“Il vero miracolo è che astratte considerazioni logiche conducano a una Teoria unica che predice e descrive un Universo immenso pieno della meravigliosa varietà che vediamo”(Stephen Hawking). Bingo! Non tre ma ben sette esomondi appena scoperti dall’Eso in un sistema solare alieno distante 22 anni luce, avvicinano a marce forzate il giorno dello storico annuncio della scoperta di una seconda Terra abitabile là fuori nella Galassia. Un team di astronomi dell’Osservatorio europeo australe ha integrato nuove osservazioni della vicina stella Gliese 667C con i dati preesistenti acquisiti dallo spettrometro HARPS accoppiato al telescopio La Silla da 3,6 metri di diametro in Cile, per rivelare direttamente un sistema solare alieno con almeno sei (6) esopianeti potenzialmente rocciosi di taglia terrestre. Tre di questi esomondi di Gliese 667C, un record assoluto per l’Astronomia, l’Astrofisica e l’Esobiologia, sono effettivamente super-Terre che si trovano nella famosa zona verde abitabile di Goldilocks (Riccioli d’Oro) intorno alla loro stella madre, una fascia orbitale in cui, nelle giuste condizioni, potrebbe esistere acqua allo stato liquido, rendendo questi esomondi dei possibili candidati per la presenza della vita così come oggi la conosciamo sulla Terra. Questo é il primo sistema solare alieno triplo in cui la zona abitabile sia al completo, piena di esopianeti pronti per l’esplorazione umana diretta, grazie alla liberalizzazione dell’impresa spaziale privata. Non resta che inventare, costruire e inviare per davvero (non sonde automatiche!) un’astronave interstellare nucleare (stile Prometheus, Enterprise, Millennium Falcon o Kryptonian, con hardware e software perfettamente integrati) per verificare in situ la scoperta degli astronomi europei dell’Eso. Questa è la reale motivazione in grado di legittimare e finanziare la grande impresa che dovrebbe contemplare una crociera di avvicinamento graduale attraverso tutti gli altri sistemi solari esistenti tra il nostro e Gliese 667C che è una stella molto ben studiata. Ha un massa di poco più di un terzo del nostro Sole, fa parte di un sistema stellare triplo noto come Gliese 667 (o anche GJ 667) distante 22 anni luce dalla Terra, nella costellazione dello Scorpione, visibile a Sud. Il sistema stellare è composto da due astri di sequenza principale, separati l’uno dall’altro da una distanza variabile da 5 a 20 Unità Astronomiche con un periodo orbitale di 42 anni, e da una piccola e fredda stella nana rossa che orbita a grande distanza dalla coppia centrale, variabile da 56 a 215 U.A.: la magnitudine apparente del sistema stellare triplo è 5,89. Visibile con un buon binocolo astronomico come l’USM 15×70. É perciò molto vicina a noi, proprio nelle immediate vicinanze del Sole, e molto più vicina dei lontani sistemi solari alieni studiati indirettamente dai “cercatori” di pianeti come il telescopio spaziale Keplero et similia. La caccia agli esomondi (http://planetquest.jpl.nasa.gov/) prossimi alla Terra interessa tutti. Le compagnie minerarie in particolare. Non soltanto i governi e gli scienziati. Attualmente gli esopianeti scoperti dalla Terra e dallo spazio sono 4157. Dei quali solo 873 sono stati confermati ufficialmente mentre 3284 candidati attendono ulteriori analisi. Alcuni studi precedenti su Gliese 667C avevano suggerito e trovato che l’astro ospita tre pianeti giganti, di cui uno nella zona abitabile. Ora un’equipe di astronomi guidata da Guillem Anglada-Escudé dell’Università di Göttingen (Germania) e da Mikko Tuomi dell’Università di Hertfordshire (Regno Unito) ha riesaminato il sistema stellare aggiungendo al quadro esistente nuove osservazioni grazie ad HARPS ed ai dati acquisiti dall’Osservatorio W.M. Keck, dal telescopio Magellano e dal Very Large Telescope dell’Eso. L’equipe é composta da G. Anglada-Escudé (University of Göttingen, Germania), M. Tuomi (University of Hertfordshire, Regno Unito), E. Gerlach (Technical University of Dresden, Germania), R. Barnes (University of Washington, USA), R. Heller (Leibniz Institute for Astrophysics, Potsdam, Germania), J.S. Jenkins (Universidad de Chile, Cile), S. Wende (University of Göttingen, Germania), S.S. Vogt (University of California, Santa Cruz, USA), R.P. Butler (Carnegie Institution of Washington, USA), A. Reiners (University of Göttingen, Germania) e H.R.A. Jones (University of Hertfordshire, Regno Unito). Il team di astronomi europei dell’Eso ha usato i dati dello spettrografo UVES montato sul VLT per determinare con accuratezza le proprietà della stella, dello spettrografo PFS (Planet Finder Spectrograph) della Carnegie installato sul telescopio Magellan II di 6,5 metri di diametro dell’Osservatorio di Las Campanas in Cile, dello spettrografo HIRES accoppiato al telescopio da 10 metri Keck su Mauna Kea (Hawaii, Usa) e numerosi altri dati precedentemente ottenuti da HARPS (High Accuracy Radial velocity Planet Searcher) e raccolti nell’ambito del Programma “Stelle Nane M” condotto da X. Bonfils e M. Mayor nel periodo 2003–2010. Gli scienziati hanno trovato la prova dell’esistenza di vari esopianeti intorno alla stella fino a un massimo di sette (www.eso.org/public/archives/releases/sciencepapers/eso1214/eso1214b.pdf): i loro nomi vanno dalla lettera “b” alla “h” preceduta dal nome dell’astro, Gliese 667C. L’equipe, grazie ai dati di velocità radiale di Gliese 667C, un metodo spesso usato per la caccia agli esopianeti, ha condotto una robusta analisi statistica “bayesiana” per individuare il segnale diretto degli esomondi: i primi cinque “bingo” sono di alta confidenza, mentre il sesto é incerto e il settimo lo è, per ora, ancora di più. Il sistema solare alieno è formato da tre super-Terre in orbita nella zona abitabile, due esopianeti “caldi” più vicini e due più “freddi” in orbita esterna. Gli esomondi nella zona abitabile e quelli più vicini alla stella, dovrebbero tenere sempre la stessa faccia rivolta al loro astro, così che il loro giorno e il loro anno abbiano la stessa durata, con un lato sempre in luce e l’altro sempre al buio. Vi lascio solo immaginare le forme di vita specializzate per tali ambienti, comprese quelle adattate all’ecosistema dell’eterno crepuscolo. Chissà, forse lassù incontreremo dinosauri, uccelli, mammiferi, cetacei, piante o civiltà molto più avanzati! Questi esopianeti sono in orbita intorno alla più debole delle stelle del sistema triplo Gliese 667. Visti da uno di questi mondi alieni appena scoperti dall’Eso, i due astri più lontani apparirebbero come un paio di stelle molto brillanti, visibili anche di giorno, mentre di notte farebbero tanta luce quanto la nostra Luna Piena. I nuovi esopianeti riempiono completamente la zona abitabile di Gliese 667C, poiché non ci sono altre orbite stabili in cui un pianeta possa restare alla giusta distanza dalla sua stella. “Da studi precedenti sapevamo che questo astro aveva tre pianeti, ma volevamo vedere se ce n’erano altri – osserva Mikko Tuomi – aggiungendo alcune nuove osservazioni e rivisitando i dati esistenti siamo riusciti a confermare questi tre e a rivelarne altri con un alto grado di confidenza. Trovare tre pianeti di piccola massa nella zona abitabile di una stella è sempre una grande emozione!”. Finalmente si conferma che tre di questi esopianeti sono super-Terre che si trovano all’interno della zona potenzialmente abitabile della loro stella, se le condizioni (attuale sistema Sole-Terra-Luna) sono quelle giuste. Mondi più massicci del nostro, ma meno massicci di pianeti giganti come Urano o Nettuno. È la prima volta che tre di questi pianeti vengono individuati in questa zona nello stesso sistema planetario. Nel nostro Sistema Solare, l’infernale Venere orbita vicino al bordo interno della nostra zona abitabile Riccioli d’Oro, mentre il ghiacciato Marte vicino al bordo esterno. La Terra proprio nel mezzo! L’estensione precisa della zona abitabile dipende da molti fattori. “Il numero di pianeti potenzialmente abitabili nella nostra Galassia – rivela Rory Barnes della University of Washington (Usa), co-autore dello studio presentato nell’articolo “A dynamically-packed planetary system around GJ 667C with three super-Earths in its habitable zone” pubblicato dalla rivista Astronomy & Astrophysics – è molto maggiore se ci possiamo aspettare di trovarne molti intorno a ciascuna stella di piccola massa, invece di guardare dieci stelle per cercare un singolo pianeta abitabile: sappiamo ora che possiamo guardare una sola stella e trovare parecchi esomondi”. Si é trovato che i sistemi esoplanetari compatti attorno a stelle simili al Sole sono abbondanti nella nostra Via Lattea. Intorno a questi astri, gli esopianeti che orbitano vicino alla loro stella madre sono molto caldi e probabilmente inabitabili. Ma questo non è così vero per le stelle più deboli e più fredde come Gliese 667C. In questo caso particolare, la zona verde abitabile si trova interamente all’interno di un’orbita delle dimensioni di quella di Mercurio, molto più vicina che per il nostro Sole. Il sistema solare alieno Gliese 667C è il primo esempio in cui una stella di massa così piccola ospita diversi esopianeti rocciosi potenzialmente abitabili da più forme di vita se i forti campi magnetici di quei mondi riescono a proteggere la vita dalle mortali radiazioni solari. Potrebbero essere ricoperti interamente da un super-oceano ricco di vita. È più probabile che siano desertici come Marte ma ricchissimi di ogni ben di Dio. “Questo risultato entusiasmante – dichiara Gaspare Lo Curto, scienziato Eso responsabile di HARPS – è stato reso possibile in gran parte dalla potenza di HARPS e del software relativo: la ricerca mette in evidenza il valore dell’archivio dell’Eso. È molto bello vedere diversi gruppi di ricerca indipendenti che sfruttano questo strumento unico per raggiungere la massima precisione possibile”. Per Anglada-Escudé “questi nuovi risultati confermano quanto sia importante analizzare di nuovo tutti i dati finora acquisiti in questo modo, per combinare i risultati raggiunti dai diversi gruppi con telescopi differenti”(www.eso.org/public/archives/releases/sciencepapers/eso1328/eso1328a.pdf). Conquistare gli altri esomondi è pura fantascienza? Dissero la stessa per il volo umano sulla Luna. Nessun razzo si sarebbe potuto staccare da terra! James Cameron è il primo uomo sulla Terra ad aver raggiunto da solo il fondale della Fossa delle Marianne nell’Oceano Pacifico a 10.898 metri di profondità grazie alla speciale capsula Deep Challenger. L’evento immortalato su Internet dai media di tutto il mondo, Lunedì 26 Marzo 2012, celebra la storia dell’esplorazione umana che la scienza e la tecnologia rendono possibile quando la volontà si sposa con la capacità. L’epica impresa della conquista in solitaria delle sette miglia (quasi 11.000 metri) di profondità (davvero tante, ben al di sopra di più di un miglio sulla quota del monte Everest) rappresenta un solido trampolino di lancio verso le più ardite conquiste dell’Umanità. Nella sua discesa verso la Fossa delle Marianne, James Cameron ha superato record su record che segnano altrettante importanti pietre miliari nella storia dell’esplorazione. I traguardi raggiunti da Cameron, il regista di Avatar, Titanic, Terminator II e The Abyss, sono molteplici. Sono passati più di 50 anni dall’ultima celebre impresa del batiscafo Trieste nel tentativo di raggiungere il punto più profondo del pianeta Terra. James Cameron ha impiegato 90 minuti per atterrare sul fondale delle Marianne. I punti salienti della sua immersione sono stati immortalati dalle cineprese 3D. Da 0 a 660 piedi (0-200 metri) troviamo l’habitat del 90 percento delle forme di vita marina note. Gli 800 piedi (244 metri) sono la canonica profondità per la navigazione di un sottomarino nucleare. I 1.044 piedi (318,25 metri) rappresentano il record mondiale di immersione con le bombole. I 3.300 piedi (circa 1.000 metri) salutano gli ultimi bagliori della luce solare. Gli 8.200 piedi (circa 2.500 metri) sono il record di profondità raggiunto da una balena. I 12.467 piedi (circa 3.800 metri) segnano la profondità del relitto del Titanic affondato il 15 Aprile 1912. I 25.000 piedi (7.620 metri) sono la massima profondità a cui è stato filmato un pesce (liparide). I 29.000 piedi (8.848 metri) sono la quota del monte Everest. Ed ora ci sono i 36.000 piedi (10.898 metri) di James Cameron che ha toccato il fondo a bordo del Deep Challenger. Tutti auspicano un’impresa umana altrettanto straordinaria nello spazio esterno, verso i più vicini sistemi solari alieni appena scoperti a bordo di avveniristiche navi interstellari. Perché? Per la salvezza del pianeta Terra ammalato di Global Warming (gli scienziati prevedono dal 2050 un aumento medio della temperatura tra 1,4 e 3 gradi Celsius), per la liberalizzazione dell’impresa spaziale e dei commerci con altre civiltà. Fantascienza? Eppure il nuovo risultato di HARPS, il vero cacciatore di pianeti dell’Eso, dimostra che i pianeti rocciosi, non molto più grandi della Terra, sono comuni nelle zone abitabili della nostra Galassia. Anche intorno a deboli stelle rosse. L’Eso stima che ci siano decine di miliardi di pianeti come questi nella sola Via Lattea e probabilmente un centinaio nelle immediate vicinanze del Sole. Questa è la prima misura diretta dell’abbondanza di super-Terre intorno alle nane rosse che rappresentano circa l’80 percento delle stelle della Via Lattea. Gli scienziati dell’Eso nell’annunciare la stima diretta del numero dei pianeti “leggeri” in orbita attorno alle nane rosse, grazie alle osservazioni dello spettrografo HARPS montato sul telescopio di 3,6 metri di diametro del telescopio di La Silla in Cile, sono ben consapevoli della portata storica delle loro ricerche. HARPS misura la velocità radiale delle stelle con estrema precisione. Un pianeta in orbita intorno a una stella, la fa muovere con regolarità avanti e indietro, rispetto ad un osservatore distante, sulla Terra. A causa dell’effetto Doppler, questo cambiamento della velocità radiale induce uno spostamento dello spettro della stella verso lunghezze d’onda maggiori quando si allontana (si parla di red-shift, o spostamento verso il rosso) e verso lunghezze d’onda più corte (blue-shift o spostamento verso il blu) quando si avvicina. Questi piccolissimi spostamenti dello spettro della stella possono essere misurati con uno spettrografo ad alta precisione come HARPS e usati per dedurre la presenza di un pianeta alieno. L’annuncio recente sul fatto che i pianeti siano molto più diffusi nella nostra Galassia di quanto si creda, utilizza un metodo diverso, non sensibile a questa classe di esopianeti così importante. L’equipe di HARPS cerca esopianeti in orbita intorno alle stelle più comuni della Via Lattea: le nane rosse, note anche come stelle nane di classe M. Queste stelle sono deboli e fredde rispetto al Sole, ma sono molto comuni e vivono a lungo e perciò rappresentano circa l’80 percento di tutti gli astri della Via Lattea. Sono chiamate dagli astronomi stelle nane M, poiché sono di classe spettrale M, le più fredde tra le sette classi dello schema di classificazione più semplice secondo la temperatura decrescente e la forma dello spettro di emissione. “Le nostre nuove osservazioni con HARPS – rivela Xavier Bonfils dell’IPAG, Observatoire des Sciences de l’Univers de Grenoble (Francia) – indicano che circa il 40 percento di tutte le nane rosse ha una super-Terra in orbita nella zona abitabile dove l’acqua può esistere allo stato liquido sulla superficie del pianeta. Poiché le nane rosse sono così comuni, ce ne sono circa 160 miliardi solo nella Via Lattea, questo ci porta al sorprendente risultato che ci sono decine di miliardi di questi pianeti solo nella Via Lattea”. L’equipe di HARPS ha analizzato un campione ben selezionato di 102 nane rosse nei cieli australi, osservate per un periodo di sei anni. Sono state identificate in totale nove super-Terre (pianeti con massa tra una e dieci volte quella della Terra) tra cui due nella zona abitabile, una sulla stella Gliese 581 e una sull’astro Gliese 667 C. Gli astronomi hanno potuto stimare la massa del pianeta e la dimensione dell’orbita, cioè quanto il pianeta sia lontano dalla stella: combinando tutti i dati a disposizione, comprese le osservazioni di stelle senza pianeti, e stimando la frazione di pianeti che potrebbero ancora essere scoperti, l’equipe è riuscita a valutare quanto diversi tipi di pianeti siano comuni intorno alle nane rosse. Pianeti alieni di massa compresa tra una e dieci volte quella della Terra sono detti super-Terre. Questi pianeti sembrano molto comuni intorno alle altre stelle. La loro scoperta nelle zone abitabili delle loro stelle madri è emozionante perché, se i pianeti sono rocciosi e hanno acqua come la Terra, sarebbero potenzialmente in grado di ospitare la vita, quindi altre civiltà come la nostra o più evolute. La stima della frequenza di super-Terre nella zona abitabile è del 41 percento, con un intervallo d’errore tra il 28 e il 95 percento. È ormai certo che i pianeti più massicci, simili a Giove e Saturno nel nostro Sistema Solare, siano più rari intorno alle nane rosse: meno del 12 percento di queste piccole stelle avrebbero pianeti giganti con massa compresa tra 100 e 1000 volte quella della Terra. Poichè ci sono molte nane rosse vicine al Sole, la stima implica che probabilmente nei nostri paraggi vi siano un centinaio di super-Terre che orbitano nelle zone abitabili di stelle a distanze inferiori ai 30 anni luce dal Sole. Gli astronomi usano Dieci Parsec come definizione di “vicino”, ma questo corrisponde a circa 32,6 anni luce, una distanza oggi immensa per l’Umanità abituata ai razzi chimici e non all’Enterprise di Star Trek che, grazie alla Relatività di Einstein ed al Warp Drive, impiega poche ore! “La zona abitabile, cioè la regione in cui la temperatura permette all’acqua di essere liquida sulla superficie del pianeta – spiega Stéphane Udry del Geneva Observatory – è molto più vicina alla stella per una nana rossa che per il Sole. Ma le nane rosse sono soggette ad eruzioni stellari e brillamenti che potrebbero inondare il pianeta di raggi X o ultravioletti, rendendo la presenza di vita molto meno probabile”. Almeno per come la intendiamo noi oggi sulla Terra, cioè su base carbonio. Uno degli esopianeti scoperti dalla scansione di HARPS tra le nane rosse, è Gliese 667 Cc. L’esomondo è il secondo scoperto (lettera “c”) in orbita intorno alla terza componente (C) del sistema stellare triplo Gliese 667. Gli astri compagni Gliese 667A e B risulterebbero molto brillanti nel cielo di Gliese 667 Cc. La scoperta di Gliese 667 Cc è stata annunciata indipendentemente da Guillem Anglada-Escude e colleghi nel Febbraio 2012, circa due mesi dopo la pubblicazione elettronica in pre-print dell’articolo di Bonfils et al. La conferma dei pianeti Gliese 667 Cb e Cc, da parte di Anglada-Escude e collaboratori, era basata in gran parte su osservazioni con HARPS e sui dati integrati da parte dell’equipe europea, messi pubblicamente a disposizione attraverso il famoso Archivio dati dell’Eso. Gliese 667 Cc è il secondo pianeta trovato in questo sistema stellare triplo e già allora sembrava trovarsi vicino al centro della zona abitabile. Anche se questo è un mondo alieno pesante quattro volte la Terra, è il nostro parente più prossimo finora scoperto e quasi certamente ha le condizioni adatte per l’esistenza di acqua allo stato liquido sulla superficie. È la seconda super-Terra all’interno della zona abitabile di una nana rossa scoperta nella survey HARPS, dopo Gliese 581d, annunciato nel 2007 e confermato nel 2009. “Ora che sappiamo che ci sono molte super-Terre attorno a nane rosse vicine – fa notare Xavier Delfosse – dobbiamo identificarne sempre di più usando sia HARPS sia futuri strumenti. Alcuni di questi pianeti dovrebbero passare di fronte alla loro stella madre durante l’orbita: questo apre l’entusiasmante possibilità di studiare l’atmosfera del pianeta alieno e cercarvi segnali di vita”. La ricerca fu presentata nell’articolo “The HARPS search for southern extra-solar planets XXXI. The M-dwarf sample”, di Bonfils et al., pubblicato dalla rivista Astronomy & Astrophysics. Altri astronomi osservando la Luna con il Very Large Telescope dell’Eso, hanno trovato prove della presenza della vita nell’Universo, in particolare sulla Terra. Un’operazione forse già eseguita tanto tempo fa da altre civiltà. Trovare vita sul nostro stesso pianeta sembra un’osservazione scontata, ma l’approccio innovativo dell’equipe internazionale potrebbe condurre in futuro a svelare la vita anche altrove nello spazio profondo. Il lavoro fu pubblicato nel numero del 1° Marzo 2012 della rivista Nature. “Abbiamo usato un piccolo trucco, cioè le osservazioni della luce cinerea (“earthshine”) per osservare la Terra come se fosse un esopianeta – afferma Michael Sterzik dell’Eso, primo autore dell’articolo – infatti il Sole illumina la Terra e questa luce viene di conseguenza riflessa verso la superficie della Luna che a sua volta funge da gigantesco specchio e rimanda la luce riflessa dalla Terra verso di noi: questo è quello che abbiamo osservato con il VLT”. La luce cinerea, a volte chiamata la Luna vecchia tra le braccia della Luna nuova, si vede facilmente a occhio nudo ed è spettacolare con un binocolo. Si osserva meglio quando la Luna è una falce sottile, circa tre giorni prima o dopo la Luna Nuova. Insieme alla falce brillante è visibile il resto della superficie della Luna debolmente illuminata dalla Terra luminosa nel cielo lunare. Gli astronomi analizzano la debole luce cinerea per cercare alcuni indicatori, per esempio certe combinazioni di gas nell’atmosfera terrestre, che rivelano con certezza la presenza di vita organica. Questo metodo sfrutta la Terra come punto di riferimento per la futura ricerca della vita sugli esomondi alieni. Nell’atmosfera terrestre, i gas principali prodotti biologicamente sono l’ossigeno, l’ozono, il metano e il biossido di carbonio. Ma questi gas sono comunque presenti naturalmente nell’atmosfera di un pianeta alieno anche senza la presenza della vita. Ciò che costituisce un bio-marcatore è la presenza simultanea di questi gas in quantità che sono compatibili solamente con la presenza di vita. Se la vita dovesse scomparire improvvisamente e smettere di produrre questi gas, essi reagirebbero e si ricombinerebbero. Ragion per cui anche la nostra improvvisa estinzione sulla Terra, in caso di futuro conflitto mondiale termonucleare o impatto cosmico, verrebbe comunque segnalata nell’Universo! Alcuni potrebbero scomparire velocemente e i bio-marcatori caratteristici di conseguenza verrebbero meno. Anche se le impronte della vita sono difficili da trovare con metodi convenzionali, gli scienziati dell’Eso hanno sviluppato una tecnica pioneristica molto più sensibile. Invece che limitarsi a guardare la luminosità della luce riflessa nei vari colori, gli astrofisici osservano anche la polarizzazione della luce, una tecnica chiamata spettro-polarimetria: applicando questo metodo alla luce cinerea osservata con il VLT, i bio-marcatori appaiono evidenti nella luce riflessa dalla Terra. Quando la luce è polarizzata, i campi elettrici e magnetici che la compongono hanno un orientamento specifico. In luce non polarizzata l’orientamento dei campi è casuale e non ha una direzione preferenziale. Il trucco utilizzato in alcuni cinema 3D sfrutta la luce polarizzata: immagini separate fatte con luce polarizzata in modo diverso vengono inviate all’occhio sinistro ed a quello destro dai filtri polarizzati posti sugli scomodi occhiali scuri dei cinema. L’equipe ha misurato la polarizzazione utilizzando una speciale modalità dello strumento FORS2 sul VLT. “La luce di un esopianeta distante è soffocata dal bagliore della stella madre e perciò è difficilissima da analizzare – spiega Stefano Bagnulo dell’Armagh Observatory (Irlanda del Nord, Regno Unito), co-autore dello studio – è un po’ come cercare di studiare un granello di polvere vicino ad una lampadina potente. Ma la luce riflessa da un pianeta è polarizzata, mentre la luce della stella madre non lo è. Perciò le tecniche polarimetriche ci aiutano a separare la debole luce riflessa di un esopianeta dalla luce abbagliante della stella”. L’equipe ha studiato sia il colore sia il grado di polarizzazione della luce riflessa dalla Terra dopo la successiva riflessione sulla Luna, come se la luce provenisse da un esopianeta alieno. Gli scienziati sono riusciti a dedurre dalle osservazioni che l’atmosfera della Terra è in parte nuvolosa, che una frazione della superficie è coperta da oceani e, soprattutto, che è presente della vegetazione. Hanno altresì visto cambiamenti nella copertura nuvolosa e nella quantità di vegetazione nel corso delle stagioni quando diverse parti della Terra riflettono la luce verso la Luna. “Trovare la vita al di fuori del Sistema Solare dipende da due fattori: innanzitutto se veramente c’è vita là fuori e poi se abbiamo le capacità tecniche di misurarla – rivela Enric Palle dell’Instituto de Astrofisica de Canarias (Tenerife, Spagna) – e questo lavoro è un importante passo avanti verso la capacità di fare queste osservazioni”. La spettro-polarimetria potrebbe in definitiva dirci se piante semplici, basate su processi di fotosintesi, siano evolute in qualche altro luogo dell’Universo. Naturalmente gli astronomi dell’Eso non stanno cercando direttamente piccoli uomini verdi o evidenze di vita intelligente aliena. La prossima generazione di telescopi, come l’European Extremely Large Telescope, potrebbe veramente svelarci la notizia straordinaria che la nostra Terra non è l’unico mondo abitato in questo spazio così immenso. Anche se sono in molti a dubitare, come il fisico Stephen Hawking, del fatto che la Terra sia abitata da forme di vita intelligenti tra le quali risulta oggi impossibile annoverare l’Uomo. Questo lavoro, descritto nell’articolo “Biosignatures as revealed by spectropolarimetry of Earthshine”, di M. Sterzik et al., pubblicato dalla rivista Nature il 1° Marzo 2012, cade nel cinquantesimo anniversario della fondazione dell’European Southern Observatory, l’Osservatorio Australe Europeo. L’Eso è la principale organizzazione intergovernativa di astronomia in Europa e l’Osservatorio più produttivo al mondo. È sostenuto da 15 paesi: Austria, Belgio, Brasile, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Gran Bretagna, Italia, Olanda, Portogallo, Repubblica Ceca, Spagna, Svezia, e Svizzera. L’Eso svolge un ambizioso programma che si concentra sulla progettazione, costruzione e gestione di potenti strumenti astronomici da terra che consentano agli scienziati di realizzare importanti scoperte. L’Eso ha anche un ruolo di punta nel promuovere e organizzare la cooperazione nella ricerca astronomica. Gestisce tre siti osservativi unici al mondo in Cile: La Silla, Paranal e Chajnantor. Sul Paranal, l’Eso controlla il Very Large Telescope, l’Osservatorio astronomico d’avanguardia nella banda visibile e due telescopi per le scansioni celesti: VISTA, il più grande telescopio per survey al mondo, lavora nella banda infrarossa mentre il VLT Survey Telescope è il più grande telescopio progettato appositamente per produrre survey del cielo in luce visibile. L’Eso è il partner europeo di un telescopio astronomico di concetto rivoluzionario, ALMA, il più grande progetto astronomico esistente pienamente operativo. Al momento l’Eso sta progettando l’European Extremely Large Telescope, della classe dei 40 metri, che opererà nell’ottico e infrarosso vicino come “il più grande occhio del mondo rivolto al cielo”.
© Nicola Facciolini
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