“Nella Chiesa nessuno è inutile. Siamo pronti a impegnarci come cristiani coerenti, 24 ore su 24, per dare testimonianza con la nostra parola e il nostro esempio? Non dimentichiamo mai che è il Signore che guida la Chiesa. È Lui a rendere fecondo il nostro apostolato. La carità, la pazienza e la tenerezza sono tesori bellissimi. E quando li hai, vuoi condividerli con gli altri”(Papa Francesco). Siamo soli nell’Universo? Noi siamo la risposta. Nella Chiesa delle nostre famiglie e comunità “siamo tutti importanti, nessuno è inutile, sono come ognuno di voi, tutti siamo uguali, siamo fratelli! Nessuno è anonimo: tutti formiamo e costruiamo la Chiesa”. È uno dei passaggi più significativi della catechesi di Papa Francesco all’Udienza generale di Mercoledì 26 Giugno 2013 in Piazza San Pietro (Roma) gremita di pellegrini e fedeli provenienti dall’Italia e da ogni parte del mondo. Il Santo Padre ribadisce che “agli occhi di Dio siamo tutti uguali, anche il Papa”. Quindi, esorta tutti a portare nella Chiesa la propria vita, il proprio cuore, tutti insieme: “siamo tutti necessari nella Chiesa”. Papa Bergoglio dialoga con il Popolo di Dio. La sua diventa una catechesi partecipata. Il tema su cui si sofferma il Pontefice è “La Chiesa: Tempio dello Spirito Santo”(cfr. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium, 6) continuando il nuovo ciclo di catechesi sul Mistero della Chiesa. Che cosa ci fa pensare la parola tempio? “Ci fa pensare ad un edificio, ad una costruzione. In modo particolare – osserva Papa Francesco – la mente di molti va alla storia del Popolo di Israele narrata nell’Antico Testamento. A Gerusalemme, il grande Tempio di Salomone era il luogo dell’incontro con Dio nella preghiera; all’interno del Tempio c’era l’Arca dell’alleanza, segno della presenza di Dio in mezzo al popolo; e nell’Arca c’erano le Tavole della Legge, la manna e la verga di Aronne: un richiamo al fatto che Dio era stato sempre dentro la storia del suo popolo, ne aveva accompagnato il cammino, ne aveva guidato i passi”. Il tempio ricorda questa grande storia di Israele e del mondo antico. “Anche noi quando andiamo al tempio dobbiamo ricordare questa storia – dichiara Papa Francesco – ciascuno di noi, la nostra storia, come Gesù mi ha incontrato, come Gesù ha camminato con me, come Gesù mi ama e mi benedice. Ecco, ciò che era prefigurato nell’antico Tempio, è realizzato, dalla potenza dello Spirito Santo, nella Chiesa: la Chiesa è la “casa di Dio”, il luogo della sua presenza, dove possiamo trovare e incontrare il Signore; la Chiesa è il Tempio in cui abita lo Spirito Santo che la anima, la guida e la sorregge. Se ci chiediamo: dove possiamo incontrare Dio? Dove possiamo entrare in comunione con Lui attraverso Cristo? Dove possiamo trovare la luce dello Spirito Santo che illumini la nostra vita? La risposta è: nel popolo di Dio, fra noi, che siamo Chiesa. Qui incontreremo Gesù, lo Spirito Santo e il Padre. L’antico Tempio – ricorda il Santo Padre – era edificato dalle mani degli uomini: si voleva “dare una casa” a Dio, per avere un segno visibile della sua presenza in mezzo al popolo. Con l’Incarnazione del Figlio di Dio, si compie la profezia di Natan al Re Davide (cfr 2 Sam 7,1-29): non è il re, non siamo noi a “dare una casa a Dio”, ma è Dio stesso che “costruisce la sua casa” per venire ad abitare in mezzo a noi, come scrive san Giovanni nel suo Vangelo (cfr 1,14). Cristo è il Tempio vivente del Padre – spiega Papa Bergoglio – e Cristo stesso edifica la sua “casa spirituale”, la Chiesa, fatta non di pietre materiali, ma di “pietre viventi”, che siamo noi. L’Apostolo Paolo dice ai cristiani di Efeso: voi siete «edificati sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti, avendo come pietra d’angolo lo stesso Cristo Gesù. In lui tutta la costruzione cresce ben ordinata per essere tempio santo del Signore; in lui anche voi venite edificati insieme per diventare abitazione di Dio per mezzo dello Spirito»(Ef 2,20-22). Questa è una cosa bella! Noi siamo le pietre vive dell’edificio di Dio, unite profondamente a Cristo, che è la pietra di sostegno, e anche di sostegno tra noi”. Cosa vuol dire questo? “Vuol dire che il tempio siamo noi, noi siamo la Chiesa vivente, il tempio vivente e quando siamo insieme tra di noi c’è anche lo Spirito Santo, che ci aiuta a crescere come Chiesa. Noi non siamo isolati, ma siamo popolo di Dio: questa è la Chiesa! Ed è lo Spirito Santo, con i suoi doni, che disegna la varietà. Questo è importante: cosa fa lo Spirito Santo fra noi? Egli disegna la varietà che è la ricchezza nella Chiesa e unisce tutto e tutti, così da costituire un tempio spirituale, in cui non offriamo sacrifici materiali, ma noi stessi, la nostra vita (cfr 1Pt 2,4-5). La Chiesa non è un intreccio di cose e di interessi, ma è il Tempio dello Spirito Santo, il Tempio in cui Dio opera, il Tempio dello Spirito Santo, il Tempio in cui Dio opera, il Tempio in cui ognuno di noi con il dono del Battesimo è pietra viva. Questo ci dice che nessuno è inutile nella Chiesa e se qualcuno a volte dice ad un altro: ‘Vai a casa, tu sei inutile’, questo non è vero, perché nessuno è inutile nella Chiesa, tutti siamo necessari per costruire questo Tempio! Nessuno è secondario. Nessuno è il più importante nella Chiesa, tutti siamo uguali agli occhi di Dio. Qualcuno di voi potrebbe dire: ‘Senta, Signor Papa, Lei non è uguale a noi’. Sì, sono come ognuno di voi, tutti siamo uguali, siamo fratelli! Nessuno è anonimo: tutti formiamo e costruiamo la Chiesa. Questo ci invita anche a riflettere sul fatto che se manca il mattone della nostra vita cristiana, manca qualcosa alla bellezza della Chiesa. Alcuni dicono: ‘Io con la Chiesa non c’entro’, ma così salta il mattone di una vita in questo bel Tempio. Nessuno può andarsene, tutti dobbiamo portare alla Chiesa la nostra vita, il nostro cuore, il nostro amore, il nostro pensiero, il nostro lavoro: tutti insieme. Vorrei allora che ci domandassimo: come viviamo il nostro essere Chiesa? Siamo pietre vive o siamo, per così dire, pietre stanche, annoiate, indifferenti? Avete visto quanto è brutto vedere un cristiano stanco, annoiato, indifferente? Un cristiano così non va bene, il cristiano deve essere vivo, gioioso di essere cristiano; deve vivere questa bellezza di far parte del popolo di Dio che è la Chiesa. Ci apriamo noi all’azione dello Spirito Santo per essere parte attiva nelle nostre comunità, o ci chiudiamo in noi stessi, dicendo: ‘ho tante cose da fare, non è compito mio’? Il Signore doni a tutti noi la sua grazia, la sua forza, affinché possiamo essere profondamente uniti a Cristo, che è la pietra angolare, il pilastro, la pietra di sostegno della nostra vita e di tutta la vita della Chiesa. Preghiamo perché, animati dal suo Spirito, siamo sempre pietre vive della sua Chiesa”. Al momento dei saluti ai pellegrini, Papa Francesco rivolge un particolare saluto, colmo di affetto, al cardinale Salvatore De Giorgi e quanti gli sono vicini in occasione del suo 60.mo anniversario di ordinazione presbiterale e quarantesimo di vescovo. “Ma pensate voi – esclama Papa Bergoglio – che bel servizio alla Chiesa: 60 anni di sacerdote e 40 di vescovo! È un bel servizio che lui ha fatto, e lui ha un cuore di padre, ha bontà di padre e con questo cuore di padre ha fatto tanto bene alla Chiesa. Oggi, vi dico una cosa: oggi alla mattina abbiamo celebrato la Messa e c’era un gruppo piccolo – in relazione ai tanti che sono – piccolo di preti che sono stati ordinati da lui: era piccolo il gruppo, ce n’erano più di ottanta! Immaginatevi quanti ha ordinato quest’uomo! Ringraziamolo per tutto quello che ha fatto per la Chiesa! A ciascuno auguro che questo incontro costituisca un incoraggiamento a diffondere con entusiasmo la novità del perenne messaggio salvifico portato da Cristo”. Papa Francesco, in un video-messaggio sui Dieci Comandamenti di Dio (www.youtube.com/watch?v=9IFQ-60xy_g&feature=share) conquista la piazza mediatica mondiale. Le porte degli Inferi non prevarranno sulla Chiesa di Cristo, piuttosto bruceranno all’Inferno coloro che scandalizzano i piccoli. Dio vuole che i sacerdoti vivano con pienezza una speciale grazia di “paternità” spirituale nei riguardi delle persone loro affidate. Dei giovani in particolare. Lo ha affermato Papa Francesco nella Messa presieduta nella cappella di Casa S. Marta. La “voglia di paternità è iscritta nelle fibre più profonde di un uomo. E un sacerdote – afferma Papa Francesco – non fa eccezione, pur essendo il suo desiderio orientato e vissuto in modo particolare: quando un uomo non ha questa voglia, qualcosa manca, in quest’uomo. Qualcosa non va. Tutti noi, per essere, per diventare pieni, per essere maturi, dobbiamo sentire la gioia della paternità: anche noi celibi. La paternità è dare vita agli altri, dare vita, dare vita…Per noi, sarà la paternità pastorale, la paternità spirituale: ma è dare vita, diventare padri”. La riflessione è offerta a Papa Francesco dal brano della Genesi nel quale Dio promette al vecchio Abramo la gioia di un figlio, assieme a una discendenza fitta come le stelle del cielo. Per suggellare questo Patto, Abramo segue le indicazioni di Dio ed allestisce un sacrificio di animali che poi difende dall’assalto di uccelli rapaci. “Mi commuove – rivela Papa Francesco – guardare questo novantenne con il bastone in mano che difende il suo sacrificio. Mi fa pensare a un padre, quando difende la famiglia, i figli”. Scene trionfanti nel nuovo kolossal cristologico Man of Steel di Zack Snyder. “Un padre che sa cosa significa difendere i figli. E questa è una grazia che noi preti dobbiamo chiedere: essere padri, essere padri. La grazia della paternità, della paternità pastorale, della paternità spirituale. Peccati ne avremo tanti, ma questo è di commune sanctorum: tutti abbiamo peccati. Ma non avere figli, non diventare padre, è come se la vita non arrivasse alla fine: si ferma a metà cammino. E perciò dobbiamo essere padri. Ma è una grazia che il Signore dà. La gente ci dice così: ‘Padre, padre, padre…’. Ci vuole così, padri, con la grazia della paternità pastorale”. Lo sguardo di Papa Francesco si posa con amicizia sul cardinale De Giorgi giunto al traguardo del 60.mo anniversario di sacerdozio, 40 dei quali da vescovo, un segnale incoraggiante per la Chiesa Cattolica del XXI Secolo che ha bisogno di degni prelati giovani e santi. “Io non so cosa ha fatto il caro Salvatore – afferma Papa Bergoglio – ma sono sicuro che è stato padre. E questo è un segno – prosegue il Pontefice rivolto ai tanti sacerdoti che hanno accompagnato il porporato – ora tocca a voi”. È l’esortazione di Papa Francesco. “Ogni albero dà il frutto da sé e se lui è buono – osserva il Santo Padre – i frutti devono essere buoni, no?. Dunque, non fategli fare brutta figura: ringraziamo il Signore per questa grazia della paternità nella Chiesa, che va di padre in figlio, e così…E io penso, per finire, a queste due icone ed a una in più: l’icona di Abramo che chiede un figlio, l’icona di Abramo con il bastone in mano, difendendo la famiglia, e l’icona dell’anziano Simeone nel Tempio, quando riceve la vita nuova: fa una liturgia spontanea, la liturgia della gioia, a Lui. E a voi, il Signore oggi vi dia tanta gioia”. Come ci ricorda Gesù nel Vangelo secondo Matteo (7,15-20), “guardatevi dai falsi profeti che vengono a voi in veste di pecore, ma dentro son lupi rapaci.
Dai loro frutti li riconoscerete. Si raccoglie forse uva dalle spine, o fichi dai rovi?
Così ogni albero buono produce frutti buoni e ogni albero cattivo produce frutti cattivi;
un albero buono non può produrre frutti cattivi, né un albero cattivo produrre frutti buoni.
Ogni albero che non produce frutti buoni viene tagliato e gettato nel fuoco.
Dai loro frutti dunque li potrete riconoscere”. Il Papa invita tutti al “coraggio di andare controcorrente, di non farvi rubare la speranza da valori che fanno male come cibo avariato”. È l’esortazione che Papa Francesco eleva a gran voce all’Angelus di Domenica 23 Giugno 2013 alla presenza di circa 80mila fedeli radunati in Piazza San Pietro. Papa Bergoglio ricorda i martiri che “oggi, più che in passato, pagano a caro prezzo l’impegno per la verità e il Vangelo”. Il carisma di Papa Francesco, la gestualità e il tono di voce rendono bene, in modo “fisico” e musicale, il concetto espresso dalle sue parole. “Il Vangelo di Cristo è una causa per donne e uomini impavidi, quelli che – ieri come oggi, e oggi sono più che ieri – non innestano la retromarcia se intravedono che la loro fedeltà a Cristo rischia di diventare pericolosa o addirittura fatale”. Lo spirito di Papa Francesco è una folgore che scuote i cuori, le menti e le coscienze, non soltanto gli altoparlanti di Piazza San Pietro, quando la sua voce ricorda quanti “uomini retti” preferiscano “andare controcorrente pur di non rinnegare la voce della coscienza, la voce della verità: persone rette, che non hanno paura di andare controcorrente! E noi non dobbiamo avere paura! Fra voi ci sono tanti giovani. A voi giovani dico: non abbiate paura di andare controcorrente, quando ci vogliono rubare la speranza, quando ci propongono questi valori che sono avariati, questi valori ci fanno male. Dobbiamo andare controcorrente! E voi giovani, siate i primi: andate controcorrente e abbiate questa fierezza di andare proprio controcorrente. Avanti, siate coraggiosi e andate controcorrente! E siate fieri di farlo!”. Le porte degli Inferi non prevarranno. Satana sarà distrutto. L’applauso degli 80mila sotto la finestra è quasi un riflesso automatico che incanala l’infinita energia spirituale riaccesa da Papa Bergoglio che prende a modello San Giovanni Battista. Lo indica come un martire della verità al pari di tutti coloro che, dall’alba della Chiesa fin nelle pieghe della cronaca più attuale, hanno versato e versano il sangue per amore di Gesù. “In duemila anni sono una schiera immensa gli uomini e le donne che – ricorda il Santo Padre – hanno sacrificato la vita per rimanere fedeli a Gesù Cristo e al suo Vangelo. E oggi, in tante parti del mondo, ci sono tanti, tanti – più che nei primi secoli – tanti martiri che danno la propria vita per Cristo, che sono portati alla morte per non rinnegare Gesù Cristo. Questa è la nostra Chiesa. Oggi abbiamo più martiri che nei primi secoli”. Giovani martiri quotidiani dell’innocenza che nelle nostre città e su Internet vengono sistematicamente umiliati, offesi e violati psicologicamente e fisicamente dall’azione di presunti “amici” e “compagni” imbevuti dei valori avariati del mondo. Martiri anche di un “martirio quotidiano che – ripete Papa Francesco – non sempre passa per il sangue ma più spesso per quella logica di Gesù, la logica del dono, che fa compiere il proprio dovere con amore: quanti papà e mamme ogni giorno mettono in pratica la loro fede offrendo concretamente la propria vita per il bene della famiglia! Pensiamo a questo: quanti sacerdoti, frati, suore svolgono con generosità il loro servizio per il Regno di Dio! Quanti giovani rinunciano ai propri interessi per dedicarsi ai bambini, ai disabili, agli anziani. Anche questi sono martiri! Martiri quotidiani, martiri della quotidianità!”. L’ardore di Papa Francesco non si placa perché è autentico. L’ultimo affondo, l’eco che vuole lasciare un solco perché nessuno dimentichi, è per il nostro futuro. “Ricordatevi bene: non abbiate paura di andare controcorrente! Siate coraggiosi! E così, come noi non vogliamo mangiare un pasto andato a male, non portiamo con noi questi valori che sono avariati e che rovinano la vita e tolgono la speranza. Avanti!”. Ce n’è ben donde dopo l’ennesima scandalosa sentenza sul “matrimonio gay”, stavolta made in Usa: un’offesa a Dio, al Diritto, alla Civiltà. “Un cristiano non può essere antisemita!”. È la frase forte pronunciata da Papa Francesco nel corso dell’udienza in Vaticano ai membri del Comitato Ebraico Internazionale per le Consultazioni Interreligiose (International Jewish Committee on Interreligious Consultations). Nel suo discorso, Papa Bergoglio evidenzia la lunga relazione di amicizia tra cristiani ed ebrei ed incoraggia a proseguire sulla strada intrapresa. Senza infauste marce indietro. Per due volte nel suo discorso, Papa Francesco ripete ai nostri “fratelli maggiori” la parola Shalom, cioè Pace. Il Vescovo di Roma lo fa all’inizio, ricordando i 40 anni di “dialogo regolare” tra ebrei e cristiani che hanno contribuito a rafforzare “la reciproca comprensione ed i legami di amicizia”; poi al termine dell’udienza quando Papa Francesco chiede e assicura il “dono della preghiera”. A guidare le parole del Papa è la Dichiarazione conciliare Nostra Aetate, “un punto di riferimento fondamentale per quanto riguarda le relazioni con il popolo ebraico: la Chiesa riconosce che “gli inizi della sua fede e della sua elezione si trovano già, secondo il mistero divino della salvezza, nei Patriarchi, in Mosè e nei Profeti”. E, quanto al popolo ebraico, il Concilio ricorda l’insegnamento di San Paolo, secondo cui “i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili”, ed inoltre condanna fermamente gli odi, le persecuzioni e tutte le manifestazioni di antisemitismo. Per le nostre radici comuni – avverte Papa Bergoglio – un cristiano non può essere antisemita!”. Una frase forte e giusta che segna questa “prima occasione” di confronto con “un gruppo ufficiale di rappresentanti di organizzazioni e comunità ebraiche”. Papa Francesco aggiunge che proprio i principi conciliari hanno segnato “il cammino di maggiore conoscenza e comprensione reciproca”, intrapreso negli ultimi decenni tra ebrei e cattolici grazie anche a dichiarazioni e gesti importanti da parte dei Pontefici precedenti. “Un percorso che – evidenzia Papa Francesco – è la parte più visibile di un vasto movimento che si è realizzato a livello locale un po’ in tutto il mondo”. Il Santo Padre ricorda la sua esperienza come arcivescovo di Buenos Aires con confronti e dialoghi con gli ebrei sulla “rispettiva identità religiosa, sulle modalità per tenere vivo il senso di Dio in un mondo per molti tratti secolarizzato: mi sono confrontato con loro in più occasioni sulle comuni sfide che attendono ebrei e cristiani. Ma soprattutto, come amici, abbiamo gustato l’uno la presenza dell’altro, ci siamo arricchiti reciprocamente nell’incontro e nel dialogo, con un atteggiamento di accoglienza reciproca, e ciò ci ha aiutato a crescere come uomini e come credenti”. Gesti concreti che bisogna far vivere capillarmente e quotidianamente sul territorio. Un’amicizia che ha inevitabilmente rappresentato “la base del dialogo” che ad oggi si sviluppa sul piano ufficiale. Una strada che va ancora battuta “coinvolgendo anche le nuove generazioni: l’umanità – rivela Papa Bergoglio – ha bisogno della nostra comune testimonianza in favore del rispetto della dignità dell’uomo e della donna creati ad immagine e somiglianza di Dio, e in favore della pace che, primariamente, è un dono suo. Mi piace qui ricordare le parole del profeta Geremia: “Io conosco i progetti che ho fatto a vostro riguardo – oracolo del Signore – progetti di pace e non di sventura, per concedervi un futuro pieno di speranza”(Ger 29,11)”. La situazione dei popoli indigeni, con il carico dei gravi problemi di sussistenza che spesso la caratterizza, è stata al centro dell’udienza che Papa Francesco ha concesso a Félix Díaz, leader dell’etnia Qom della comunità argentina “La Primavera”, accompagnato dal Nobel per la pace, Adolfo Pérez Esquivel. Manifestando gratitudine al Papa per l’incontro, Félix Díaz gli ha espresso “le difficoltà che soffrono i popoli indigeni di Argentina e di America Latina, così come le loro preoccupazioni per la salvaguardia dei propri diritti, specialmente riguardo al loro territorio e all’identità culturale”. Che i nativi di molte aree del pianeta Terra (come ci ricorda il kolossal Avatar di James Cameron) siano spesso vittime di discriminazioni e prevaricazioni non di rado violente, è fatto purtroppo noto. Non fanno eccezione i Qom della comunità “La Primavera”(Potae Napcnà Navoghh) situata nella Provincia di Formosa, estremo nordest dell’Argentina, vicino alla frontiera col Paraguay. All’allora cardinale arcivescovo di Buenos Aires, Jorge Mario Bergoglio, era ben noto sia il leader dei Qom, Félix Diaz, sia la serie di discriminazioni ed abusi che queste persone indigene hanno patito nei decenni come una lenta e inesorabile erosione. Nomadi fino a non molti anni fa, dediti alla caccia ed alla pesca nelle ricche foreste in cui vivevano – e che il governo argentino aveva loro concesso dal 1940 – i Qom hanno subito un primo “esproprio” del loro habitat naturale con l’avvento della monocultura, una pratica che ha comportato la deforestazione dei boschi e, dunque, la privazione di una delle principali basi per la sussistenza dei nativi americani. Non solo. Sui circa 5mila ettari che costituivano la porzione di territorio di loro pertinenza – e che includevano la “Laguna Bianca”, risorsa pregiata per il loro sostentamento – una nuova decurtazione è stata imposta quando lo Stato argentino ha deciso di sfruttare economicamente parte delle loro terre, dando il via libera di fatto a un’occupazione mai finita. Altre “donazioni” di terreno, sulla carta dei Qom, sono state via via concesse nel tempo a istituzioni argentine, tutte precedute dallo sgombero delle famiglie aborigene. Dal 2007, i 600 ettari dati a beneficio dell’Università di Formosa sono tuttora al centro del conflitto.
La lotta dei Qom ha “bucato” l’attenzione dei media argentini nel 2010, quando ha assunto la forma di una protesta su scala nazionale, fatta di manifestazioni e blocchi stradali, che purtroppo ha portato alla morte di due indigeni, di un poliziotto e a numerosi arresti di nativi. Il leader Diaz ha guidato una delegazione di 70 membri della comunità a Buenos Aires, sollecitando un’udienza con la presidente Kirchner e facendo pressione attraverso uno sciopero della fame. L’udienza poi c’è stata, ma senza che gli accordi firmati abbiano cambiato la realtà della situazione. Particolarmente grave per la comunità Qom è la mancanza regolare di acqua potabile, con tutte le sue conseguenze sanitarie. A ciò si sommano la denutrizione, le condizioni abitative più che precarie, l’analfabetismo e la disoccupazione: condizioni di un’endemica precarietà peggiorata dalla negazione dei diritti di cittadinanza nel Paese, oggetto di una richiesta formale nel 2011. Un’altra richiesta molto sentita dai Qom riguarda il diritto a preservare la loro lingua e identità culturale, minacciata dal razzismo, dalla discriminazione e dalle politiche che rischiano di annientare le comunità tradizionali aborigine americane. Come San Giovanni, la Chiesa è chiamata a proclamare la Parola di Dio fino al martirio, salvaguardando le persone e le culture. È quanto sottolineato da Papa Francesco nella Messa alla Casa Santa Marta, nella Solennità della Nascita di San Giovanni Battista. Il Papa ribadisce che la Chiesa non deve mai prendere niente per se stessa, ma essere sempre al servizio del Vangelo. Nel giorno in cui la Chiesa celebra la nascita di San Giovanni Battista, il Papa inizia la sua omelia rivolgendo gli auguri a tutti coloro che portano il nome Giovanni. “La figura di Giovanni Battista non è sempre facile da capire. Quando pensiamo alla sua vita, è un profeta, un uomo che è stato grande e poi finisce come un poveraccio”. Chi è dunque Giovanni? “Lui stesso lo spiega:“Io sono una voce, una voce nel deserto”, ma è una voce senza Parola, perché la Parola non è Lui, è un Altro. Ecco allora qual è il mistero di Giovanni: mai s’impadronisce della Parola, Giovanni è quello che indica, quello che segna. Il senso della vita di Giovanni è indicare un Altro”. Papa Francesco confida di essere colpito dal fatto che la “Chiesa scelga come festa di Giovanni un periodo in cui i giorni sono i più lunghi dell’anno” nell’emisfero boreale, cioè “hanno più luce”. Davvero Giovanni “era l’uomo della luce, portava la luce, ma non era luce propria, era una luce riflessa. Giovanni è come una luna e quando Gesù iniziò a predicare, la luce di Giovanni incominciò a diminuire, ad andare giù. Voce non Parola – ricorda Papa Francesco – luce, ma non propria: Giovanni sembra essere niente. Quella è la vocazione di Giovanni: annientarsi. E quando noi contempliamo la vita di quest’uomo, tanto grande, tanto potente – tutti credevano che fosse lui il Messia – quando contempliamo questa vita, come si annienti fino al buio di un carcere, contempliamo un grande mistero. Noi non sappiamo come sono stati gli ultimi giorni di Giovanni. Non lo sappiamo. Sappiamo soltanto che è stato ucciso, la sua testa su un vassoio, come grande regalo per una ballerina adultera. Credo che più di questo non si possa fare per andare giù, per annientarsi. Quello è stato il fine di Giovanni. Nel carcere – spiega Papa Francesco – Giovanni ha sperimentato dei dubbi, aveva un’angoscia e ha chiamato i suoi discepoli per andare da Gesù a chiedergli:“Sei Tu, o dobbiamo aspettare un altro?”. C’è proprio il buio, il dolore sulla sua vita. Neanche questo gli fu risparmiato, a Giovanni. La figura di Giovanni a me fa pensare tanto alla Chiesa” che “esiste per proclamare, per essere voce di una Parola, del suo sposo, che è la Parola. E la Chiesa esiste per proclamare questa Parola fino al martirio. Martirio precisamente nelle mani dei superbi, dei più superbi della Terra. Giovanni poteva farsi importante, poteva dire qualcosa di sé…Il segreto di Giovanni. Perché Giovanni è santo e non ha peccato? Perché mai, mai ha preso una verità come propria. Non ha voluto farsi ideologo. L’uomo che si è negato a se stesso, perché la Parola venga. E noi, come Chiesa, possiamo chiedere oggi la grazia di non diventare una Chiesa ideologizzata. La Chiesa – esorta il Santo Padre – deve ascoltare la Parola di Gesù e farsi voce, proclamarla con coraggio. Quella è la Chiesa senza ideologie, senza vita propria: la Chiesa che è il mysterium lunae, che ha luce dal suo Sposo e deve diminuire, perché Lui cresca: questo è il modello che ci offre oggi Giovanni, per noi e per la Chiesa. Una Chiesa che sempre sia al servizio della Parola. Una Chiesa che mai prenda niente per se stessa. Oggi nella preghiera abbiamo chiesto la grazia della gioia, abbiamo chiesto al Signore di allietare questa Chiesa nel suo servizio alla Parola, di essere voce di questa Parola, predicare questa Parola. Chiediamo la grazia di imitare Giovanni, senza idee proprie, senza un Vangelo preso come proprietà, soltanto una Chiesa-voce che indica la Parola, e questo fino al martirio. Così sia!”. Papa Francesco commentando il Vangelo domenicale di Luca che riporta la domanda di Cristo agli Apostoli, “ma voi chi dite che io sia?”, sottolinea che bisogna rispondere a Gesù con il cuore, ispirati dalla venerazione per Lui e dalla roccia del Suo Amore. “Chi dite che io sia?”. Una domanda alla quale Pietro risponde:“Tu sei il Cristo di Dio, l’Unto del Signore”, che anche duemila anni dopo coinvolge tutti, finanche mettendo in crisi, con una “prova del nove” per il nostro cammino di fede cristiana tra le insidie del mondo. “È una domanda diretta al cuore – afferma Papa Francesco – alla quale occorre rispondere con l’umiltà del peccatore, al di là delle frasi fatte o di convenienza, che quasi ne contiene un’altra, speculare e altrettanto decisiva: chi noi pensiamo di essere per Gesù? Noi, anche noi, che siamo apostoli e servi del Signore dobbiamo rispondere, perché il Signore ci domanda: cosa pensi tu di me? Ma lo fa, eh? Lo fa tante volte! Cosa pensi tu di me?, dice il Signore. E noi non possiamo fare come quelli che non capiscono bene. Ma, tu sei l’unto! Sì, ho letto. Con Gesù non possiamo parlare come con un personaggio storico, un personaggio della storia, no? Gesù è vivo davanti a noi. Questa domanda – avverte Papa Francesco – la fa una persona viva. E noi dobbiamo rispondere, ma dal cuore. Siamo chiamati ancora oggi da Gesù a compiere quella scelta radicale fatta dagli Apostoli, una scelta totale, nella logica del “tutto o niente”, un cammino per compiere il quale dobbiamo essere illuminati da una grazia speciale, vivere sempre sulla solida base della venerazione e dell’amore per Gesù. Venerazione e Amore per il Suo Santo Nome. Certezza che Lui ci ha stabiliti su una roccia: la roccia del Suo amore. E da questo amore – rivela il Santo Padre – noi Ti diamo la risposta, diamo la risposta. E quando Gesù fa queste domande – Chi sono io per te? – bisogna pensare a questo: io sono stabilito sulla roccia dell’Amore di Lui. Lui mi guida. Devo rispondere fermo su quella roccia e sotto la guida di Lui stesso. Chi sono io per voi?, ci chiede Gesù. A volte si ha vergogna a rispondere a questa domanda perché sappiamo che qualcosa in noi non va, siamo peccatori. Ma è proprio questo il momento in cui confidare nel Suo amore e rispondere con quel senso di verità, così come Pietro fece sul Lago di Tiberiade. Signore, tu sai tutto. È proprio nel momento in cui ci sentiamo peccatori, il Signore ci ama tanto – afferma Papa Bergoglio – e come mise il pescatore Pietro a capo della Sua Chiesa, così anche con noi farà qualcosa di buono. Lui è più grande, Lui è più grande! E quando noi diciamo, dalla venerazione e dall’amore, sicuri, sicuri sulla roccia dell’amore e sulla guida di Lui: Tu sei l’unto, questo ci farà tanto bene e ci farà andare avanti con sicurezza e prendere la Croce di ogni giorno che alle volte è pesante. Andiamo avanti così, con gioia, chiedendo questa grazia: dona al Tuo popolo, Padre, di vivere sempre nella venerazione e nell’amore per il Tuo santo nome! E con la certezza che Tu non privi mai della Tua guida coloro che hai stabilito sulla roccia del Tuo amore!”. Carità e magnanimità. Sono questi i segni distintivi del cristiano ricordati da Papa Francesco durante l’incontro con i membri dell’Associazione Santi Pietro e Paolo, ricevuti in udienza in Vaticano poco prima dell’Angelus. “Grazie”. È la prima parola che il Papa rivolge all’Associazione Santi Pietro e Paolo che sin dal 1971 si dedica a diverse iniziative di volontariato, portando avanti il proprio apostolato con attività caritative e culturali. “Soprattutto la carità, l’attenzione concreta verso gli altri, verso i più poveri, deboli e bisognosi – rileva il Vescovo di Roma – è un segno distintivo del cristiano. Crescere nella conoscenza e nell’amore a Dio è essenziale per portare e per vivere la Sua misericordia a tutti, vedendo nel volto di chi incontriamo il Suo Volto”. Forte è l’esortazione di Papa Francesco a “conoscere sempre più il Signore con la preghiera, con la meditazione sulla Parola, con lo studio del Catechismo per dare una particolare testimonianza di vita cristiana, servendo la Chiesa e i fratelli senza chiedere nulla in cambio. Questo è bello: servire senza chiedere nulla in cambio, come ha fatto Gesù. Gesù ci ha servito tutti e non ha chiesto nulla in cambio. Quello è bello: Gesù ha fatto le cose con gratuità e voi fate le cose con gratuità. La vostra ricompensa è proprio questa: la gioia di servire il Signore, e di farlo insieme! E servire il Signore – insegna Papa Bergoglio – va fatto con cuore generoso e grande, con magnanimità. Questa bella virtù cristiana: la magnanimità, avere un cuore grande, allargare il cuore, sempre sì, con pazienza, allargare, amare tutti, e non quel cuore piccolino, quelle piccolezze che ci fanno tanto male. Magnanimità. In questo modo la testimonianza del cristiano sarà più convincente ed efficace ed il servizio sarà migliore e più gioioso. Il Santo Padre invita a pregare anche per coloro che ci hanno fatto e ci fanno del male, per chi ci fa arrabbiare, affinché la benedizione di Dio arrivi anche a loro. “La testimonianza di Paolo VI alimenta in noi la fiamma dell’amore per Cristo, dell’amore per la Chiesa, dello slancio di annunciare il Vangelo”. Così Papa Francesco nel discorso pronunciato nella Basilica vaticana davanti a circa cinquemila pellegrini della diocesi di Brescia, giunti a Roma per il 50.mo anniversario dell’elezione di Papa Montini. “L’amore a Cristo, l’amore alla Chiesa e l’amore all’Uomo – osserva Papa Bergoglio – sono i tre aspetti testimoniati dal Servo di Dio, Paolo VI. Queste tre parole sono atteggiamenti fondamentali, ma anche appassionati di Paolo VI che ha saputo testimoniare, in anni difficili, la fede in Gesù Cristo. Risuona ancora, più viva che mai, la sua invocazione:“Tu ci sei necessario o Cristo!”. Sì, Gesù è più che mai necessario all’Uomo di oggi, al mondo di oggi, perché nei ‘deserti’ della città secolare Lui ci parla di Dio, ci rivela il Suo Volto”. Nel discorso ai cinquemila pellegrini conterranei di Papa Montini che nacque a Cesio in provincia di Brescia, Papa Francesco mette soprattutto in luce la totalità dell’amore a Cristo di Paolo VI. Una totalità visibile già nella scelta del nome come Papa. “Paolo è l’Apostolo che portò il Vangelo a tutte le genti e che per amore di Cristo offrì la sua vita” – affermò Papa Montini. E il Vescovo di Roma, Padre Francesco, cita più volte le parole di Paolo VI per mettere in rilievo quest’Amore. “Cristo! Sì, io sento la necessità di annunciarlo, non posso tacerlo!” – proclamò a Manila Papa Montini ricordando che “Egli è il centro della storia e del mondo, Egli è il compagno e l’amico della nostra vita”. Papa Francesco sottolinea come queste siano “parole grandi, ma io vi confido una cosa: questo discorso a Manila, ma anche quello a Nazareth, sono stati per me una forza spirituale, mi hanno fatto tanto bene nella vita! E io torno a questo discorso, torno e ritorno, perché mi fa bene sentire questa parola di Paolo VI oggi”. Il secondo insegnamento lasciatoci da Paolo VI è il suo profondo amore per la Chiesa, “Madre che porta Cristo e porta a Cristo”. Un amore fino a spendersi per la Chiesa senza riserve con un “cuore di vero Pastore, di autentico cristiano, di uomo capace di amare – rileva Papa Bergoglio – Paolo VI ha vissuto in pieno il travaglio della Chiesa dopo il Concilio Vaticano II, le luci, le speranze, le tensioni”. Diversi sono gli scritti di Paolo VI, come la sua prima Enciclica “Ecclesiam Suam”, “Pensiero alla morte”, il suo Testamento. Ma soprattutto l’Esortazione apostolica “Evangeli Nuntiandi “per me – afferma Papa Francesco – il documento pastorale più grande che sia stato scritto fino ad oggi. In questa Esortazione apostolica, Papa Montini pone queste domande:“Dopo il Concilio e grazie al Concilio, la Chiesa si sente o no più adatta ad annunziare il Vangelo e ad inserirlo nel cuore dell’Uomo con convinzione, libertà di spirito ed efficacia? La Chiesa è veramente radicata nel cuore del mondo, e tuttavia abbastanza libera e indipendente per interpellare il mondo?”. E ancora, rileva Papa Francesco, “Paolo VI si chiedeva se fosse più impegnata nell’azione caritativa, nella ricerca dell’unità dei cristiani:
sono interrogativi rivolti anche alla nostra Chiesa, a tutti noi, siamo tutti responsabili delle risposte e dovremmo chiederci: siamo veramente Chiesa unita a Cristo, per uscire e annunciarlo a tutti, anche e soprattutto a quelle che io chiamo le ‘periferie esistenziali’, o siamo chiusi in noi stessi, nei nostri gruppi, nelle nostre piccole chiesuole? O amiamo la Chiesa grande, la Chiesa madre, la Chiesa che ci invia in missione e ci fa uscire da noi stessi?”. E, se Dio lo vuole, un giorno anche nello spazio esterno, sugli altri mondi, per annunciare la Buona Novella. Il terzo aspetto che Paolo VI ha testimoniato è l’amore di Dio per l’uomo. “Un aspetto profondamente legato a Cristo perché è proprio la passione per Dio che spinge a servire l’Uomo”: Papa Francesco cita un ampio passo del discorso che Paolo VI pronunciò nell’ultima Sessione del Vaticano II, dove evidenzia che “l’umanesimo laico profano alla fine è apparso nella sua terribile statura e ha in un certo senso sfidato il Concilio. La religione del Dio che si è fatto Uomo s’è incontrata con la religione dell’uomo che si è fatto Dio – prosegue Paolo VI mettendo in luce che poteva esserci uno scontro che non è avvenuto – l’antica storia del Samaritano è stata il paradigma della spiritualità del Concilio”, dichiara Papa Montini che rivolgendosi “agli umanisti moderni – rinunciatari alla trascendenza delle cose supreme” – li invita a riconoscere “il nostro nuovo umanesimo: anche noi, noi più di tutti, siamo i cultori dell’Uomo” che cammina insieme con Dio nel Giardino. Papa Francesco evidenzia, citando le parole di Paolo VI, che “tutta questa ricchezza dottrinale è rivolta a servire l’Uomo in ogni sua necessità, tanto che la Chiesa si è quasi dichiarata l’ancella dell’umanità. E questo anche oggi ci dà luce in questo mondo dove si nega l’Uomo, dove si preferisce andare sulla strada dello gnosticismo, sulla strada del pelagianesimo, cioè di un Dio che non si è fatto carne o del niente Dio, dell’ Uomo prometeico: noi in questo tempo possiamo dire le stesse cose di Paolo VI: la Chiesa è l’ancella dell’Uomo, la Chiesa crede in Cristo che è venuto nella carne e perciò serve l’Uomo, ama l’Uomo, crede nell’Uomo. Questa è l’ispirazione del grande Paolo VI. Cari amici, ritrovarci nel nome del Venerabile Servo di Dio Paolo VI ci fa bene! La sua testimonianza – osserva Papa Bergoglio – alimenta in noi la fiamma dell’amore per Cristo, dell’amore per la Chiesa, dello slancio di annunciare il Vangelo all’Uomo di oggi, con misericordia, con pazienza, con coraggio, con gioia. Le ricchezze e le preoccupazioni del mondo soffocano la Parola di Dio”. Papa Francesco sottolinea che la nostra vita è fissata su tre pilastri: elezione, alleanza e promessa, aggiungendo che dobbiamo affidarci al Padre nel vivere il presente senza aver paura per quello che accadrà. “Nessuno può servire due padroni”. Il Santo Padre trae spunto dalle parole di Gesù che si sofferma sul tema delle ricchezze e delle preoccupazioni. “Gesù ha un’idea chiara su questo: sono le ricchezze e le preoccupazioni del mondo che soffocano la Parola di Dio, sono queste le spine che soffocano il seme caduto nella terra, di cui si parla nella Parabola del Seminatore. Le ricchezze e le preoccupazioni del mondo – ci spiega qui – soffocano la Parola di Dio e non la lasciano crescere. E la Parola muore, perché non è custodita: è soffocata. In quel caso si serve la ricchezza o si serve la preoccupazione, ma non si serve la Parola di Dio. E anche questo ha un senso temporale perché – spiega Papa Francesco – la Parabola è un po’ costruita – il discorso di Gesù nella Parabola – sul tempo, no? Non preoccupatevi dell’indomani, di cosa fai domani. E anche la Parabola del Seminatore è costruita sul tempo: semina, poi viene la pioggia e cresce. Cosa fa in noi, cosa fanno le ricchezze e cosa fanno le preoccupazioni? Semplicemente ci tolgono dal tempo. Tutta la nostra vita è fondata su tre pilastri: uno nel passato, uno nel presente e un altro nel futuro. Il pilastro del passato è quello dell’elezione del Signore. Ognuno di noi, infatti, può dire che il Signore “mi ha eletto, mi ha amato”, “mi ha detto vieni” e con il Battesimo “mi ha eletto per andare su una strada, la strada cristiana”. Il futuro invece riguarda il “camminare verso una promessa”, il Signore “ha fatto una promessa con noi”. Il presente infine “è la nostra risposta a questo Dio tanto buono che mi ha eletto”. Fa una promessa, mi propone un’alleanza ed io faccio un’alleanza con Lui. Ecco dunque i tre pilastri: elezione, alleanza e promessa: i tre pilastri di tutta la storia della Salvezza. Ma quando il nostro cuore entra in questo che Gesù ci spiega, taglia il tempo: taglia il passato, taglia il futuro e si confonde nel presente. A quello che è attaccato alle ricchezze, non importa il passato né il futuro, ha tutto là. È un idolo, la ricchezza. Non ho bisogno di un passato, di una promessa, di un’elezione: niente. Quello che si preoccupa di cosa può succedere, taglia il suo rapporto col futuro – ‘Ma, può andare questo?’ – e il futuro diventa futuribile, ma no, non ti orienta a nessuna promessa: rimane confuso, rimane solo. Per questo – avverte Papa Bergoglio – Gesù ci dice che o si segue il Regno di Dio oppure le ricchezze e le preoccupazioni del mondo. Con il Battesimo “siamo eletti in amore” da Lui, abbiamo un “Padre che ci ha messo in cammino”. E così anche il futuro è gioioso, perché camminiamo verso una promessa. Il Signore è fedele, Lui non delude e quindi anche noi siamo chiamati a fare quello che possiamo senza delusione, senza dimenticare che abbiamo un Padre nel passato che ci ha eletti. Le ricchezze e le preoccupazioni sono le due cose che ci fanno dimenticare il nostro passato, che ci fanno vivere come se non avessimo un Padre. E anche il nostro presente è un presente che non va. Dimenticare il passato, non accettare il presente, sfigurare il futuro: questo è quello che fanno le ricchezze e le preoccupazioni. Il Signore ci dice:‘Ma, tranquilli! Cercate il Regno di Dio e la sua giustizia, tutto l’altro verrà’. Chiediamo al Signore la grazia di non sbagliarci con le preoccupazioni, con l’idolatria della ricchezza e di sempre avere memoria che abbiamo un Padre che ci ha eletti; avere memoria che questo Padre ci promette una cosa buona, che è camminare verso quella promessa ed avere il coraggio di prendere il presente come viene. Questa grazia chiediamo al Signore!”. Un Papa che ama camminare, “Vescovo di Roma e popolo insieme” – ha detto la sera dell’elezione, il 13 Marzo 2013, e che viene seguito in sette sentieri immaginari tracciati dalle sue parole e dai suoi gesti. Sette sentieri per sette temi forti del messaggio di Papa Bergoglio in questi primi cento giorni di pontificato: la misericordia di Dio, la fede che si fa dono, l’apertura della Chiesa fino alle periferie del mondo, l’amore di Maria “che va di fretta”, l’uomo che viene prima del profitto, l’appello ai costruttori di pace e l’invito ai giovani ad “andare controcorrente”. Il film “I primi 100 giorni di Papa Francesco” aiuta a conoscere ancora meglio il primo Papa gesuita argentino e sudamericano, e a rendere omaggio a quanto Padre Francesco ha già testimoniato nei primi passi del suo pontificato. Come riferisce L’Osservatore Romano, “nessun testo formale né parole di circostanza: solo dei «semplici pensieri» per dire qualcosa che «viene dal di dentro», che «mi sta a cuore»” per riflettere su una delicata quanto fondamentale missione al servizio della Chiesa. “Una missione di mediazione – precisa il Santo Padre – attraverso la quale favorire la comunione nella Chiesa universale. Ma cedere allo spirito mondano espone soprattutto noi pastori al ridicolo”. E infine, ma non da ultimo, il Papa ricorda l’importanza del compito di scegliere e segnalare i candidati all’Episcopato. Nell’Udienza generale di Mercoledì 19 Giugno 2013 in Piazza San Pietro, Papa Francesco si sofferma “su un’altra espressione con cui il Concilio Vaticano II indica la natura della Chiesa: quella del corpo; il Concilio dice che la Chiesa è Corpo di Cristo (cfr Lumen gentium, 7). Vorrei partire da un testo degli Atti degli Apostoli che conosciamo bene: la conversione di Saulo, che si chiamerà poi Paolo, uno dei più grandi evangelizzatori (cfr At 9,4-5). Saulo è un persecutore dei cristiani, ma mentre sta percorrendo la strada che porta alla città di Damasco, improvvisamente una luce lo avvolge, cade a terra e sente una voce che gli dice «Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?». Lui domanda: «Chi sei, o Signore?», e quella voce risponde: «Io sono Gesù che tu perseguiti»(v. 3-5). Questa esperienza di san Paolo ci dice quanto sia profonda l’unione tra noi cristiani e Cristo stesso. Quando Gesù è salito al cielo non ci ha lasciati orfani, ma con il dono dello Spirito Santo l’unione con Lui è diventata ancora più intensa. Il Concilio Vaticano II afferma che Gesù «comunicando il suo Spirito, costituisce misticamente come suo corpo i suoi fratelli, chiamati da tutti i popoli» (Cost. dogm. Lumen gentium, 7). L’immagine del corpo ci aiuta a capire questo profondo legame Chiesa-Cristo, che san Paolo ha sviluppato in modo particolare nella Prima Lettera ai Corinzi (cfr cap. 12). Anzitutto il corpo ci richiama ad una realtà viva. La Chiesa non è un’associazione assistenziale, culturale o politica, ma è un corpo vivente, che cammina e agisce nella storia. E questo corpo ha un capo, Gesù, che lo guida, lo nutre e lo sorregge”. Questo è un punto che Papa Francesco ama sottolineare. “Se si separa il capo dal resto del corpo, l’intera persona non può sopravvivere. Così è nella Chiesa: dobbiamo rimanere legati in modo sempre più intenso a Gesù. Ma non solo questo: come in un corpo è importante che passi la linfa vitale perché viva, così dobbiamo permettere che Gesù operi in noi, che la sua Parola ci guidi, che la sua presenza eucaristica ci nutra, ci animi, che il suo amore dia forza al nostro amare il prossimo. E questo sempre! Sempre, sempre! Cari fratelli e sorelle, rimaniamo uniti a Gesù, fidiamoci di Lui, orientiamo la nostra vita secondo il suo Vangelo, alimentiamoci con la preghiera quotidiana, l’ascolto della Parola di Dio, la partecipazione ai Sacramenti”. C’è poi un secondo aspetto della Chiesa come Corpo di Cristo. “San Paolo afferma che come le membra del corpo umano, pur differenti e numerose, formano un solo corpo, così tutti noi siamo stati battezzati mediante un solo Spirito in un solo corpo (cfr 1Cor 12,12-13). Nella Chiesa quindi, c’è una varietà, una diversità di compiti e di funzioni; non c’è la piatta uniformità, ma la ricchezza dei doni che distribuisce lo Spirito Santo. Però c’è la comunione e l’unità: tutti sono in relazione gli uni con gli altri e tutti concorrono a formare un unico corpo vitale, profondamente legato a Cristo. Ricordiamolo bene: essere parte della Chiesa vuol dire essere uniti a Cristo e ricevere da Lui la vita divina che ci fa vivere come cristiani, vuol dire rimanere uniti al Papa e ai Vescovi che sono strumenti di unità e di comunione, e vuol dire anche imparare a superare personalismi e divisioni, a comprendersi maggiormente, ad armonizzare le varietà e le ricchezze di ciascuno; in una parola a voler più bene a Dio e alle persone che ci sono accanto, in famiglia, in parrocchia, nelle associazioni. Corpo e membra per vivere – osserva Papa Bergoglio – devono essere uniti! L’unità è superiore ai conflitti, sempre! I conflitti se non si sciolgono bene, ci separano tra di noi, ci separano da Dio. Il conflitto può aiutarci a crescere, ma anche può dividerci. Non andiamo sulla strada delle divisioni, delle lotte fra noi! Tutti uniti, tutti uniti con le nostre differenze, ma uniti, sempre: questa è la strada di Gesù. L’unità è superiore ai conflitti. L’unità è una grazia che dobbiamo chiedere al Signore perché ci liberi dalle tentazioni della divisione, delle lotte tra noi, degli egoismi, delle chiacchiere. Quanto male fanno le chiacchiere, quanto male! Mai chiacchierare degli altri, mai! Quanto danno arrecano alla Chiesa le divisioni tra i cristiani, l’essere di parte, gli interessi meschini! Le divisioni tra noi, ma anche le divisioni fra le comunità: cristiani evangelici, cristiani ortodossi, cristiani cattolici, ma perché divisi? Dobbiamo cercare di portare l’unità. Vi racconto una cosa: oggi, prima di uscire da casa, sono stato quaranta minuti, più o meno, mezz’ora, con un Pastore evangelico e abbiamo pregato insieme, e cercato l’unità. Ma dobbiamo pregare fra noi cattolici e anche con gli altri cristiani, pregare perché il Signore ci doni l’unità, l’unità fra noi. Ma come avremo l’unità fra i cristiani se non siamo capaci di averla tra noi cattolici? Di averla nella famiglia? Quante famiglie lottano e si dividono! Cercate l’unità, l’unità che fa la Chiesa. L’unità viene da Gesù Cristo. Lui ci invia lo Spirito Santo per fare l’unità. Cari fratelli e sorelle, chiediamo a Dio: aiutaci ad essere membra del Corpo della Chiesa sempre profondamente unite a Cristo; aiutaci a non far soffrire il Corpo della Chiesa con i nostri conflitti, le nostre divisioni, i nostri egoismi; aiutaci ad essere membra vive legate le une con le altre da un’unica forza, quella dell’amore, che lo Spirito Santo riversa nei nostri cuori (cfr Rm 5,5)”.
Nicola Facciolini
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