Il brutale episodio di Londra ripropone l’incubo del terrorismo ponendo una serissima ipoteca sul nostro futuro
Le nostre città non sono più sicure e chi ci vive è obbligato a fare i conti con una violenza strisciante che può manifestarsi da un momento all’altro, senza preavviso, colpendo a volte obiettivi prescelti, più spesso alla cieca, in spregio ad ogni elementare principio di civile convivenza; l’impressione è di essere precipitati in un contesto primordiale, in cui ognuno di noi, volente o nolente, riveste da troppo tempo il ruolo scomodo della vittima potenziale, un bersaglio perfettamente visibile ed indifeso ad uso e consumo di carnefici misteriosi, celati nell’ombra, sconosciuti, insospettabili, avvolti in un alone di indefinibilità atto a dissolversi in un arco temporale infinitesimo per dispensare ripugnanza, sangue ed orrore.
Una manciata di minuti, spesso di secondi, e l’incantesimo è rotto, ed ecco che il nostro vicino di casa, lo studente universitario, lo sconosciuto passante che incrociamo tutti i giorni, la persona ferma al semaforo, il frequentatore del bar si trasforma di colpo in una tremenda macchina di morte, che niente e nessuno è in grado di fermare perché il richiamo della violenza è un qualcosa cui non si può resistere, una droga a tutti gli effetti che, una volta impossessatasi dell’individuo, lo rende capace delle azioni più abbiette, trasformandolo in un bruto privo di sentimenti e sordo ad ogni richiamo della coscienza.
Ma le considerazioni di stampo psicoanalitico in un contesto del genere servono a poco, molto meglio attenersi ai riscontri concreti offertici dalla realtà, cercando di conservare un minimo di lucidità quando quest’ultima supera la più fervida delle immaginazioni; ed in effetti quanto accaduto a Londra mercoledì 22 maggio sfugge ad ogni considerazione di ordine razionale, stante anche l’assenza di precedenti, mentre i fatti, agghiaccianti nella loro evidenza, riferiscono di un giovane militare investito da una vettura e decapitato a colpi di machete.
“Hanno provato a decapitarlo, cercando di segargli letteralmente la testa via dal collo”, è il commento testuale della folla, attonita ma non terrorizzata dall’azione dei carnefici, due giovanotti in apparenza come tanti altri ma votati alla causa del terrorismo, due classici “jihadisti della porta accanto o della domenica”, giusta una definizione indubbiamente centrata ma che non spiega, e non potrebbe farlo, le motivazioni che hanno innescato un gesto del genere e per il quale risulta oltremodo arduo trovare l’ambito di definizione più appropriato, testata la sua capacità di eclissare qualunque manifestazione di violenza.
Per contro il mistero la fa da padrone modellando una vicenda in cui l’orrido si mischia al grottesco, il senso di ripugnanza alla pietà; la foto di Micheael Olumide Adebolajo che sorregge l’accetta con le mani lorde di sangue sta facendo il giro del mondo com’è giusto che sia, perché la mattanza messa in atto rappresenta senza ombra di dubbio una sfida al mondo, nello specifico quello occidentale, rifiutato dai due carnefici e, presumibilmente, da molti altri come loro, accomunati da una ideologia in cui l’odio per il “diverso” è la parola d’ordine, e dove violenza e sopraffazione sono i bracci armati di una guerra che vede come protagonisti soldati invisibili senza volto e senza divisa, immersi nel nulla e perfettamente identificabili solo dopo che hanno colpito.
Una folle lucidità guida i loro gesti e nei loro cuori battono strani ideali, indefinibili come i moventi delle azioni e gli obiettivi che potrebbero derivarne, ammesso che efferatezze del genere possano avere delle finalità, al contempo il terrore rischia di impadronirsi di ciascuno di noi condizionando abitudini e principi di riferimento.
A detta di alcuni esperti di integralismo episodi del genere trarrebbero linfa e motivazioni dalla martoriata situazione del Medio Oriente, in particolare dalla presenza militare in Afghanistan, ragion per cui sarebbe sufficiente un ritiro delle truppe occidentali dal paese per porre termine alla minaccia jihadista, tesi quest’ultima razionalmente ineccepibile ma troppo semplicistica per essere accettata; non vi è dubbio infatti che l’impegno in Afghanistan, vecchio oramai di quasi dodici anni, si sia risolto in un sostanziale fallimento, così come fallimentare in termini di riscontri democratici è la situazione dell’Iraq, e tuttavia il terrorismo islamico fai da te, legato all’iniziativa di singoli gruppi di individui, esula totalmente da simili considerazioni.
I carnefici di Londra, così come gli attentatori di Boston, non sono minimamente toccati da queste vicende, men che meno da considerazioni di ordine geo-politico, assolutamente ignote alle loro menti ed utilizzate tutt’al più come un comodo alibi, per contro essi professano e praticano una sola filosofia, quella della violenza a tutti costi e del rigetto incondizionato di una società odiata ben oltre il parossismo, ma nella quale molti di loro sono nati e di cui non esitano ad utilizzare gli innegabili vantaggi da essa offerti ad iniziare dal settore informatico.
Fanatismo religioso, efferatezze di stampo primordiale e sottovalutazione del problema producono così un quadro d’insieme terrificante che, qualora dovesse prendere il sopravvento, ci riporterebbe indietro di svariati millenni, presumibilmente in piena età della pietra, fantascienza allo stato puro proprio come l’eccidio di Londra, così almeno si pensava prima che qualcuno la traducesse in cruda realtà.
Giuseppe Di Braccio
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