Il tempo volge al bello, in modo stabile, almeno pare, grazie all’anticiclone “Drago”, che sembra compiere il suo dovere “antiprocella”.
Iniziano le distensive incursioni al mare, anche brevi, ma salutari, dopo una primavera tediosa ed un inverno lunghissimo.
In tal modo vi è tempo e spazio per qualche lettura, magari che induca anche qualche riflessione o dia più spazio alla fantasia.
Unanimemente riconosciuto come il capo indiscusso di un network che condiziona la vita del paese, Luigi Bisignani si confessa (almeno in parte), in un libro in cui racconta di ministri, onorevoli e boiardi di Stato che fanno la fila nel suo ufficio per chiedergli consigli, disegnare strategie e discutere affari e lo fa con ul libro dal titolo più che evocativo: “L’uomo che sussurrava ai potenti Trent’anni di potere in Italia tra miserie, splendori e trame mai confessate”, scritto con Paolo Medron per Chiarelettere, dove narra, con stile affascinante, di nomine di ministri, di dirigenti Rai, di giornalisti, di grandi banchieri e membri di spicco dell’esercito, descrivendo la sua l’influenza anche sul Vaticano, dominato da obby e pruderie sessuali senza fine.
Da Andreotti e la P2 a Berlusconi e Bergoglio, con lui eminenza grigia che non appare mai (o quasi) in tv), non scrive sui giornali e disdegna la mondanità, perché il potere, quello vero, non ha bisogno di parole, ma agisce nell’ombra.
Nel corso della presentazione del suo libro, a Milano, ha annunciato che sta lavorando a un romanzo, che si intitolerà “Il direttore” e che sarà dedicato alla vita all’interno delle redazioni giornalistiche.
Intanto, in questo, è proprio la parte che riguarda il settore dei giornali a risultare la più interessante anche se stimolanti sono quelle su Andreotti , papa Wojtyla, Berlusconi, Bernabè, Geronzi (di cui si traccia un ritratto impietoso) e sulle vicende di Mediobanca.
La cosa che più mi ha sorpreso è il ritratto del direttore del Corsera De Bortoli, definito: “Sempre compassato, dotato di una camaleontica capacità di infilarsi tra le pieghe del tuo discorso e di una grande dialettica, non sufficiente però a nascondere il fatto di non avere quasi ma un’opinione troppo discorde da quella dell’interlocutore: democristiano con i democristiani, giustizialista con i giustizialisti, statalista o liberista a seconda di chi ha davanti”.
“Favorii certamente i suoi rapporti con Cesare Geronzi, ma non con D’Alema, visto che i due si detestavano cordialmente “ scrive Bisignani e agginge che durante il governo Berlusconi i motivi di contatto furonostati molteplici. (…), con mezzo governo del cavaliere che gli chiedeva riservatamente di mediare con lui, sollecitando la pubblicazione di interviste o di lettere.
La conclusione del libro, davvero sorprendente (o sconcertante, a seconda dei punti di vista), è che il problema dell’ Italia di oggi risiede nella mancanza di poteri forti che risultano tutti scardinati.
Come a dire che senza eminenze grigie non si va da nessuna parte e si scrive, di fatto, la “fine della storia”, come dimostra anche la più grave crisi dal ’29 che stiamo vivendo, perché, mentre da quella uscimmo si col New Deal e con le politiche di Keynes, oggi queste misure sembrano impensabili e si cerca di risolvere il problema con più liberismo e maggiore “austerity”, senza che nessuno ricordi a chi può farlo che è in momenti come questo che i governi debbono avere ilcioraggio ddella loro principale funzione: spendere per i propri cittadini, affinché la “storia” ricominci a correre.
Un libro scritto bene e con acume, sulle glorie ed il disfacimento della prima e seconda repubblica e sulla nascita distocica della terza, che non è piaciuto a Vittorio Zucconi (che l’ha definto un testo dove i giornalisti, con onanismo autoreferenziale, fanno gossip sui giornalisti) ed invece, tra le righe (ma anche nelle righe), ci dimostra che, negli ultimi 30 anni, qualunque farattubutto può essere ricollegato ad un altro farabutto attraverso Bisignani: grande burrattinaio di una Nazione la cui storia recente non appare propriamente esaltante, con ben poche eccezioni.
Un’altra ottima lettura, in spiaggia ma non da spiaggia, è “Come leggere uno scrittore”, edizione Codice, in cui John Freeman, direttore dell’edizione americana della leggendaria rivista Granta, ha raccolto i suoi incontri con una cinquantina di grandi autori della narrativa mondiale, da Don DeLillo a McEwan, da Robert M. Pirsig a Jim Crace.
Vi si apprende che Khaled Hosseini scrisse “Il cacciatore di aquiloni di getto, in un anno, tra le 5 e le 8 del mattino, prima di andare a lavorare come medico tirocinante. Mentre Charles Frazier, il cui romanzo Tredici lune è stato forse, dopo Ritorno a Cold Mountain, il più atteso degli ultimi 10-15 anni in America, in una giornata buona scrive al massimo un paragrafo, o due.
E, ancora, che Toni Morrison, quando era una mamma single, abitava a Midtown Manhattan e, con il Nobel di là da venire (1993), lavorava in una casa editrice, si alzava tutti i giorni alle 5 e scriveva prima di svegliare i bimbi e prepararli per la scuola. E che, ancora oggi, che probabilmente è la scrittrice più pagata d’America, quando lavora a un romanzo si sveglia all’alba, prende matita e bloc-notes, e comincia a scrivere, finché non le fa male la mano.
Nelle quasi 400 pagine del libro molte curiosità, aneddoti, ma anche notazioni sui contenuti dei grandi narratori di oggi. Come nel caso di Jonathan Safran Foer, il cui Ogni cosa è illuminata” (2002) ha ricevuto le recensioni più entusiastiche tra tutte le opere prime degli ultimi dieci anni, da bambino scorreva l’elenco telefonico e pensava: “Tra cent’anni questa gente sarà tutta morta, e forse questo nei suoi libri fa aleggare ciome protagonista la paura o Tom Wolfe, con cinque bypass, che stava in giro nei campus fino alle 4 o alle 5 del mattino a piantonare i seminterrati delle confraternite per spiare “pomiciate” e “amplessi”, diventando tanto sciolto nello slang sullo “scopare” da essere in grado di farne uno stile letterario.
Terzo consiglio per il mare (o la montagna, comunque per i peruiodi di vacanza) è “Un covo di vipere” (Sellerio), trentunesima opera con protagonista il commissario Montalbano, con un avvincente plot delll’infaticabile Andrea Camilleri (già al terzo titolo pubblicato nell’anno solare 2013).
Quarto “Joyland” di un altro grande, inesauribile vecchio: Stephen King, in cui l’autore di Portland fa una sortita al di fuori del universo del brivido, nel genere giallo, avvalendosi della collaborazione di una casa editrice che vanta una lunga esperienza nel campo, la Hard Case Crime.
Inifine, “Non lasciarmi andare” di Jessica Sorensen (Newton Compton)”, primo episodio di una trilogia sexy nata nell’immensa fucina dell’autopubblicazione (o self-publishing che dir si voglia), poi giunta al successo, fino a vendere due milioni di copie fra USA, GB e resto del globo. Nel libro (che segue il fortunato filone del sexy al femminile), Elia e Micha si conoscono da quando erano bambini, cresciuti insieme e sotto gli occhi l’uno dell’altra diventati un uomo e una donna, fino ad una tragedia che ha fatto scappare Elia all’università per lasciarsi tutto alle spalle. Grandissima storia d’amore, con due protagonisti magnifici, con lacrime, sorrisi ed emozioni assicurate grazie alla scaltrezza della brava scrittrice del Wyoming, autrice di “Segreti” e che vende a tutto spiano in oltre 30 diversi paesi.
Una volta un amico mi disse che leggere al mare equivale a non leggere il mare e che leggere in città equivale a non leggere la città.
Allora forse vale la pena di dare un consiglio finale: non leggete troppo e di seguito, pensate anche a fare castelli di sabbia in compagnia dei bambini e lasciate, ogni tanto, i libri al sole, tornando però, ad intervalli regolari, perché, si sa, anche la carta brucia sotto la sferza di Apollo, ma solo dopo luna esposizione e con una temperatura di ben 232,78 °C.
Carlo Di Stanislao
Lascia un commento