini religiosi oggi con poche vocazioni. “Ma questo alla fine non ci porta alla salvezza, solo il cuore aperto ci porta alla salvezza”. Il Santo Padre ricorda che “tanti erano interessati a esaminare la dottrina nuova e poi a litigare con Gesù”. E ciò accadeva perché “avevano il cuore chiuso nelle loro cose, cose che Dio voleva cambiare. Perché, dunque, ci sono persone che hanno il cuore chiuso alla salvezza? Perché abbiamo paura della salvezza. Abbiamo bisogno, ma abbiamo paura, perché quando viene il Signore per salvarci dobbiamo dare tutto. E comanda Lui! E di questo abbiamo paura, perché vogliamo comandare noi”. Per capire questi nuovi comandamenti delle Beatitudini “abbiamo bisogno della libertà che nasce dallo Spirito Santo che ci salva, che ci consola e dà la vita: possiamo oggi chiedere al Signore la grazia di seguirlo, ma con questa libertà. Perché se noi vogliamo seguirlo con la nostra libertà umana soltanto, alla fine diventeremo ipocriti come quei farisei e sadducei, quelli che litigavano con Lui. L’ipocrisia è questa: non lasciare che lo Spirito cambi il cuore con la sua salvezza. La libertà dello Spirito, che ci dà lo Spirito, anche è una sorta di schiavitù, una ‘schiavitù’ al Signore che ci fa liberi, è un’altra libertà. Invece, la libertà nostra soltanto è una schiavitù, ma non al Signore, ma allo spirito del mondo. Chiediamo la grazia di aprire il nostro cuore alla consolazione dello Spirito Santo, perché questa consolazione, che è la salvezza, ci faccia capire bene questi comandamenti. Così sia!”. Papa Francesco intende continuare a risiedere presso la Casa di Santa Marta anche durante il periodo estivo. È quanto ha affermato il direttore della Sala Stampa vaticana padre Federico Lombardi. Si prevede che dall’8 Luglio 2013 termineranno le Messe del mattino celebrate a Santa Marta con i vari gruppi. Da parte sua, la Prefettura della Casa Pontificia ha reso noto che durante il periodo estivo restano sospese tutte le udienze private e speciali. Nel mese di Luglio le Udienze generali dei Mercoledì 3, 10, 17, e 31 Luglio 2013 sono annullate. Le Udienze generali riprenderanno da Mercoledì 7 Agosto 2013 in Vaticano. Papa Francesco si recherà a Castelgandolfo il 14 Luglio per la recita dell’Angelus domenicale. Da Lunedì 22 a Lunedì 29 Luglio il Pontefice sarà in Brasile per la 28.ma Giornata Mondiale della Gioventù.

© Nicola Facciolini

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